INNESTI e TRAPIANTI

Enciclopedia Italiana (1933)

INNESTI e TRAPIANTI

Pasquale PASQUINI
Pericle PERALI
Giovanni RAZZABONI

. Biologia. - Con questi termini si indicano nelle ricerche sperimentali di zoologia e di embriologia, speciali tecniche che hanno reso possibile il congiungimento permanente di due animali o di loro parti o il trasferimento di un frammento più o meno esteso di tessuti o di un intero organo di un animale su un altro o sullo stesso animale in sede simile o diversa da quella originaria, con lo scopo: a) di sostituire parti mancanti; b) d'indagare le varie reazioni dell'individuo porta-innesto (embrione o adulto) alla presenza del pezzo innestato; c) di studiare il comportamento funzionale di organi asportati dalla loro sede normale; d) di stabilire, nello studio della meccanica dello sviluppo dei Vertebrati e degl'Invertebrati, le correlazioni esistenti fra gli abbozzi dei varî organi durante i processi di determinazione (v.) e di differenziamento (v.); ecc. Risulta chiara perciò l'importaoza dell'introduzione di questi metodi nello studio di varî problemi della morfologia, della fisiologia, dell'embriologia. Per quanto i due termini, innesti e trapianti, siano usati, ma inesattamente, come sinonimi, a essi corrispondono due diversi tipi di operazione. Mentre infatti negl'innesti rientrano anche le fusioni d'individui interi (Protozoi, Idre, Planarie, ecc.), il termine di trapianto si usa in significato più ristretto per indicare che una determinata parte di un organismo viene, in seguito all'operazione, a essere trasferita sullo stesso individuo in altra sede (trapianto autoplastico o autoinnesto) o nella stessa sede o in sede diversa su un altro individuo.

Se l'innesto o il trapianto si compie fra due individui, uno di essi si denomina innesto, donatore o datore, l'altro porta-innesto o ospite; si potrà così verificare il caso che i due individui appartengano alla stessa specie o alla stessa razza (trapianti o innesti omoplastici); siano di razze differenti (trapianti o innesti alleloplastici); di specie diverse (trapianti o innesti eteroplastici); di diverse classi (trapianti diplastici o xenoplastici), termini che nella classificazione di A. Giard (1896) e di L. Loeb (1921) per gl'innesti, corrispondono agli autoinnesti (sullo stesso individuo); singenesioinnesti (tra individui derivati dalla stessa discendenza); omoinnesti (tra individui della stessa specie); eteroinnesti (tra individui di specie diversa); omologhi (fra individui dello stesso sesso); eterologhi (di sesso opposto).

Numerose e assai varie questioni, che si riferiscono tanto agli embrioni quanto agli adulti, sorgono dallo studio dei problemi affrontati con questi metodi, così come varie sono le tecniche applicate per gl'innesti e per i trapianti nei differenti gruppi zoologici. Gl'innesti e i trapianti sullo stesso individuo o su individui della stessa specie attecchiscono molto più facilmente che su animali di specie diverse, per le affinità nel chimismo fra parte innestata e organismo che la riceve. Negli eteroinnesti si manifesta invece una incompatibilità che conduce talvolta a reazioni tali del porta-innesto (ad es., infiltrazioni mesenchimali o connettivali), da compromettere seriamente il destino del pezzo innestato o trapiantato. Questa incompatibilità, che è derivata dai varî chimismi specifici, mentre nei Mammiferi e negli Uccelli si manifesta in alto grado se si tratta di adulti, si riduce al minimo nei primi stadî del loro sviluppo diventando quasi insignificante nelle operazioni compiute su Invertebrati, o su Vertebrati inferiori (Anfibî e Pesci). In questi animali è infatti possibile compiere innesti e trapianti non soltanto eteroplastici, ma anche diplastici o xenoplastici. Negli embrioni di Anfibî o nelle larve e negli adulti di questi stessi animali, infatti, possono rispettivamente trapiantarsi abbozzi di organi o organi già differenziati, i quali nelle nuove sedi d'impianto attecchiscono, si differenziano, crescono; ed è anche possibile congiungere in unione permanente due individui (due embrioni, ad es., testa a testa), che si sviluppano fusi insieme; negli animali a sangue caldo (Uccelli e Mammiferi), invece, gl'innesti riescono assai più difficili sia per le difficoltà conseguenti alle affinità dei sangui, sia per la necessità di far contrarre ai due individui uniti rapporti vascolari e nervosi. Simili condizioni si realizzano nell'unione a innesto siamese o parabiosi nella quale due individui uniti fianco a fianco mediante ponti vascolarizzati e innervati, contraggono reciprocamente rapporti trofici, ciascun individuo menando però una vita indipendente da quella dell'altro. Innesti a tipo parabiotico sono stati eseguiti e studiati nei Vertebrati (ratti, conigli, polli, Anfibî anuri e urodeli) e negl'Invertebrati (idre, lombrico, pupe di farfalle, ecc.).

Trapianti e innesti nei vari gruppi animali. - Nei Protozoi le operazioni d'innesto riescono assai facilmente per la stessa natura e consistenza del corpo protoplasmatico: si possono così determinare fusioni di masse protoplasmatiche derivate da un individuo con frammenti di plasma dello stesso o di un altro individuo (Difflugia, Foraminiferi, Eliozoi). I frammenti ottenuti per merotomia si possono far fondere con altri frammenti e, come è stato osservato, la fusione avviene sempre per la parte midollare dei plasmi. Dove la tecnica degl'innesti ha avuto più larghe applicazioni è nello studio dei problemi della rigenerazione (v.), della polarità, della regionalità di un organismo, della regolazione di sue parti isolate; dei gradienti assiali; dei centri di determinazione e d'induzione ecc., come nei Celenterati (Idra e Idroidi), nei Turbellarî (Planarie), negli Anellidi (Lumbricidi). Si possono congiungere questi animali o i loro frammenti, derivati dai varî livelli del corpo, trapiantarli da un individuo sull'altro, con varî metodi tecnici che ebbero a iniziatore il Trembley (1740), con le sue ormai classiche esperienze sulle idre. Fusioni conseguenti a innesti sulle uova e sugli embrioni di Echinodermi sono state realizzate da Driesch (1910), Goldfarb (1913), Runnström (1920), von Ubisch (1925), ecc., e, sugli adulti, principalmente dallo Przibram (1901). L'applicazione della tecnica dei trapianti sugl'Insetti servì a chiarire importanti problemi relativi alla genesi del pigmento delle ali (Crampton, 1899), e tale metodo è stato applicato soltanto recentemente per lo studio della determinazione del loro disegno. Altri autori (Kopec, 1910; Klatt, 1919, ecc.), operando sui bruchi, hanno portato un notevole contributo alle molte questioni relative alla determinazione dei caratteri sessuali secondarî (v. sesso). Anche nei Tunicati - sebbene soltanto di recente - il metodo degl'innesti è stato applicato (Harrison e Pasquini, 1930) con risultati insperati. Nelle Ascidie (Clavelina) sono stati infatti eseguiti innesti del sacco branchiale isolato al fine di studiare la polarità dei suoi varî assi. La formazione di mostri doppî - a doppio sacco viscerale e sacco branchiale unico o con sacco viscerale unico e doppio o triplo sacco branchiale - ha dimostrato, in questi casi, la permanenza della polarità originaria nelle due metà del cestello branchiale fuse in direzione opposta, mentre in casi eccezionali si è verificato, almeno in uno dei componenti l'innesto, l'inversione della polarità o eteromorfosi (rigenerazione).

Trapianti e innesti embrionali. - Gli embrioni di Anfibi hanno fornito un materiale adattissimo all'applicazione di speciali tecniche di trapianto e d'innesto fin da quando G. Born (1894-1896) iniziò quella ormai classica serie di operazioni sugli Anuri che poi furono estese e perfezionate da R. G. Harrison (v.) e H. Spemann (v.) sugli Urodeli. Gli Anfibî si prestano assai bene, per molte ragioni, a queste ricerche. Si operano di trapianto o d'innesto i più vari stadî a seconda degli scopi: blastule, gastrule, stadî di bottone codale o stadî ancora più avanzati. Negli embrioni di pollo le operazioni di questo genere hanno dato finora risultati poco soddisfacenti se compiute sullo stesso embrione (autoplasticamente), mentre ottimi risultati si sono raggiunti trapiantando porzioni del blastoderma o di territorî presuntivi di varî organi sulla membrana corioallantoidea di un altro embrione al settimo o ottavo giorno d'incubazione. La tecnica dei trapianti embrionali nel pollo risale ai lavori di Peebles (1898), ma soltanto con le ricerche del Murphy (1916), del Dančakov (Danchakoff, 1916), del Hoadley (1926), del Willier (1924), si sviluppò per uno studio concreto dell'organizzazione embrionale. Negli embrioni di Mammiferi (ratto, coniglio) le operazioni d'innesto abbisognano di un'asepsi rigorosissima e si possono eseguire sia su embrioni di pollo, sia sugli stessi embrioni di Mammiferi. Sono esperimenti tuttavia ancora poco numerosi e nella fase iniziale di prova; alcuni interessano la patologia generale, e sono rivolti a indagare il comportamento d'innesti di sarcoma (Jensen) del ratto sul pollo (Murphy, 1913), altri (Nicholas, 1925) hanno per fine quello d'illustrare lo sviluppo di abbozzi di organi (arto, occhio) trapiantati in embrioni o in feti entro l'utero materno. Si devono appunto al Nicholas i primi tentativi di applicazione di questo metodo embriologico sperimentale agli embrioni di Mammiferi.

Dal complesso di queste ricerche condotte a mezzo di trapianti embrionali e specialmente da quelle numerosissime compiute sugli Anfibî, in particolare per opera delle scuole del Harrison e dello Spemann, è nato tutto un nuovo indirizzo nell'embriologia moderna, rivolto allo studio della determinazione del differenziamento precoce e tardivo dei varî organi, e all'analisi dei fattori che guidano e regolano questo differenziamento. Questo stesso metodo ha permesso d'illustrare, da un punto di vista causale, lo sviluppo dei più varî organi: occhio, orecchio, arto, rene, abbozzo branchiale, cuore, ecc. (v. embriologia, XIII, p. 873 segg.).

Trapianti e innesti post-embrionali e negli adulti. - Nei Vertebrati sono stati compiuti trapianti e innesti di varî tessuti e dei più diversi organi: pelle, tiroide, ipofisi, gonadi, tessuti embrionali, organi di senso (occhio), ecc., ma l'attecchimento dell'innesto, nei Mammiferi e negli Uccelli, si verifica soltanto per gli autoinnesti. Innesti autoplastici, ad es., hanno contribuito allo studio della determinazione e della specificità della pelle, dando luogo a una vasta sperimentazione nei Pesci, negli Anfibî, nei Rettili e negli Uccelli. Ben note a questo proposito le esperienze del May (1924) su Sauri del gen. Anolis, che analogamente ai Camaleonti, mutano di colore sul dorso: trapianti di pelle del dorso in sostituzione di pelle del ventre chiara, hanno messo in evidenza come la pelle trapiantata perda, nella nuova sede, la facoltà di cambiar colore, riacquistandola soltanto dopo un certo tempo (anche dopo un mese) dall'operazione. Studî simili sono stati eseguiti sugli Uccelli (Gallinacei) per indagini sulla specificità del piumaggio nelle differenti razze e sulla determinazione nella formazione delle penne. Si operano d'innesto i pulcini poco dopo la schiusa (metodo del Danforth, 1929); con grande frequenza il trapianto viene riassorbito dai tessuti dell'ospite di razza diversa; ma quando il frammento impiantato attecchisce, si sviluppano da esso piume e penne che mantengono i caratteri della razza da cui il frammento proviene, ma che assumono i caratteri sessuali secondarî del sesso dell'ospite. Questo gruppo di esperimenti ha portato quindi un vasto contributo allo studio dei fattori genetici ed endocrini determinanti i caratteri del piumaggio.

Gl'innesti di gonadi - su Anfibî, Uccelli e Mammiferi - che inducono profondi cambiamenti sull'ospite dell'innesto, hanno permesso di mettere in chiaro l'influenza esercitata dalle secrezioni degli ovarî e dei testicoli sulla comparsa dei caratteri sessuali secondarî (v. sesso). Si ricordano, a questo proposito, le esperienze di Aron (1925), di Guyénot e Ponse (1923) sugli Anfibî, di Guthrie (1907-1910), di Davenport (1911) ecc., sugli Uccelli, di Steinach (1910-1920) sui Mammiferi.

Bibl.: H. Przibram, Tierpfropgung. Die Transplantation der Körperabschnitte, Organe und Keime, Viewey 1929; E. Korschelt, Regeneration und Transplantation, II: Transplantation unter Berücksischtigung der Explanation; Pflanzenpfropfung und Parabiose, Berlino 1931; R. M. May, La transplantation animale, Parigi 1932.

Chirurgia. - In senso più strettamente chirurgico, l'innesto è il trasporto di un frammento o d'una porzione più o meno ampia di tessuto o di organo (talvolta d'un organo intero) da un territorio all'altro dell'organismo animale - e talora da animale ad altro animale - senza che sussistano connessioni vascolari immediate. Nel trapianto, invece, si mantengono o s'effettuano rapporti circolatorî immediati sia per la conservazione d'un peduncolo vascolare sia per la realizzazione d'un dispositivo anastomotico fra determinati tronchi vascolari dell'ospite e quelli principali del tessuto o organo trapiantati. Nella pratica chirurgica si ricorre a questa specie d'operazione quando esistano a carico di tessuti o di organi perdite di sostanza, altrimenti non guaribili, o guaribili troppo lentamente, o capaci di produrre, se lasciate riparare spontaneamente, gravi deformità o notevoli turbe funzionali. Indicazioni all'innesto o al trapianto possono pure essere rappresentate dalla distruzione parziale o totale di organi funzionalmente indispensabili, talora anche congenitamente assenti o atrofici.

Dal punto di vista biologico gl'innesti e i trapianti si distinguono in autoplastici, omoplastici ed eteroplastici a seconda che l'imprestito provenga dallo stesso individuo, da un altro individuo, ma della stessa specie, oppure da un individuo di specie diversa. Per quanto riguarda l'attecchimento d'un innesto vivo, le probabilità di successo sono in ragione diretta dell'affinità biologica fra ospite e tessuto o organo trasportato; massime, per quanto di fatto sempre ridotte, nell'innesto o nel trapianto autoplastico, sono minime in quello eteroplastico. Invero, il fenomeno dell'attecchimento è di natura squisitamente vitale, fondandosi sulla possibilità, da parte degli elementi cellulari dei tessuti o organi trasportati, di continuare a vivere nella nuova sede prescelta, di potere, cioè, svolgere quivi tutte quelle funzioni che sono attributo degli elementi cellulari viventi: attività di ricambio, attività di ordine secretorio, riproduzione, ecc. Indipendentemente dalla natura e dalle esigenze vitali del tessuto o organo trapiantato o innestato, le possibilità di attecchimento sono subordinate a fattori assai differenti che variano dalle affinità umorali, e cioè biochimiche, dei succhi d'imbibizione propri dell'innesto o trapianto, con quelli dell'ospite, alla varia capacità neoformativa di nuove connessioni vascolari che rappresentano la condizione essenziale per l'immissione di sangue circolante in seno all'innesto stesso, fino alle diverse possibilità d'adattamento funzionale di quest'ultimo nel nuovo ambiente in cui è stato trasportato. Si comprende quindi come i limiti d'attecchimento siano estremamente variabili, pur quando sussistano le migliori condizioni, e cioè la maggiore possibile affinità biologica fra ospite e imprestito, e la qualità di quest'ultimo, tanto più suscettibile di continuare a vivere quanto meno elevato come organo o tessuto. Naturalmente queste considerazioni non s'attagliano per l'innesto di tessuti fissati, trattandosi di materiale comunque morto il quale, quindi, non è più suscettibile di vivere o di rivivere; né si può accettare come dimostrata la teoria di J. Nageotte sulla "riviviscenza" delle sostanze fondamentali e sulla loro "riabitabilità" per opera di giovani elementi connettivali di neoformazione e di provenienza dall'ospite.

Considerando il problema degl'innesti e dei trapianti sotto il punto di vista della chirurgia umana, le possibilità sono quanto mai varie e variabili, alcune relativamente frequenti, altre d'eccezione; sono pure assai differenti e non di rado considerevoli le difficoltà d'indole tecnica.

Una prima categoria di lesioni passibili d'essere efficacemente trattate con l'innesto è rappresentata da piaghe e da ulcere, incapaci, altrimenti, di volgere a guarigione sia per la natura loro che per la troppo grande estensione. L'innesto epidermico alla Reverdin o quello dermo-epidermico alla Thiersch rappresentano il procedimento migliore per la cicatrizzazione di piaghe o ulcere inveterate, laddove gl'innesti di pelle intera, con tutti i suoi annessi ghiandolari e piliferi, non dà nell'uomo, di solito, risultati soddisfacenti.

Tecnicamente occorre che la superficie destinata all'innesto epidermico o dermo-epidermico sia ben preparata, e cioè rivestita di attive e buone granulazioni sulle quali, previo superficiale e leggiero rischiamento, verranno disposti e distesi i frammenti epidermici o dermo-epidermici prelevati asetticamente con un rasoio a larga lama dalla faccia esterna della coscia, del braccio o anche dalla natica e immersi per breve tempo in liquido di Ringer o di Locke o in altro siero fisiologico riscaldato a 37°. I lembettini così preparati verranno accuratamente distesi con l'aiuto d'un pennello sterile sulla superficie preparata, mantenuti umidi con faldelle di garza imbevute dello stesso siero fisiologico e rivestite, alla loro volta, verso l'esterno d'un sottile strato di guttaperca laminata che realizza l'optimum d'ambiente, come umidità e come temperatura. Alle cellule dello strato germinativo compete la formazione di nuovi nidi epidermoidali che alla loro volta moltiplicandosi potranno condurre col tempo all'epidermizzazione completa della superficie che s'è ricoperta. A tale formazione si deve attribuire la produzione di nuova epidermide e non già all'attecchimento per intero dei lembi autoplastici trasportati; ciò che spiega il fallimento pressoché inevitabile dei trapianti liberi di cute intera, tanto più se eteroplastica.

Norme consimili si possono seguire nell'innesto di mucose, che trova qualche rara indicazione per la riparazione di perdite di sostanza a carico della mucosa delle labbra, delle palpebre, della vagina, dell'uretra, sebbene, dato l'ambiente spesso inquinato da germi d'ogni specie, sia difficile realizzare le modalità biologiche indispensabili per l'attecchimento d'un innesto.

Il tessuto adiposo, a scopo plastico, è entrato nella pratica clinica soltanto in quest'ultimi tempi, attesi i risultati soddisfacenti che in varie e diverse circostanze ha dimostrato la patologia sperimentale. Sulla sorte del grasso innestato i più ammettono che, riassorbitosi il contenuto di grasso delle cellule adipose, queste, una volta attecchite, siano in grado di proliferare attivamente, dando luogo a un giovane connettivo di neoformazione che contribuisce validamente, nei casi fortunati, all'esito plastico.

Grossi frammenti di grasso autoplastico, prelevati dalla regione glutea o dai fianchi, ovvero provenienti da lipomi estirpati chirurgicamente (innesto adiposo omoplastico), sono stati usati, con varia fortuna, per otturare cavità ossee, cavità empiematiche, per la plastica di mammelle, per ricolmare il cavo orbitario svuotato del bulbo, per chiudere talune porte d'ernia recidivata, per proteggere suture nervose, tendinee o vasali, per ottenere una neoartrosi artificiale, ecc. L'innesto del grasso omentale può rispondere bene nella protezione di suture intestinali e, in generale, per l'incappucciamento o il rivestimento di superficie cruentate del cavo addominale o di peduncoli viscerali, per evitare emorragie e aderenze.

Grande favore nella pratica chirurgica hanno incontrato gli innesti e i trapianti di aponeurosi e, in particolare di fascia lata, effettuabili nella grande maggioranza dei casi sotto forma autoplastica.

Con lembi liberi di "fascia" s'è provveduto al rinforzo di plastiche erniarie, alla ricostituzione della dura madre, alla protezione di suture tendinee e nervose, all'autoplastica di tendini, alle stenosi artificiali dell'intestino per la derivazione permanente del circolo intestinale in caso di fistola steroracea o ano contro natura, all'esclusione pilorica, alla plastica legamentosa in caso di lussazioni articolari abituali o recidivanti e alla correzione d'altri difetti anche se d'indicazione piuttosto rara. L'innesto di "fascia" ha portato risultati brillantissimi e definitivi nella mobilizzazione artificiale di articolazioni anchilosate (v. artroplastica).

La muscolatura striata si presta piuttosto malamente agl'innesti; possono, viceversa, corrispondere a sufficienza trapianti peduncolati a largo lembo che assicurino una sufficiente vascolarizzazione della porzione trapiantata e quindi la sua nutrizione.

Innesti liberi autoplastici o anche eteroplastici di muscolo striato possono essere usati con vantaggio a scopo emostatico, data l'azione coagulante dei succhi muscolari; in chirurgia cranica e viscerale più specialmente codesto procedimento dà spesso risultati brillantissimi.

Di larga applicazione è il trapianto tendineo, particolarmente indicato in caso di paralisi infantile di vecchia data e in altre forme paralitiche d'origine centrale o periferica, mercé l'anastomosi del capo centrale di tendini appartenenti a muscoli attivi sul tronco di tendini facenti parte di muscoli inerti. Risultati alquanto incerti dà invece l'innesto libero di segmenti di tendine impiegati allo scopo di colmare perdite di sostanza dei tendini stessi, per il che giova assai meglio di servirsi di lembi di "fascia" o d'altro materiale.

Un capitolo molto interessante è quello riguardante i trapianti e gl'innesti vasali. La sutura vascolare, compiuta con tecnica precisa e corretta, consente infatti una completa e regolare cicatrizzazione senza l'intermezzo d'una trombosi ostruente, sicché il lume vasale può conservarsi del tutto pervio.

Come esempio di trapianto, l'anastomosi artero-venosa, la cosiddetta arterializzazione delle vene, rappresenta l'applicazione clinica più importante, anche se pressoché esclusivamente limitata all'arto inferiore, per la cura di forme cancrenose o necrotiche d'origine vascolare. L'innesto vasale consiste, invece, nella sostituzione d'un segmento più o meno ampio di arteria o di vena, con un altro segmento di arteria o, se autoplastico, preferibilmente di vena, adagiato in sede di resezione vasale e fissato con un'adatta sutura termino-terminale eseguita secondo le norme di A. Carrel. Le indicazioni però sono quanto mai rare nella clinica umana; qualche isolata applicazione per la cura più specialmente di aneurismi circoscritti ha dato risultati incerti e non troppo incoraggianti, sia per la facilità d'una trombosi ostruente, sia per la comparsa d'emorragia secondaria.

Per quanto riguarda i nervi periferici (mielinici), qualche successo si può avere dal trapianto del moncone centrale d'un nervo motore attivo, su quello periferico d'un altro nervo motore inattivo; l'anastomosi spino-facciale tiene forse a questo riguardo il primo posto.

Ma tanto in questo come in altri trapianti nervosi, il moncone periferico va inevitabilmente incontro a una degenerazione regressiva che, rispettando relativamente le guaine di Schwann, consente ai cilindrassi proliferati del moncone centrale di riabitare i vecchi cilindri, vuoti, di Schwann i quali rappresentano l'ambiente più adatto e i conduttori per le fibrille nervose di neoformazione. Questo comportamento dei nervi mielinici, confermato e documentato dalla patologia sperimentale, spiega anche come gl'innesti, omoplastici o eteroplastici, di segmenti di tronchi nervosi usati come sostituzione d'una porzione di nervo mancante, sortiscano, in generale, esito negativo, nel senso, almeno, d'un vero e proprio attecchimento. Ciò, d'altra parte, non esclude che anche l'innesto nervoso non possa, in determinate circostanze, corrispondere a sufficienza, potendosi verificare una sua riabitazione a opera di fibrille nervose di neoformazione e secondo quelle medesime modalità che regolano la cicatrizzazione nervosa in generale.

Di grande interesse pratico è l'innesto di tessuto osseo, che trova le sue principali indicazioni cliniche nelle larghe perdite di sostanza ossea altrimenti non colmabili, per la cura sia di pseudo-artrosi congenite o acquisite o di deformità in altra maniera non correggibili, sia di osteoartropatie croniche.

La bontà e talora la vera perfezione dei risultati clinici trovano la loro spiegazione nei risultati della patologia sperimentale la quale ha potuto con sufficiente chiarezza dimostrare quale sia il meccanismo con cui si verifica codesto attecchimento. In generale, se non è l'osso in blocco che attecchisce, ciò si verifica per i suoi elementi vitali e particolarmente per il periostio e per il midollo. D'altronde le vedute più recenti sull'ossificazione dimostrano l'alta parte che spetta agli elementi connettivali intesi nel senso di elementi mesenchimali; il connettivo dell'osso innestato ritornerebbe a una fase giovanile, riacquistando attive proprietà proliferative; alla fase neoformativa segue quella della progressiva ossificazione, dovuta alle peculiari e specifiche attitudini degli elementi connettivali d'origine ossea o prevalentemente tale. Una certa proprietà osteogenica acquistano di solito anche i tessuti dell'ospite più in diretto contatto col trapianto. Prescindendo dal meccanismo con cui avviene l'attecchimento dell'innesto, sta di fatto che, oltre alle affinità biologiche, che sono massime nell'innesto autoplastico, giocano la loro parte anche altri fattori che si riassumono, oltreché nella vitalità, nella conformazione morfologica dell'innesto che deve corrispondere, quanto più è possibile, ai caratteri morfologici dell'osso ospite, e nei suoi attributi funzionali per rapporto al carico e all'eventuale funzione di leva che il segmento d'osso può essere chiamato a esercitare in funzione dei muscoli che vi s'attaccano o lo circondano. Per cui è preferibile talora l'impiego d'innesti omoplastici, che possono consentire la libera scelta del segmento osseo più appropriato. Certo nell'innesto osseo, a parte le modalità tecniche d'esecuzione, che varieranno caso per caso e che possono offrire anche difficoltà notevolissime, l'elemento principale di successo si riassume nell'asepsi più rigorosa, giacché nulla è più deleterio per lo svolgimento dei processi riparativi che un perturbamento settico in sede di focolaio operatorio. Nei casi favorevoli l'innesto d'osso col suo periostio finisce col fondersi, almeno apparentemente, in modo così intimo con l'osso porta-innesto, da fornire il quadro anatomo-clinico, e anche in parte radiologico, d'un vecchio callo da frattura, anche se talvolta deforme, irregolare e non di rado esuberante. Quando l'attecchimento dell'innesto manca, s'assiste a un precoce e rapido riassorbimento di questo, oppure a un'eliminazione, in blocco o a frammenti, dell'osso innestato. Il risultato è, in tal caso, il più spesso nullo: tuttavia qualche volta s'assiste a un attivo risvegliarsi delle proprietà osteogenetiche del vecchio focolaio osseo con risultati non di rado confortevoli.

Gl'innesti isolati di periostio o di midollo osseo hanno, fino a ora, nella pratica clinica un'importanza del tutto secondaria, laddove l'innesto, specialmente autoplastico, di cartilagine ha trovato e trova sempre più largo campo di applicazione. Infatti la cartilagine, e specialmente quella fornita di pericondrio, è in grado di attecchire perfettamente e anche di proliferare, cosicché frammenti di cartilagine, prelevati più specialmente dalle coste, possono colmare perdite di sostanza dello scheletro o servire di sostegno in operazioni di plastica, quali il rifacimento del naso.

L'innesto articolare totale, basato sull'uso di materiale tolto dal vivente (amputazioni per lesioni violente, ecc.) oppure anche dal cadavere, nonostante qualche risultato brillante o incoraggiante, ha ancora bisogno d'una più larga sanzione clinica; così pure l'innesto di arti interi non è uscito dal campo della patologia sperimentale.

Di ben altro momento sono gl'innesti di organi e specialmente di quelli a secrezione interna per i quali la patologia sperimentale è ricchissima di osservazioni e di risultanze spesso felici e incoraggianti. Nell'uomo gl'innesti di questo genere, che si praticano su più larga scala, sono quelli di ovaia e di testicolo, omo- o anche eteroplastici, sotto cute, nei muscoli o anche direttamente nel cavo addominale.

L'innesto secondo il metodo di S. Voronov, ricorrendo a testicoli di scimmie antropomorfe, entro la cavità della vaginale propria del testicolo, ha dato risultati confortevoli, anche se ben lontani da quelli, ritenuti in un primo tempo brillantissimi, per cui si sarebbe ottenuto un ringiovanimento di organismi vecchi e tarati.

Sugl'innesti di tiroide e di paratiroide effettuati per indicazioni assai differenti che vanno dall'insufficienza tiroidea o paratiroidea, alla mancata consolidazione d'un callo osseo, all'osteite fibrosa, al rachitismo, ecc., la clinica, assai più dell'esperimento, rimane tuttora incerta e ha bisogno d'una maggiore esperienza, prima che sia possibile formulare qualche giudizio definitivo: altrettanto e a maggior ragione è da dire per quelli di capsule surrenali.

D'applicazione clinica scarsa e di risultato oltremodo incerto sono gl'innesti escogitati per sostituire larghe perdite di sostanza di formazioni tubulari, quali il coledoco, l'uretere e l'uretra, a mezzo di segmenti vasali (safena) autoplastici. Per contro s'è affermato il metodo di rifacimento plastico della vagina atresica mediante un'ansa intestinale opportunamente preparata e trapiantata col suo meso.

Scarsissima portata pratica hanno i tentativi d'innesto di altri organi (timo, ipofisi, mammella) o tessuti (sierosa peritoneale o pleurica, sinoviali articolari ecc.) per riparare a deficienze funzionali endocrine ovvero per ovviare a talune sindromi a carattere aderenziale.

Un capitolo che ha invece assunto non trascurabile importanza pratica è quello concernente gl'innesti di tessuti (od organi) morti e fissati (prevalentemente in alcool o in formolo) e usati a scopo plastico. La patologia sperimentale, pur essendo concorde nel dimostrare che un tessuto morto e fissato non "rivive", ha tuttavia messo in luce che un materiale siffatto e opportunamente adoperato, può corrispondere perfettamente come guida a un tessuto di neoformazione proveniente dal porta-innesto e che, sostituendosi all'innesto "fissato", finisce col reintegrare più o meno completamente la perdita di sostanza colmata con l'innesto morto.

Segmenti vasali, porzioni di nervo, fasce, muscoli, grasso, cartilagini, osso, frammenti d'organi parenchimali sono stati usati a questo scopo con risultati sperimentali incoraggianti o addirittura brillanti. Nel campo clinico le applicazioni fatte non sono ancora tali da permettere un giudizio decisivo, ma è da ritenersi che in non poche circostanze l'innesto fissato possa corrispondere altrettanto bene che quello fresco, con risultati definitivi egualmente buoni.