BALBO, Italo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 5 (1963)

BALBO, Italo

Aldo Berselli

Nacque a Quartesana (Ferrara) il 6 giugno 1896, da famiglia di piccola borghesia: il padre, Camillo, era direttore didattico e liberale moderato. Avviato agli studi ginnasiali, il B. non fu mai uno studente regolare e disciplinato; la sua formazione fu dovuta soprattutto alle suggestioni che gli venivano da letture disordinate, dall'ambiente familiare (il fratello Fausto era fervente mazziniano, l'altro fratello Edmondo sindacalista rivoluzionario), e ai contatti che ebbe da adolescente con ambienti rivoluzionari e repubblicani della Ferrara del tempo, tra cui, in prima linea, il caffè Milano. Qui conobbe il gen. Ricciotti Garibaldi, Antonio Giusquiano, Felice Albani, e fu attratto dalle idee mazziniane; si iscrisse al partito repubblicano e più tardi entrò nella massoneria. Nel 1910, avuta notizia della spedizione progettata dal gen. Garibaldi per liberare gli Albanesi dal giogo ottomano, partì volontario, fuggendo di casa, e raggiunse un centro delle Marche donde doveva muovere la colonna liberatrice. Ma la spedizione, come è noto, non ebbe luogo. Nel 1911 scriveva sulla Voce Mazziniana,foglio ravennate fondato dal Giusquiano; in seguito collaborò a La Provincia di Ferrara,giornale democratico radicale ch'eglì contribuirà poi a sopprimere nel 1922, e a La Raffica,periodico sindacalista che vide per pochissimi numeri la luce nel 1913 in Ferrara. Nel 1913, insieme a Giuseppe Ravegnani, fondò la rivista letteraria Vere Novo:le sue preferenze letterarie gli fanno giudicare D'Annunzio decadente e il Pascoli sdolcinato e temperamento quasi femmineo; è attratto dal Carducci delle Odi Barbare e dai classici. Intanto era alla testa di tutte le agitazioni studentesche e spesso prendeva la parola in occasione di manifestazioni irredentistiche. Era, com'egli scrisse, "un figlio del secolo che ci aveva fatti tutti democratici anticlericali e repubblicaneggianti; antiaustriaci e irredentisti esasperati in odio all'Asburgo tiranno, bigotto e forcaiolo" (Diario 1922, p. 26).

Essendo distratto, a causa di questa attività, dagli studi, il B. fu inviato dal padre a. San Marino, ove conseguì la licenza liceale nell'estate del 1914. Di nuovo libero, prese parte attiva alle grandi manifestazioni del tempo: raggiungeva spesso Milano per presenziare ai comizi irredentisti e colà ebbe il primo incontro con Mussolini, iniziando, su invito di S. Giuliani, la collaborazione al Popolo d'Italia con un veemente articolo in memoria di Oberdan.

Scoppiata la guerra, si arruolò volontario; sottotenente degli alpini, fu in prima linea sugli Altipiani. Nell'autunno 1917 seguì un corso di pilota a Torino, interrotto dalle vicende di Caporetto. Nel gennaio 1918 assunse il comando del reparto arditi del battaglione "Pieve di Cadore" e combatté fino all'ultima azione sul Grappa, guadagnando due medaglie d'argento e una di bronzo. Ancora ufficiale mobilitato s'interessò a L'Alpino,settimanale nato a Udine il 24 ag. 1919; dopo i primi numeri, ne assunse la direzione, gli impresse un'intonazione "combattentistica", iniziando una violenta battaglia contro i socialisti e l'Avanti!,pubblicò un caldo appello a sostegno dell'impresa di Fiume, nonostante le sue precedenti scarse simpatie per D'Annunzio, e contro i "rinunciatari" (21 sett. 1919), invitò infine gli alpini a partecipare alla lotta elettorale del '19 per combattere gli antimilitaristi.

Con la smobilitazione raggiunse Firenze, ove condusse a termine gli studi universitari laureandosi, nell'ottobre del 1920, in scienze sociali presso l'istituto Cesare Alfieri, con una tesi su "Il pensiero economico e sociale di Mazzini".

Il Mazzini è sempre al centro del suo interesse: a lui egli chiede ancora la chiave per risolvere quel problema politico-sociale che confusamente sente urgente. È interessante anche ricordare una sua dissertazione orale (tesina), in cui sostenne che la Società delle Nazioni sarebbe stata non strumento di pace e di giustizia, bensì di nuove prepotenze e di rinnovate ingiustizie, provocatrici di nuove guerre.

Tornato a Ferrara nel dicembre dello stesso anno, si diede anima e corpo alla lotta politica, pur senza un orientamento ben definito, desideroso però di "una, rivoluzione a qualunque costo". Il campo di lotta del B., portato per istinto all'azione e alla violenza, ancora "ardito", dopo l'"eccidio estense" (20 dic. 1920), diventò inevitabilmente quello contro i "sovversivi" della città e della campagna: entrato nel Fascio locale, sfruttando l'esperienza militare di ex-ufficiale degli arditi, guidò le prime "spedizioni punitive", a Porotto, San Biagio, Denore, ecc. Fu tra i fondatori e i redattori del Balilla,settimanale del Fascio ferrarese di combattimento, al quale collaborò con articoli firmati "Fantasio", nei quali sostenne, in omaggio al "programma di lotta contro tutti i parassiti", la necessità di spazzar via "i disertori della vita",... i cosiddetti borghesi", cioè coloro che "con i rotondi capitali di papà, quale solida garanzia per l'avvenire",... sorridono con commiserazione dei nostri entusiasmi" (Snobs, in Balilla, 6 febbr. 1921). Il 13 febbraio era eletto segretario politico del Fascio ferrarese, e il 12 giugno segretario provinciale. In questo periodo incominciarono anche le grosse spedizioni armate a largo raggio: Bologna, Parma, Rovigo, Ravenna, Venezia, Modena. La cosiddetta "marcia su Ravenna", in occasione del centenario dantesco, che vide la mobilitazione di tremila uomini militarmente inquadrati, fu un primo esperimento di manovrare grandi gruppi come reparti d'esercito e fece intravedere al B. gli sviluppi futuri di una simile organizzazione, anche al fine di una conquista violenta del potere.

Il fascismo ferrarese del B., come quello degli altri capi (poi chiamati "ras") del "quadrilatero" (Ferrara, Mantova, Bologna, Modena), ha la propria forza nelle campagne, nella reazione antisocialista della borghesia agraria, è, come si suol dire, "agrario" e assume un atteggiamento di opposizione anche allo stesso Mussolini. Per il B. e per i fascisti del Balilla,dall'"eccidio estense" è incominciata la seconda fase del fascismo che da "aristocrazia" si è trasformato in "democrazia", è diventato "popolo e massa", si oppone a Mussolini e al fascismo delle città (Milano, Roma, Genova) rimasto alla fase "aristocratica", ha scritto sul suo labaro il motto "usque ad finem" e vuole la distruzione dell'avversario (v. Balilla,28 ag. 1921). Contro il patto di pacificazione stipulato da Mussolini nell'estate del 1921 la ribellione è aperta: l'accordo social-fascista è respinto decisamente in un ordine del giorno sostenuto anche dal B. e approvato all'unanimità in una riunione tenuta a Bologna, il 16 agosto, con la partecipazione dei rappresentanti dei Fasci emiliani è romagnoli.

Il movimento fascista capeggiato dal B., avverso, almeno fino alla fine del 1921, anche alla trasformazione del movimento stesso in partito, è rivoluzionario, repubblicano e antiparlamentare. Il B. continua le sue numerose, ininterrotte "spedizioni punitive", fra le quali è da ricordare quella che portò all'incendio e alla distruzione, a Ravenna, dei vasti locali della Confederazione provinciale delle cooperative socialiste guidate da Nullo Baldini, base della forza socialista della regione. Egli è ormai deciso a colpire a morte il movimento sindacale libero, secondando i fini degli agrari della sua provincia e delle altre provincie emiliane; tuttavia sembra volere che il fascismo diventi un movimento di popolo, fondato su una piattaforma sindacale, e che rappresenti tutte le classi. Per attrarre nella propria orbita le classi proletarie si occupa, infatti, anche dell'organizzazione sindacale, affidandone a Ferrara l'incarico a Edmondo Rossoni. Nel convegno di Bologna (24-25 genn. 1922) sostiene che l'organismo sindacale, sorto per iniziativa dei Fasci, debba accogliere nel suo seno tutti i sindacati nazionali, anche se fuori del partito, e debba assolutamente rimanere indipendente dal partito stesso. Il 12 maggio 1922, concentra a Ferrara 63.000 rurali della provincia proclamando lo "sciopero fascista"; la vita della città è paralizzata e la smobilitazione avviene solo la mattina del 15, allorché una delegazione di fascisti, tornata da Roma, assicura che il governo ha accolto tutte le domande avanzate e che il programma di lavori pubblici, interessante le varie zone della provincia, verrà subito messo in esecuzione.

Il programma sindacale del B. però resta ancorato agli interessi degli agrari, pur con qualche giustificazione e velleità sociale dovute alle sue origini repubblicane. La mobilitazione dei rurali è compiuta in concorrenza e per indebolire le organizzazioni socialiste e le leghe bianche, mentre i fini del movimento non toccano la sostanza delle questioni sociali della valle padana. Indice sintomatico, lo sbocco delle richieste verso le opere pubbliche più che verso un nuovo ordinamento del lavoro nei campi. L'assalto degli squadristi alla sede delle cooperative socialiste a Ravenna e lo "sciopero" di Ferrara non sono che due facce della medesima realtà.

Ma il B. è soprattutto l'organizzatore militare delle forze fasciste. Nei primi giorni del 1922, a Oneglia, insieme col generale S. Gandolfo, con U. Igliori e D. Perrone Compagni aveva gettato le basi della trasformazione delle squadre nella milizia fascista e suddiviso le zone di comando: il B. ebbe la parte più importante, cioè quella comprendente l'Emilia, la Romagna, il Mantovano, le Marche, il Veneto, il Trentino, l'Istria e Zara. In veste di ispettore, appunto, il 5 marzo 1922 si recava, per incarico del partito, a Fiume, ove il 3 marzo - in seguito a luttuosi incidenti - il governo presieduto da R. Zanella era stato costretto a cedere a un colpo di mano di elementi fascisti, ex-legionari e repubblicani. Con l'allontanamento dello Zanella, rifugiatosi in territorio iugoslavo, seguito da molti esponenti della maggioranza dell'Assemblea costituente, si era costituito un Comitato di difesa nazionale, al quale il B. fu tosto aggregato. Caduta per l'opposizione del governo italiano la proposta di affidare i poteri a G. Giuriati, il comitato di difesa intendeva indire un plebiscito, quando il 15 marzo un consiglio militare, emanazione degli ambienti legionari e nazionalisti, impediva ogni ulteriore attività al Comitato di difesa. Il B., visto il mutamento della situazione, in cui non restava ai fascisti più nulla da fare, sospendeva l'organizzazione di una spedizione di questi ultimi che avrebbero dovuto riunirsi a Ravenna e imbarcarsi a Porto Garibaldi per Fiume, e il 16 lasciava la città. Era sfumata l'occasione per il B. e per i fascisti di presentarsi a Fiume come difensori del patriottismo ed eredi dell'impresa dannunziana: il B. tornava a Ferrara all'organizzazione paramilitare delle squadre d'azione, conservando anche in seguito una decisa sfiducia nei nazionalisti ed una chiara avversione alla fusione con loro, accettata poi da Mussolini.

Con l'aumentare e l'ingrossare delle squadre, si manifestò la necessità di dare loro quella omogeneità indispensabile per il caso in cui esse dovessero ubbidire ad un unico comando; e quest'opera di unificazione e centralizzazione apparve urgente quando, in occasione della mobilitazione per lo "sciopero legalitario" dell'agosto 1922, si verificarono ritardi nelle trasmissioni di ordini, dispersione di forze, iniziative dannose. In una riunione del Consiglio centrale del partito a Milano (13 agosto), pochi giorni dopo il fallimento dello sciopero stesso, il B. insistette sulla necessità di coordinare le forze e di attuare una disciplina e un ordinamento definitivo delle squadre di combattimento, denunciò l'insufficienza degli ispettori di zona e presentò un ordine del giorno, appoggiato anche da M. Bianchi, per l'istituzione di un organo direttivo centrale. Accolta la proposta, fu decisa la costituzione di un Comando supremo delle squadre, al quale venne commessa la compilazione di un regolamento di disciplina e delle norme per l'impiego delle squadre stesse. L'indomani, in un lungo colloquio con De Bono e con De Vecchi, il B. decise di convocare una nuova riunione a Torre Pellice per dare "un severo ordinamento disciplinare" al nuovo organismo militare da lui considerato sin d'allora strumento di conquista del potere. Non poté però recarsi, come De Bono e De Vecchi, a Torre Pellice il 15 settembre: restò invece a Ferrara a mettere a punto le sue forze per la grande adunata di Udine (20 settembre).

D'accordo con Mussolini, intanto, pensava ad un'azione radicale contro Parma. Questa città, "rimasta quasi impermeabile al fascismo", com'egli scrive (Diario 1922, p. 115), aveva nei primi giorni d'agosto dimostrato di voler resistere ad oltranza, organizzata e armata, all'imposizione fascista. Il B., convinto che la partita che stava per giuocare superava come importanza tutte le precedenti, aveva mobilitato, il 4 agosto, le squadre delle province vicine, aveva sviluppato una vera azione militare, senza riuscire a vincere le resistenze delle forze antifasciste, asserragliate nell'Oltretorrente, il quartiere popolare. Ora, in settembre, anche in seguito a preoccupazioni manifestategli da Mussolini, avvertendo il rischio per i fascisti di restare "imbottigliati proprio nel cuore della valle padana" (Diario 1922, p. 158), propose all'adunanza della Direzione del partito (Roma, 29 settembre) un'azione in grande stile per eliminare l'organizzazione "sovversiva" e occupare l'Oltretorrente con forze adeguate prima di procedere a qualsiasi movimento fascista di larga portata in Italia. Il B. si recava il 7 ottobre a Borgo San Donnino a studiare da vicino i particolari dell'operazione, ma l'11 ottobre un ordine improvviso lo chiamava a Milano, ove il 16 in una riunione dei capi fascisti veniva deciso quel movimento insurrezionale, nella cui effettuazione egli ebbe un peso decisivo.

Mentre De Vecchi e De Bono ritenevano le forze fasciste impreparate, il B., garantendo il perfetto inquadramento e l'efficienza, anche dal punto di vista degli armamenti, delle legioni dell'Emilia e della Toscana, propose, appoggiato da M. Bianchi, di agire immediatamente. Il 18 ottobre a Bologna il B. studiava minuziosamente con De Vecchi e De Bono i piani dell'insurrezione: il 24 era a Napoli con i suoi fedeli; nella sera prendeva parte alla riunione (che verbalizzò in pochi appunti) nella quale Mussolini comunicava il piano d'azione e, per quel che lo riguardava, voleva che si procedesse alla mobilitazione immediata. Il 27 era a Perugia, al "quartier generale" (albergo Brufani), e vi restava, salvo una rapida escursione a Firenze, fino all'indomani, allorché, nell'incertezza della situazione, dietro preghiera di De Bono e De Vecchi, decideva di partire per Roma, non senza prima aver firmato un foglio proposto da De Bono nel quale i quadrumviri, depositari di tutti i poteri del Partito e della Milizia, si impegnavano a non posare le armi fino al giorno in cui non si fosse giunti ad un governo fascista presieduto da Mussolini. Compiuta la sua missione a Roma - missione sulla cui natura non si hanno precise notizie ma che pare sostanzialmente una presa di contatti con elementi amici nella capitale - il 28, ripartì la notte stessa per Perugia e raggiunse il quartiere generale. Qui il 29 giungeva la notizia che il re aveva dato a Mussolini l'incarico di formare il governo. L'indomani, mentre le colonne fasciste radunate nell'Umbria si dirigevano verso la capitale, ritornò a Roma.

Dopo l'insediamento fascista al governo, il B. ritornò a Ferrara, dove fondò nel 1923 Il Corriere Padano che diresse per qualche tempo conferendogli la solita impronta personale, che talvolta era anche di fronda, continuata poi anche dal suo successore Nello Quilici. Nello stesso anno, comandante generale interinale della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, in sostituzione del De Bono, esponeva in un discorso, tenuto a Milano il 21 aprile, le ragioni dello squadrismo e della sua trasformazione in milizia. Continuava però a rappresentare l'estremismo e l'illegalismo fascista. Nel clima di caccia all'avversario, da lui ancora promosso nel Ferrarese, fu preparata dai fascisti locali l'aggressione che portò all'uccisione di don Giovanni Minzoni ad Argenta (23 ag. 1923). Della aggressione il B. era stato ritenuto dagli avversari politici il responsabile morale; l'accusa di responsabilità fu sostanzialmente rimossa dalla sentenza del processo, da lui intentato nel 1924 contro La Voce Repubblicana,per diffamazione, sentenza che pure assolveva il giornale repubblicano dall'intento diffamatorio. Il contenuto della sentenza era riconfermato dalla Corte d'Assise di Ferrara nel nuovo procedimento contro i presunti autori del delitto nel 1947 (cfr. Querele e sentenze intorno al processo per gli uccisori di Don Minzoni, 1925-1953, Ferrara s. d.). Il B. tuttavia nel 1924 era stato egualmente costretto a dimettersi dal comando generale della Milizia, poiché nel novembre di quell'anno era stata diffusa dalla stampa non fascista, durante lo svolgimento del processo contro La Voce repubblicana,una sua lettera scritta l'anno precedente al Beltrani, segretario della Federazione provinciale fascista di Ferrara, nella quale il B. ordinava ai suoi gregari ferraresi bandi e bastonature "di stile". A Ferrara però fu accolto dai suoi fascisti come un trionfatore e continuò anche a godere, in realtà, della solidarietà e dell'appoggio di Mussolini; venne nominato, infatti, sottosegretario di stato all'Economia Nazionale.

Dal 1926 al 1929 ricoprì l'incarico di sottosegretario prima, e poi, dal 1929 al 1933, di ministro dell'Aeronautica. Già nel 1923, in seguito alla decisione del Gran Consiglio, aveva dato le dimissioni dalla massoneria insieme con G. Acerbo, A. Dudan, C. Rossi e A. Torre.

Intanto il B. aveva abbandonato il suo estremismo fascista quasi volgendosi ad una "evoluzione filocostituzionale" (L. Salvatorelli-G. Mira, Storia d'Italia nel periodo fascista,Torino 1956, p. 479).

L'opera del B. nel settore aeronautico fu iniziata e condotta innanzi con un entusiasmo derivante dal suo carattere, desideroso di affermarsi in nuovi campi, quasi come evasione all'incasellamento burocratico nella vita del partito e dell'amministrazione. Inserendosi abilmente nella tradizione di pionierismo aeronautico, aperta da G. Douhet prima, con le sue contrastate teorie sulla guerra aerea, e dal F. De Pinedo poi, con le sue trasvolate, il B. si dedicò allo studio della tecnica e dell'impiego, civile e militare, dell'aviazione, tenendo conto delle esperienze compiute all'estero, e parallelamente compì esperimenti di grandi azioni aeree di massa. Guidò personalmente lunghe crociere di squadre di velivoli che, oltre ai risultati tecnici, offrivano l'occasione di compiere opera di propaganda dell'Italia fascista all'estero: maggiore risonanza ebbero nel 1928 una crociera nel Mediterraneo occidentale con 61 idrovolanti da ricognizione ed una crociera nell'Europa settentrionale fino a Berlino e Londra con 24 apparecchi da caccia terrestre; nel 1929 due crociere di massa a grande distanza nel Mediterraneo orientale; nel dicembre 1930 la prima crociera atlantica con meta Rio de Janeiro, nella primavera del 1933 la seconda con meta Chicago. Al termine di questa seconda il B., che già aveva il grado di generale di squadra (10 ag. 1929), venne nominato maresciallo dell'aria. Ma la sua politica militare, richiedente un maggiore impulso all'aeronautica rispetto alle altre forze armate, "posto il carattere prevalentemente aereo della guerra futura", incontrava resistenze nei critici tecnico-militari che il B. riteneva ancorati al passato. Nel 1933 il bilancio dell'aeronautica venne ridotto e il B., ormai in posizione critica rispetto all'organizzazione offensiva e difensiva del paese, fu dimesso dal posto di ministro.

Nel gennaio 1934 il B. venne nominato governatore della Libia, al posto di Badoglio. Anche nella nuova carica il B. svolse un'opera instancabile per lo sviluppo civile, economico e militare della colonia. Fece costruire in un anno (dal 1935 al 1936) la strada litoranea libica che si stende per 1820 km dalla Tunisia all'Egitto; diede ulteriore sviluppo anche a imprese archeologiche, a Leptis Magna, e a Sabratha. Riordinò l'Ente per la colonizzazione della Cirenaica, estendendone il campo d'azione alla Tripolitania, togliendo di mezzo impacci e sovrastrutture, e chiamando a collaborare, con identici intenti, l'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, con lo scopo di preparare così le basi per realizzare un nuovo tipo di "colonizzazione demografica intensiva" che doveva rìspondere, oltre che a criteri di economia agraria, a necessità politiche, militari e sociali.

Suo obiettivo, infatti, era anche la definizione della Libia quale "parte integrante dei territorio nazionale", novus ordo che si sarebbe dovuto basare sull'immigrazione di grandi masse di italiani e sulla concessione della cittadinanza italiana ai nativi. Migliaia di famiglie contadine (venete, romagnole, lombarde) partirono da Genova e da Napoli, fra il 1938 e il 1939, avviate verso la "quarta sponda" e accolte in villaggi già preparati. Con decreto del 9 genn. 1939 veniva concessa ai musulmani la "cittadinanza speciale italiana".

In questi anni intanto si andava accentuando un nuovo "dissidentismo" del B., che pur fino al 1934 circa aveva, per quel che concerne la politica estera, interpretato le idee di Mussolini. Nel 1927 a Londra aveva riaffermato l'inalterabile amicizia italo-inglese; nel 1930 a Genova aveva tenuto un bellicoso discorso antifrancese; nel 1932 aveva scritto sul Popolo d'Italia contro la Società delle Nazioni. Aveva avuto rapporti con ambienti militari spagnoli, specie dell'aeronautica, ostili alla repubblica; nel 1932 aveva curato la spedizione di armi e munizioni destinati agli insorti capeggiati dal gen. J. Sanjurio; nel marzo del 1934 era stato presente ad un colloquio fra Mussolini e i capi della Comunión Tradicionalista e dell'Acción Española, colloquio nel quale furono promessi aiuti di armi e denaro per un rovesciamento del regime. Ora, invece, l'opposizione alla politica di Mussolini si faceva sempre più manifesta e palese. La sua ostilità si appuntava soprattutto su due fatti capitali: la politica dell'"asse" e i provvedimenti antisemiti. Circa l'alleanza con la Germania nazista manifestò in più occasioni la propria opposizione, anche con Ciano, che peraltro lo teneva in dispregio sospettando in lui l'ambizione di voler essere il deuteragonista e il successore di Mussolini. Ugualmente aperto fu l'atteggiamento del B. in difesa degli ebrei, tanto che in taluni ambienti fu ritenuto un "semitofilo". Egli aveva avuto nel 1922 aiuti da parte degli ebrei ferraresi ed era amico di molti ebrei che detenevano posizioni economiche e politico-amministrative importanti nella sua città. Nel 1934 il Corriere Padano,polemizzando con il Tevere,aveva affermato: "una questione ebraica in Italia non esiste, il Tevere la vuol far nascere per forza". Più tardi, in occasione della visita del re in Libia, sollevando il problema dei ventilati provvedimenti antisemiti, aveva esortato a non imitare i Tedeschi; nel giugno del 1938 aveva espresso con Ciano lo stesso punto di vista. Ma fu soprattutto nella seduta del Gran Consiglio del fascismo del 6 ottobre che il B. si oppose ai provvedimenti razziali, non solo per discriminare tutti gli ebrei decorati di croce al merito di guerra, ma anche per ottenere l'ammissione alle scuole dei bambini ebrei. Approvata la legge, il B. aiutò generosamente gli ebrei che erano stati suoi collaboratori.

Allo scoppio della seconda guerra mondiale il B. era favorevole ad una politica di neutralità filo-occidentale. Entrata l'Italia in guerra, tuttavia, si impegnò per un esito vittorioso della lotta: assunto il comando di tutte le forze armate della Libia, avanzò insistenti richieste, ufficiali e personali, per ottenere mezzi adeguati di difesa e di offesa, ma i suoi appelli rimasero inascoltati. Cadde nel cielo di Tobruk, colpito per errore dall'antiaerea italiana, il 28 giugno 1940.

Dopo la sua morte circolò la voce che l'aereo del B. fosse stato abbattuto per sabotaggio: in realtà, anche da accertamenti ufficiali, risultò che si trattava di un vero errore. Mussolini nominò anche una commissione d'inchiesta per appurare se corrispondesse a verità l'accusa che il B. avesse accumulato enormi ricchezze: l'esito dell'indagine fu negativo.

Scritti principali: il Diario 1922 (Milano 1932) è utile non solo per gli avvenimenti di quell'anno ma anche per la biografia del B., (si tenga però presente tra l'altro che, come dichiara il B. stesso, non è pubblicato nel suo testo integrale). Gli altri scritti si possono suddividere in due principali gruppi: uno relativo ai problemi dell'aviazione e dell'attività aeronautica, l'altro concernente la colonizzazione in Libia. Per il primo gruppo ricordiamo Il Fascismoe l'aviazione,in La civiltà fascista illustrata nella dottrina e nelle opere,Torino 1928, pp. 573-581; Contributo dell'Italia alla navigazione aerea. Memoria presentata al Congresso Internazionale di aeronautica civile a Washington dalla delegazione governativa italiana,Roma 1928; Dall'Italia al Brasile. Preparazione scientifica del volo per il record mondiale di distanza in linea retta,Roma 1928 (in collaborazione con G. Tedeschini Lalli e p. Bitossi); Da Roma a Odessa. Sui cieli dell'Egeo e del Mar Nero. Note di viaggio,Milano 1929; Stormi in volo sull'Oceano,ibid. 1931; La centuria alata,ibid. 1934; Guerra aerea,in Encicl. Ital., XVIII, Roma 1933, pp. 92-93 (sub voce Guerra, arte della); Sette anni di politica aeronautica (1927-1933),Milano 1936 (sono i discorsi pronunciati alla Camera negli anni 1927-33). Nel secondo gruppo di scritti si possono citare: La litoranea libica,in Nuova Antologia,1° marzo 1937, pp. 5-13; Coloni in Libia, ibid.,1° nov. 1938, pp. 3-13; La politica sociale fascista verso gli arabi della Libia,relazione presentata alla Reale Accadernia d'Italia, Fondazione Alessandro Volta, VIII Convegno "Volta", Roma 1938,in Rass. sociale dell'Africa ital., I (1938), n. 1; La colonizzazione in Libia,in Atti d. R. Accad. dei Georgofili, s. 6, V (1939).

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