Israel

Enciclopedia Dantesca (1970)

Israel

Angelo Penna
Giovanni Rinaldi

Vocabolo ebraico, spiegato con etimologia popolare nel senso di " combatte con Dio " (Gen. 32, 29; dal punto di vista scientifico la sua etimologia è incerta), con il quale si designa il patriarca Giacobbe, che avrebbe ricevuto tale nome da Dio; molto più frequentemente è così chiamato tutto il popolo ebraico, considerato discendente dal patriarca, che generò i dodici capostipiti delle altrettante tribù.

D. una volta (If IV 59) l'usa per indicare Giacobbe; altrove per tutto il popolo (Cv II V 1; VE I VII 8; Ep VII 19 [2 volte] e 29, XIII 21 [2 volte]; Mn I VIII 3, XIV 9, II VII 5 e 8); cita tre volte (Pg II 46, Cv II I 6, Ep XIII 21) il primo versetto (In exitu Israël de Aegypto) di Ps. 113: la prima volta esso è cantato in senso allegorico da un coro di anime, negli altri due casi, specialmente nell'epistola, serve da esempio per spiegare i quattro sensi (letterale, allegorico, morale, anagogico) della Bibbia.

Fortuna di D. nella cultura ebraica. - Inteso nel senso etnico-religioso, che ha origine dalla Bibbia, di designazione del ‛ popolo ' ebraico, I. ha una lontana posizione di simpatia di fronte alla Commedia che incomincia, si può dire, al tempo di D. stesso. È merito di studi recenti la scoperta della coincidenza di particolarità del pensiero di D. di fronte alle dottrine scolastiche predominanti tra i cristiani del suo tempo, con particolarità che si riconoscono nel pensiero di un gruppo di filosofi ebrei di Roma - di cui solo ora s'incomincia a prendere conoscenza - tanto bene individuabili, che pare si possa parlare di una " corrente filosofica romana " (Sermoneta, p. 24 n. 24) a cui appartenevano il filosofo Jehudā romano e il poeta ed erudito Immanuele Romano. L'incontro dottrinale su questioni singole è ben più interessante che pretesi rapporti tra l'uomo D. e personalità ebraiche (v. alla voce IMMANUELE GIUDEO); tanto più che si possono probabilmente spiegare come derivate da un fondo culturale, diffuso nell'epoca, talune conoscenze che D. mostra di cose ebraiche (Rinaldi, cit. in bibl.), e il cui numero probabilmente in future ricerche aumenterà (cito ad esempio la relazione in cui il Sermoneta mette Pd V 80 sì che 'l Giudeo di voi tra voi non rida! in rapporto con l'atteggiamento di fermezza che i rabbini inculcavano nei problemi che D. tratta in quel luogo: la serietà nel fare e osservare i voti).

In questo incontro di pensiero, più che di uomini (ebraismo-D.), ha radice la disposizione degli Ebrei di fronte alla Commedia. Probabilmente pochi anni dopo la morte del poeta il ricordato Jehudā Romano componeva una raccolta di testi filosofici di vari autori, scelti e tradotti in ebraico, con l'aggiunta di qualche frase di collegamento, riportando, tra l'altro, quattro brani di D. trascritti, o meglio, tradotti in italiano-giudaico; e sempre al tempo di D. ha inizio la serie degl'imitatori della sua poesia (Achitûb ben Ischaq) continuata fino al sec. XVIII (Mosè da Rieti; Mosè Zakkut; Jacob David Olmo), quando ha inizio quella di traduzioni in ebraico, per lo più parziali.

Una traduzione completa della Commedia in ebraico fu fatta alla fine dell'Ottocento da S. Formiggini; fu pubblicato, però, solo l'Inferno a causa della polemica che ne sorse (v. L. DELLA TORRE), interessante, più che dal punto di vista della dantologia, da quello della storia religiosa, essendo quel rifiuto il riflesso della ricerca che in quel secolo l'ebraismo credente stava facendo, di raccolta e concentramento delle sue forze, e portò poi alla costituzione d'Israele in stato moderno. Altre traduzioni parziali (Della Torre stesso, Castiglioni, Cassuto, Schreiber) sono piuttosto esercitazioni linguistiche, in preparazione al grande lavoro di una buona traduzione moderna, che fu intrapreso e poi interrotto da S. Jabotinski, in seguito ripreso e felicemente compiuto con nuovi criteri da E. Olsvanger. Queste, però, sono iniziative che si spiegano con la nuova situazione, in cui con la creazione dello stato ebraico nella sua terra (che noi chiamiamo ‛ Israele ', ma è propriamente ‛ Eretz Israel ') venne a trovarsi Israele ‛ nazione ', una nazione tra le nazioni, stato tra gli stati, con i problemi di espansione culturale di tutti gli altri. Il Jabotinski interruppe il lavoro forse soprattutto perché il metro da lui scelto, la terzina di endecasillabi, con la caratteristica catena di rime, costringeva il traduttore a un'infedeltà che non era tollerabile. L'Olsvanger, conservando l'endecasillabo, a cui da tempo si era allenata la poesia ebraica in Italia, ma rinunciando alla rima, ed estendendo la scelta del vocabolario ebraico con ottimi criteri di conservazione e innovazione, riuscì a fare una versione, che fu compiuta nel 1956 ed è da ritenere ottima e spesso anche mirabilmente riuscita.

Ciò si vide nella diffusione che l'opera incontrò in Israele in occasione del VII centenario della nascita del poeta, insieme con la versione della Vita Nuova e della Monarchia. Quel centenario fu notevole anche per altri motivi. Le manifestazioni culturali, come le edizioni (oltre che delle opere del poeta, dello studio su D. e Manoello di U. Cassuto, tradotto in ebraico da S. Dorman), i cicli di conferenze di oratori di varie nazioni, concorsi tra gli studenti di tutti gli ordini di scuole, furono accompagnate da altre di carattere più divulgativo (dizioni, rappresentazioni, una mostra), la cui straordinaria riuscita, più che all'organizzazione - certo efficiente e abilissima - fu dovuta a un'inattesa risposta di consenso, fervido e cordiale, venuta dall'ambiente israeliano, per cui la commemorazione assunse talvolta gli aspetti di un avvenimento d'importanza nazionale. Frutto particolarmente notevole della ricorrenza fu la fondazione di attività permanenti per lo studio del poeta, che aveva avuto un lettore nell'università ebraica fin dall'origine.

Bibl.-F. Michelini Tocci, Il commento di Emanuele Romano al capitolo I della Genesi, Roma 1963; J. Sermoneta, Una trascrizione in caratteri ebraici di alcuni passi filosofici della Commedia, in Romanica et Orientalia, Gerusalemme 1964, 23-42; G. Rinaldi, D. in ebraico, in " L'Alighieri " VII (1966) 25-35. Sulle traduzioni cfr.: U. Cassuto, D.A., in Encyclopaedia Judaica, V, Berlino 1930, 789-790: alle indicazioni di questo articolo è da aggiungere l'edizione di alcuni canti tradotti da S. Jabotinski nella rivista " Ha-umâ ", giugno 1963.

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