INQUISIZIONE

Federiciana (2005)

Inquisizione

AAndrea Piazza

Il 22 novembre 1220 in Roma, nella basilica del beato Pietro, in occasione dell'incoronazione imperiale, alla presenza del pontefice Federico II emanò leggi per le terre soggette al suo dominio. Le disposizioni, sollecitate e verosimilmente ispirate dalla Sede Apostolica, si proponevano un obiettivo prioritario, espresso con chiarezza nella breve nota a margine del testo accolto nel registro vaticano del quinto anno del pontificato di Onorio III (Città del Vaticano, Archivio Segreto Vaticano, Reg. Vat. 11, cc. 95v-96v, nr. 483, in partic. c. 95v): difendere i chierici, le Chiese e la libertà ecclesiastica "abrogando e distruggendo" tutti gli statuti e le consuetudini loro contrari e pervenire all'"abolizione di tutte le eresie e alla diffidatio e al bannum degli eretici". La Constitutio in basilica beati Petri (v.) segnò l'inizio di una nuova fase della lotta contro gli eretici: da allora su forme e intensità della repressione incise profondamente l'evolversi dei rapporti tra Curia romana e Federico II. Tuttavia, i cambiamenti nei trent'anni successivi, fino alla morte dello Svevo, e anche oltre, avvennero a partire dall'eredità lasciata dai decenni precedenti, soprattutto dal pontificato di Innocenzo III, nel corso del quale fu la Chiesa di Roma ad avere l'iniziativa preminente in tale ambito. E almeno a quest'epoca bisogna risalire per riuscire a comprendere le trasformazioni, avvenute nella prima metà del XIII sec., non solo delle modalità dell'impegno antiereticale, ma anche del ruolo attribuito a quest'ultimo nel governo ‒ tanto spirituale quanto temporale ‒ della cristianità.

Innocenzo III (v.) affrontò il problema della repressione dell'eresia fin dai primi anni del suo pontificato, con riguardo soprattutto alle terre della Francia meridionale e dell'Italia. Nella prima area egli potenziò l'intervento dei suoi legati, per lo più monaci dell'Ordine cistercense; in seguito, le resistenze incontrate da costoro in sede locale indussero il papa a proclamare la crociata contro gli eretici, con l'invasione delle terre del Midi da parte dei baroni della Francia settentrionale. In Italia, di fronte all'articolato quadro dei poteri urbani, il pontefice avviò una strategia di pressione sugli organismi comunali per sollecitarne l'impegno accanto ai chierici, elaborando idee e linee d'intervento destinate a lasciare il segno a lungo. La differenza di condotta tra le due zone non era una novità del pontificato di Lotario di Segni: essa era retaggio degli ultimi decenni del XII secolo. Da un lato, la legislazione del III concilio lateranense (1179), nel canone Sicut ait beatus Leo, per la prima volta aveva attribuito privilegi a coloro che avessero preso le armi contro gli eretici d'oltralpe, a somiglianza di quanti "visitano il Sepolcro del Signore" (Conciliorum oecumenicorum decreta, 1962, p. 201); dall'altro con la decretale Ad abolendam, emanata in occasione di un suo incontro con Federico Barbarossa a Verona nel 1184, Lucio III aveva individuato nel connubio tra "vigor ecclesiasticus" e "imperialis fortitudinis potentia" (Texte zur Inquisition, 1967, p. 26) la condizione perché la tutela dell'ortodossia potesse essere assicurata: affinché gli effetti di quella convergenza avessero modo di prolungarsi nel tempo, Lucio III aveva stabilito che i titolari di poteri civili ‒ "conti, baroni, rettori e consoli delle città" (ibid., p. 28) ‒ esprimessero con un giuramento, su richiesta dei loro presuli, la disponibilità ad aiutare la Chiesa e ad applicare "ecclesiastica simul et imperialia statuta" (ibid.), pena la perdita della carica pubblica. Era l'inizio di un discorso sui rapporti tra lotta all'eresia e funzionamento dell'ordinamento pubblico che proprio negli anni di Federico II, e in particolare per le terre dell'Impero, avrebbe avuto modo di di-spiegarsi in tutte le sue conseguenze.

Rispetto a tale quadro Innocenzo III diede un apporto decisivo. Con la decretale Vergentis in senium, promulgata il 25 marzo 1199 e indirizzata al clero, ai consoli e al popolo di Viterbo, egli ‒ in qualità di monarca delle terre del Patrimonium della Sede Apostolica, ma additando se stesso come modello per tutti i poteri civili ‒ indicò nelle pene previste per chi attentava alla maestà del sovrano il riferimento valido per chi offendesse la maestà divina. L'equiparazione del crimine di eresia al crimen laesae maiestatis (v.) comportava non solo l'espulsione dell'eretico dalla convivenza civile, ma anche l'emarginazione di coloro che favorivano con i loro comportamenti l'eterodossia: costoro erano bollati d'infamia ed esclusi dagli uffici pubblici. Tale aspetto era anzi prevalente nell'epistola, e in rapporto a esso il papa sollecitava con forza "potestà e principi secolari" (Die Register Innocenz' III., Rom-Wien 1973, pp. 3-5, nr. 1: p. 5) esterni al Patrimonium a mettere in atto la normativa, sotto la minaccia della censura ecclesiastica.

Negli anni seguenti Innocenzo III rammentò a più riprese l'obbligo di cooperazione delle potestà secolari nella repressione antiereticale. Ciò egli fece, per esempio, nei confronti di Filippo Augusto, re di Francia, al quale nella lettera Si tua regalis (1208) presentò un simile impegno nelle terre di Linguadoca come dovere insito nel compito ‒ connaturato al regium officium ‒ di promuovere la pace, nonché dell'imperatore Ottone IV e di Federico di Svevia, che giurarono entrambi, rispettivamente nel 1209 e nel 1213, di prestare il loro aiuto per lo sradicamento dell'eresia, nel contesto di propositi di salvaguardia ad ampio raggio dei diritti della Chiesa. La centralità del concetto di eresia nelle relazioni tra i due vertici della cristianità si pone in forme ancora diverse, gravide di conseguenze, nello svolgersi del pontificato. Nel giro di breve tempo, da campione della difesa della fede Ottone IV diventò eretico. Dopo averlo scomunicato, Innocenzo III gli imputò di non accettare la sentenza: il disprezzo della competenza giurisdizionale giustificava l'accusa di eresia, raccolta dai principi di Germania al momento della deposizione e dell'elezione di Federico II. Insomma, alla fine del pontificato di Lotario di Segni il tema della persecuzione dell'eresia incise profondamente sui rapporti tra papato e poteri civili d'Europa, ne fu parte costitutiva e sempre più decisiva.

La strategia innocenziana raggiunse la sua espressione ultima nel 1215, nel terzo canone, De haereticis, del IV concilio lateranense, nel quale era dato ampio spazio ‒ accanto alle pene contro gli eretici e i loro "credentes, praeterea receptatores, defensores et fautores" (Constitutiones Concilii, 1981, pp. 48 s.), modellate in larga misura sulla legislazione precedente ‒ ai doveri delle potestà secolari. Queste erano chiamate a prestare il giuramento di sterminare gli eretici indicati dalla Chiesa: per la prima volta era sancito l'obbligo dell'atto al momento dell'assunzione delle funzioni pubbliche. Ai signori era ingiunto di "purgare" i loro domìni dall'eresia su richiesta della Chiesa: qualora ciò non avvenisse, un anno dopo la scomunica da parte dell'arcivescovo e dei vescovi della provincia ecclesiastica erano previsti, su indicazione dello stesso pontefice, lo scioglimento dei vassalli da ogni vincolo di fedeltà e l'invasione delle terre da parte dei "catholici". In tal modo la mobilitazione del potere civile era saldamente ricondotta alla sorveglianza della Chiesa: la Sede Apostolica avocava a sé la decisione più grave, quella che comportava la crociata ad haereticorum exterminium, mentre il primo intervento in ambito locale era affidato all'ordinario diocesano. Una parte notevole del canone, riprendendo quanto previsto dall'Ad abolendam di Lucio III, disciplinava proprio le modalità di azione dei presuli, tenuti a visitare una o due volte l'anno le aree delle loro diocesi per le quali vi fosse fama di presenza di nemici della fede e a raccogliere la deposizione giurata di almeno tre boni testimonii viri o addirittura di tutta la vicinia, per giungere all'identificazione degli eretici e di coloro che si discostavano dal consueto stile di vita dei fedeli. La ricerca e il giudizio degli eretici erano quindi indicati come compiti precipui dei vescovi, chiamati ad agire secondo modalità che sottolineavano i loro obblighi di iniziativa per l'accertamento dei fatti.

Gli orientamenti assunti da Innocenzo III e dal IV concilio lateranense consentono di misurare la novità della Constitutio in basilica beati Petri del 1220, frutto dell'incontro a Roma tra Onorio III (v.) e Federico II. In essa il discorso sulla repressione dell'eresia si salda per la prima volta con quello sulla difesa della libertà ecclesiastica in una prospettiva che abbraccia le terre dell'Impero, con riferimento alla generalità dei vertici politici locali, soprattutto comunali: in futuro gli ufficiali pubblici sarebbero stati considerati decaduti dall'esercizio delle loro funzioni sia qualora avessero introdotto negli statuti disposizioni lesive della libertà ecclesiastica, sia nel caso in cui si fossero rifiutati di giurare il sostegno alla lotta contro gli eretici all'inizio del loro mandato. La normativa veniva incontro ai desideri del papato, che poteva disporre come mai in precedenza dell'aiuto dell'Impero per chiamare i poteri civili, specialmente gli organismi di autogoverno urbano, alla responsabilità di garantire le condizioni perché la Chiesa potesse esercitare senza ostacoli la sua attività. La consapevolezza di papato e Impero di essere a una svolta è espressa dalle iniziative assunte per la diffusione delle leggi: Federico II e Onorio III le fecero pervenire ai maestri e agli scolari bolognesi, e il primo fornì il suo sostegno al cardinale Ugolino d'Ostia, incaricato di pubblicare e far accettare dalle città la Constitutio durante la sua legazione nell'Italia centrosettentrionale nel 1221.

L'importanza che la Curia romana attribuiva alla collaborazione con l'Impero per indurre i centri urbani a una più incisiva politica antiereticale si manifestò più volte negli anni Venti. Allorché nel 1224 Federico II emanò una nuova legge sugli eretici, ora espressamente minacciati di morte mediante rogo o di carcere perpetuo con il taglio della lingua qualora non si fossero convertiti (Cum ad conservandum), Onorio III, attraverso i suoi legati nella Pianura Padana, sollecitò le città di Lombardia ad andare al di là dell'accoglimento delle norme emanate dai vertici della cristianità e a elaborare propri statuti contro i nemici della fede. Poco dopo, nelle trattative per la pace tra lo Svevo e la Societas Lombardiae il papa vide l'occasione per chiedere nuovamente che negli statuti comunali fosse inserita la legislazione antiereticale imperiale, unitamente a quella ecclesiastica, e che da essi fosse rimossa ogni norma contro la libertas Ecclesiae.

L'orientamento di Onorio III fu assunto dal successore, fin dall'avvio del pontificato: allora la politica del papato per la prima volta trovò ampio accoglimento in sede locale. Dopo che nell'aprile 1227 Gregorio IX aveva inviato il suo programma d'azione ai vescovi e alle città dell'Italia settentrionale, indicando nella pravità eretica la radice degli attacchi alla libertà della Chiesa, si moltiplicarono gli statuti comunali contro gli eretici nella Pianura Padana: sul modello di Brescia, a Treviso, Vicenza, Ferrara e Milano piccoli gruppi di uomini, scelti dal vescovo e dal podestà, sostenuti dalle autorità comunali, ma agli ordini del presule, furono incaricati di cercare (inquirere) e catturare (capere) gli eretici per consegnarli al tribunale diocesano. A Milano, di tale incombenza furono partecipi membri degli Ordini mendicanti, due frati minori e due frati predicatori.

La preoccupazione per la cattura degli eretici contraddistinse in questi anni tutto l'Occidente. Se fuori dai territori dell'Impero, nel Sud della Francia, i concili ‒ uno a Tolosa nel 1229, sotto la guida di un legato papale ‒ precisarono le modalità di scelta e di azione degli 'inquisitori' episcopali, in Germania la Sede Apostolica incaricò il magister Corrado di Marburgo, definito nei documenti apostolici predicator verbi Dei, di indagare (inquirere) gli infetti da eresia: un compito su un territorio amplissimo, che non sembra per nulla incrinare la giurisdizione dei vescovi e che appare strettamente collegato all'ufficio di predicare, giacché nell'occasione nel registro vaticano il nome di Corrado in quanto destinatario della lettera è seguito ‒ fatto del tutto singolare ‒ dalla nota esplicativa: "super officio predicationis sibi commisso" (Città del Vaticano, Archivio Segreto Vaticano, Reg. Vat. 14, c. 17r, nr. 109).

Un potenziamento della lotta antiereticale s'inaugurò con il ritrovato accordo tra papato e Impero nel 1230: da allora la concorrenza tra pontefice e imperatore si fece più forte. Nei primi mesi del 1231, Gregorio IX (v.) promulgò norme volte a colpire gli eretici romani con disposizioni più severe, come la detenzione a vita per l'eretico che tornasse alla Chiesa ‒ il che lasciava chiaramente intravedere la condanna a morte dell'eretico che non abiurasse ‒ e l'equiparazione tra gli eretici e i "credenti nei loro errori" (ivi, Reg. Vat. 15, cc. 49v-50r, nr. 107).

Nel quindicesimo registro vaticano tali statuti sono seguiti dai "capitoli" contro gli eretici emanati da Annibaldo, senatore di Roma, e dal testo che obbligava quest'ultimo a giurare e a far giurare al suo successore la nuova legislazione antieterodossa del comune, pena la decadenza dalla carica (ibid., c. 50r-v, nr. 107).

La sensibilità ai meccanismi costituzionali dei comuni quali strumenti per la difesa della fede cominciò ad acuirsi: per il papato, l'impegno antiereticale in dipendenza dall'autorità ecclesiastica ‒ rappresentata dagli "inquisitori dati dalla Chiesa" (ibid., c. 50r) per la scoperta degli eretici nonché, evidentemente, dai prelati incaricati del giudizio ‒ doveva essere assunto nella normativa urbana come elemento connotante la legittimità al governo degli uomini. Per ottenere una vasta applicazione di tale direttiva, Gregorio IX inviò le sue costituzioni e gli statuti comunali romani ai vescovi di Tuscia e di Lombardia, ma anche al di là delle Alpi, nel mondo germanico, a Salisburgo e Treviri: le prime dovevano esser pubblicate all'interno delle diocesi, i secondi dovevano essere presi a modello dalle città per la propria legislazione.

A distanza di pochi mesi, nell'estate 1231, Federico II diede un posto di rilievo ai temi antiereticali nelle Costituzioni emanate a Melfi per il Regno di Sicilia. Dopo aver dichiarato, nel proemio del corpus legislativo, il fondamento della propria autorità nella destra della potenza divina, lo Svevo introdusse la prima costituzione, dedicata a "eretici e Patarini" (Die Konstitutionen Friedrichs II., 1996, pp. 148-151), affidando agli ufficiali pubblici il compito della ricerca (inquisitio) degli eretici, da consegnare per il giudizio ai chierici. Il primato d'iniziativa dell'ordinamento pubblico per la scoperta degli eretici era fatto notevole, per il momento limitato a una specifica area dei territori dominati dallo Svevo. Quando agli inizi del 1232 si occupò degli eretici di Italia e Germania, Federico II restò infatti nel solco della tradizione. Da Ravenna, dopo aver ribadito in febbraio le decisioni del 1220 (Constitutio contra haereticos), in marzo con una nuova costituzione appoggiò gli sforzi degli "inquisitori dati dalla Sede Apostolica" (Constitutiones et acta, 1896, p. 196), nelle terre di Germania, incaricati di individuare gli eretici e di procurarne la cattura (Commissi nobis celitus). L'importanza riconosciuta ai Frati predicatori per la cattura degli eretici, destinati poi a "coloro che accederanno e converranno per giudicarli" (ibid., p. 197), non è cosa singolare: tra il 1231 e il 1232 Gregorio IX ordinò ai frati di alcuni conventi dei Predicatori in Germania di cercare gli eretici, pur lasciando verosimilmente il giudizio ai presuli.

La competizione tra Sede Apostolica e imperatore si mostrò appieno nel 1233. Nell'epistola al pontefice del 15 giugno 1233, Federico II dava notizia di aver stabilito che in tutto il Regno di Sicilia i giustizieri, assistiti da prelati, indagassero (inquirere) sulla presenza di eretici: sulla base delle loro relazioni, sarebbe stato egli stesso a prendere provvedimenti. L'accentuazione del ruolo dell'autorità monarchica rispetto alle Costituzioni di Melfi si accompagnava all'enunciazione di un piano ancor più ambizioso, che prevedeva l'estensione della procedura a tutta l'Italia, anzi a tutto l'Impero: "Quia vero supradicta vellemus per Ytaliam et Imperium exequi [...]" (Città del Vaticano, Archivio Segreto Vaticano, Reg. Vat. 17, c. 70r-v, nr. 243). La dimensione politica del disegno fu subito colta dal papa, che a distanza di un mese, il 15 luglio 1233, ammoniva lo Svevo a non confondere coloro che colpivano la celsitudo regia con coloro che costituivano un pericolo per la fede, ossia gli errantes con gli haeretici.

Eppure l'attenzione agli aspetti politici non fu assente dallo straordinario attivismo che proprio negli stessi mesi Gregorio IX manifestò nella lotta antiereticale nella cristianità occidentale, in particolare nelle terre dell'Impero. In Germania il pontefice appoggiò l'opera dei presuli ‒ soprattutto dell'arcivescovo di Magonza ‒ e di Corrado di Marburgo. L'impulso giunse al culmine nel giugno 1233: dando seguito alle notizie allarmate fornite dai prelati locali, con la bolla Vox in Rama il pontefice decise la crociata contro gli eretici dell'arcidiocesi di Magonza, chiamando a parteciparvi sia l'imperatore sia il figlio Enrico, e nello stesso tempo rinnovò ‒ sulla scia di quanto deciso alla fine dell'ottobre 1232 ‒ la crociata contro i ribelli dell'arcidiocesi di Brema, gli stedinghi, che, colpevoli di aver attentato ai diritti e alla libertà della Chiesa locale, ora erano apertamente indicati come haeretici. Nei primi mesi del 1233, contro il rischio di diffusione dell'eresia nel Nord della Francia a partire dalla villa di La Charité, il papa coinvolse i Frati predicatori, tenuti ad agire insieme ai presuli. Contemporaneamente, pure nel Sud della Francia recepì e potenziò l'attività degli stessi frati, già coinvolti da alcuni vescovi, nella ricerca degli eretici.

In tale quadro, dall'aprile 1233 Gregorio IX appoggiò in Italia il movimento religioso della Grande Devozione, o Alleluia, che, sorto in Parma per iniziativa di un predicatore errante, rapidamente monopolizzato dai Predicatori, subito affiancati dai Minori, si diffuse negli altri centri urbani del mondo padano. In alcune città i Frati mendicanti si fecero attribuire dai comuni il compito di riforma degli statuti locali, nei quali essi inserirono ‒ oltre a norme per la moralizzazione dei costumi, contro l'usura e contro le leggi nocive della libertas Ecclesiae, nonché per la pacificazione fra gruppi opposti di cittadini ‒ pure disposizioni antiereticali, a vantaggio principalmente dell'autorità episcopale. Il pontefice assecondò gli sforzi del principale protagonista dell'Alleluia, il predicatore Giovanni da Vicenza, valorizzandone l'attività sia a difesa dell'ortodossia sia nella composizione delle fratture all'interno delle società urbane e tra città: a tale scopo concesse indulgenze perché i fedeli accorressero numerosi alle campagne di predicazione che costituirono il principale strumento d'azione del frate. Di più. Il papa sostenne subito l'impulso dato dai Predicatori ‒ e più che da ogni altro dallo stesso Giovanni ‒ al culto di Domenico di Calaruega, del quale egli comprese e sottolineò le valenze antiereticali, analogamente a quanto fatto l'anno precedente per Antonio da Padova ed Elisabetta di Turingia. Risultato eclatante della mobilitazione dell'Alleluia fu un'improvvisa ondata di pressione sugli eretici, con conversioni, catture e condanne al rogo in massa: per la prima volta, proprio intorno al tema della difesa della fede, si crearono collegamenti tra papato, Chiese locali e classi di governo urbane di orientamento 'popolare'.

Alla fine del 1233 Gregorio IX colse l'eredità della Grande Devozione, rapidamente esauritasi, avviando un negotium pacis et fidei che negli anni seguenti lo impegnò nell'Italia settentrionale e centrale tramite suoi legati. Ripetutamente il papa dichiarò intollerabili i disordini dentro le città e i contrasti tra centri urbani nella Pianura Padana, in Toscana e nelle terre del Patrimonium, con le loro conseguenze rovinose sui diritti delle Chiese, perché favorivano il sorgere e il diffondersi dell'eresia: la priorità della difesa della fede diventò motivo per pretendere dalle autorità comunali che agissero in concordia con Roma e con le Chiese diocesane, condizione indispensabile perché, con la salvaguardia della libertas ecclesiastica, si instaurasse la pace. Insomma, Gregorio IX mise in atto una strategia multiforme e flessibile, che ora, diversamente dalla fine degli anni Venti, oscurò l'immagine dell'eresia quale radice dei mali di cui la Chiesa soffriva, ma dell'eresia fece la ragione decisiva per pretendere l'allineamento delle società locali con le Chiese diocesane e con Roma: una strategia perseguita con strumenti diversi, quali una forte sollecitazione nei confronti delle classi dirigenti cittadine, un rinnovato sforzo dei vescovi, la predicazione specializzata per individuare gli eretici ‒ campo nel quale si distinguevano i Predicatori, come mostra la lettera al provinciale "in Urbe, Regno Sicilie, Campania, ducatu Spoleti et Tuscia" (Firenze, Archivio di Stato, Diplomatico, 23 agosto 1235, S. Maria Novella) dell'agosto 1235 ‒, l'organizzazione di 'penitenti' armati pronti ad agire a sostegno della fede ortodossa: così i milites Iesu Christi di Parma, che, legati sia all'ordinario diocesano sia ai Frati predicatori, per un momento sembrarono proiettarsi in una dimensione italiana. Per la rivalutazione dei ruoli dei legati papali e dei titolari delle cattedre vescovili ‒ quest'ultimo ruolo confermato dai testi riuniti nel Liber Extra, la raccolta di decretali preparata da Raimondo di Peñafort e inviata da Gregorio IX agli scolari di Parigi, Bologna e Padova nel settembre 1234 ‒ tale vicenda pare concordare con quella coeva nel Midi e nel Nord della Francia.

Dal 1236, man mano che Federico II mostrò interesse a rinnovare la sua presenza nella Pianura Padana, la lotta contro gli eretici in Italia assunse caratteri diversi. La tensione crescente tra Papato e Impero coinvolse, con il tema dei rispettivi iura, anche tale ambito: tuttavia il confronto al riguardo si svolse principalmente sul piano della propaganda, mentre le iniziative antiereticali mirate a incidere sul territorio si ridussero. Nel maggio 1237, allorché affidò al priore provinciale di Lombardia l'incarico di nominare alcuni frati che indagassero sugli eretici nella provincia ("perquirere de hereticis et etiam infamatis": Bologna, Biblioteca Comunale dell'Archiginnasio, ms. B 3695, nr. 2), Gregorio IX intendeva elaborare una nuova strada: il documento relativo ‒ pervenuto attraverso l'Archivio dei Domenicani di Bologna ‒ non è mai stato accolto nei registri del papato, nei quali invece hanno trovato spazio altre epistole degli stessi giorni tese a rafforzare l'azione dei Predicatori di Lombardia nella vita religiosa degli enti ecclesiastici esenti da giurisdizione diocesana. Di contro, a Cremona nel maggio 1238, a Verona nel giugno 1238 e a Padova nel febbraio 1239, Federico II pubblicò tre volte una collezione di leggi dell'Impero, comprendente nell'ordine il capitolo De hereticis et Patarenis delle Costituzioni di Melfi, la normativa già emanata a Ravenna nel marzo 1232 contro gli eretici di Germania, la Costituzione contro i patarini promulgata a Ravenna nel febbraio 1232. Nel momento in cui proiettava su tutti i suoi domini disposizioni originariamente rivolte a singole regioni, egli riaffermava da città di antica tradizione imperiale, come Cremona, o di recente acquisizione alla sua parte, come Verona e Padova, le prerogative della propria autorità. Si tratta di atti dalle implicazioni soprattutto ideologiche, cui lo Svevo dava grande pubblicità nelle terre che controllava, giacché la normativa cremonese era giunta in copia fattane sia a Siena sia negli ambienti ecclesiastici di Carpentras, e quella veronese nella copia redatta nell'arcivescovado di Arles. Di lì a poco, con la scomunica di Federico II nel 1239, la parabola dell'azione antiereticale di Gregorio IX nelle terre dell'Impero si chiuse. Lo stesso pontefice e gli ambienti di Curia attenuarono la sensibilità al problema dell'eresia ‒ crimine del quale finì per essere accusato pure lo Svevo ‒ ed elevarono a dimensione escatologica quanto stava accadendo: Federico II ne emerse come eretico per aver disprezzato l'autorità della Chiesa di legare e sciogliere, ma anche, e soprattutto, come figura apocalittica, protagonista di uno scontro rappresentabile con le immagini dei mostri dell'ultimo libro della Bibbia (v. Anticristo/Messia).

Negli anni Quaranta la corrispondenza antiereticale del papato per le terre dell'Impero divenne esigua, mentre proseguì abbondante per le terre del Midi. Il ritrovato accordo tra la Sede Apostolica e Raimondo VII, conte di Tolosa, nel maggio 1241, poco prima della morte di Gregorio IX, aprì la strada a un intervento incisivo dei Frati predicatori nella regione. A sostegno di costoro, e in generale degli inquisitoreshaereticorum di Francia, dal 1243 a più riprese intervenne papa Innocenzo IV (v.), che, a motivo della difficile situazione italiana, aveva trasferito la sua residenza a Lione. In particolare, da subito il pontefice si premurò di precisare le competenze del priore generale dei Predicatori, nonché di coloro che presiedevano alle singole province dell'Ordine, nei confronti dei frati incaricati di inquirere haereticam pravitatem: la disposizione al riguardo, già emanata nel 1244, fu ripetuta e inserita nei registri di Curia del 1246, unitamente ad altra analoga per il ministro generale dei Frati minori. Proprio dal 1246, gli interventi del papato a sostegno della lotta all'eresia nel Midi, nonché in Aragona, diventarono più frequenti. Alle fonti della Curia romana corrisponde la ricchezza dei documenti processuali tramandati dagli archivi locali per gran parte degli anni Quaranta: deposizioni testimoniali e sentenze consentono per la prima volta di seguire l'azione inquisitoriale nel suo farsi, secondo procedure precisate in occasione di concili locali ‒ di rilievo quelli di Tarragona del 1242, al quale partecipò pure Raimondo di Peñafort, o quello di Narbona dell'anno successivo ‒ o ad opera degli stessi inquisitori, come attesta il cosiddetto Ordoprocessus Narbonensis, conservato nella Biblioteca Universitaria di Madrid. A questo punto l'attività inquisitoriale sembra aver abbandonato le caratteristiche del decennio precedente ‒ nel quale prevaleva la caccia a eretici pubblicamente riconosciuti come tali ‒, per assumere i tratti di vera e propria indagine giudiziaria seguita da una sentenza.

Al confronto l'impegno antiereticale della Sede Apostolica nella difesa della fede in Italia risulta di-scontinuo. Una lettera del 1243, contenuta nel registro della corrispondenza del primo anno di pontificato, attesta la volontà di Innocenzo IV di combattere gli eretici di Lombardia e Tuscia: epistole della Chiesa di Roma dell'anno seguente custodite in archivi locali provano che il papato appoggiava l'impegno dei Frati predicatori a tutela dell'ortodossia nelle due regioni. Tuttavia solo nel 1247 il pontefice fece menzione di uno specifico mandato "ad expurgandos hereticos et hereticam pravitatem" (Città del Vaticano, Archivio Segreto Vaticano, Reg. Vat. 21, cc. 433v-434r, nr. 129) affidato a una persona per un'ampia area: a frate Giovanni da Vicenza per la Lombardia. Nulla tuttavia si sa sullo svolgimento dell'incarico. In tale quadro frammentario, nel quale le parole del pontefice sembrano soprattutto delineare progetti, si collocano le prime testimonianze prodotte in Italia da uomini dell'Ordine di Domenico di Calaruega nella difesa della fede. Da un lato in alcuni conventi del Nord Italia furono redatti trattati ‒ o summae ‒ che sistematizzavano e confutavano il pensiero degli eretici a uso di chi li combatteva: queste opere contribuirono a costruire l'identità dei Frati predicatori come esperti di eterodossia. D'altro lato, a Firenze tra il 1244 e il 1245 l'attività antiereticale del predicatore Ruggero Calcagni ‒ già attivo a Orvieto alla fine degli anni Trenta ‒ e dell'arcivescovo Ardingo lasciò traccia in una documentazione non ampia, ma di grande significato: da essa si evince come l'opera inquisitoriale avesse coinvolto a fondo gli schieramenti politici della città e per un attimo avesse messo in discussione i rapporti tra Chiesa locale ‒ sostenuta dal pontefice ‒ e organismo comunale, e di conseguenza tra quest'ultimo e istituzione imperiale. Eppure si tratta di una vicenda che si esaurì nell'arco di pochi mesi. Valenze politiche nel quadro degli equilibri della Toscana caratterizzarono pure la contemporanea iniziativa di Bonfiglio, vescovo di Siena, che incaricò Frati predicatori e minori della sua città dell'"inquisitionem, captionem, temptionem et examinationem hereticorum atque credentium eorumdem" (Siena, Archivio di Stato, Diplomatico, Patrimonio dei resti ecclesiastici, S. Domenico, 1244 gennaio 18, casella 77). Di fatto, le lotte in Italia tra i due vertici della cristianità sembrano aver limitato le iniziative antiereticali di vescovi e frati a una dimensione episodica: il collegamento tra attività a difesa della fede e strategie di influenza politico-ecclesiastica, che aveva connotato il pontificato di Gregorio IX, negli anni Quaranta era venuto meno.

La morte di Federico II nel 1250 segnò una svolta nella riorganizzazione della lotta antiereticale, che allora conobbe un forte e decisivo potenziamento. Tornato da Lione nella penisola, mentre era da poco entrato in crisi il ruolo dei Predicatori nella difesa della fede nel Midi, Innocenzo IV mise in campo una fitta serie di interventi contro gli eretici d'Italia con protagonisti membri del medesimo Ordine. Fin dalle epistole del giugno 1251, l'attenzione fu rivolta all'Italia settentrionale, in particolare a quelle aree in cui erano presenti forze avverse all'influenza della Chiesa di Roma. Quando nelle lettere gli eretici e i loro sostenitori assumono profili più precisi di quelli offerti dai consueti cataloghi, compaiono i nomi di personaggi e forze aspiranti all'eredità politica dell'imperatore, come Ezzelino da Romano, la città di Cremona, o, ancora, il comes Egidio "de Curte Nova" schierato a fianco di Uberto Pallavicini, e dunque partigiano di Corrado IV. Proprio il quadro politico generale rende conto delle difficoltà e delle resistenze incontrate dai Predicatori nell'adempiere il loro incarico in questa fase, che si esaurì con l'estate 1253, pochi mesi dopo la canonizzazione di frate Pietro da Verona, inquisitore ucciso l'anno precedente e subito presentato da Innocenzo IV quale martire per la fede.

Tra fine maggio e inizio luglio del 1254, pochi giorni dopo la morte di Corrado IV, l'azione del Papato riprese con intensità. Ne sono testimonianza le numerose lettere della Sede Apostolica a sostegno degli inquisitori, accolte negli ultimi fogli del registro vaticano dell'undicesimo anno di pontificato di Innocenzo IV, subito dopo l'epistola con la quale il vescovo di Mantova fu incaricato di offrire la riconciliazione ai seguaci italiani del figlio di Federico II (Città del Vaticano, Archivio Segreto Vaticano, Reg. Vat. 23, cc. 134r-140v, nrr. 37-49). Mentre si affacciava l'idea di una 'crociata' a difesa della fede in Lombardia, il papa enunciò una chiara distinzione tra zone di competenza dei Frati predicatori (Lombardia, Marca di Genova, la parte della Romagna comprendente Bologna e Ferrara) e zone affidate ai Frati minori (l'Italia centrale e alcune parti dell'Italia settentrionale).

Il rilancio dell'attività inquisitoriale comportò pure un rinnovato coinvolgimento di tutte le autorità civili. A queste il pontefice inviò norme elaborate a partire da una legislazione alquanto varia: le costituzioni del IV concilio lateranense, quelle di Gregorio IX del 1231, ma anche le disposizioni sulla forza pubblica con funzioni antiereticali introdotte negli statuti di taluni comuni dell'Italia settentrionale alla fine degli anni Venti (bolla Ad extirpanda). Pure la normativa emanata da Federico II nel corso degli anni Trenta fu ripresa e additata a modello (bolla Cum adversus haereticam). Per il papa, insieme alle leggi approntate dalla Chiesa, essa doveva essere introdotta nei corpi statutari comunali e mai più abolita. Dunque, come già aveva cercato di fare Gregorio IX, Innocenzo IV indicò nella disponibilità a seguire i mandati della Chiesa nella lotta contro gli eretici il criterio su cui misurare la legittimità dei poteri civili. A distanza di due decenni, erano le mutate condizioni politico-ecclesiastiche ad aprire nuove prospettive ai disegni della Sede Apostolica. Il richiamo alle costituzioni di Federico II rivela la volontà di impossessarsi di una tradizione, quella imperiale, nel presente in forte difficoltà. Di fatto, le lettere inviate alle città delineano un quadro nel quale i soggetti che contano sono i comuni, i vescovi e gli inquisitori, siano essi Predicatori o Minori. Preminente appare il ruolo degli inquisitori, mentre quello dei presuli passa in secondo piano, divenendo accessorio per l'esercizio di taluni aspetti dell'azione inquisitoriale. In tale situazione, il lavoro degli inquisitori si configura ormai come inquisitionis officium contra haereticos, cioè compito d'ufficio da assolvere secondo modalità che divengono sempre più complesse, così da garantire una continuità nel tempo e un'incisività nelle situazioni locali fino allora impensabili. Indebolitasi l'unica autorità civile ‒ l'Impero ‒ in grado di far valere una propria autonoma competenza nella lotta antiereticale, la direzione di quest'ultima restava alla Chiesa di Roma. Negli anni immediatamente seguenti, la produzione normativa di Alessandro IV e la ripresa dell'inserimento dei testi papali negli statuti comunali sarebbero state il segno del successo della strategia della Sede Apostolica.

fonti e bibliografia

I  testi della Sede Apostolica qui menzionati sono in larga misura conservati presso l'Archivio Segreto Vaticano, nella serie dei Reg. Vat. Qualora inediti, se ne è data l'indicazione archivistica; altrimenti possono essere letti nelle principali collezioni documentarie, anche se è sempre opportuno il confronto diretto con il testimone tràdito. Per le epistole di Innocenzo III si vedano Die Register Innocenz' III., curati oggi dall'Historisches Institut beim Österreichischen Kulturinstitut in Rom e dall'Institut für Österreichische Geschichtsforschung e giunti a includere l'ottavo anno di pontificato.

Per gli anni successivi è ancora necessario ricorrere al Patrologiae cursus completus seu bibliotheca universalis […]. Series Latina, a cura di J.-P. Migne, CCXV-CCXVII, Parisiis 1855.

Per le lettere dei pontefici Onorio III, Gregorio IX e Innocenzo IV cf.:

M.G.H., Epistolae saec. XIII e regestis pontificum Romanorum selectae per G.H. Pertz, I-III, a cura di C. Rodenberg, 1883-1894.

Les Registres de Grégoire IX. Recueil des bulles de ce pape publiées ou analysées d'après les manuscrits originaux du Vatican, I-III, a cura di L. Auvray, Paris 1896-1910; ibid., IV, Tables, a cura di L. Auvray-Mme Vitte-Clémencet-L. Carolus-Barré, ivi 1955.

Les Registres d'Innocent IV publiés ou analysés d'après les manuscrits originaux du Vatican et de la Bibliothèque Nationale, a cura di É. Berger, I, ivi 1884; II, ivi 1887; III, ivi 1897; IV, ivi 1921.

Altri testi di origine ecclesiastica di fine XII e inizio XIII sec. qui richiamati (fra i quali la Ad abolendam di Lucio III) sono reperibili in Texte zur Inquisition, a cura di K.-V. Selge, Gütersloh 1967.

Le epistole papali sparse nei conventi dei Frati predicatori e minori possono essere raggiunte principalmente attraverso le seguenti raccolte:

Bullarium ordinis ff. Praedicatorum, I, Ab Anno 1215 ad 1280, Romae 1729; ibid., VII, Supplementa ab Anno 1215 ad 1280, ivi 1739.

Bullarium franciscanum, I, Ab Honorio III ad Innocentium IIII, ivi 1759.

L. Waddingus, Annales Minorum seu trium ordinum a s. Francisco institutorum, I-III, Ad Claras Aquas 19313.

Epitome Bullarii ordinis Praedicatorum, a cura di V. Ligiez-P. Mothom, Romae 1898.

I testi conciliari sono stati pubblicati in Conciliorum oecumenicorum decreta, a cura di J. Alberigo-P.-P. Joannou-C. Leonardi-P. Prodi, con la consulenza di H. Jedin, Basileae-Barcinone-Friburgi-Romae-Vindobonae 1962.

Per il IV concilio lateranense si utilizzi Constitutiones Concilii quarti Lateranensis una cum Commentariis glossatorum, a cura di A. García y García, Città del Vaticano 1981.

Il Liber Extra è edito in Corpus iuris canonici, II, Decretalium collectiones, a cura di Ae. Friedberg, Lipsiae 18812 (riprod. anast. Graz 1959).

I principali documenti imperiali sono rintracciabili nelle Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, a cura di L. Weiland, in M.G.H., Leges, Legum sectio IV, II, Inde ab a. MCXCVIII usque ad a. MCCLXXII, 1896.

Per le Costituzioni di Melfi si veda Die Konstitutionen Friedrichs II. für das Königreich Sizilien, a cura di W. Stürner, in M.G.H., Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, II, Supplementum, 1996.

La documentazione locale può essere reperita a partire dalla storiografia indicata qui di seguito. Gli studi di storia dell'inquisizione per il periodo considerato si stanno rinnovando profondamente negli ultimi anni.

Se sempre utile risulta la lettura dei classici della storia dell'inquisizione ‒ fra i quali H.Ch. Lea, A History of the Inquisition of the Middle Ages, II, New York 1888 (riprod. anast. ivi 1955).

J. Guiraud, Histoire de l'Inquisition au Moyen Âge, I-II, Paris 1935-1938.

H. Maissoneuve, Études sur les origines de l'Inquisition, ivi 19602 (ediz. orig. ivi 1942) ‒ nonché di studi che hanno segnato momenti importanti delle ricerche ‒ come il volume di Y. Dossat, Les crises de l'Inquisition Toulousaine au XIIIe siècle, Bordeaux 1959, o gli articoli di A. Dondaine ora raccolti in Les hérésies et l'Inquisition, XIIe-XIIIe siècles: documents et études, a cura di Y. Dossat, Aldershot 1990 ‒, per uno sguardo aggiornato delle indagini sull'impegno antiereticale tra XII e XIII sec. nelle diverse aree dell'Europa conviene partire dal volume collettivo Die Anfänge der Inquisition im Mittelalter, mit einem Ausblick auf das 20. Jahrhundert und einem Beitrag über religiöse Intoleranz im nichtchristlichen Bereich, a cura di P. Segl, Köln-Weimar-Wien 1993.

Per la Francia meridionale v. pure:

L. Kolmer, Ad capiendas Vulpes. Die Ketzerbekämpfung in Südfrankreich in der ersten Hälfte des 13. Jahrhunderts und die Ausbildung des Inquisitionsverfahrens, Bonn 1982.

R. Sickert, Dominikaner und Episkopat. Zur Etablierung des Predigerordens in südfranzösischen Bischofsstädten (1215-1235), in Die Bettelorden im Aufbau. Beiträge zu Institutionalisierungs-prozessen im mittelalterlichen Religiosentum, a cura di G. Melville-J. Oberste, Münster 1999, pp. 295-319.

L. Albaret, Les Prêcheurs et l'Inquisition, in L'ordre des Prêcheurs et son histoire en France méridionale, Toulouse 2001, pp. 319-341.

J.H. Arnold, Inquisition and Power. Catharism and the Confessing Subject in Medieval Languedoc, Philadelphia 2001.

M.G. Pegg, The Corruption of Angels. The Great Inquisition of 1245-1246, Princeton-Oxford 2001.

Per la Germania si rinvia a A. Patschovsky, Zur Ketzerverfolgung Konrads von Marburg, "Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters", 37, 1981, pp. 641-693.

B.-U. Hergemöller, Krötenkuss und schwarzer Kater: Ketzerei, Götzendienst und Unzucht in der inquisitorischen Phantasie des 13. Jahrhunderts, Warendorf 1996.

P. Segl, Quoniam abundavit iniquitas. Zur Beauftragung der Dominikaner mit dem negotium inquisitionis durch Papst Gregor IX., "Rottenburger Jahrbuch für Kirchengeschichte", 17, 1998, pp. 53-65.

Per l'Italia cf.:

G. Miccoli, La storia religiosa, in Storia d'Italia, II, Dalla caduta dell'Impero romano al secolo XVIII, 1, Torino 1974, pp. 429-1079, in partic. pp. 671-734.

M. D'Alatri, Eretici e inquisitori in Italia, I, Il Duecento, Roma 1986.

R. Orioli, Eresia e ghibellinismo, in Federico II e le città italiane, a cura di P. Toubert-A. Paravicini Bagliani, Palermo 1994, pp. 420-430.

M. D'Alatri, L'Inquisizione francescana nell'Italia centrale del Duecento. Con il testo del "Liber inquisitionis" di Orvieto trascritto da Egidio Bonanno, Roma 1996; G.G. Merlo, Contro gli eretici. La coercizione all'ortodossia prima dell'Inquisizione, Bologna 1996.

Th. Scharff, Häretikerverfolgung und Schriftlichkeit. Die Wirkung der Ketzergesetze aufdie oberitalienischen Kommunalstatuten im 13. Jahrhundert, Frankfurt a.M.-Berlin-Bern-New York-Paris-Wien 1996.

L. Paolini, Papato, inquisizione, frati, in Il papato duecentesco e gli ordini mendicanti. Atti del XXV Convegno internazionale (Assisi, 13-14 febbraio 1998), Spoleto 1998, pp. 177-204.

A. Piazza, "Heretici ... in presenti exterminati". Onorio III e "rettori e popoli" di Lombardia contro gli eretici, "Bullettino dell'Istituto Storico Italiano per il Medio Evo", 102, 1999, pp. 20-42.

Id., "Affinché ... costituzioni di tal genere siano ovunque osservate". Gli statuti di Gregorio IX contro gli eretici d'Italia, in Scritti in onore di Girolamo Arnaldi offerti dalla Scuola nazionale di studi medioevali, Roma 2001, pp. 425-458.

Id., Stratégies de la parole: paix et hérétiques en Italie dans les Registres de Grégoire IX, in Prêcher la paix et discipliner la société (XIIIe-XVe siècle), a cura di R.M. Dessì, in corso di stampa.

Circa il rilievo dato da Federico II alla lotta antiereticale, oltre ai contributi di A. Piazza sopra citati, costituiscono un punto di partenza:

A. De Stefano, Federico II e le correnti spirituali del suo tempo, Roma 1922.

F. Giunta, La politica antiereticale di Federico II, in Id., La coesistenza nel Medioevo. Ricerche storiche, Bari 1968, pp. 75-79 (già in Atti del Convegno di studi federiciani, Palermo 1950, pp. 91-95).

A. Brusa, Federico II e gli eretici, "Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi di Bari", 17, 1974, pp. 289-326.

K.-V. Selge, Die Ketzerpolitik Friedrichs II., in Probleme um Friedrich II., a cura di J. Fleckenstein, Sigmaringen 1974, pp. 309-343 (quindi in Stupor mundi. Zur Geschichte Friedrichs II. von Hohenstaufen, a cura di G.G. Wolf, Darmstadt 1982, pp. 449-493).

G.G. Merlo, Federico II, gli eretici, i frati, in Federico II e le nuove culture. Atti del XXXI Convegno storico internazionale (Todi, 9-12 ottobre 1994), Spoleto 1995, pp. 45-67 (quindi in Id., Contro gli eretici. La coercizione all'ortodossia prima dell'Inquisizione, Bologna 1996, pp. 99-123).

O. Capitani, La fondazione dell'Università di Napoli e lo studio di Bologna: alcune riflessioni, in Storia, filosofia e letteratura. Studi in onore di Gennaro Sasso, a cura di M. Herling-M. Reale, Napoli 1999, pp. 155-174, in partic. 158-160.

Riguardo la normativa antiereticale della Sede Apostolica si avviino le ricerche da O. Hageneder, Il Sole e la Luna. Papato, impero e regni nella teoria e nella prassi dei secoli XII e XIII, a cura di M.P. Alberzoni, Milano 2000.

La ricca bibliografia sulla Vergentis in senium, che vanta studi fondamentali di O. Hageneder ‒ Studien zur Dekretale "Vergentis" (X. V, 7, 10). Ein Beitrag zur Häretikergesetzgebung Innocenz' III., "Zeit-schrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte. Kanonistische Abteilung", 49, 1963, pp. 138-173: trad. it. La decretale "Vergentis" (X. V, 7, 10). Un contributo sulla legislazione antiereticale di Innocenzo III, in O. Hageneder, Il Sole e la Luna. Papato, impero e regni nella teoria e nella prassi dei secoli XII e XIII, a cura di M.P. Alberzoni, Milano 2000, pp. 131-163 ‒ e di O. Capitani Legislazione antiereticale e strumento di costruzione politica nelle decisioni normative di Innocenzo III, "Bullettino della Società di Studi Valdesi", 140, 1976, pp. 31-53 ‒, è elencata nel saggio di M. Meschini, Validità, novità e carattere della decretale Vergentis in senium(Reg. II, 1)di Innocenzo III (25 marzo 1199), "Bulletin of Medieval Canon Law", in corso di stampa.

Per la legislazione imperiale del 1220 si parta dal saggio aggiornato di M.G. Di Renzo Villata, La Constitutio in Basilica Beati Petri nella dottrina del diritto comune, in Studi di storia del diritto, II, Milano 1999, pp. 151-301.

Per quanto concerne il ruolo dei Frati predicatori nella lotta antiereticale si tengano in particolare considerazione i seguenti contributi: A. Vauchez, Une campagne de pacification en Lombardie autour de 1233. L'action politique des Ordres Mendiants d'après la réforme des statuts communaux et les accords de paix, in Id., Religions et société dans l'Occident médiévale, Torino 1980, pp. 71-117 (già in "Mélanges d'Archéologie et d'Histoire Publiés par l'École Française de Rome", 78, 1966, pp. 503-549: trad. it. Una campagna di pacificazione in Lombardia verso il 1233. L'azione politica degli Ordini Mendicanti nella riforma degli statuti comunali e gli accordi di pace, in A. Vauchez, Ordini mendicanti e società italiana. XIII-XV secolo, Milano 1990, pp. 119-161).

A. Thompson, Revival Preachers and Politics in Thirteenth-Century Italy. The Great Devotion of 1233, Oxford 1992 (trad. it. Predicatori e politica nell'Italia del secolo XIII, Milano 1996);

L. Canetti, L'invenzione della memoria. Il culto e l'immagine di Domenico nella storia dei primi frati Predicatori, Spoleto 1996;

O. Capitani, Gregorio IX, in Enciclopedia dei Papi, II, Roma 2000, pp. 363-380, in partic. pp. 371-374.

Un'introduzione alla manualistica ad uso di chi inquisiva gli eretici è fornita da Th. Scharff, Schrift zur Kontrolle-Kontrolle der Schrift. Italienische und französische Inquisitoren-Handbücher des 13. und frühen 14. Jahrhunderts, "Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters", 52, 1996, pp. 547-584, con i necessari riferimenti bibliografici, soprattutto alle indagini del Dondaine (del quale si veda la miscellanea Les hérésies et l'Inquisition, XIIe-XIIIe siècles: documents et études, a cura di Y. Dossat, Aldershot 1990).

Per le procedure inquisitorie applicate alla repressione della pravità eretica ora costituiscono un punto di riferimento W. Trusen, Der Inquisitionsprozeß: Seine historischen Grundlagen und frühen Formen, "Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte. Kanonistische Abteilung", 74, 1988, pp. 168-230, e Id., Von den Anfängen des Inquisitionsprozesses zum Verfahren bei derinquisitio haereticae pravitatis, in Die Anfänge der Inquisition im Mittelalter, mit einem Ausblick auf das 20. Jahrhundert und einem Beitrag über religiöse Intoleranz im nicht-christlichen Bereich, a cura di P. Segl, Köln-Weimar-Wien 1993, pp. 39-76. Tuttavia si tenga conto pure delle riflessioni, fondate su un'ampia bibliografia, di M. Vallerani, I fatti nella logica del processo medievale. Note introduttive, "Quaderni Storici", 108, 2001, pp. 665-693.

Infine, la recente discussione sulle caratteristiche istituzionali dell'inquisizione può essere ripercorsa partendo dal contributo di R. Kieckhefer, The Office of Inquisition and Medieval Heresy: The Transition from Personal to Institutional Iurisdiction, "The Journal of Ecclesiastical History", 46, 1995, pp. 36-61.

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