INNOCENZO II

Enciclopedia dei Papi (2000)

Innocenzo II

Tommaso di Carpegna Falconieri

Gregorio, nato a Roma nell'ultimo quarto dell'XI secolo, apparteneva a una famiglia del rione Trastevere, in seguito individuata dal cognome "de Papa" o Papareschi. Una inveterata tradizione (ancora condivisa da G. Marchetti Longhi) vorrebbe che questo casato fosse stato già potente al momento dell'elezione di I., e che dunque il papa stesso portasse il cognome Papareschi. Poiché suo padre si chiamava Giovanni, si pensò che Gregorio fosse figlio di un "Iohannes de Paparone", ricordato nelle carte romane della metà del sec. XI; ma si possono avanzare forti dubbi riguardo a questa identificazione. In realtà il rango sociale della famiglia di I. è sconosciuto, e vi è anche chi ha ipotizzato (H. Tillmann) un'origine umile. Appare convincente l'ipotesi secondo cui la famiglia di I., seppure non necessariamente di bassa condizione, non portasse ancora un cognome. Solamente nella seconda metà del sec. XII, i parenti del papa, solidamente impiantati al vertice della società romana, adottarono come nome di famiglia il titolo portato dal loro più illustre congiunto. Non sono note le vicende di Gregorio anteriori alla sua elevazione al cardinalato. Una fonte tarda, ripresa dal Bullarium romanum, lo vorrebbe monaco del cenobio lateranense dei SS. Giovanni Battista, Giovanni Evangelista e Pancrazio, ma l'informazione è di certo almeno parzialmente erronea, dal momento che, alla fine dell'XI secolo, il Laterano non era più servito da monaci. Secondo la stessa fonte, egli sarebbe stato anche abate del monastero benedettino dei SS. Nicola e Primitivo sulla via Prenestina. Probabilmente Gregorio fu invece canonico regolare presso la basilica lateranense, che in quel tempo si trovava inserita nel vasto movimento canonicale guidato da s. Frediano di Lucca (M. Maccarrone, p. 779). La prima notizia certa su di lui corrisponde alla sua più antica sottoscrizione cardinalizia, datata al 24 maggio 1116. Cardinale diacono di S. Angelo in Pescheria, Gregorio fu subito impiegato da Pasquale II per una legazione. Infatti in quello stesso anno lo ritroviamo a Pavia. Nel 1118 è ricordato tra gli elettori di Gelasio II. Trattandosi senza dubbio di un abile diplomatico, Gregorio partecipò a numerose legazioni, impostando una linea di condotta che, divenuto papa, non avrebbe modificato di molto. Lo troviamo così più di una volta a Pisa e a Genova, a tentare di comporre la pace tra le due potenze marinare. Protetto da Callisto II, egli accompagnò il pontefice nel suo peregrinare in Francia e in Italia e, nel 1119, si recò a Metz e a Verdun per incontrare Enrico V. Nel 1121 fu inviato in Francia insieme con il cardinale Pietro Pierleoni, il suo futuro contendente alla Sede papale. Ma la sua abilità diplomatica si mostrò in particolare tra il giugno e il novembre del 1122, quando Gregorio, insieme a Lamberto d'Ostia, trattò la definitiva risoluzione della lotta per le investiture. Essendo uno degli autori del concordato stipulato a Worms nel settembre 1122, egli si confermò uno dei più stretti collaboratori di Callisto II. Protagonista di una seconda e importante legazione francese con Pietro Pierleoni (1123-1124), Gregorio fece la conoscenza di Norberto di Xanten, che si vide riconosciuta e approvata dai due cardinali la Regola per i suoi Canonici Regolari. Tornato a Roma prima del Pierleoni, Gregorio ebbe la possibilità di partecipare all'elezione di Lamberto d'Ostia che, divenuto pontefice con il nome di Onorio II, lo favorì largamente. Sotto il pontificato di quel papa, che "in minoribus" era stato suo collega in più di una legazione, il cardinale rimase stabilmente a Roma e fu insignito della dignità di arcidiacono della Chiesa romana. Al principio di febbraio del 1130, Onorio II, gravemente malato, fu trasportato nel monastero dei SS. Andrea e Gregorio al Celio. Il 7 e l'8 febbraio, essendo circolata la falsa notizia della sua morte, furono saccheggiati i palazzi papali. Si ritenne allora necessario prendere le prime misure per procedere alla nuova elezione. Il 12 febbraio il cardinale cancelliere Aimerico riuscì con abile mossa a far approvare un comitato di otto cardinali, cui fu demandato il compito di eleggere il nuovo papa. Stabilito che la sede preposta alla loro riunione sarebbe dovuta essere la chiesa di S. Adriano, furono inviati due cardinali a verificarne la sicurezza. Ma, avendola trovata fortificata dai Frangipane, i cardinali sostenitori di Pietro Pierleoni, temendo di potervi cadere prigionieri, rifiutarono di accedervi e si ritirarono sia dal monastero di S. Gregorio che dal comitato degli otto elettori. Onorio II morì in quel monastero nella notte tra il 13 e il 14 febbraio del 1130 e gli fu data una sepoltura provvisoria. I. fu eletto nella prima mattina del 14 febbraio, nel medesimo monastero, dai dodici cardinali che erano stati presenti alla morte del papa, i quali erano tutti sostenitori del cardinale Aimerico. Diffusasi la notizia dell'elezione, i cardinali antagonisti di Aimerico, che erano quattordici, si riunirono a S. Marco e, nella tarda mattinata di quello stesso giorno, elessero coram populo il Pierleoni, cardinale di S. Maria in Trastevere, cui imposero il nome di Anacleto II. I cardinali presenti a Roma si erano quasi equamente divisi tra i contendenti. Ma i due pontefici erano stati eletti rispettivamente da circa un terzo del Collegio, poiché molti altri cardinali si trovavano in quel momento fuori dell'Urbe. Questi ultimi, venuti a conoscenza dell'accaduto, si distribuirono tra le due parti, ma riconobbero in maggioranza Anacleto. La legittimità di entrambi i papi, dunque, era seriamente discutibile. La parte innocenziana fondava il suo diritto sul fatto che l'elezione era avvenuta prima di quella di Anacleto e che era stata voluta dalla parte residua del Collegio degli otto elettori, composta da Gregorio stesso e da quattro cardinali, i quali erano stati scelti "per compromissum" e pertanto erano legittimati ad agire. Tra gli elettori, poi, oltre al cardinale cancelliere si contavano quattro cardinali vescovi su sei; questi, secondo il Decretum in nomine Domini del 1059, erano i soli ad avere il diritto di scegliere il papa. Vi erano, pertanto, tutti i presupposti per considerare l'elezione di I. come avvenuta per volontà della "sanior pars". Da parte anacletiana, invece, si gridava all'inganno, affermando che la prima elezione non poteva ritenersi valida, poiché non vi avevano partecipato tutti i cardinali presenti a Roma e in quanto l'elezione stessa era avvenuta in gran segreto, senza l'acclamazione del clero e del popolo romano, con il pontefice defunto ancora insepolto. Questa divisione del Collegio cardinalizio rispecchiava la contrapposizione che, già da due decenni, dilaniava sia la Curia romana che la città di Roma. Una parte del Collegio, quella guidata dal cancelliere francese Aimerico, aveva una visione del papato che, in contrapposizione all'altra parte, potrebbe dirsi universale. Sostenuta dalla tensione riformatrice, attenta alle istanze di rinnovamento che provenivano dai nuovi Ordini (Cistercensi, Premostratensi), la parte di Curia guidata dal cancelliere, definita anche come quella dei "cardinali giovani" e costituita da numerosi elementi transalpini, considerava il concordato di Worms come il suo capolavoro, ovvero come la consolidata piattaforma dalla quale si sarebbe dipanato un proficuo rapporto di collaborazione con l'imperatore. Il nemico da battere, infatti, non era più il sovrano germanico, bensì il principe normanno di Sicilia, che minacciava seriamente i confini meridionali del "Patrimonium". Infine, tale parte, che si potrebbe anche definire, per contrapposizione all'altra, "aristocratica", tendeva ad allacciare rapporti di stretta alleanza con Pisa e con Genova ed era sorretta dalle maggiori famiglie della Campagna romana, prime fra tutte i Frangipane e i Corsi, ovvero quei lignaggi che signoreggiavano sulle coste laziali. Le si contrapponeva la fazione capeggiata dalla potente e recente famiglia dei Pierleoni, che aveva nel cardinale Pietro il suo più influente rappresentante in Curia. In questo allineamento, che per contrapposizione si potrebbe definire "romano", si annoveravano cardinali provenienti dall'Italia centrale e meridionale; vi erano coagulati i ceti cittadini in ascesa economica e gran parte del clero dell'Urbe (tra cui lo stesso cardinale vicario, Pietro vescovo di Porto). Forti della tradizione di autonomia romana, i cardinali di questo partito serbavano una posizione di antagonismo nei confronti dell'Impero. Benché le due fazioni si fossero già fronteggiate in altre occasioni, tuttavia la duplice elezione del 1130 diede senza dubbio il via allo scisma più grave della prima metà del XII secolo. La differenza fondamentale tra questo e gli altri scismi del tempo risiede nel fatto che l'antipapa non fu imposto dall'imperatore o dal popolo romano, ma da una quota rilevante del Collegio cardinalizio. In maniera paradossale, fu proprio il papa che in seguito riuscì vincitore, colui che fece ricorso all'alleanza dell'imperatore e alla sua forza armata; un fatto, questo, che non accadeva più dai tempi di Enrico III. La città si divise immediatamente in due parti. Anacleto II, sostenuto dalla sua famiglia e da buona parte del popolo e del clero romano, riuscì ad occupare S. Pietro, Castel S. Angelo e il Laterano. I., invece, fu obbligato a trincerarsi nel "Palladium", la fortezza dei Frangipane situata sul Palatino, che fu presa d'assalto, ma resistette. Il 22 febbraio I. fu ordinato prete, mentre il giorno 23 entrambi i contendenti vennero consacrati pontefici: Anacleto II in S. Pietro, I. nella basilica di S. Maria Nova che, situata nel circuito fortificato dei Frangipane, era anche la diaconia del cardinale Aimerico. Il 2 marzo successivo, I. scomunicò solennemente Anacleto. Ma, con il trascorrere dei giorni, la parte dell'antipapa si rafforzava, mentre quella di I. si indeboliva. A fine aprile, la defezione di Oddone e Cencio Frangipane obbligò I. a trasferirsi in Trastevere e, di lì, a imbarcarsi su due galee alla volta di Pisa. I., dunque, dovette abbandonare Roma ad Anacleto e comportarsi come un antipapa, vagando per tre anni tra l'Italia settentrionale e la Francia. Il grande vantaggio di I. rispetto al suo rivale fu tuttavia quello di ottenere la fedeltà di quasi tutto il clero regolare d'Occidente: i Cluniacensi, i Camaldolesi, i Cistercensi, i Certosini e i Canonici Regolari delle diverse Congregazioni si schierarono subito dalla sua parte. I., che era stato canonico regolare, proveniva da un ambiente culturale rigoroso e permeato dallo spirito di riforma. Egli proseguì la politica di benevolenza nei confronti del clero regolare che era stata già propria di Onorio II, ma riuscì a conferire ad essa uno slancio e una vitalità senza precedenti. Il periodo compreso tra il suo pontificato e quello di Anastasio IV vide infatti il solido impiantarsi dei Cistercensi in tutta Europa e fu testimone della massima espansione dei Canonici Regolari. I. perseguiva un proposito ancora più radicale, che però non riuscì a realizzare. La sua austera idea di riforma, per la quale la vita regolare era infinitamente superiore a quella secolare, lo spinse a favorire il formarsi di Congregazioni di Canonici Regolari che officiassero tutte nella medesima diocesi o provincia, che sottostessero ad un Capitolo generale (forse mutuato da quello cistercense) e che obbedissero a un priore generale. Dietro queste concessioni si celava l'intenzione di sostituire il clero secolare diocesano con i Canonici Regolari, ovvero di sottomettere i cleri diocesani alla vita comune e regolare. Così, i numerosi benefici concessi a Norberto di Xanten, fondatore dei Premostratensi e, attraverso di lui, alla sua arcidiocesi di Magdeburgo, miravano a porre sotto l'egida della riforma e della vita comune e regolare il potente moto di evangelizzazione che investiva l'Europa nordorientale. Allo stesso modo, la proibizione di eleggere un vescovo senza il consiglio dei religiosi, contenuta nel canone 28 del II concilio Lateranense, è testimonianza dell'intenzione di affiancare i monaci e i Canonici Regolari agli ordinamenti istituzionali secolari, e di contare sul maggior numero possibile di vescovi provenienti dal mondo canonicale e monastico (M. Maccarrone). Benché una tale imposizione del modello di vita regolare non ottenesse effetti durevoli, il favore mostrato dal papato innocenziano al monachesimo riformatore e al mondo canonicale provocò un tangibile rafforzamento del potere pontificio. Attraverso la collaborazione con i Cistercensi e con i Premostratensi, fu infatti ampliata considerevolmente la possibilità, da parte del papa, di far valere la propria autorità nei chiostri e nelle sedi episcopali. Il pontificato di I., con la sua capacità di servirsi del clero regolare per imporre il primato della Sede romana, si può considerare un precursore dei grandi pontificati duecenteschi. Norberto di Xanten e Bernardo di Chiaravalle, due tra le figure più imponenti del XII secolo, furono i fieri sostenitori di Innocenzo II. Egli condivideva con loro la formazione culturale, l'alto ideale di riforma della Chiesa, la propensione per gli ambienti monastici e canonicali, la durezza delle posizioni nei riguardi dell'eresia: le condanne di Abelardo e di Arnaldo da Brescia, nelle quali appare la sintonia di vedute tra Bernardo e I., sono emblematiche. E se da parte del papa non furono lesinati aiuti e privilegi, è vero anche che il riconoscimento universale di I., come anche la sua vittoria finale su Anacleto, sono da ascriversi principalmente all'operato di quei due santi. Durante l'estate del 1130, mentre il papa risaliva da Pisa a Genova e i suoi legati raggiungevano la Francia, il re Luigi VI, che ancora non aveva preso posizione nei riguardi dello scisma, fece convocare un concilio ad Étampes, affinché il clero francese si schierasse. Bernardo, assertore accanito della legittimità di I., fu presente al concilio e, orientando il dibattito sulle qualità morali dei contendenti anziché sulla legittimità dell'elezione, riuscì a convincere il clero di Francia a riconoscere Innocenzo II. Poco più tardi, il pontefice, passando per Cluny e raggiungendo l'Alvernia, poté celebrare un suo primo concilio, che si tenne a Clermont il 18 novembre 1130 e nel quale egli inaugurò il suo programma di riforma, tramite l'emanazione di canoni concernenti essenzialmente la disciplina ecclesiastica. Permanendo in Francia, con Bernardo sempre al suo fianco, I. strinse saldi legami con il re, che incontrò a St-Benoît-sur-Loire e dal quale fu scortato fino a Orléans. Enrico I re d'Inghilterra, che si trovava in Normandia, volle incontrarlo a Chartres e gli giurò fedeltà (13 gennaio 1131). Nel frattempo, con il sinodo di Würzburg (ottobre 1130), Norberto, arcivescovo di Magdeburgo e cappellano imperiale, gli aveva garantito l'alleanza dell'Impero. Il 22 febbraio 1131 I. tenne un concilio a Liegi, nel quale fu scomunicato Corrado III di Svevia, rivale di Lotario di Supplimburgo. Il mese seguente vi incoronò lo stesso Lotario insieme alla moglie Richenza. Se il papa aveva subito riconosciuto (maggio 1130) la legittimità di Lotario contro Corrado III, perché questa era la linea già seguita dal suo predecessore Onorio II, il pur tardivo riconoscimento di I. da parte di Lotario, esitante per alcuni mesi fra lui e Anacleto, fu invece il risultato politico più importante ottenuto da I., poiché si accompagnò alla promessa di una discesa imperiale in Italia, la quale avrebbe consentito al pontefice di fare ritorno a Roma. In definitiva, l'itineranza dei primi anni di pontificato fu una delle ragioni della vittoria finale di I., poiché gli permise di entrare in contatto diretto con i sovrani dei Regni settentrionali e di essere formalmente riconosciuto da essi. La sua vicenda francese ebbe una conclusione solenne nel concilio di Reims (18-26 ottobre 1131) nel quale, alla presenza di cinquanta vescovi e di trecento abati provenienti da Francia, Inghilterra, Germania, Castiglia e Aragona, I. ribadì le scomuniche contro i nemici della Chiesa, confermò numerose disposizioni in materia di disciplina ecclesiastica e ricevette le attestazioni d'obbedienza. Durante il concilio, il 25 ottobre, il papa consacrò re il piccolo Luigi VII, vivente ancora il padre di lui. Alla fine del 1131, dunque, tutta l'Europa si era ormai schierata apertamente. I. era stato riconosciuto dall'Impero, dalla Francia, dall'Inghilterra, dai Regni cristiani di Spagna, da Pisa e da Genova. Anacleto II poteva contare sulla fedeltà della Scozia, dell'Aquitania, del Regno di Sicilia, di numerose città dell'Italia settentrionale (tra cui Milano e Aquileia) e del Patrimonio di S. Pietro. I., dopo aver a lungo esortato Lotario a scendere in Italia per cacciare Anacleto e il principe normanno, passò le Alpi nell'aprile 1132, non appena fu certo dell'arrivo imminente del sovrano germanico. Il 13 giugno, con il concilio di Piacenza, egli prese a diffondere in Italia le disposizioni canoniche che già aveva emanato nei concili francesi. Nel frattempo intensificò la sua lotta contro i seguaci di Anacleto, al fine di portare l'Italia intera sotto la sua obbedienza. Bernardo di Chiaravalle fu incaricato, tra il 1133 e il 1138, di tre missioni in Italia, atte a guadagnare nuovi alleati. Alla politica di grande favore rivolta alle Congregazioni dei Canonici Regolari, I. associò una chiara propensione a sostenere le città a lui più fedeli, tra le quali primeggiavano Pisa e Genova, che erano in guerra tra loro e alle quali impose la pace. Per riuscire vittorioso, I. non esitò a scardinare il reticolo territoriale ecclesiastico che da secoli si era cristallizzato in Italia. Per esaltare la dignità di Genova e portarla allo stesso livello di Pisa, e specialmente per nuocere a Milano, che era scismatica, il papa eresse in arcidiocesi la diocesi di Genova (19-20 marzo 1133), riducendo così notevolmente il territorio sottoposto al metropolita milanese. Anche Pisa, l'"urbs fidelis", che dal 1135 era in guerra con il re di Sicilia, nel 1138 si vide considerevolmente aumentata l'estensione dell'arcidiocesi. I. si mosse con durezza nel Lazio, accordando l'esenzione ai monasteri che gli erano fedeli, in modo da creare serie difficoltà ai vescovi, che erano tutti anacletiani. Dopo l'incontro con Lotario, avvenuto a Roncaglia nel novembre 1132, I. poté scendere in Toscana. Da lì, ben difeso dalle truppe imperiali, egli fece il suo ingresso a Roma (30 aprile 1133). La mancanza di coesione nella fazione di Anacleto e gli antagonismi fra i lignaggi cittadini facilitarono le cose, e gran parte della città cambiò partito. Anacleto, però, riuscì a mantenere sotto il suo controllo S. Pietro e soprattutto Castel S. Angelo, nel quale si asserragliò senza tentare offensive. Il 4 giugno Lotario e la sua consorte furono incoronati imperatori nella basilica di S. Giovanni. Quindi l'imperatore fu investito del possesso dei beni allodiali della contessa Matilde, per un periodo corrispondente alla vita di lui e di suo genero Enrico di Baviera (8 giugno). Ma Lotario, che pure aveva giurato il rispetto delle consuetudini della città, dovette allontanarsene di lì a pochi giorni, a causa di un grave tumulto contro di lui. I., rimasto senza l'appoggio delle milizie imperiali, non poté resistere che poche settimane e fu costretto ad abbandonare nuovamente l'Urbe, per recarsi a Pisa. I., pertanto, fu padrone di Roma solamente per qualche mese. Tuttavia, l'intervento imperiale in Italia e la perseverante attività di negoziato che veniva portata avanti, aprivano brecce sempre più ampie nello schieramento anacletiano. Bernardo di Chiaravalle, inviato a Milano, riuscì nel 1134 a portare la città dalla parte di Innocenzo II. Nel grande concilio di Pisa (maggio-giugno 1135), alla presenza di centotredici vescovi e abati di varie parti d'Europa, I. inasprì le misure da attuarsi contro i suoi avversari, depose alcuni vescovi scismatici e promulgò numerose disposizioni in materia di disciplina ecclesiastica. Dovevano però trascorrere ancora due anni prima che il papa potesse considerarsi certo della vittoria. Egli, infatti, era impossibilitato ad agire senza il sostegno dell'imperatore, ma Lotario si fece attendere fino alla primavera del 1137. La Dieta di Bamberga, che aveva pacificato la Germania, consentì a Lotario di scendere per la seconda volta in Italia. Mentre l'imperatore, passando per le terre adriatiche, si spingeva fino in Puglia e sbaragliava le truppe normanne, il papa, discendendo parallelamente lungo il Tirreno fino nel Lazio, poté ottenere il controllo del Patrimonio. Raggiunto l'imperatore nelle terre meridionali e riacquistata Benevento, il 1° novembre 1137 egli poté rientrare definitivamente a Roma, che nel frattempo si era nuovamente volta a lui quasi per intero: solamente S. Pietro rimaneva ancora nelle mani di Anacleto. Nonostante la morte di Lotario (4 dicembre 1137), Ruggero II di Sicilia, piegato militarmente, accolse la richiesta di Bernardo di Chiaravalle di presenziare ad un dibattito nel quale tre cardinali anacletiani e tre cardinali innocenziani avrebbero difeso le loro posizioni. La disputa, svoltasi a Salerno nel dicembre di quell'anno, non convinse il sovrano di Sicilia, ma rappresentò un'autentica vittoria di I., poiché numerosi cardinali antagonisti, tra i quali il celebre canonista Pietro da Pisa, mutarono partito. La morte di Anacleto II (25 gennaio 1138) fu l'inaspettata premessa a una rapida conclusione dello scisma. L'antipapa Vittore IV, eletto verso la metà di marzo, non sedette che per due soli mesi, durante i quali la fazione anacletiana cercò di trattare onorevolmente la propria resa. Il 29 maggio 1138 Vittore IV si prostrò ai piedi del papa, giurandogli obbedienza insieme ai Pierleoni. Più di una fonte narra che I. avrebbe assicurato il suo perdono a coloro che fossero rientrati nell'ortodossia. Ma altre testimonianze affermano che il pontefice, desideroso di estirpare alla radice ogni memoria dello scisma, fu duro con i perdenti. I cardinali anacletiani furono deposti. Tra questi si annovera anche Pietro da Pisa, la cui deposizione, immediatamente successiva al II concilio Lateranense, suscitò l'indignazione di Bernardo di Chiaravalle, che rimproverò al pontefice la sua intransigenza. Nel Lazio meridionale e a Benevento, territori che, direttamente soggetti al papa, avevano appoggiato Anacleto, I. procedette a numerose sostituzioni di vescovi. Anche a Roma egli dovette intraprendere una politica di rigore, testimoniata ad esempio dall'obbligo del giuramento imposto allora ai giudici e agli avvocati, ricordato nel Liber pontificalis. La "renovatio senatus", che sarebbe seguita di lì a pochi anni, può trovare una sua spiegazione anche nel generale malcontento nutrito dai Romani nei confronti delle soluzioni drastiche adottate dal pontefice. Nei giorni dal 3 all'8 aprile 1139, durante la Quaresima, I. presiedette a Roma un importante sinodo, convocato già nel corso dell'anno precedente. Vi parteciparono almeno cento vescovi, arcivescovi e patriarchi, provenienti anche dai territori franchi d'oltremare, ed un numero imprecisato di abati. Concepito allora come un sinodo metropolitano, la quantità degli intervenuti e la rilevanza delle norme stabilitevi portarono a considerarlo, nei decenni successivi, un concilio ecumenico, che prese il nome di II concilio Lateranense. Il papa e i padri conciliari celebrarono la ritrovata unità della Chiesa, condannando una volta per tutte lo scisma e cassando le ordinazioni fatte da Anacleto. La Cronaca di Morigny ha tramandato il discorso che fu pronunciato da I. in occasione della prima seduta, il quale è estremamente importante per lo sviluppo dell'ecclesiologia del primato romano che vi si coglie. Il papa affermò infatti che solamente il consenso del pontefice romano conferisce titolo legittimo alla detenzione degli onori ecclesiastici. Dopo aver attaccato con forti parole i prelati scismatici (la cui presenza al concilio ne attestava tuttavia il riallineamento), il papa li chiamò per nome e li spogliò delle insegne della loro dignità. Fu inviato un legato in Francia e in Aquitania, affinché si procedesse a una sistematica distruzione, ricostruzione e riconsacrazione degli altari già consacrati dagli scismatici. Ruggero II, che aveva ripreso la guerra, fu nuovamente scomunicato. Allo scopo di riorganizzare la gerarchia ecclesiastica dopo il lungo scisma, furono prodotte numerose norme, in gran parte riprese dai precedenti sinodi innocenziani e dal dettato del I concilio Lateranense. Attraverso i trenta canoni del concilio, I., che dominò il dibattito con il suo ascendente personale, compose una "summa" che andò a coronare la sua ampia attività di legislatore. Nel corso del concilio fu nuovamente imposta una disciplina ecclesiastica severa e si intervenne con rigore sulla moralità del popolo cristiano, proibendo l'usura, gli incendi volontari, l'uso delle balestre, lo svolgimento dei tornei, gli attentati contro il clero. Nella sempre radicale opposizione tra clero e laicato, il concilio si scagliò contro le investiture laiche, contro la simonia, contro il clero concubinario e uxorato. Pochi mesi dopo la celebrazione del concilio, il papa era di nuovo in guerra. Scendendo fino ai confini meridionali del Patrimonio con un numero considerevole di armati, I. intendeva trattare con Ruggero II la restituzione del Principato di Capua al suo sovrano, il principe Roberto. Il re di Sicilia, che stava conducendo la campagna per recuperare la Puglia, accorse immediatamente con tutto l'esercito. Dopo otto giorni di parlamentari, l'assalto dato dalle truppe papali al castello di Galluzzo provocò la battaglia campale (22 luglio), nella quale Ruggero, riuscendo vincitore, prese prigionieri il papa e alcuni cardinali, tra i quali anche il cancelliere Aimerico. Pochi giorni dopo, il 27 luglio, fu ratificato un trattato a Mugnano. Con esso Ruggero II, dietro prestazione dell'omaggio feudale e il versamento di un censo annuo, si vide riconosciuto il dominio sulla Sicilia e il titolo di re, mentre i suoi due figli ebbero il Ducato di Puglia e il Principato di Capua. Nel 1141-1142 nacque un contrasto con la Corona francese a causa dell'elezione dell'arcivescovo di Bourges. Il papa, infatti, desiderava quella dignità per Pierre de la Châtre, cugino del cardinale Aimerico, mentre il re l'aveva assegnata al suo cancelliere Cadurc. Avendo il re proibito l'ingresso in Francia al candidato pontificio, I. lanciò l'interdetto sull'intero Regno. Gli ultimi anni del pontificato di I. furono testimoni di una ripresa culturale nella città di Roma, nella quale il papa risiedeva ormai continuativamente. A quel periodo appartengono le biografie pontificie di Pandolfo Pisano, che diedero nuovo lustro al Liber pontificalis, e la redazione del Liber polipticus da parte di Pietro Canonico, che costituisce una delle opere alla base del Liber censuum di Cencio Camerario, della fine del secolo. Le tracce più significative della vitalità culturale romana, intesa come recupero della tradizione, si rinvengono nelle basiliche di S. Maria in Trastevere e del Laterano, nelle quali I. intraprese imponenti lavori. S. Maria in Trastevere, della quale Anacleto II era stato cardinale, fu ricostruita dalle fondamenta, quasi a lavare via ogni traccia del suo precedente titolare. Da allora, e per tutto il XII secolo, è dato di ritrovarvi diversi canonici e cardinali appartenenti alla famiglia Papareschi. Nel mosaico posto nel catino absidale della basilica, che rappresenta un'allegoria dell'unità della Chiesa vittoriosa sugli scismi, si trova il ritratto di Innocenzo II. Il manifesto di vittoria e di esaltazione del papato era altrettanto visibile in una sala del patriarchio lateranense, in cui il pontefice fece eseguire un importante ciclo di affreschi, del quale si conservano solamente copie secentesche. In distinti pannelli erano ieraticamente ripetute le scene del trionfo dei grandi papi dell'XI e XII secolo sui piccoli antipapi. Un pannello si distingueva dagli altri, mostrando l'incoronazione di Lotario di Supplimburgo per mano di Innocenzo II. L'iscrizione appostavi, nella quale si leggeva che l'imperatore "homo fit papae", introduce il sospetto che l'imperatore avesse prestato un omaggio feudale al papa, ma è probabile che si riferisse non al momento dell'incoronazione, bensì a quello dell'infeudazione dei beni matildici. Il rapporto tra il papa e i cittadini romani, che probabilmente era rimasto difficile anche dopo la fine dello scisma anacletiano, si guastò definitivamente a causa della guerra contro Tivoli. Nel 1141, infatti, i Romani, forti dell'aiuto del papa, che aveva scomunicato i Tiburtini, intrapresero la guerra contro la vicina città. In seguito il papa stesso intervenne militarmente, ma il 12 giugno 1142 subì una dura sconfitta. Infine il 7 luglio 1143 l'esercito romano riportò una vittoria schiacciante. Benché I. continuasse a sostenere i Romani, egli fu accusato di non avere approfittato della situazione, che avrebbe consentito la distruzione della città nemica, e di essersi invece accontentato del riconoscimento formale della sua sovranità. Questo fatto, unito al timore con cui i Romani consideravano l'accordo ormai raggiunto tra il pontefice e il re di Sicilia, scatenò la rivolta, che deflagrò tra il luglio e il settembre 1143. I. morì il 24 settembre, mentre la città versava in uno stato di grave tensione, preludio alla "renovatio senatus" dei mesi immediatamente successivi. I. fu tumulato in Laterano, in un sarcofago di porfido che sarebbe stato, secondo la tradizione, quello dell'imperatore Adriano. Il crollo del tetto della basilica (1308) provocò lo spezzarsi del sepolcro; le spoglie del pontefice furono allora traslate a S. Maria in Trastevere, dove ebbero, nel tempo, tre sepolture differenti.

fonti e bibliografia 

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