INVESTIMENTO

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1992)

INVESTIMENTO

Pier Luigi Belvisi

(App. III, I, p. 889)

Per i. propriamente deve intendersi l'acquisto da parte delle imprese di beni capitali reali come impianti, macchinari e fabbricati. In tal modo le imprese rinnovano e ampliano la loro capacità produttiva, dando luogo a un processo di accumulazione che accresce lo stock di capitale esistente nell'economia. Questo processo induce un aumento della produttività del sistema economico: i nuovi macchinari e impianti incorporano normalmente le innovazioni tecnologiche di più recente acquisizione e accrescono la quantità di capitale a disposizione di ciascun addetto. Per questo motivo agli i. viene attribuito un ruolo centrale nei fenomeni di crescita e di sviluppo economico.

Dal punto di vista macroeconomico, gli i. costituiscono una componente essenziale della domanda aggregata di beni insieme ai consumi, alla spesa pubblica e alle esportazioni. Tra queste componenti, gli i. si caratterizzano per la maggiore variabilità e instabilità contribuendo, spesso in maniera rilevante, alle fluttuazioni economiche. Tale variabilità va imputata alla natura particolare delle decisioni d'i. che, a differenza dei consumi, sono evitabili o, comunque, rinviabili qualora le aspettative sull'andamento economico non siano favorevoli. Gli i. hanno stretta relazione con il risparmio che si forma all'interno dell'economia. La teoria neoclassica pre-keynesiana considera l'i. produttivo come impiego del risparmio: l'ottica è quella della scelta intertemporale tra consumo presente e futuro, per cui un minor consumo corrente permette, attraverso l'accumulazione del capitale, un livello di benessere più elevato in futuro. J.M. Keynes ribalta questa visione: se nell'economia vi sono risorse produttive inutilizzate (cioè se il reddito non è al livello di pieno impiego) un atto d'i. attiva la formazione di reddito addizionale generando così il risparmio necessario a finanziarlo. Mentre per i neoclassici il risparmio e l'i. (cioè l'offerta e la domanda di capitale) trovano un equilibrio mediante il tasso d'interesse, per i keynesiani l'i. stimola la formazione del risparmio attraverso il reddito e la propensione al risparmio delle famiglie.

Le decisioni d'i. delle imprese dipendono da molteplici variabili che riguardano l'andamento corrente e soprattutto quello futuro dell'economia. Un modo per tener conto delle aspettative relative ai ricavi, ai costi e quindi al rendimento atteso dell'i. è quello di confrontare il costo di acquisto del bene d'i. con il valore attuale dei ricavi netti futuri attesi. L'uso di tale metodo permette di determinare il tasso di rendimento interno di ciascun progetto d'i. (noto, nell'impostazione keynesiana, anche come efficienza marginale del capitale). L'imprenditore effettua quegli i. che hanno un tasso di rendimento interno superiore al tasso d'interesse corrente, che può essere interpretato come il costo di finanziamento o come il rendimento di impieghi alternativi, per es. di tipo finanziario. In questo processo di decisione degli i. è rilevante il modo in cui si formano le aspettative. A questo proposito, sono stati elaborati diversi modelli teorici alternativi: da quello in cui prevale il comportamento razionale e ottimizzante dell'operatore economico a quello secondo cui gli imprenditori prendono le loro decisioni sulla base degli animal spirits, cioè dei loro impulsi inconsci e delle loro intuizioni.

Gli i. possono essere descritti come l'adeguamento dello stock di capitale esistente allo stock di capitale desiderato. Quest'ultimo dipende, secondo l'impostazione neoclassica, dal costo dei servizi del capitale e dal prodotto marginale del capitale. Dati il prezzo di acquisto del capitale, il livello di produzione e il costo del lavoro, l'impresa desidera aumentare il proprio stock di capitale fino al punto in cui il costo dei servizi di un'unità aggiuntiva di capitale è pari all'aumento di prodotto da essa generato. Il costo dei servizi del capitale dipende dal tasso d'interesse, come costo del finanziamento per acquistare il capitale o comunque come costo opportunità, e dal tasso di ammortamento, perché il capitale si consuma durante l'uso riducendo progressivamente il suo valore. Attraverso questa analisi, l'impresa determina lo stock di capitale desiderato. È chiaro che una variazione del livello di produzione atteso o del salario reale (che dà luogo a un cambiamento dei prezzi relativi tra i fattori produttivi) provoca un mutamento dello stock di capitale desiderato. L'impresa adegua la quantità di capitale a sua disposizione fino al livello desiderato attuando un programma di investimenti. Normalmente, l'adeguamento non è immediato perché gli i. presentano rilevanti costi di aggiustamento sia interni all'impresa (per es. capacità manageriali e amministrative limitate) che esterni.

Nell'ambito dell'impostazione keynesiana, la dinamica dell'i. è stata analizzata mediante la teoria dell'acceleratore, secondo la quale gli imprenditori mantengono costante il rapporto esistente tra prodotto e capitale reale. Qualora un'espansione della domanda aggregata e della produzione determini un aumento dello stock di capitale ritenuto necessario dagli imprenditori, si verifica un flusso di i. che riconduce il rapporto prodotto/capitale al livello desiderato. Questa versione elementare della teoria è stata modificata, dando vita al modello di aggiustamento dello stock di capitale, per tener conto del deprezzamento dei beni produttivi e del fatto che le divergenze tra la quantità di capitale desiderata e quella effettiva non vengono colmate automaticamente, ma con un certo ritardo. La teoria dell'acceleratore è stata utilizzata per illustrare l'influenza degli i. sulle fluttuazioni economiche.

Un aspetto rilevante delle decisioni d'i. è costituito dalle opportunità di finanziamento a disposizione delle imprese. I canali principali sono: a) il ricorso all'autofinanziamento, mediante i profitti non distribuiti; b) l'indebitamento presso il sistema bancario o con l'emissione di obbligazioni; c) l'emissione di azioni. La scelta tra i vari strumenti è basata sul loro costo e sugli effetti che hanno sull'impresa da vari punti di vista (controllo della proprietà, valutazione del mercato azionario, trattamento fiscale, ecc.). Di particolare rilievo, il rapporto q proposto da J. Tobin, che mette in relazione il valore di mercato dell'impresa e il costo di rimpiazzo del suo capitale fisico. Questo rapporto sottolinea l'influenza delle quotazioni di borsa delle azioni sull'andamento dell'economia. Quando il rapporto ''valore di mercato dell'impresa/prezzo del capitale fisico'' è elevato, risulta conveniente investire. Se il rapporto è basso, è preferibile non investire, o ampliare la base produttiva della singola impresa mediante l'acquisizione o la fusione con altre imprese.

Gli i. hanno una notevole rilevanza dal punto di vista del policy maker. Spesso, essi costituiscono un obiettivo intermedio della politica economica ai fini della piena occupazione, dello sviluppo, del progresso tecnologico e quindi della competitività internazionale. La politica fiscale influenza gli i. tramite variazioni della domanda aggregata, e mediante modifiche del trattamento fiscale delle imprese che può assumere anche la forma di incentivi settoriali o regionali. Una politica fiscale espansiva stimola la domanda aggregata e la produzione, ma provoca anche un innalzamento dei tassi d'interesse che scoraggia gli i. (il cosiddetto effetto di spiazzamento). La politica monetaria influenza gli i. mediante variazioni dei tassi d'interesse e della quantità di credito disponibile. Più in generale, ogni provvedimento di politica economica (macroeconomica, strutturale, dal lato dell'offerta, ecc.) che contribuisca a creare condizioni di stabilità e di ottimismo per il futuro ha un'influenza positiva sugli i. attraverso le aspettative degli operatori economici.

Bibl.: H.B. Chenery, Overcapacity and the acceleration principle, in Econometrica, gennaio 1952; F. Modigliani, M.H. Miller, The cost of capital, corporation finance and the theory of investment, in American Economic Review, 48 (1958); D.W. Jorgenson, Capital theory and investment behavior, ibid., 53 (1963); Id., The theory of investment behavior, in Determinants of investment behavior, a cura di R. Ferber, New York 1967; R.E. Lucas, Adjustment costs and the theory of supply, in Journal of Political Economy, 75 (1967); J. Tobin, A general equilibrium approach to monetary theory, in Journal of Money, Credit and Banking, febbraio 1969; J. Hirshleifer, Investment, interest and capital, Englewood Cliffs (N.J.) 1970; D.W. Jorgenson, Econometric studies of investment behavior: A survey, in Journal of Economic Literature, 9 (1971), rist. in Modern macroeconomics, a cura di P.G. Korliras e R. Thorn, New York 1979; Aggregate investment, a cura di J.F. Helliwell, Londra 1976; R. Eisner, Factors in business investment, Cambridge (Mass.) 1978; S.J. Nickell, The investment decision of firms, Cambridge 1978; P.K. Clark, Investment in the 1970s: theory, performance and prediction, in Brookings Papers on Economic Activity, 1 (1979); Le decisioni di investimento delle imprese. Aspetti teorici ed empirici, a cura di F. Marzano, Padova 1990; R.S. Pindyck, Irreversibility, uncertainty and investment, in Journal of Economic Literature, 26 (1991).

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