IRAN

Enciclopedia Italiana (1933)

IRAN (persiano Īrān) o Eran (A. T., 84-87, 92)

Michele GORTANI
Antonino PAGLIARO
Giuseppe CARACI
Gioacchino SERA

Si suol designare con questo nome il grande altipiano, cinto da rilievi montuosi, che si eleva fra la Mesopotamia e la valle dell'Indo, fronteggiando a nord le depressioni caspica e turanica e a sud il Golfo Persico e il Mare Arabico, e formando il collegamento fra l'Asia anteriore e l'Asia centrale. Tre volte più esteso dell'Anatolia e dell'Armenia prese insieme, partecipa dei caratteri di entrambe su scala più vasta. La superficie può essere valutata a 2.700.000 kmq., la popolazione a 15.000.000.

Il nome ha origine dalle popolazioni indoeuropee, le quali al tempo delle grandi migrazioni vennero a stanziarsi in quell'altipiano e, per quanto già certamente differenziate in varie stirpi, portavano il comune nome di "Arî". Tale nome (*ari̯o-) risale certo al periodo della eomunità indoeuropea ed ebbe assai probabilmente in origine il significato di "buono", "nobile"; nel periodo della comunità indo-iranica venne a designare più propriamente la casta dominante, la nobiltà; e quindi, in opposizione alle popolazioni di altra razza e lingua dei territorî occupati, l'unità etnica culturale dei nuovi abitanti. Nell'Avesta col nome di Airyanəm vaēæō s'indica una regione leggendaria dalla quale gl'Irani avrebbero tratto origine, e col nome di ario (airya-) si indicano i popoli di stirpe iranica in opposizione ai Turani. Nelle iscrizioni degli Achemenidi si ha pure ariya in questo senso. Dall'antico iranico airyana deriva la forma medio-persiana ērān ("iraanico" in contrapposizione a anērān "non iranico", "straniero"), e da questa la moderna denominazione di Īrān. Oltre al valore geografico sopraindicato, il nome di Īrān indica il complesso etnico, linguistico e culturale che fa capo alla Persia ed è il nome ufficiale della nazione persiana (v. persia).

La morfologia dell'Iran è in relazione stretta con la sua struttura. Il grande fascio delle pieghe terziarie, che era fortemente serrato nell'altipiano armeno, si rallenta più ad est separandosi in due principali gruppi di catene che divergono e si curvano in ampî festoni, per riunirsi poi e serrarsi di nuovo verso il Pamir. Strette fra la massa eurasiatica da un lato, e la massa indo-arabo-africana dall'altro, le rughe palesano un massimo di compressione a oriente e ad occidente dell'Iran sotto l'azione di spinte orogeniche provenienti più intensamente dal nord. Le catene marginali settentrionali corrono per una lunghezza di 2700 km. Sono ancora confuse nell'Azerbaigian, che il solco dell'Arasse divide dall'Armenia, e dove le pieghe dei terreni antichi (cristallini e paleozoici) sono semisepolte, a eccezione dell'elevata catena del Kara Daǧ, sotto i depositi terziari saliferi e le grandi masse vulcaniche dominate dai coni amplissimi del Sahend e del Savalan (4800 m.). Grande catena, nettamente plasmata e perfettamente individuata, è invece quella dell'Elburs, che cinge a sud la depressione caspica: una barriera relativamente ristretta (da 60 a 130 km.) e molto elevata, descrivente un arco aperto verso settentrione, con parecchie creste fra loro parallele e di altezza oscillante fra i 2000 e i 4000 m. Lo costituisce una serie sedimentaria che va dal Devonico superiore all'Oligocene, con prevalenza di calcari giurassici e con nucleo granitico; su di essa si estolle la grande massa trachitica recente del vulcano Demavend (oggi allo stato di solfatara) che tocca i 5670 m. Per il clima ricco di precipitazioni e la ripidità e altezza delle pendici, l'erosione è intensa, e gran parte delle acque si riversa nel Caspio attraverso strette gole che i fiumi sono riusciti a incidere trasversalmente alle catene; ampia è soltanto la valle del Kizil-uzun (Sefīd rūd), l'unico che superi tutta quanta l'aspra barriera.

Più verso oriente, fa seguito all'arco dell'Elburs l'altro assai ampio festone delle catene del Khorāsān. Sono esse disposte in un fascio assai più largo (fin oltre 200 km.); nel primo tratto, fino alle gole del medio Herū rīd, si presentano meno elevate, spesso discontinue, con facili valichi, con vaste depressioni fra l'una e l'altra; più ad est si rialzano e si rinserrano nel complesso, elevato e ancora mal noto sistema afgano (v. afghānistān), la cui catena mediana culmina nel Hindu-kush con altezze superiori ai 7000 m. Di qui si originano i due maggiori fiumi orientali dell'Iran: il Herī rūd, che attraversando la barriera settentrionale dell'altipiano va a perdersi nel deserto del Turkestan, e il Hilmend, che scende nel bacino interno del Seistan.

Le catene marginali meridionali si stendono per circa 4000 km. Dall'altipiano armeno si dipartono con i monti prevalentemente granitici del Kurdistan (alti da 2500 a 3000 m.), che circondano a ovest la depressione di 0rmiyah e proseguono in direzione di SE. affiancati da scisti cristallini e pianori calcarei giurassici e cretacici. Si passa così insensibilmente al grande sistema del Zagros, che serba per un migliaio di km. la medesima direzione in forma di un'ampia fascia rilevata, spessa e continua, costituita da rocce tanto più recenti quanto più si procede verso la Mesopotamia. Nelle rughe interne affiorano graniti e scisti cristallini, su cui poggiano calcari paleozoici; ma la parte più importante del sistema è data da masse calcaree giurassiche e cretaciche, curvate in pieghe semplici e regolari, che determinano lunghissime muraglie (alte fino a 4700 m. nell'Ochtoran) e lunghe valli longitudinali (a fondo raramente depresso sotto i 1000 m.), in cui i fiumi sono alimentati da copiose sorgenti carsiche; essi attraversano poi la catena mediante strette e profonde valli trasversali (teng), che collegano i tronchi longitudinali con chiuse paurose, come quelle che finiscono per convogliare alla Kerkha la maggior parte delle acque fluviali del sistema. L'orlo pedemontano verso la Mesopotamia è formato da rilievi di calcari nummulitici ruiniformi e da colline di marne e arenarie mioceniche con gessi e salgemma.

La catena del Zagros si continua a SE., fino al golfo di Hormvz, nei monti del Fārs, meno elevati (rare le cime superiori a 3000 m.), aridi, prevalentemente costituiti da calcari eocenici e arenarie mioceniche, curvati in lunghe pieghe semplici debolmente erose e formanti un dedalo di creste e di depressioni chiuse, preceduto verso la costa dai deboli rilievi della formazione marnosa petrolifera e gessoso-solfifera.

Fra il golfo di Hormùz e Quetta, le catene marginali si dispongono secondo un amplissimo arco concavo verso nord. Lungo una fascia costiera larga da 150 a 200 km., i monti del Makrān si succedono per circa 800 km. in direzione O.-E., con una serie uniforme e interminabile di montagne e creste arenacee, sotto cui si allungano depressioni scavate in argilloscisti e formanti un reticolato idrografico complicatissimo in clima semiarido.

Avvicinandosi al massiccio indiano, le pieghe si rialzano, si rinserrano, e piegano verso N. e NE. Ricompaiono su larga scala calcari eocenici, cretacici e giurassici, anche in estesi massicci tagliati da gole profonde. Oltre Quetta, i medesimi terreni s'incurvano in un fascio di pieghe disposte in un sistema di archi concentrici asimmetrici, che si elevano fino a 3500 m. nelle acute creste calcaree del Suleiman, affiancandosi al sistema afgano.

Due grandi sistemi di rilievi interni attraversano diagonalmente l'altipiano iranico e convergono a sud, dove si fondono con le catene marginali. Il primo decorre dall'Azerbaigian al Makran in direzione NO.-SE.; spesso elevato oltre i 3000 m., tocca i 4250 con la cupola basaltica del Koh-i Hazar ed i 3419 con il Basman, vulcano-solfatara situato presso il suo termine sud-orientale. Il secondo decorre dal Khorāsān orientale al Belūcistān in direzione NNO.-SSE., formando il cosiddetto spartiacque dell'Iran; benché meno elevato del primo, innalza a 4043 m. presso la sua estremità meridionale l'enorme massa vulcanica del Koh-i Taftān. Sono catene a piegatura intensa, con ossatura granitica e scistoso-cristallina ricoperta da calcari giurassici e cretacici, mascherata alla periferia e nelle depressioni da sedimenti terziarî prevalentemente miocenici; soggette a una forte degradazione atmosferica in clima arido, hanno spesso aspetto di ruine semisepolte sotto accumuli di detriti.

Fra le catene marginali e le centrali, si deprimono estesissime zone in forma di bacini desertici chiusi, che i fiumi scendenti dai rilievi periferici hanno in parte colmati con alluvioni ciottolose nelle regioni marginali e con depositi sottili nelle parti interne. Si distinguono più tipi di bacini, corrispondenti a differenti stadî dell'evoluzione desertica: bacini aventi ancora un lago perenne alimentato da grandì corsi d'acqua (come il lago di Urmiyah e in parte il Seistan), bacini quasì cvlmati da argille e trasformati in paludi salse (cui si dà il nome di kevir), e bacini ormai interamente e permanentemente disseccati (come il Lūṭ).

Il bacino di Urmiyah, all'estremo NO. dell'Iran, è ancora sufficientemente ricco di acque ed ha il fondo a quota elevata (1250 m.); il lago occupa una superficie di 4500 kmq., che ad acque alte si estende fino a 6000 kmq. Ma ben diverso è l'aspetto degli altri grandi bacini, caratteristici dell'Iran. Maggiore fra tutti il Seistan, che si deprime a oriente della catena iranica di spartiacque; corrisponde a un'amplissima zona di abbassamento su cui si estende per 600 km. di larghezza il deserto. Vi s'incassa profondamente il fiume Hilmend, che sbocca alla quota 512 nel fondo lacustre, bipartito dal suo enorme delta fangoso, fertile ed irriguo. Poco meno esteso è il Grande Kevir (Dasht-i kevir), a sud delle catene del Khorāsān occidentale e dell'Elburs, deserto assoluto nel centro, meno desolato ai margini. Più a mezzodì, fra le due catene centrali si affonda il Lūṭ, vasto deserto argilloso-salino, che tocca nel punto più basso i 300 m. ed è la parte più depressa e più arida dell'altipiano.

Si può aggiungere infine che dell'Iran sì considerano parte integrante anche le pianure alluvionali che ornano le falde esterne delle catene marginali. Fra esse eccelle per clima e vegetazione la sottile striscia fra l'Elburs e il Caspio; fertile soltanto dove può venire irrigato è il Turkestan afgano, e così pure l'‛Arabistān, ai piedi del Zagros, noto per i suoi giacimenti di petrolio.

In complesso l'Iran, anche per le condizioni del popolamento umano (v. afghanistan; belūcistan; persia), può assomigliarsi a un'immensa fortezza i cui gangli vitali si concentrano lungo l'esteso perimetro delle sue muraglie, dove la natura non ha mancato di aprire più o meno facili varchi verso l'esterno. L'importanza prevalente di queste zone marginali è sottolineata dal loro peso nell'evoluzione storica della regione, dalla posizione periferica delle capitali iraniche (Tabrīz, Teherān, Herāt) e dal fatto stesso che è sempre mancato un centro unico che assommi le tendenze delle diverse parti che compongono l'illusoria unità. D'altronde questa posizione spiega bene perché l'Iran sia stato, come l'Anatolia, un ponte di passaggio attraverso il quale Europa e Oriente son potuti venire a contatto e come da questo contatto siano sorte e si siano affermate in diversi campi (non escluso quello religioso) elaborazioni e rielaborazioni originali che hanno lasciato traccia profonda almeno nell'ambito delle antiche civiltà, senza però che si sia potuta mai a lungo mantener l'unità politica di tutta la regione.

Attualmente questa cade entro l'ambito di tre stati diversi, due dei quali, almeno nominalmente, indipendenti (Persia, Afghanistan), uno ridotto ormai a provincia dell'impero indiano sotto il diretto controllo inglese (Belūcistān). Ma tahto la creazione quanto il mantenimento di queste unità trovano la loro ragione d'essere più nel contrasto delle grandi potenze europee che vi vengono in conflitto (Inghilterra, Russia), che non nella evoluzione spontanea di organismi capaci di affermare una solida e duratura egemonia. Nell'uno come nell'altro dei due stati indipendenti il potere politico rimane sempre più o meno limitato, oltre tutto, dall'effettiva potenza dei singoli gruppi che lo compongono, appunto perché corrispondenti ognuno a forme di economia diverse, le quali a loro volta appaiono più o meno necessariamente condizionate a differenze ambientali, che lo sviluppo della nostra civiltà può attutire, ma non forse mai cancellare del tutto.

Bibl.: F. Spiegel, Eran, das Land zwischen dem Indus und Tigris, Berlino 1863; W. T. Blanford, Eastern Persia, Londra 1876; C. L. Griesbach, Notes to accompany a geological sketch map of Afghanistan and NE. Khorasan, in Rec. Geol. Surv. India, XX, Calcutta 1887; G. N. Curzon, Persia and the Persian Question, Londra 1892; A. F. Stahl, Zur Geologie von Persien, in Peterm. Mitt., supplem. 122, Gotha 1898; C. E. Yate, Khorasan and Sisten, Londra 1900; P. Molesworth Sykes, Ten thousand miles in Persia, or Eight Years in Iran, Londra 1902; E. Vredenburg, Geological sketch of Baluchistan desert and eastern Persia, in Mem. Geol. Surv. India, XXXI, Calcutta 1901; J. de Morgan, Mission scientifique en Perse, III, Parigi 1905; E. Huntington, The Basin of eastern Persia and Sistan, in Carnegie Institution Publ., n. 26, Washington 1905; A. Hamilton, Afghanistan, Londra 1906; Sven Hedin, Zu Land nach Indien durch Persien, Seistan, Belutchistan, Lipsia 1910; A. F. Stahl, Persien, Heidelberg 1911; E. Trinkler, Afghanistan, in Peterm. Mitteil., Gotha 1928, suplem. 196.

I popoli iranici.

Scarsi dati si hanno sull'antropologia dei popoli iranici, che possono dirsi, dal punto di vista somatico, molto meno conosciuti di gruppi etnici dell'Africa, dell'America Meridionale, della Melanesia. I pochi dati che si posseggono provengono da autori diversi, alcuni dei quali molto vecchi. Le misurazioni, salvo per alcuni caratteri, si riferiscono a un numero assai limitato d'individui, troppo esiguo in confronto di una zona geografica così estesa, se si fa eccezione per alcuni gruppi orientali (Afgani e Beluci) presi in considerazione dal Census of India. Dati ancora più scarsi si hanno per la dottrina dello scheletro e, in particolare, per la craniologia.

I principali popoli iranici sono, come è noto, i Persiani, gli Afgani, i Beluci. I Persiani che sono i più europoidi nell'aspetto fisionomico, fra i tre popoli, con pelle più chiara, capelli spesso castani e lisci, si dividono nei tre gruppi etnografici e geografici degli Agemi al nord-ovest, dei Parsi al sud-ovest (con un loro ramo in India), e dei Tagicchi al nord-est, gruppi che corrispondono a differenze antropologiche.

108 Agemi, in gran parte dei dintorni di Teherān, diedero una statura media di m. 1,65; 288 Azerbaigiani del Caucaso m. 1,67; 34 Azerbaigiani della Persia m. 1,70.168 Persiani in generale diedero un indice cefalico di 78,4; 208 Azerbaigiani, uno di 78, 1 (Deniker). 112 Azerbaigiani della Persia diedero allo Chantre un indice nasale di 64,8. Un gruppo etnico particolare, quello dei Susiani, ha i seguenti dati: 11 individui diedero una statura di m. 1,63; 10 individui diedero per l'indice nasale il valore di 73,25 (Ivanovski). Per la statura, ma più per l'indice nasale, i Susiani, quindi, si staccherebbero dagli altri Persiani. Ricordiamo che nella Susiana archeologi e antropologi hanno visto persistenze di un tipo negroide, ma l'indagine non si può dire sia stata condotta finora esaurientemente. Per 20 Parsi di Bombay, Ujfalvy ebbe un indice cefalico di 82,3. Riguardo ai Tagicchi, il Deniker riferisce che sono di statura superiore alla media (m. 1,69), brachicefali (indice 84,9), ma non risulta chiaro se questi valori si riferiscano ai Tagicchi persiani solamente o vi siano compresi quelli delle regioni circostanti (Afghānistīn occidentale, Belūcistān nord-oceidentale) e soprattutto del Turkestan russo. Come è noto, ì Tagicchi di quest'ultima regione sono strettamente affini ai Calcia del Pamir, che sono caratterizzati da spiccata brachiplaticefalìa (v. cefalici, indici) cioè cranio cerebrale largo e basso, forme massicce del tronco, buona pelosità corporea, colorito bruno della pelle, dei capelli e degli occhi, e presentano rari individui biondi. Per gli Afgani 80 Pathan del Panjab hanno un indice cefalico medio di 76,5 (Deniker), altri 10 uno di 74,81 (Ivanovskij). Nel Nord dell'Afghānistān esiste un gruppo etnico, quello degli Hazara, che ha spiccate caratteristiche mongoliche. Per i Beluci abbiamo il maggior numero di dati moderni. 60 Beluci (Deniker) hanno una statura media di m. 1,66; altri 271, del Census of India, m. 1,67. Vi è dunque abbastanza concordanza. Invece, dalla stessa fonte, 100 Achakzai, 100 Puni, 112 Kakar, 100 Tarin, 200 Devar e 198 Brahui presentano le medie rispettive di m. 1,72; 1,68; 1,68; 1,68; 1,64, 1,66; una variazione cioè non trascurabile. L'indice cefalico, per le stesse 8 serie, nello stesso ordine, dà i valori: 80; 80,4; 81,1; 80,1; 81,9; 82,8; 81,7; 81,5; variazione quindi non grande. L'indice nasale di nuovo dà forti differenze: 69,4; 72,5; 68,3; 73; 69,6; 67,8; 74,3; 70,9. È dunque il gruppo Devar che presenta i caratteri più bassi; è bene ricordare che per il sud del Belūcistān (Makrān) è stata ammessa una componente negroide. Sulla craniologia degl'Iranici, compresi i Persiani, abbiamo un solo studio condotto con metodi moderni, quantunque sempre essenzialmente metrici, quello del Lebzelter. Esso è però limitato a 11 cranî persiani. In questo materiale Lebzelter crede di poter distinguere un tipo euroafricano, probabilmente nordoide, un tipo brachicefalo alto, con tratti armenoidi, ma con naso largo, un tipo a cranio lungo e naso largo che egli dice avere un aspetto australiforme.

Bibl.: Census of India 1901, Calcutta 1902-03; A. S. Ivanovskij, Naselinie zemnogo sciara, Mosca 1911; J. Deniker, Les races et les peuples de la terre, 2ª ed., Parigi 1926; V. Lebzelter, Schädel aus Persien, in Annalen Naturhistorisches Museum in Wien, 1931. L'Ivanovskij e il Deniker hanno raccolto in realtà i dati degli autori a loro precedenti, senza portare nuovi materiali.

Le lingue iraniche.

Sul luogo di origine, sull'epoca delle migrazioni e sulle ragioni che le determinarono, sulla precisa appartenenza etnica dei varî popoli che in epoca storica appaiono sull'altipiano iranico, nulla si conosce all'infuori di quello che si può dedurre dalla loro comunità di lingua e di patrimonio culturale. Le genti iraniche parlano idiomi che mostrano una concordanza notevole con le lingue arie dell'India e particolarmente nel patrimonio religioso conservano al loro apparire nella storia molti punti di contatto con il mondo vedico. In base a ciò possiamo all'ingrosso postulare una fase in cui Irani e Indiani furono un popolo solo con un posto a sé in seno alla grande unità indoeuropea. È assai probabile che la più forte differenziazione linguistica dalla fase comune gl'Irani, al pari degl'Indiani, l'abbiano subita per il contatto con le popolazioni di altra lingua sulle quali vennero a giustapporsi nelle loro sedi storiche. Agl'inizî dell'età achemenide vediamo ancora esistere in Susiana un regno elamita, che ha una propria lingua di cosi salda tradizione da esser riconosciuta come lingua ufficiale nelle iscrizioni dei grandi re; indubbiamente si tratta d'un popolo strettamente congiunto per razza e per lingua con le popolazioni non indoeuropee del Caucaso, il quale non era stato ancora raggiunto dall'ondata indoeuropea. Verso la Mesopotamia gl'Irani venivano poi ad incontrarsi con popoli di stirpe semitica già in possesso d'una civiltà molto progredita, i cui contatti non potevano certo non riflettersi sulla struttura dei loro idiomi.

D'altra parte, la stessa invasione sulle varie parti dell'altipiano non dev'essere avvenuta in una sola volta, bensì a varie riprese e per opera di tribù e gruppi fra loro fortemente differenziati e dal punto di vista linguistico e da quello culturale. Così se è vero che i Manda, abitanti secondo le fonti assire a nord della Mesopotamia, sono identici con i Medi delle fonti classiche e persiane e se è vero che le parole arie, le quali appaiono nel testo del Kikkuli di Mitanni, sono imprestiti dalla lingua di questo popolo, dobbiamo ammettere per l'immigrazione dei Medi sull'altipiano iranico una assai remota antichità e un'area d'occupazione estesa a nordovest oltre l'odierno Azerbaigian. Purtroppo la lingua dei Medi non ci è nota che attraverso qualche parola ricordata nei classici e qualche nome proprio. Tuttavia alcuni fatti che appaiono nell'antico persiano delle iscrizioni e la lingua stessa dell'Avesta presuppongono l'influenza d'una lingua di cultura progredita; e questa altro non può essere che quella del regno dei Medi (v. appresso). Gli elementi molto arcaici che ad opera dei Magi sono stati aggiunti alla religione di Zarathustra e che risalgono palesemente al periodo della comunità indo-iranica (v. avesta; zoroastrismo) costituiscono pur essi una conferma che i Medi hanno avuto a lungo una posizione a sé rispetto alle altre stirpi iraniche e assai probabilmente le hanno precedute nell'avanzata sull'altipiano, come le hanno precedute nel teatro della storia. In conseguenza di ciò, già nella più antica documentazione che ne abbiamo, il dominio linguistico iranico appare dialettologicamente differenziato in maniera assai netta.

Il protoiranico. - La documentazione per la fase antica è soltanto parziale; tuttavia dalle concordanze che si constatano fra i gruppi dialettali a noi pervenuti è possibile postulare con buona approssimazione la fase comune da cui essi si sono differenziati.

Alcune caratteristiche di questa fase comune (protoiranico) si ritrovano nell'antico indiano. Ad es. la continuazione come a, ā di indoeur. e, o, ē, ō e analogamente dei dittonghi ái, ē̆i, ō???i, áu, ē̆u, ō???u come ái, áu. Anteriore a questo mutamento è la palatalizzazione aria della gutturale dinnanzi a e, ē. Il passaggio in i della vocale indistinta ə si ha soltanto in indiano e in iranico in contrapposizione a tutte le altre lingue che hanno a. In iranico š e in a. ind. (la cerebralizzazione è innovazione indiana) sono i continuatori di s dopo vocale che non sia a e dopo k, r; sia in indiano, sia in iranico -nt finale di parola si riduce a n, ecc. Anche nel campo della monologia la concordanza fra indiano e iranico si manifesta in alcuni importanti fenomeni: la formazione di alcuni casi dei temi in -ā come da un tema in āi̯, la formazione del loc. sing. in -áu nei temi in -i, l'uscita in -nām del gen. pl. dei temi in vocale; nel dominio della formazione tematica e della flessione del verbo, l'uso dei temi in -ya per l'espressione del passivo, la formazione di un aor. pass. in -i, l'estensione al duale e al plur. attivo della forma forte del suffisso dell'ottativo, ecc. Altre concordanze si osservano anche nel dominio della sintassi, come è ad es. l'uso del locativo e genitivo assoluto, l'uso della forma enclitica del gen. e dat. sing. del pronome personale come accusativo, ecc. Ma indubbiamente è nel lessico che maggiormente si rivela la strettissima affinità genetica fra l'antico indiano e l'antico iranico. Basterà ricordare che tale affinità si manifesta non soltanto nella massa delle basi comuni alle due lingue, ma anche in tipiche formazioni morfologiche: gath. apaourvīm "come mai prima", a. ind. ápūrvyam; gath. ānušhak- "che segue secondo la serie", a. ind. ānuṣak avv. "secondo la serie"; in termini di significato metaforico come agənyā- , "vacca da latte", a. ind. ághnyā- "vacca" (nei Veda indica pure le nuvole e i fiumi); in termini specifici del patrimonio religioso comune: av. išūdya- "ringraziare gli dei", a. ind. iṣudhyá-; av. ahura-, a. pers. a(h)ura- "dio", a. ind. ásura-; aϑaurvan. "sacerdote", a. ind. átharvan-; av. yasna- "sacrifizio, rito", a. ind. yajñá-; zaotar- "sacerdote", a. ind. hótar-; av. haoma-, a. ind. sóma-, ecc. La notevole quantità di concordanze e la comunanza di elementi essenziali nel patrimonio mitologicoreligioso dell'India e dell'antico Īrān rendono assai verisimile l'ipotesi che i due popoli abbiano trascorso un periodo di tempo in stretto contatto prima di raggiungere le rispettive sedi storiche. Altre caratteristiche dell'indo-iranico sono comuni ad altre lingue del ceppo indoeuropeo e consentono quindi di allargare la parentela genetica di questo gruppo. Uno fra questi è il trattamento come spirante della velare palatale.

Le principali innovazioni che dalla fase aria hanno differenziato l'iranico comune sono:

1. La perdita delle aspirate. Le consonanti medie aspirate bh, dh, gh, źh sono continuate da medie non aspirate (b, d, g, z); le tenui aspirate plr, th, kh, śh sono continuate dalle spiranti corrispondenti f, ϑ, χ, s; però, dopo sibilanti e nasali, le tenui aspirate seguite da sonanti sono continuate da tenui non aspirate (p, t, k).

2. Il passaggio delle tenui in spiranti. Le consonanti tenui quando non siano precedute da sibilanti e seguite da sonanti passano nelle spiranti sorde corrispondenti f, ϑ, χ, s.

3. Le spiranti palatali sviluppatesi in ario dalle velari palatali, sono continuate dalle sibilanti s z, dinnanzi a n da š, dopo labiali da š ž.

4. La sibilante dentale s è continuata da h, salvo dinnanzi a consonanti esplosive e a n o dopo t e d, nei quali casi, al pari di z, viene conservata; dopo labiale s e z sono continuate da š ž.

Altre innovazioni di minore importanza si sono avute, oltre che nel dominio fonetico, in quello della morfologia e della sintassi. A queste poi si debbono aggiungere quelle innovazioni le quali hanno differenziato dialettologicamente il dominio linguistico iranico e sono dovute alla varia influenza dei linguaggi dei popoli con i quali gl'Irani sono venuti a trovarsi in contatto nei varî punti dell'altipiano. Difficile è stabilire se gl'Irani o gl'Indiani hanno più innovato rispetto alla fase comune; non è da tacere che in alcuni casi l'iranico è più conservatore dell'indiano così, ad es., mentre l'indiano confonde êš (êþ) e () in kṣ, l'iranico li mantiene distinti come š e come χš.

La fase antica. - I documenti che possediamo della fase più antica delle lingue iraniche, salvo quel poco che concerne la lingua dei Medi (v. appresso), sono l'Avesta (v.), testo sacro della religione mazdaica e le iscrizioni cuneiformi degli Achemenidi. Fra la lingua del primo e quella delle seconde vi sono differenze notevoli, le quali provano che alla base dell'una e dell'altra stanno due dialetti iranici diversi. La principale consiste nel fatto che il persiano delle iscrizioni (a. pers.) ha e ϑ e d dove l'avestico (av.) ha s, z corrispondenti ad a. ind. ś, j o h (a. pers. ϑātiy, av. sañhaiti, a. ind. śáṃsati; a. pers. dasta-, av. zasta-, a. ind. hásta-; a. pers. dan-, av. zan-, a. ind. jānā́ti). Altre differenze sono: la continuazione in a. pers. del gruppo consonantico ϑr, esito di indoiranico tr, mediante un suono unico (š cerebrale?), mentre in av. è mantenuto come ϑr: a. pers. puśa-, pers. mod. pus, av. puϑra- a. ind. putrá-; c'è inoltre nell'avestico l'inizio di quel mutamento per cui du̯ sarà nei dialetti settentrionali b, mentre nel dialetto delle iscrizioni esso è sempre continuato con du̯-: av. bitya-, gath. daibitya-, a. pers. duvitīya-, a. ind. dvitíya-. Anche nel lessico esistono differenze notevoli: ad es. per "dire" l'a. pers. usa un tema gaub-, mentre l'av. ha vak- e per il presente solo mrav-.

La posizione dell'ant. persiano delle iscrizioni e quella dell'avestico nel quadro dei dialetti iranici non è del tutto definita. Per quanto concerne l'a. pers. si è sicuri che si tratta di un dialetto sud-occidentale dell'Iran poiché i caratteri differenziali di esso si ritrovano per la maggior parte nei dialetti medievali sud-occidentali e nel pers. moderno.

Tuttavia esistono alcuni fatti che inducono a far credere il dialetto delle iscrizioni come una deviazione di quell'antico persiano non documentato, dal quale sono derivati i dialetti sud-occidentali medievali e moderni. Di contro a ϑ da ir. s dell'a. pers. delle iscrizioni il pahlavi dei libri e il pers. mod. presentano s, e, poiché una regressione di tal tipo non è probabile, se ne conclude che questi ultimi fanno capo a un dialetto in cui non si aveva il passaggio da s in ϑ. Inoltre nell'a. pers. delle iscrizioni il pronome dimostrativo è ima- come nell'av. e nell'a. ind. (imá-), mentre il pers. med. e mod. ha ēn, īn da *aina-; l'a. pers. iscr. ha hauv-, ava-, continuato nei dialetti nord-occidentali, mentre i dialetti mer. hanno ān da āna-; per "prendere" l'a. pers. iscr. usa il tema gṛbāya- mentre il m. pers. merid. e il pers. mod. hanno gīr da *gṛbya-; l'a. pers. iscr. ha kaščiy e čiščiy, mentre i dialetti m. pers. merid. hanno kas e tis. In base a tali fatti è stato pensato che l'a. pers. delle iscrizioni non sia il puro antecedente dei dialetti persiani propriamente detti, medievali e moderni, ma sia un dialetto di transizione fra il vero a. pers. antecedente ai detti dialetti e i dialetti nord-occidentali, nell'immagine che se ne ha attraverso il dialetto nord-occidentale dei testi di Turfan (Tedesco, in Le Monde oriental, XV, 1923, p. 249).

In verità, mentre è certo che le caratteristiche fondamentali fanno dell'a. pers. delle iscrizioni un dialetto del sud-ovest della Persia, quello della Perside propriamente detta, è da tener presente che da un lato esso rappresenta la lingua comune dell'età achemenide, ma che d'altra parte si trova alle sue prime manifestazioni di lingua scritta e perciò accanto a non poche incertezze e ondeggiamenti può presentare, specie nel fonetismo, traccia dell'uso di parlari locali. Il carattere di lingua comune si rivela, ad es., in quei fatti che tradiscono un'influenza alloglotta, assai probabilmente meda. Anzitutto la continuazione in alcuni termini di ir. z, a. ind. j come z e non come d: vazarka- "grande", pers. mod. buzurg; zūra- "inganno", pers. mod. zūr; -zana- "stirpe", paruzana-, vispazana-, cfr. ‛Αριζάντιοι nome di una tribù della Media. Inoltre il nesso su̯, che nei dialetti meridionali viene continuato come s, appare spesso continuato come sp, ad es. aspa- "cavallo", pers. mod. asp. di contro ad asabāra- "cavaliere", pers. mod. suvār, (h)uvaspa- "dai bei cavalli", vištāspa- nome pr. "Istaspe" (cfr. il medo σπάκα rispetto a pers. mod. sag). Così pure il nome di Mitra che comincia ad apparire nei testi di Artaserse I è Miϑra- a Persepoli e Susa (Mitra- a Ecbatana) anziché miśa-, come ci aspetteremmo: cfr. hamiśiya- "coniuratus". Difficile è stabilire quanto di questi imprestiti è dovuto alla lingua dei Medi e quanto all'influenza esercitata dalla lingua dei testi sacri dello zoroastrismo, anche perché il limite fra queste due lingue non è nettamente segnato. Non è tuttavia da tacere il fatto che il passaggio di xv in f in -farna- (vindafarna-, 'Ινταϕέρνης) da χvarəna- è con ogni probabilità fatto medo e non è nell'avestico (identico passaggio si ha nel dialetto di Sīvand, v. appresso); e che baga- "dio", che appare pure nello slavo, non appare nelle Gāthā e molto scarsamente appare nell'Avesta recente. Anche dell'appellativo magu- (Μάγος), che è frequente nelle iscrizioni, non v'è nell'Avesta che una trascurabile traccia.

D'altra parte alcuni dei fatti che non sembrano rientrare nel quadro dei dialetti sud-occidentali sono da intendere come particolarità dialettali che non hanno avuto vitalità nello sviluppo ulteriore, così, ad es., il ϑ al posto di s cui sopra si è accennato può essere benissimo una particolarità della parlata di Persepoli. In altri casi, come nell'uso citato di ima- rispetto a pers. mod. ēn, bisogna non trascurare il fatto cronologico: se ima- ricorre ancora in m. pers. merid. e in pers. mod. in alcune formule irrigidite come imrūz "oggi" imsāl "quest'anno", è chiaro che più che d'imprestiti debba trattarsi di sopravvivenze di una forma antica largamente diffusa, la quale nel corso del tempo ha perduto la sua vitalità.

Ancor più complessa e difficile a riconoscere è la posizione dell'avestico nel dominio dialettale iranico. Né aiutano a tutta prima per la sua individuazione le notizie che la tradizione ci fornisce su Zarathustra e sul luogo d'origine dell'Avesta, di carattere palesemente leggendario.

Vi è in seno allo stesso Avesta una non trascurabile differenza fra la lingua delle Gāthā e la lingua dell'Avesta cosiddetto recente; ma si tratta di differenza dovuta più al rapporto cronologico che a diversità dialettale. Il gathico si presenta assai più arcaico: vi ha piena efficacia la legge delle aspirate del Bartholomae (gath. aogə "egli disse", gr. εὔχομαι, ma av. rec. aoχta), il nom. pl. neutro è seguito dal verbo al sing. come in a. ind. e in, greco, la particella proibitiva , a. ind. mā́, gr.μή, è seguita dall'ingiuntivo, come avviene nella lingua vedica, mentre nell'av. rec. è congiunta pure con l'ottativo. Inoltre, nel gath. appaiono alcuni vocaboli strettamente affini a vocaboli dell'a. ind., i quali nell'av. rec. non sono documentati. In sostanza, però, l'avestico forma una lingua unitaria, pur riflettendosi in esso fasi di sviluppo linguistico diverse (v. appresso).

Per quanto concerne la fisionomia dialettale dell'avestico, è certo che molti tratti ne fanno un dialetto nord-occidentale. Le caratteristiche dialettali di esso si ritrovano per l'appunto, in misura notevole, continuate nei dialetti nord-occidentali (m. pers. N.): av. zərəd- "cuore e, a. ind. hṛ???d- è continuato in m. pers. N. da zīrd, e invece in m. pers. S. da dīl; av. puϑra- è continuato da m. pers. N. puhr mentre m. pers. S. ha pus. Anche la distribuzione geografica di alcuni vocaboli collega l'avestico con i dialetti nord-occidentali: vač- "dire", m. pers. N. vačēδ di contro ad a. pers. iscr. gaub-, m. pers. S. gōwēδ. D'altra parte in alcuni fatti l'av. va insieme con i dialetti S. e si contrappone ai dialetti N., ad es. nell'uso del pron. rel. ya- in funzione di quel che sarà nel m. pers. e nel mod. pers. l'iḍāfat, nel tema kərənav- "fare" (m. pers. S: kun-) rispetto a m. pers. N. kar-, ecc.

Non meno complessi sono i rapporti dell'av. con i dialetti iranici orientali. Due tratti molto importanti lo staccano da quei dialetti, e cioè l'iḍāfat, e -ō, -í da *ah *āh: nei dialetti orientali manca l'iḍāfat e ad -ō, í corrispondono -i ed -e. Ma in altri fatti non meno importanti vi è concordanza, ad es., nella desinenza verbale -r l'av. concorda con il sacio e con il yaγnōbī, nel preterito in ē del sogdiano e del yaγnōbī è da vedere la continuazione dell'"ottativo del passato" avestico. Nel singolare trattamento di rt come spirante si è voluto vedere non senza verisimiglianza un tratto comune con l'antico afgano (Junker) e quindi una prova del carattere iranico orientale della lingua avestica.

Data tale complessità di isoglosse, ovvia è l'ipotesi che nella lingua dell'Avesta siano riflessi i varî ambienti linguistici attraverso cui esso è passato, per le stesse vicende della religione mazdaica. Probabile è che la prima origine delle Gāthā, le quali risalgono forse alla stessa predicazione di Zarathustra, e dei più antichi Yašt, sia da porre nell'Iran orientale, e che con il diffondersi della parola del profeta verso Occidente, la lingua di questo primo nucleo sia stata adattata alla fonetica dei dialetti nord-occidentali, non senza però che vi rimanesse traccia della primitiva redazione. Naturalmente, una volta formatasi una tradizione linguistica per la religione mazdaica, anche le creazioni successive trovarono in essa espressione. Questa ipotesi, che allo stato attuale della documentazione dialettologica iranica non può essere adeguatamente illustrata con mezzi linguistici, trae conforto dalla tradizione che pone nell'Iran orientale la predicazione di Zarathustra e dai riferimenti geografici e mitologici che sono contenuti negli Yašt. Nella Media, propriamente, i testi sacri dello zoroastrismo hanno ricevuto la loro forma attuale; così come ivi la dottrina monoteista di Zarathustra trovò quella forma dualista che è il carattere essenziale della religione persiana e insieme tutto l'antichissimo patrimonio di miti, di leggende e di riti che vi si accompagna. Notevole è il fatto che la parte più conservativa del lessico, e cioè la terminologia che si riferisce alla conformazione del terreno, provenga nell'avestico da sustrato non ario e presupponga un ambiente montano: zarštva- "pietra", iškata- "roccia", taēra-, staēra- "vetta", marəγā- "prato", tūtuk- "fango", pawrāna- "dorso di montagna", vaēma- "roccia", fínkav- "vetta di montagna", fraorəpa- "montagna"; termini tutti che ricorrono nell'Avesta recente e non nelle Gāthā. Non è da escludere infine che la forma linguistica dell'Avesta possa avere subito modificazioni nelle successive redazioni arsacidica e sassanidica attraverso cui il testo attuale è passato.

L'avestico e l'antico persiano delle iscrizioni non appartengono alla stessa fase di sviluppo, poiché mentre il primo conserva nel complesso un carattere eminentemente arcaico (dovuto al suo carattere di lingua religiosa), che lo mette, per il gathico almeno, sullo stesso piano del vedico, il secondo appare già impegnato in quel profondo mutamento che darà la fisionomia alla fase medievale.

La distanza maggiore è naturalmente fra il gath. e l'a. pers. iscr.; in questo, difatti, oltre alle innovazioni che appaiono nell'av. rec. (perdita di efficacia della legge delle aspirate, estensione all'acc. pl. della desinenza del nom. pl. nei pronomi dimostrativi, la scomparsa dell'antico gen. in -ṛš nei temi in -r attestato nel gath.), altre ve ne sono che in quello non appaiono e che costituiscono manifesti inizî della fase medievale. Nel fonetismo sono compiute già le innovazioni più importanti che saranno la caratteristica differenziale del dominio iranico sud-occidentale, e della tendenza alla perdita della fine postonica di parola c'è traccia nella caduta delle consonanti finali -t, -h (da -s), n. Con questa tendenza va l'indebolimento che già si delinea delle categorie di flessione. Nella flessione nominale è andato perduto il dat. e le sue funzioni sono state assunte dal gen., nei temi in -ā il gen.-dat.-abl. ehe è forma unica si è venuto a confondere pure col loc.; nei temi in -o lo strum. si è confuso con l'abl.; l'abl. è sempre retto da hačā "da" o da yātā "sino a", il loc., fatta eccezione dei nomi proprî, è sempre accompagnato dalla posposizione ā; del duale non rimangono che deboli tracce. Analogamente nel verbo si manifesta una tendenza molto spiccata a una riduzione dal sistema indo-iranico; l'aoristo è già poco vitale e dell'antico sistema del perfetto non rimangono che āha "era" (il cui paradigma è risultato di una mescolanza con l'imperfetto) e l'ott. čaχrivā "può fare"; la nozione del passato viene ormai espressa mediante l'aggettivo verbale, generalmente senza uso di copula, avviando quella formazione di participio-preterito che si affermerà nella fase medievale; nella formazione tematica c'è già la prevalenza del tipo -aya che si affermerà come unico nel dominio occidentale; il preverbo non è più autonomo come in ved. e in av., ma fa corpo unico col verbo; le formazioni infinitive così numerose in av., dove il carattere nominale ne è ancora molto vivo, sono ridotte all'unico suffisso -tanay av. -ϑnai, m. pers. -tan e -išn.

I dialetti medievali. - Oltre che dagl'indizî che se ne hanno dall'a. pers. iscr., il precoce decadere dell'iranico verso il tipo analitico si palesa negli elementi che dall'iranico sono penetrati in altre lingue già qualche secolo prima dell'era volgare. A parte i nomi proprî iranici che appaiono nelle iscrizioni del Ponto, i quali già presentano gli stessi caratteri dialettali dell'osseto, sia i numerosi elementi iranici che appaiono nei testi aramaici del Vecchio Testamento e nei papiri di Elefantina, sia i numerosi imprestiti iranici dell'armeno (per la maggior parte del periodo arsacidico) presentano già la stessa fase di sviluppo che è attestata largamente per i dialetti medio-iranici occidentali (m. pers. O.), ancora più avanzata che quella dei dialetti medio-iranici orientali (m. pers. E.).

Fonti delle nostre conoscenze per la fase medievale dell'iranico sono, per il dominio occidentale, le iscrizioni su monumenti, gemme, monete dell'età arsacidica e sassanidica (m. pers. iscr.), i testi di carattere religioso e profano della tradizione culturale zoroastriana (m. pers. l., cioè medio-persiano dei libri) e i testi manichei ritrovati di recente a Turfan nel Turkestan cinese (m. pers. T.); per il dominio orientale quasi uniche fonti sono alcuni testi di soggetto cristiano manicheo e buddhistico in sogdiano (sogd.), ritrovati pure nel Turkestan, e altri testi di soggetto buddhistico in scrittura brahmī, ritrovati pure di recente, redatti in un linguaggio riconosciuto oggi per il dialetto dei Saci (sac.).

Nonostante il carattere molto più conservativo del dominio orientale, il medio iranico presenta una tendenza di sviluppo comune in tutto il dominio. C'è stato anzitutto un rafforzamento dell'intensità dell'accento, congiunto assai probabilmente con un acceleramento del tempo del discorso, a seguito del quale si è avuto l'indebolimento o la scomparsa degli elementi postonici; questi effetti sono tuttavia condizionati nei dialetti orientali (sogdiano) dalla quantità. Agli stessi fattori sono da riportare: la monottongazione dei dittonghi; la vocalizzazione di y, v intervocalici con scomparsa della seconda vocale, aya in ai, ē, ava in au, ō, numerosi fatti di epentesi e di metafonesi di -i, modificazioni di suoni condizionate da suoni contigui, come la continuazione di r preceduta da suoni labiali mediante ur, lo scempiamento di gruppi consonantici, particolarmente ϑr, ϑw, rt, rz, sr. Con l'indebolimento degli elementi finali di parola va congiunta la riduzione degli elementi morfologici esprimenti il rapporto. Così nel nome il sincretismo dei casi già annunziatosi nell'a. pers., mentre non progredisce nei dialetti orientali, nei dialetti occidentali conduce a due soli casi e quindi a un unico caso. In relazione a ciò acquistano valore per l'espressione del rapporto le preposizioni. La distinzione del genere perdura soltanto nell'iranico orientale. Diminuita particolarmente nel dominio occidentale è la capacità a creare nuovi composti e in compenso molti elementi di composti antichi assumono la funzione e la mobilità di suffissi. Nel verbo la tendenza analogica fa prevalere un unico tipo di flessione -a- o -aya- e il prevalere della nozione temporale conduce alla formazione di un tema di preterito, derivato dal part. perf. passivo. Nella sintassi c'è da osservare un'elementare semplicità nella struttura della frase e una forte tendenza all'eliminazione delle proposizioni dipendenti. Rimane tuttavia una notevole diversità nel perseguimento di queste comuni tendenze di sviluppo: nel dominio occidentale, culturalmente più progredito e assai più esposto ai contatti, esse appaiono spinte all'estremo, mentre in quello orientale, più appartato, si sono arrestate lasciando a quei dialetti un'impronta di arcaicità che si è conservata anche nella fase moderna.

I dialetti medioiranici occidentali hanno alcune importantissime caratteristiche in comune, e cioè: la riduzione della flessione nominale a due casi, il nom. e il caso obliquo: del caso obliquo del sing. in -e è rimasta traccia, particolarmente nel m. pers. iscr., mentre del nom. pl. senza desinenza si hanno maggiori tracce nel m. pers. l. Alla fine l'obl. sing. e il nom. pl. scompaiono e la flessione si riduce normalmente nel m. iran. occidentale a un unico caso che al singolare è quello del nom. ed è invece il caso obl. al plurale. Per quanto concerne la flessione del presente, essa è nell'indicativo esclusivamente quella del tipo -aya-; nel cong. invece si estende la flessione del tipo -a; nell'imper. prevale nella 2ª pers. la flessione in -a, ma non mancano tracce della flessione -aya-. L'ott. invece, dato che la sua vocale caratteristica ē era venuta a confondersi con quella dell'ind. in m. iran. occ., è scomparso lasciando scarsissime tracce. Nei dialetti occidentali per l'espressione del passato si afferma l'uso del participio in -t generalmente senza la copula, e, trattandosi di verbo transitivo, accompagnato dall'agente in generale senza preposizione.

Il m. iran. occidentale non costituisce un dominio unitario, ma si distingue in due zone dialettali, una settentrionale e l'altra meridionale, tra loro fortemente differenziate. Al gruppo settentrionale appartengono la versione pahlavīk delle iscrizioni dell'età sassanidica, molta parte dei testi di Turfan e, per quanto non puro, il dialetto di un testo in caratteri pahlavici tramandato col titolo Draχt -i asūrīk ("L'albero di Assiria"). Al gruppo meridionale appartengono la versione parsīk delle iscrizioni sassanidiche, una parte dei testi di Turfan e, salvo il testo sopraindicato, tutta quanta la letteratura di contenuto sacro che si riattacca all'Avesta e allo zoroastrismo, nonché qualche testo profano; la lingua di questi testi è chiamata pahlavī (mentre per la sua appartenenza dialettale più propriamente dovrebbe chiamarsi parsī), per il significato generico di "antico" assunto in pers. mod. dall'imprestito settentrionale pahlavī. I caratteri differenziali fra i dialetti settentrionali e quelli meridionali sono abbastanza numerosi; basterà indicare qui i più significativi. Anzitutto alcuni di essi sono gli stessi di quelli che differenziano l'av. dall'a. pers. iscr., e poiché alcune delle più tipiche caratteristiche dell'av. riappaiono nei dialetti nord-occidentali, mentre le caratteristiche dell'a. pers. iscr. sono continuate nei dialetti sud-occidentali, viene a porsi in chiaro un' evidente continuità di sviluppo dialettale dei due gruppi, che partendo dalla più antica documentazione si mantiene distinta nella documentazione medievale e dura come vedremo anche nella fase moderna. Oltre a d nei dialetti meridionali di contro a z dei settentrionali (av. z), e a du̯ continuato con d nei dialetti meridionali di contro a b dei settentrionali, si ha a. iran. ϑr continuato con hr nei dialetti settentrionali, mentre nei meridionali si ha s, e a. iran. s conservato nei dialetti settentrionali diventa h nei meridionali. Altre differenze, per quanto non abbiano rispondenza precisa in differenze dell'av. e dell'a. pers. iscr., hanno tuttavia nella fase antica il loro punto di partenza; così ad es. per "prendere" si ha N. girv-, av. rec. gəurvaya-, a. pers. pure gṛbāya-, nentre S. è gīr-; per "dire" si ha N. gōw- e pers. iscr. gaub-, e S. vāč-, av. vak-, ecc. Altre appaiono nella transizione dalla fase antica a quella medievale, così rd è continuato da N. rd o l, S. sempre l e lo stesso rz, ϑf in N. ma dà h in S., ecc.

L'influenza esercitata dal settentrione nell'età arsacidica fece sì che molti elementi settentrionali, particolarmente della terminologia amministrativa, religiosa e militare penetrassero anche nei dialetti meridionali; questi alla loro volta, nell'età sassanidica, ebbero influenza sia pure in misura più limitata sul lessico delle province settentrionali e centrali.

La documentazione dei dialetti medio-iranici orientali è alquanto ristretta limitandosi ai testi in sogdiano e in sacio di recente pubblicati. Ma per quanto scarsa ne sia la documentazione, con l'aiuto dei moderni dialetti iranici orientali il loro posto nella dialettologia iranica, anche qui come per i dialetti occidentali, soprattutto per merito di P. Tedesco, è fissato con sufficiente chiarezza.

Caratteristica comune del sogdiano e del sacio è la maggiore arcaicità della morfologia in confronto con quella dei dialetti occidentali. Ciò è dovuto al fatto che l'azione dell'accento sulla fine della parola non è stata così vigorosa come nei dialetti occidentali. Ad essa tuttavia sono da attribuire le modificazioni fonetiche di fine di parola che appaiono nei due dialetti (come -i da -ah, e da -āh, -u da -am), il cui riconoscimento ha consentito la fissazione dei paradigmi della flessione nominale sacia e sogdiana. Ambedue i dialetti hanno conservato la distinzione del genere. Nella declinazione dei temi in -a il sistema dei casi è sullo stesso piano di quello dell'a. pers. iscr. e, cioè, nom., acc., gen. -dat., voc., abl. -strum.: nom. i da -ah; gen.-dat. sogd. -ē, -i, sac. -i??? da *-ahya; acc. -u da -am; voc. -a da -*a; nell'abl. -strum. il sogdiano e il sacio hanno preso vie diverse, giacché il primo ha la desin. -a, (da -*ā), mentre il secondo ha la des. -i???na come l'indiano e i dialetti del Pamir; nel loc. il sacio ha una desin. -a (da -*ayá), mentre il sogdiano presenta una non chiara des. -yh; nel nom. pl. il sacio ha -a da -*ā, pure in funzione d'acc., il sogdiano, pur conservando traccia di quest'antica desinenza, ha innovato, creando varî tipi di collettivi femminili astratti, il gen.-dat. plur. è sacio -anu, sogd. -ān da *-ānām; per l'abl.-strum. pl. il sac. -yau corrisponde all'a. pers. iscr. -aibiš; il loc. è -uv'-o da un -aisu-ām; il sogdiano non ha forme proprie per questi due ultimi casi e la des. -ān serve di caso obliquo. Tanto il sac. quanto il sogd. hanno conservato il neutro con la des. -u da -am e il femm. con le des. nom. sac. -ā, sogd. -h da *-ā, gen.-dat. abl.-strum. sac. -(y)e sogd. -yh da *-ahyāh, acc. sac. -o sogd. -wh da -ām. Altre concordanze si osservano nella flessione verbale del sacio e del sogdiano: nell'uno e nell'altro prevale la flessione in -a-, di contro ai dialetti occidentali che hanno la flessione in -aya-. Notevole innovazione comune al sogd. e al sacio è l'uso di temi del tipo incoativo per esprimere la nozione intransitiva o passiva. Concordanze si osservano inoltre nel lessico, ad es. sac. śśir "buono", sogd. šyr; sac. kantha (femm.) "città", sogd. kandh (femm.) "città"; sac. vasut "puro", sogd. 'wswγt- (osuγd) "puro".

Esistono tuttavia notevoli differenze nella struttura dei due dialetti medio-iranici orientali. Da segnalare è il trattamento di ϑ, che viene continuato in sacio con tv all'inizio di parola (tvada, av. ϑwâz-) o per dissimilazione di come th (thu) mentre in posizione interna viene continuato da h, analogamente a quello che si osserva nei dialetti iranici sud-occidentali; il sogdiano invece e il yaγnōbi sviluppano come spirante (sogd.-yaγnōbi čatfār tifār, di contro a sacio tčahauri). Lasciando da parte altre differenze, basterà ricordare la legge ritmica dominante in sogdiano secondo cui la finale di parola vocalica rimane dopo breve e cade dopo lunga. Questa legge, scoperta da P. Tedesco, domina la morfologia del sogdiano e le imprime un carattere proprio anche in confronto del sacio che è il dialetto di struttura più alfine; v. saci; sogdiana.

I dialetti moderni. - I dialetti iranici moderni continuano in maniera abbastanza fedele la distribuzione delineatasi già sin dall'epoca della più antica documentazione, poiché, nonostante che il dialetto della Perside sia stato assunto in tre età successive a lingua di cultura, l'a. pers. delle iscrizioni, il cosiddetto pahlavīe il persiano moderno, è mancata la formazione di una koinē̆ che livellasse tutte le varietà regionali. Queste, difatti, conservano intatte, e forse accresciute a motivo del logorio fonetico intervenuto un po' dappertutto, le particolari fisionomie stabilite nell'età medievale; da questa la fase moderna si stacca per fatti di comune sviluppo e non per un rivolgimento nella struttura della lingua simile a quello che separa gl'idiomi antichi da quelli medievali.

Come tendenza di sviluppo comune a tutto il dominio si può considerare la tendenza più o meno netta a ricostituire qualcuna delle categorie grammaticali andate perdute. Ad es. nel nome si nota l'assunzione di antiche posposizioni a vere e proprie desinenze di casi: -, m. pers. rād, a. pers. iscr. rādiy "a motivo di", diventa in pers. mod. e in molti dialetti successo di acc.-dat.; in alcuni dialetti del gruppo orientale si ha nel dat. la posposizione -ir(d), -ar da -*arda, "lato". In pers. mod. e in molti altri dialetti si ha la ricostituzione della flessione del preterito sul tema participiale mediante la fusione dell'ausiliare con il participio e il conseguente ritorno alla costruzione attiva. Ad esprimere altre funzioni temporali e modali si ricorre a costruzioni perifrastiche. Di tali fatti, però, il punto di partenza si trova nella fase medievale e la fisionomia dei varî gruppi è sostanzialmente immutata.

Due grandi gruppi oggi continuano la distinzione fra dialetti iranici orientali e dialetti occidentali chiaritasi nella fase di mezzo. Da un lato i dialetti della Persia moderna, comprese le diramazioni occidentali fuori dal suo territorio attuale, e il balūčī, dialetto di origine nord-occidentale, dall'altro i dialetti orientali e cioè l'afghano, i dialetti del Pamir, il yaynōbi e infine l'osseto nel Caucaso residuo degli amichi idiomi scitici.

La differenza fra questi due gruppi è costituita, come già nella fase precedente, dal carattere maggiormente mnservativo della morfologia nel gruppo orientale. Difatti nei dialetti più orientali, al confine con l'India (šiγnī, sarīqulī, waχī, minjānī, yidγā) si hanno sia al sing. sia al pl. due casi obliqui; l'afg. ha al sing. e al plur. il caso obl.; l'osseto conserva un sistema molto complesso di casi che riflette vicende non ancora chiarite; šiγnī, afg. e yidγā mantengono distinto il genere. Il yaγnōbi continua più direttamente il sogdiano. Nella flessione verbale i dialetti orientali hanno perduto il tipo in -aya- a favore del tipo in -a come già il sogdiano e il sacio. Notevole è soprattutto in yaγn. la des. di 3 pl. -ar (di contro a sogd. -ant), la quale presenta questo dialetto, che è il più settentrionale dei dialetti orientali, come il ponte fra il gruppo iranico e il tocario, alla stessa maniera come il sacio e il pamirico si rivelano mediante la des. di abl.- strum. -i???na il punto di collegamento fra l'iranico e l'indiano.

I dialetti occidentali comprendono un'area ben più vasta, e presentano fra di loro una ben più complessa differenziazione. La distinzione in settentrionali e in meridionali che vale per la documentazione medievale qui si può usare nel senso di contrapporre a dialetti meridionali del Fārs, cioè ai dialetti che sono alla base del persiano propriamente detto, gli altri dialetti, e cioè il curdo, il gruppo dei dialetti centrali (tǎlišī, zāzā, avromānī, gurāni, gerrusī, samnānī, kāšānī, gabrī, iṣfāhānī, nāyinī, ecc.) il gruppo dei dialetti caspici (gīlānī, māzandarānī, ecc.) e il balūčī, che porta in sé la conferma dell'origine nord-occidentale delle genti iraniche insediatesi nel Belūcistān. Ma la contrapposizione fra dialetti dei Fārs e gli altri dialetti non è nettamente segnata in quanto diverse serie d'isoglosse aggruppano variamente i dominî linguistici fra di loro e nei confronti dei dialetti del Fārs.

Il persiano moderno come lingua comune (v. persia: Lingua) ha alla base i dialetti moderni del Fārs, alla stessa maniera che il parsīk delle iscrizioni e il pahlavī dei libri hanno alla base i dialetti medievali di questa regione, come si manifestano nei testi religiosi ritrovati a Turfan.

Bibl.: Dello studio della dialettologia iranica si è reso assai benemerito P. Tedesco, particolarmente con i seguenti lavori: Dialektol. der westiranischen Turfantexte, in Le monde oriental, XV (1923), p. 184 segg.; a-Stämme und aya-Stämme im Iranischen, in Zeitschr. für Indologie und Iranistik, II (1923), p. 281 segg.; Ostiran. Nominalflexion, ib., IV (1925), p. 94 segg. - Sullo stato attuale degli studi dà notizia H. Reichelt, in Stand und Aufgaben der Sprachwissenschaft, Heidelberg 1924, p. 273 segg., e in Geschichte der indogerm. Sprachwiss., II, ii, 2, Berlino e Lipsia 1927, pp. 1-84.

Della fase iranica comune ha dato un'esposizione magistrale Chr. Bartholomae (Vorgesch. der iranischen Sprachen), in Grundriss der iranischen Philologie, I, 1, Strasburgo 1900, p. 1 segg.; notevole anche la trattazione dell'avestico fatta dallo stesso autore nello stesso Grundriss, p. 152 segg., mentre la trattazione dell'a. pers. iscr. non risponde al progresso degli studi, fondata com'è sui testi solo noti a quel tempo. Completo per l'avestico e utilissimo per la sapiente disposizione ed elaborazione della materia è l'Altiranisches Wörterbuch dello stesso Bartholomae (Strasburgo 1904). Per la bibl. dell'avestico, v. avesta. Per la trattazione grammaticale dell'a. pers. iscr. è fondamentale A. Meillet, Grammaire du Vieux Perse, seconda edizione a cura di E. Benveniste, Parigi 1931, nella quale si tiene conto anche delle iscrizioni trovate di recente.

Per la fase medievale, sono da tenere presenti, oltre i citati lavori del Tedesco, le opere seguenti: E. Herzfeld, Paikuli, Monument and Inctription of the early history of the Sasanian Empire, Berlino 1924, che, oltre a quasi tutti i testi epigrafici dell'età arsacidica e sassanidica, fornisce utili informazioni di ordine lessicale; C. Salemann, Mittelpersisch, in Grundriss der iranischen Philologie, cit., p. 249 segg.; R. Gauthiot, Essai de grammaire sogdienne, I: Phonetique, Parigi 1914-1923, completato da E. Benveniste, Essai de gramm. sogd., II: Morphologie, Syntaxe et Glossaire, Parigi 1929; H. Reichelt, Das "Nordarische", in Indogerm. Jahrbuch, I (1913), p. 20 segg. V. anche: persia; saci; sogdiana.

Dei dialetti moderni ha dato un'esposizione per i suoi tempi mirabile W. Geiger, in Grundriss der iranischen Philologie, cit., I, ii, p. 201 segg. - Le pubblicazioni posteriori sui singoli dialetti sono elencate da H. Reichelt, in Gesch. der indogerm. Sprachwissenschaft, cit., p. 20 segg. Una vasta trattazione storica del persiano moderno si ha in Horn, Neupers. Schriftsprache, in Grundriss der. iran. Phil., cit., I, 21, p. 1 segg. Sempre utili sono i Persische Studien di H. Hübschmann (Strasburgo 1895).