SVEVO, Italo

Enciclopedia Italiana (1937)

SVEVO, Italo

Emilio Cecchi

Pseudonimo di Ettore Schmitz, romanziere, nato a Trieste il 19 dicembre 1861, da madre italiana e padre tedesco ma figlio d'italiana; morto a Motta di Livenza il 13 settembre 1928. Dal 1873 al 1880 aveva seguito studî commerciali in Germania e a Trieste; fu poi impiegato di banca; infine, capo di una vasta impresa industriale, che lo trasse a viaggi e soggiorni in Inghilterra, Francia e Germania. Il primo romanzo: Una vita (Trieste 1892), ebbe scarso successo; Senilità (ivi 1898) cadde fra la più assoluta disattenzione; e solo dopo venticinque anni gli seguì La coscienza di Zeno (Bologna 1923). In sostanza, Sv. scrittore restò ignoto fino alla vecchiezza, allorché fu rivelato da uno studio di E. Montale (L'esame, novembre-dicembre 1925). James Joyce fu professore d'inglese allo Sv., in Trieste, avanti la guerra mondiale, e costante amico e ammiratore; ma Ulysses di Joyce (1922) e Zeno di Sv. (1923) furono concepiti ed eseguiti simultaneamente, e fra essi non corre nessun rapporto caratteristico. Cfr. dello Sv., oltre ai tre romanzi suddetti: Novella del buon vecchio e della bella fanciulla, e altre prose inedite e postume, con prefazione di E. Montale (Milano 1930).

Nei due primi romanzi l'ambiente triestino e le figure hanno uno spicco più tradizionale; ma è pur vero quanto fu acutamente notato da G. Debenedetti: "che i fatti di cui si concatena la narrazione di Sv. non son mai lanciati in un moto parabolico che ne trascelga alcuno come più significativo, e ne faccia un culmine drammatico. Il movimento che li reca è quello d'un'attenzione scrutatrice, sempre uguale a sé stessa nella qualità e nel timbro, che ha la forza straordinariamente persuasiva di esaurirsi in ciascuno di essi, per riaccendersi, vigile e instancabile, sul susseguente". Già così s'intravvedono le origini degli accostamenti a Gide, a Joyce, a Proust, ecc.; quantunque la materia di Sv., il suo tono, siano tutti proprî e diversi. Una siffatta arte di narrare, in La coscienza di Zeno, giungeva inaspettata alla letteratura italiana, ch'è portata sempre alla plasticità e alle simmetrie compositive. E forse, tali modi, in Italia, non sarebbero stati possibili, fuorché in un ingegno non professionale, cresciuto sul crocevia di molteplici e vaghe correnti europee; e che adoperava una lingua talvolta impropria, ma perciò più audace, e spesso felicissima.

Bibl.: Spetta, come si è detto, a E. Montale il merito della "scoperta" di Sv., e di abbondante lavoro d'esegesi (vedi, oltre allo scritto citato: in Quindicinale, 15 febbraio 1926; in L'Italia che scrive, giugno 1926; in la Fiera letteraria, 25 settembre 1928). Inoltre: B. Crémieux, in Navire d'argent, febbraio 1926; F. Sternberg, L'opera di I. Sv., Trieste 1928; e un numero dedicato a Svevo da Solaria, marzo-aprile 1929; G. Debenedetti, in Convegno, gennaio-febbraio 1929, e in Solaria, num. cit., discute se nell'atteggiamento mentale ed estetico di Sv. abbia partecipato il fondo semita.

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