Interruzione del processo [dir. proc. civ.]

Diritto on line (2013)

Achille Saletti
Chiara Spaccapelo

Abstract

Individuata la funzione dell’interruzione del processo, ne viene dapprima esaminato l’ambito di applicazione, a seguire i fatti che la determinano. L’analisi prosegue con l’esame dei differenti momenti in cui producono effetti gli eventi interruttivi e delle loro conseguenze sul processo. Infine, individuati i legittimati alla riattivazione del processo, si analizza il venir meno, ad opera degli istituti della riassunzione e della prosecuzione, dell’interruzione.

Nozione

Il codice di procedura civile disciplina, nella sezione intitolata Dell’interruzione del processo, una serie di fatti (morte o perdita di capacità della parte o del suo legale rappresentante; morte, sospensione o radiazione del procuratore legale) che hanno come comune caratteristica quella di menomare la possibilità della parte di difendersi adeguatamente in giudizio. Il verificarsi di questi fatti produce uno stato di quiescenza processuale, caratterizzato dall’impossibilità di compiere ulteriori atti del processo e dall’interruzione dei termini in corso (artt. 298 e 304 c.p.c.).

L’interruzione è quindi espressione del principio del contraddittorio e sua funzione è quella di tutelarne l’effettività, impedendo l’ulteriore svolgimento del processo, quando essa sia venuta meno.

Se vi è un rapporto essenziale tra il principio del contraddittorio e l’interruzione, non pare, invece, possa cogliersi un legame altrettanto stretto tra il nostro istituto e il principio dell’impulso di parte, giacché l’attività difensiva – che l’interruzione mira a tutelare – può essere necessaria anche in un processo dominato dall’impulso d’ufficio.

Ambito di applicazione

L’interruzione incontra dei limiti di applicazione ben precisi in relazione alla fase processuale in cui intervengono i fatti interruttivi.

In primo luogo non può parlarsi di interruzione se i fatti previsti dall’art. 299 c.p.c. si verificano prima che il processo sia stato instaurato (Cass., 26.9.1996, n. 8498, in Giust. civ. Mass., 1996, 1323): ciò perché l’interruzione opera sul processo e ha in esso il suo oggetto, sicché, mancando un processo, non trovano applicazione neppure le norme sull’interruzione.

Accanto a questo limite iniziale ne sussiste uno finale, giacché l’art. 300, ult. co., c.p.c. stabilisce che gli eventi interruttivi previsti dall’art. 299 c.p.c. avveratisi o notificati dopo la chiusura della discussione davanti al collegio, non producono effetto se non nel caso di riapertura dell’istruzione (Cass., 18.1.2006, n. 825, in Giust. civ. Mass., 2006, 100 ss.; in proposito, di recente, la giurisprudenza ha precisato che l’ordinanza con cui il giudice, dopo aver assunto la causa in decisione, rimette la causa sul ruolo per consentire alle parti il deposito in cancelleria dei rispettivi fascicoli, con successiva nuova precisazione delle conclusioni, costituisce riapertura dell’istruzione, agli effetti dell’art. 300, co. 5, c.p.c., e perciò consente al procuratore della parte di rendere la dichiarazione di alcuno degli eventi interruttivi, previsti dall’art. 299 c.p.c., avveratosi dopo il passaggio in decisione: Cass., 24.2.2012, n. 2895, in Giust. civ. Mass., 2012, 221). La norma trova giustificazione nel fatto che non essendo né richiesta né prevista alcuna attività delle parti dopo la chiusura della discussione, l’effettività del contraddittorio non potrebbe in alcun modo esser vulnerata dall’ulteriore corso del processo.

La stessa conclusione deve accogliersi per gli eventi interruttivi relativi al difensore (indicato nel codice con il termine procuratore legale, termine che si utilizzerà nel proseguo): sebbene il c.p.c. nulla disponga in proposito, l’identità di situazione, non essendo prevista dopo la chiusura della discussione e prima della sentenza alcuna attività del procuratore, giustifica l’estensione della soluzione espressamente formulata dall’art. 300, ult. co., anche a questa ipotesi (Cass., 2510.1986, n. 6265, in Giust. civ. Mass., 1986, 1769); e la conclusione è rafforzata anche dal disposto dell’art. 286, ult. co., c.p.c.

Un ulteriore limite all’operatività del nostro istituto si ha quando l’evento interruttivo incide su un processo sospeso o cancellato dal ruolo. Per quanto tali ipotesi vengano comunemente ricomprese tra quelle di interruzione del processo in senso proprio, non si può trascurare che in esse mancano le condizioni perché possano esplicarsi gli effetti tipici dell’interruzione previsti dagli artt. 298 e 304 c.p.c.: tali effetti presuppongono, infatti, un processo in corso di svolgimento, che nella specie manca, mentre mirano a provocare uno stato di quiescenza, che già sussiste. Ciò non comporta, però, che debba ritenersi l’assoluta irrilevanza degli eventi interruttivi: trova qui applicazione analogica l’art. 328 c.p.c., che disciplina l’operatività degli stessi quando oggetto dell’interruzione siano dei termini e non il processo. Questa è appunto la situazione che si verifica nei casi considerati, ove non è in corso il processo (che è quiescente), ma solo il termine per la riassunzione, che quindi viene ad essere l’oggetto dell’eventuale interruzione. Ne consegue che nella fattispecie in questione gli eventi interruttivi esplicano gli effetti previsti dall’art. 328 c.p.c., sicché appare più corretto inquadrare queste ipotesi tra quelle di interruzione dei termini, anziché di interruzione del processo.

Per consolidato orientamento interpretativo l’interruzione non opera nel giudizio in cassazione, in quanto determinato dall’impulso d’ufficio (Fazzalari, E., Il giudizio di cassazione, Milano, 1960, 123; Cass., 31.10.2011, n. 22624, in Giust. civ. Mass., 2011, 1547; Cass., 23.1.2006, n. 1257, in Giust. civ. Mass., 2006, 157); tuttavia se in passato la giurisprudenza era giunta a conclusioni estreme al punto da non consentire agli eredi della parte deceduta durante il corso del procedimento di cassazione di parteciparvi (Cass., S.U., 22.4.2013, n. 9692, in DeJure; Cass, 9.7.1992, n. 8377, in Giust. civ. Mass., 1992, 1142), più di recente la Suprema Corte ammette, nel caso di morte della parte durante il giudizio di legittimità, avvenuta dopo la sua costituzione in giudizio mediante deposito del ricorso o del controricorso, l’intervento in giudizio del successore universale (Cass., 31.3.2011, n. 7441, in Giust. civ. Mass., 2011, 505, la quale specifica che l’atto di intervento del successore, nel quale può essere rilasciata la procura a difensore iscritto nell’albo speciale, deve essere notificato alla controparte, in vista dell’assicurazione del contraddittorio).

Però, anche nel giudizio di legittimità, sussistono numerose attività che si perfezionano solo ad impulso di parte, sicché l’attività difensiva non si esaurisce con la proposizione del ricorso o del controricorso; essa, al contrario, conosce dei momenti fondamentali nella produzione di nuovi documenti riguardanti l’ammissibilità del ricorso e del controricorso, attività possibile anche dopo il deposito di detti atti (art. 372 c.p.c.), nel deposito di memorie (art. 378 c.p.c.), nella discussione e nelle osservazioni scritte sulla conclusioni del pubblico ministero (art. 379 c.p.c.). Tali attività che costituiscono momenti imprescindibili del diritto di difesa, costituzionalmente garantito, verrebbero sacrificate, ritenendo inapplicabile la disciplina dell’interruzione (anche Califano, G. P., Commento all’art. 299 c.p.c., in Commentario del codice di procedura civile, diretto da L.P. Comoglio, C. Consolo, B. Sassani, R. Vaccarella, III, Torino, 2012, 575, sottolinea come il procedimento in cassazione «grondi di previsioni di garanzia del contraddittorio e del diritto di difesa»), la quale, dunque, in assenza di una previsione legislativa che escluda testualmente l’applicabilità delle norme sull’interruzione al giudizio in cassazione, deve ritenersi operante.

Invero, da ultimo, la stessa Cassazione, dopo aver a lungo ritenuto manifestamente infondato ogni profilo di illegittimità costituzionale al riguardo, ha investito della questione la Corte Costituzionale in relazione agli artt. 301 e 377, co. 2, c.p.c., nella parte in cui non attribuiscono rilevanza, nel giudizio di cassazione, alla morte dell’unico difensore verificatasi dopo la proposizione del ricorso e prima dell’udienza di discussione, in riferimento agli artt. 3, co. 1, 24, co. 2, e 111 cost. I giudici delle leggi hanno però deciso nel senso dell’inammissibilità della questione di illegittimità costituzionale prospettata, in quanto «la relativa soluzione rientra nelle scelte discrezionali del legislatore» (C. cost., 18.3.2005, n. 109, in Giur. it., 2005, 1876, con nota di Conte, R., Morte del difensore e processo in cassazione: «prudenti» sviluppi giurisprudenziali delle Sezioni unite). Ciò nonostante, la Suprema Corte è tornata a pronunciarsi sul punto, affermando che nel procedimento dinanzi alla Corte di cassazione, non trovando applicazione l’art. 301 c.p.c., in caso di morte dell’unico difensore avvenuta dopo il deposito del ricorso e risultante dalla relata di notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza, la causa deve essere rinviata a nuovo ruolo ed il relativo provvedimento deve essere comunicato alla parte personalmente, per consentirle di provvedere alla nomina di un nuovo difensore, restando esclusa, in caso di sua inerzia, la necessità di nuove comunicazioni ai sensi dell’art. 377, co. 2, c.p.c. (Cass., S.U., 13.1.2006, n. 477, in Riv. dir. proc., 2006, 1425, con nota di Finocchiaro, G., L’interruzione «dimezzata» in cassazione).

Lo stretto collegamento esistente tra interruzione del processo e principio del contraddittorio vale anche ad individuare i procedimenti speciali in cui l’interruzione non trova applicazione. Gli eventi interruttivi non rilevano nella prima fase del procedimento per ingiunzione (mentre sono produttivi di effetti nell’eventuale fase di opposizione a contraddittorio pieno), così come non valgono nei procedimenti cautelari, allorché ricorra il caso di cui all’art. 669 sexies, co. 2, c.p.c. (mentre il sistema dell’interruzione opera nella fase di conferma del decreto, nonché in tutti i casi in cui il provvedimento cautelare è pronunciato, con ordinanza, nel contraddittorio fra le parti).

Al contrario, nel procedimento per convalida di sfratto l’interruzione deve trovare applicazione, essendo tale procedimento caratterizzato dal contraddittorio ed anzi, essendo ricollegate, alla mancata attività difensiva delle parti, onerose conseguenze (cfr. art. 633 c.p.c.). L’interruzione trova, inoltre, applicazione nel processo del lavoro, nel processo locatizio, mentre la sua applicabilità è esclusa nell’arbitrato rituale, ove esiste una norma speciale, l’art. 816 sexies c.p.c., la quale, regolando tutte le ipotesi di venir meno della parte (senza dunque limitazione all’evento morte, come invece faceva il previgente art. 820, co. 3, c.p.c.), sancisce che quando viene meno la parte, ovvero la stessa perde la capacità legale, gli arbitri devono assumere le misure idonee a garantire l’applicazione del contraddittorio ai fini della prosecuzione del giudizio, con facoltà di sospensione del procedimento arbitrale.

L’applicabilità delle norme sull’interruzione è, infine, da escludersi nel processo di esecuzione, ma ciò non perché esso non sia caratterizzato dal rispetto del principio del contraddittorio, bensì a causa della profonda differenza di struttura con il processo di cognizione, che esclude una automatica trasposizione degli istituti di questo, in difetto di un testuale richiamo.

Ciò detto, va però precisato che i fatti interruttivi, se non provocano l’arresto del processo esecutivo, non sono per questo privi di rilevanza. Conformemente alle norme generali in materia di successioni o di rappresentanza, il sopravvenire di un fatto interruttivo inciderà sul piano della legittimazione sia formale che sostanziale tanto per la parte attiva che per quella passiva del processo di esecuzione, con la conseguente necessità di dirigere gli atti esecutivi contro il successore e corrispettivamente di legittimare, dal lato attivo, il successore a compierli.

I fatti interruttivi

Con riferimento alla parte (persone fisiche e giuridiche)

Ai sensi dell’art. 299 c.p.c. sono fatti interruttivi la morte e la perdita della capacità di stare in giudizio della parte. Tuttavia tali fatti si atteggiano diversamente a seconda che si tratti di persone fisiche o giuridiche.

Per le persone fisiche alla morte va equiparata la dichiarazione di morte presunta, mentre la perdita della capacità può derivare da interdizione, inabilitazione, dichiarazione di assenza e anche dalla semplice scomparsa (come riconosciuto a seguito di C. cost., 16.10.1986, n. 220, in Nuove leggi civ., 1987, 402, con osservazioni di M. Riva). Naturalmente la semplice incapacità naturale della parte non determina la perdita della capacità processuale finché non sia intervenuta la sentenza di interdizione o non si sia provveduto alla nomina di un rappresentante provvisorio (in proposito in dottrina si è osservato come l’esclusione dell’incapacità naturale della parte tra gli eventi interruttivi attribuisce esclusiva prevalenza all’interesse alla prosecuzione del processo della parte non colpita da detto evento, e sacrifica al contrario il diritto di difesa della parte incapace, Costantino, G., Il giubileo del medico dei pazzi: l’incapace naturale nel processo civile, in Foro it., 1993, I, 1043 ss.).

È fatto interruttivo pure la dichiarazione di fallimento di una parte, ma solo limitatamente ai giudizi aventi ad oggetto rapporti patrimoniali compresi nel fallimento, restando negli altri casi del tutto irrilevante la sopravvenuta dichiarazione di fallimento, come si evince dall’art. 43, co. 1, l. fall. Il nuovo art. 43, co. 3, l. fall., il quale espressamente prevede che «l’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo», ha importanti conseguenze in relazione all’individuazione del momento in cui la fattispecie interruttiva si perfeziona, nel caso in cui l’evento colpisca la parte costituita a mezzo procuratore: alla luce della riforma attuata con il d.lgs. 9.1.2006, n. 5, infatti, se la parte fallisce si ha l’automatica interruzione del processo.

Rispetto alla persone giuridiche il fatto interruttivo analogo alla morte è l’estinzione. Discusso però è quando la stessa si perfezioni: se nel momento in cui si esaurisce il procedimento di liquidazione con la conseguente cancellazione dal registro delle imprese, o se, piuttosto, nel momento in cui si esauriscono effettivamente tutti i rapporti che fanno capo all’ente (amplius in argomento Dalfino, D., La successione tra enti nel processo, Padova, 2002, 68 ss.). Da ultimo, sul tema sono intervenute le Sezioni Unite (Cass., S.U., 12.3.2013, n. 6070, in Guida dir., 2013, fasc. 14, 32), le quali hanno statuito che la cancellazione di una società dal registro delle imprese è da considerasi senz’altro produttiva di un effetto estintivo, con la conseguenza che a far data dalla cancellazione si determina un evento interruttivo del processo, con possibile eventuale prosecuzione o riassunzione del medesimo giudizio da parte o nei confronti dei soci.

Quanto all’ipotesi della fusione societaria, se in passato si riteneva che la fusione, determinando il «venir meno» della società incorporata o che ha partecipato alla fusione, comportava l’applicazione dell’art. 110 c.p.c., con conseguente interruzione del processo (per un ampio quadro ricostruttivo, sulle posizioni della giurisprudenza e della dottrina prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 17.1.2003, n. 6, si rinvia a Santagada, F., Fusione e cancellazione di società e vicende del processo (Parte I e Parte II), in Giusto proc. civ., 2010, 277 ss. e 577 ss., spec. 281 ss.), la giurisprudenza più recente, sia pur criticata da una parte della dottrina (Colesanti, V., Ancora in tema di fusioni societarie e interruzione del processo, in Riv. dir. proc., 2007, 375) ha equiparato, a seguito della modifica dell’art. 2504 bis c.c., la fusione e l’incorporazione di società alla trasformazione, negandone quindi l’effetto interruttivo (Cass., S.U., 8.2.2006, n. 2637, in Riv. dir. proc., 2007, 177, con note differentemente orientate di Ricci, E. F., Gli effetti della fusione di società sul processo pendente, ibidem, 179 ss. e di Consolo, C., Bram Stoker e la non interruzione per fusione ed «estinzione» societaria (a proposito di gradazioni sull’«immortalità»), ibidem, 189; Cass., 23.6.2006, n. 14526, in Giust. civ., 2007, I, 2499, con nota di D’Alessandro, F., Fusione di società, giudici e dottori).

Con riferimento al rappresentante

Fatti interruttivi sono la morte o la perdita della capacità di stare in giudizio del legale rappresentante della parte, nonché la cessazione di tale rappresentanza (art. 299 c.p.c.).

Per quanto riguarda la morte o la perdita della capacità di stare in giudizio del rappresentante, valgono le stesse considerazioni già formulate con riguardo alla parte; la perdita di capacità può verificarsi anche a seguito di esonero o rimozione dall’ufficio (ad es., di tutore: cfr. artt. 383 e 384 c.c.), non accompagnati dalla contestuale sostituzione con altro titolare.

La cessazione della rappresentanza può aversi per vari motivi: ad esempio per il raggiungimento della maggiore età del rappresentato, per il venir meno dell’interdizione o della inabilitazione, per la chiusura del fallimento o per la sua revoca, per il ritorno o per la prova dell’esistenza del presunto morto.

Tutti questi eventi operano – come fa palese la lettera della legge – con riguardo alla sola rappresentanza legale e non sono riferibili alla rappresentanza volontaria nascente da mandato (Cass., 23.12.1987, n. 9628, in Giust. civ. Mass., 1987, 2620 s.).

La semplice sostituzione della persona fisica titolare dell’ufficio non è, di contro, causa di interruzione. Come è al pari da escludere che si abbia interruzione del processo quando uno degli eventi previsti dall’art. 299 c.p.c. colpisca il rappresentante legale della persona giuridica (Cass., 20.10.1994, n. 8584, in Giust. civ. Mass., 1994, 1256), data la natura del rapporto organico e data l’irrilevanza, nell’ottica legislativa, della persona che ha la rappresentanza (come si evince anche dall’art. 145, ult. co, c.c., che non prevede che si debba indicare la persona fisica che rappresenta l’ente); inoltre il diritto di difesa della persona giuridica non è comunque pregiudicato, avendo questa la possibilità di sostituire immediatamente il rappresentante cessato.

Con riferimento al procuratore

Gli eventi interruttivi relativi al procuratore legale sono la morte, la sospensione o la radiazione (art. 301, co. 1, c.p.c.). È altresì riconducibile alle ipotesi predette la cancellazione del difensore dall’albo professionale per motivi disciplinari (Cass., 31.1.2012, n. 1355, in DeJure; Cass., 17.12.2010, n. 25641, in Il civilista, 2011, fasc. 2, 11; Cass., 30 aprile 2009, n. 10112, in Giust. civ. Mass., 2009, 699). Al contrario non danno mai luogo ad interruzione la revoca della procura o la rinuncia ad essa (art. 301, co. 3, c.p.c.), giacché il legislatore ha voluto evitare che il processo «resti artificiosamente paralizzato» (Califano, G.P., op. cit., 634).

I maggiori dubbi che si hanno in materia concernono la tassatività o meno dell’elencazione dei fatti interruttivi. Nello specifico, la discussione si è incentrata sull’ipotesi della cancellazione volontaria dall’albo del procuratore. In proposito, sebbene una parte della dottrina e della giurisprudenza escludano la rilevanza ai fini dell’interruzione del processo della cancellazione volontaria (Caponi, R., La rimessione in termini nel processo civile, Milano, 1996, 498; Cass., 27.5.2009, n. 12261, in Giust. civ. Mass., 2009, 836; Cass., 27.4.2004, n. 8054, in Giust. civ. Mass., 2004, 973 s.), pare preferibile accedere, come fa l’orientamento ad oggi prevalente, ad un’interpretazione più estensiva e riconoscere effetti interruttivi alla cancellazione, in considerazione che la stessa comporta una lesione del diritto di difesa posto dall’art. 24 Cost. (Cass., 20.2.2003, n. 2577, in Giust. civ. Mass., 2003, 365; Cass., 5.10.2001, n. 12294, in Corr. giur., 2002, 1177, con nota di Boccagna, S., Cancellazione del difensore dall’albo professionale e interruzione del processo; Trib. Torino, 27.10.2006, in Guida dir., 2006, fasc. 49, 61; App. Firenze, 6.9.2005, in DeJure; Trib. Roma, 4.12.2001, in Giur. rom., 2002, 67, la quale specifica che l’interruzione può essere impedita se la parte interessata, alla udienza successiva, si munisce di un nuovo difensore; sulla questione si veda anche C. cost., 16.5.2008, n. 147, in Giust. civ., 2008, I, 1849).

Sempre in tema di eventi interruttivi, infine, va segnalato come la malattia, anche grave del difensore, come la sua infermità mentale, nonché la dichiarazione della sua interdizione, non provocano l’interruzione immediata del processo, che potrà aversi solo quando sia pronunciato il conseguente provvedimento che incide sull’iscrizione all’albo (Cass., 24.10.1996, n. 9277, in Foro it., 1997, I, 1901). Occorre, tuttavia, precisare che gli eventi di cui all’art. 301 c.p.c. determinano l’interruzione del processo solo quando colpiscano l’unico difensore della parte, mentre rimangono privi di conseguenze allorché colpiscano uno od alcuni soltanto dei difensori, nell’ipotesi che la parte sia rappresentata da più procuratori, non aventi l’obbligo di agire congiuntamente (Cass., 20.2.2003, n. 2577, in Giust. civ., 2004, I, 793; Cass., 29.8.1997, n. 8189, in Giust. civ. Mass., 1997, 1554).

Operatività dei fatti interruttivi

Per l’analisi dell’operatività dei fatti interruttivi occorre distinguere a seconda del momento in cui si verificano: se prima o dopo la costituzione in giudizio.

Nel primo caso, infatti, gli eventi di cui all’art. 299 c.p.c. operano sempre istantaneamente al loro verificarsi, producendo ipso iure l’interruzione del processo, indipendentemente dal fatto che ne sia stato colpito l’attore o il convenuto. Perché possa verificarsi l’interruzione bisogna, da un lato, che la parte colpita dall’evento non si sia ancora costituita, e dall’altro, che non siano decorsi i termini per la sua costituzione. Se, al contrario, l’evento colpisce una parte quando sono già scaduti i termini di costituzione di entrambe le parti e nessuna si è costituita, si perfezionata la fattispecie prevista dall’art. 171, co. 1, c.p.c. e trova pertanto applicazione la relativa disciplina anziché quella dell’art. 299 c.p.c.

L’interruzione opera di diritto e non è necessario quindi alcun provvedimento del giudice perché si producano i relativi effetti. L’ordinanza che, nella prassi, viene normalmente pronunciata quando la causa è stata iscritta a ruolo, ha natura meramente dichiarativa, sicché la sua omissione non vale a rendere legittimo l’ulteriore corso del processo.

Nel caso in cui gli eventi interruttivi si verifichino dopo la costituzione in giudizio delle parti, le conseguenze mutano a seconda che le parti stiano in giudizio personalmente o tramite un difensore. Nell’ipotesi di costituzione personale, infatti, l’evento interruttivo produce i suoi effetti ipso iure al suo verificarsi, giacché la parte da tale momento perde la possibilità di validamente difendersi in giudizio. Qualora, invece, la parte sia costituita tramite procuratore, i fatti interruttivi operano diversamente, a seconda che colpiscano la parte personalmente o il suo legale rappresentante, da un lato, oppure il procuratore legale, dall’altro. In questo secondo caso il processo si interrompe ipso iure, con il verificarsi del fatto interruttivo, come fa palese l’art. 301, co. 1, c.p.c.

Se, invece, si verifica uno dei fatti interruttivi previsti dall’art. 299 c.p.c. il processo non si interrompe istantaneamente, ma perché ciò avvenga bisogna che il difensore della parte colpita dal fatto provveda a dichiararlo in udienza o a notificarlo alle altre parti (Cass., 8.5.2003, n. 6985, in Giust. civ. Mass., 2003, 1009, sottolinea come la dichiarazione del procuratore, relativa al verificarsi in capo al proprio assistito di uno degli eventi interruttivi che giustificano l’applicazione dell’art. 300 c.p.c., debba essere finalizzata al perseguimento di tale effetto, mentre non rileva a tal fine se la dichiarazione viene resa a scopo puramente informativo in difetto del sopra indicato elemento intenzionale). Naturalmente è onere del difensore seguire le istruzioni del successore della parte colpita dall’evento interruttivo o di chi ha acquistato la legittimazione formale, relativamente all’opportunità o meno di rendere noto il fatto interruttivo.

Il potere di rappresentanza del difensore è limitato al grado di giudizio in cui si è verificato l’evento; pertanto il difensore della parte defunta non può proporre impugnazione in base alla procura rilasciata dalla medesima, ma necessita di un nuovo mandato da parte degli eredi (Cass., 3.8.2012, n. 14106, in Giust. civ. Mass., 2012, 1024; Cass., 9.8.2010, n. 18485, in Giust. civ. Mass., 2010, 1192).

Quando l’evento colpisce una parte contumace il processo non si interrompe immediatamente, ma a partire dal momento in cui il fatto interruttivo è documentato dall’altra parte o è notificato ovvero è certificato dall’ufficiale giudiziario nella relazione di notificazione di uno dei provvedimenti di cui all’articolo 292 c.p.c. (cfr. art. 300, co. 4, c.p.c., come riformato dalla l. 18.6.2009, n. 69; Cass., 31.5.2012, n. 8755, in Giust. civ. Mass., 2012, 706; Cass., 28.11.2007, n. 24762, in Giust. civ. Mass., 2007, 2188).

Nel caso di processo cumulato, mentre in passato la giurisprudenza prevalente affermava il carattere totalizzante dell’evento interruttivo e, quindi, era contraria alla possibilità di un’interruzione parziale, a seguito della nota decisione delle Sezioni Unite del 2007 (Cass., S.U., 5.7.2007, n. 15142, in Riv. dir. proc., 2008, con nota di Saletti, A., Processo cumulato ed interruzione), la soluzione oggi accolta è nel senso che in ipotesi di trattazione unitaria o di riunione di più procedimenti relativi a cause connesse e scindibili – che comporta di regola un litisconsorzio facoltativo tra le parti dei singoli procedimenti confluiti in un unico processo - l’evento interruttivo relativo a una delle parti di una o più delle cause connesse opera di regola solo in riferimento al procedimento (o ai procedimenti) di cui è parte il soggetto colpito dall’evento. In tal caso non è necessaria o automatica la contestuale separazione del processo interrotto dagli altri riuniti o trattati unitariamente, che non devono subire una stasi temporanea (Cass., 21.4.2011, n. 9271, in Guida dir., 2011, fasc. 33-34, 46).

Effetti dell’interruzione

A seguito dell’interruzione il processo cade in uno stato di quiescenza, il quale però non esclude il permanere della litispendenza. La quiescenza si manifesta, da un lato, nell’impossibilità di compiere gli atti processuali (cfr. art. 298 c.p.c. richiamato dall’art. 304 c.p.c.), ad eccezione di quelli espressamente consentiti (come la richiesta di provvedimento cautelare ex art. 669 quater c.p.c.); dall’altro, nell’interruzione dei termini processuali, che riprendono a correre per intero, e non per il solo residuo, a far tempo dalla riassunzione o prosecuzione del giudizio. L’unico termine che continua a correre durante l’interruzione è quello posto dall’art. 305 c.p.c.

Gli atti posti in essere successivamente all’evento interruttivo – qualora il processo di fatto prosegua – sono nulli, al pari della sentenza eventualmente pronunciata; trattandosi però di nullità o non di inesistenza, la stessa è soggetta al principio generale della conversione delle nullità in motivi di impugnazione (Cass., 22.3.1996, n. 2493, in Giust. civ. Mass., 1996, 411; App. Roma, 9.3.2011, in DeJure). Il vizio in questione può essere fatto valere solo dalla parte nel cui interesse sono poste le norme violate (Cass., 9.3.2012, n. 3712, in Guida dir., 2012, fasc. 18, 42; Cass., 28.11.2007, n. 24762, in Giust. civ. Mass., 2007, 2188).

Il giudice di appello, che pronunci la nullità della sentenza di primo grado per l’omessa interruzione del processo, pur in presenza di evento ciò legittimante, deve trattenere la causa in decisione e giudicare nel merito in virtù del principio della conversione dei vizi della sentenza di primo grado in motivi di gravame, non rientrando tale nullità fra i casi nei quali il giudice di appello deve rimettere la causa al primo giudice ai sensi degli artt. 353 e 354 c.p.c. (Cass., 19.1.2010, n. 704, in Giust. civ. Mass., 2010, 59).

Cessazione dell’interruzione

I legittimati alla riattivazione del processo

Il processo, dopo l’evento interruttivo che ne ha provocato la quiescenza, può riprendere il suo corso, purché venga tempestivamente proseguito (art. 302 c.p.c.) o riassunto (art. 303 c.p.c.): si ha la prosecuzione quando l’iniziativa per la riattivazione del processo venga assunta dalla parte colpita dall’evento interruttivo o dai suoi successori; riassunzione, invece, quando ad attivarsi sia la parte contrapposta a quella colpita dall’evento.

L’individuazione dei legittimati a riassumere non presenta, di regola, particolari problemi: può riassumere solo chi è già parte nel processo, ivi compreso l’interveniente adesivo dipendente; ovviamente, il processo va riassunto anche nei confronti di questo soggetto.

Quanto alla prosecuzione, sono legittimati o la parte che abbia riacquisito la capacità o il rappresentante legale della parte che tale capacità abbia perduta o più, in generale, il successore universale della parte colpita dalla morte o da altro evento interruttivo (art. 110 c.p.c.).

La riassunzione e la prosecuzione

La riassunzione del processo interrotto avviene, a seconda dei casi, mediante citazione riassuntiva o ricorso (cfr., ad es., artt. 299 e 303 c.p.c.): in linea di massima si usa questo secondo quando non vi sia una udienza già fissata e la prima quando, invece, l’udienza vi sia.

In particolare si procede con citazione riassuntiva: a) quando l’evento ha colpito la parte prima della costituzione in giudizio, se la controparte è già costituita o non è ancora scaduto il termine per la sua costituzione, sempreché il lasso di tempo che residua dopo l’evento interruttivo sia sufficiente per rispettare i termini posti dall’art. 163 bis c.p.c. (diversamente si procede con ricorso); b) quando l’evento interruttivo colpisce la parte costituita in giudizio tramite difensore, ma non riguardi quest’ultimo (art. 300, co. 2, c.p.c.), e vi sia un’udienza già fissata, che permetta il rispetto dei termini posti dall’art. 163 bis c.p.c.; c) infine quando l’evento interruttivo colpisce il difensore della parte costituita, tramite suo, in giudizio (art. 301, co. 2, c.p.c.) e sia stata fissata, precedentemente all’evento stesso, un’ulteriore udienza, che consenta, anche qui, il rispetto dei termini di comparizione. In tutti gli altri casi si procede con ricorso. La giurisprudenza, peraltro, afferma la fungibilità delle due forme introduttive (Cass., 4.10.2012, n. 16924, in Giur. it., 2013, 898; Cass., 1.10.2009, n. 2107, in Giust. civ. Mass., 2009, 1396).

La citazione riassuntiva trova il proprio modello nella comparsa di riassunzione di cui all’art. 125 disp. att. c.p.c.

I requisiti di cui ai nn. 3 e 6 dell’art. 125 disp. att. c.p.c. trovano posto anche nel ricorso, che conterrà pure l’istanza al giudice di fissazione della nuova udienza; in esso, in caso di morte della parte, va fatta menzione degli estremi della domanda (art. 303, co. 2, c.p.c.) e ciò mediante una concisa individuazione degli estremi della causa. Il ricorso va presentato al giudice istruttore incaricato della causa o, in difetto, al presidente del tribunale che fisserà l’udienza. Ricorso e decreto sono notificati alle altre parti a cura dell’istante (per approfondimenti sull’atto e sul procedimento riassuntivo si veda Saletti, A., La riassunzione del processo civile, Milano, 1981, 292 ss.).

Anche la prosecuzione può avvenire in forme diverse e precisamente tramite costituzione in giudizio o ricorso (art. 302 c.p.c.). La costituzione dei legittimati è possibile quando vi sia un’udienza fissata prima che si sia perfezionata l’interruzione: sicuramente, quindi, ci si può costituire in prosecuzione nella stessa udienza in cui viene reso noto il fatto interruttivo o anche nell’udienza immediatamente successiva alla fattispecie interruttiva, quando questa si sia perfezionata nel lasso di tempo fra le due udienze; non, invece, quando il processo sia proseguito di fatto dopo l’interruzione, stante il preciso disposto dell’art. 304 c.p.c. In sostanza ci si può costituire in prosecuzione nei medesimi casi in cui – in ipotesi di riassunzione – si procede mediante citazione; diversamente va utilizzato il ricorso.

La costituzione può avvenire in cancelleria o in udienza; quanto al ricorso, vale quanto detto per quello in riassunzione.

Termine per la riassunzione e la prosecuzione e sua decorrenza

L’art. 305 c.p.c. dispone che il processo si estingue se non è proseguito o riassunto nel termine di tre mesi dall’interruzione. Si tratta di un termine perentorio (Cass., 19.6.2009, n. 14353, in Giust. civ. Mass., 2009, 949), che, nelle cause soggette alla sospensione feriale dei termini processuali, si sospende durante la pausa estiva (Cass., 3.3.2004, n. 4297, in Giust. civ. Mass., 2004, 462).

La Corte costituzionale ha però ritenuto illegittima la predetta norma nei casi in cui l’interruzione segua agli eventi di cui all’art. 301 c.p.c. (C. cost., 15.12.1967, n. 139, in Giur. cost., 1967, 165) e a quelli di cui agli artt. 299 e 300, co. 3, c.p.c. (C. cost., 6.7.1971, n. 159, in Foro it., 1971, I, 2117): ciò in quanto l’art. 305 c.p.c. disponendo che il termine per la prosecuzione o la riassunzione del processo interrotto decorreva dall’interruzione anziché dalla data in cui le parti ne avessero avuto conoscenza, impediva loro di utilizzare detto termine nella sua totalità, per non esserne agevolmente conoscibile la decorrenza, ledendo così il diritto di difesa.

A seguito di dette pronunce il termine in esame ha diverse decorrenze. Per i casi di interruzione conseguenti ad eventi che hanno colpito il contumace o la parte e il suo rappresentante, quando gli stessi siano costituiti tramite procuratore, il termine continua a decorrere dall’interruzione, la quale avviene in maniera sufficientemente pubblicizzata, così da escludere che essa non sia agevolmente conoscibile per le parti in causa.

Negli altri casi, invece, il termine decorre dalla conoscenza che le parti abbiano avuto dell’evento. Secondo la giurisprudenza la predetta conoscenza deve essere “legale”, cioè discendere da atti processuali (comunicazione, notificazione o dichiarazione dell’evento, non essendo sufficiente la conoscenza aliunde acquisita: Cass., 11.2.2010, n. 3085, in Giust. civ. Mass., 2010, 184). In particolare non vale la dichiarazione che sia stata resa in udienza dal procuratore di controparte, che non può presumersi conosciuta, vista l’inapplicabilità dell’art. 176, co. 2, c.p.c. in una situazione in cui è già venuta meno l’integrità del contraddittorio (Cass., 6.7.1989, n. 3227, in Riv. C. conti, 1989, 166), salvo che dal processo verbale d’udienza emerga la presenza della parte rimasta priva del difensore (Cass., 7.10.1998, n. 9918, in Giust. civ. Mass., 1998, 2035).

Ancora, non costituisce mezzo di conoscenza legale dell’evento interruttivo per le altre parti il telegramma inviato dalla parte rappresentata all’organo giudiziario per comunicare l’avvenuto decesso del difensore, senza che abbia rilievo l’avvenuta allegazione dello stesso al fascicolo d’ufficio disposta dal giudice, risolvendosi tale comunicazione in una mera dichiarazione di scienza proveniente da un soggetto privato ed abbisognando pertanto di essere abbinata alla documentazione ufficiale certificante il decesso (Cass., 26.3.2012, n. 4851, in www.judicium.it, con nota di Savino, F., Sulla conoscenza legale dell’evento interruttivo e sul momento dal quale inizia a decorrere il termine per la riassunzione del processo).

Va da ultimo ricordato che la riassunzione è validamente effettuata se deve avvenire con ricorso, quando questo è tempestivamente depositato in cancelleria con la richiesta di fissazione di un’udienza, poiché, da questo momento il rapporto processuale, quiescente, è ripristinato con integrale perfezionamento della riassunzione (Cass., 29.7.2009, n. 17679, in Giust. civ. Mass., 2009, 1158); ne consegue che il vizio da cui sia colpita la notifica dell’atto di riassunzione e del decreto di fissazione dell’udienza non si comunica alla riassunzione (oramai perfezionatasi), ma impone al giudice, che rilevi la nullità, di ordinare la rinnovazione della notifica medesima assegnando alla parte un ulteriore termine per il compimento di tale adempimento (Cass., 31.7.2012, n. 13683, in Giust. civ. Mass., 2012, 71002; Cass., 20.5.2011, n. 11260, in Giust. civ. Mass., 2011, 783; Cass., S.U., 28.6.2006, n. 14854, in Foro it., 2008, I, 940, con nota di Fabbrizzi, G., Riassunzione del processo, vizi della «vocatio in ius» e termini processuali).

Fonti normative

Artt. 3, 24, 111 Cost.; artt. 110, 111, 286, 299, 300, 301, 302, 303, 304, 305, 328, 669 quarter, 816 sexies c.p.c.; art. 125 disp. att. c.p.c.

Bibliografia essenziale

Califano, G.P., L’interruzione del processo, Napoli, 2004; Califano, G.P., Commento agli artt. 299-305 c.p.c., in Commentario del codice di procedura civile, diretto da Comoglio, Consolo, Sassani, Vaccarella, III, Torino, 2012, 543 ss.; Calvosa, C., Interruzione del processo civile, in Nss.D.I., VIII, Torino, 1962, 926 ss.; Cavalaglio, A., Interruzione del processo di cognizione nel diritto processuale civile, in Dig. civ., X, Torino, 1993, 71 ss.; Ciaccia Cavallari, B., Prospettive di interruzione nel procedimento in Cassazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1975, 188 ss.; Culot, D., L’interruzione del processo civile, Milano, 2006; Finocchiaro, A., Interruzione del processo (diritto processuale civile), in Enc. dir., XXII, Milano, 1972, 428 ss.; Punzi, C., L’interruzione del processo, Milano, 1963; Saletti, Interruzione del processo, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1989, 1; Saletti, La riassunzione del processo civile, Milano, 1981.

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