INFLUENZA

Enciclopedia Italiana - III Appendice (1961)

INFLUENZA (XIX p. 214, App. II, 11, p. 35)

Gaetano GIORDANO

L'i., pur nei limiti delle ricorrenti epidemie stagionali senza particolare gravità, determina notevoli danni economici per le giornate lavorative perdute ed un netto aumento della mortalità per malattie acute dell'apparato respiratorio. Inoltre, le vere e proprie stragi del passato - 25 milioni di morti nella pandemia 1918-19 - giustificano pienamente l'interesse sempre vivissimo con il quale studiosi di ogni nazione si dedicano al chiarimento dei molti punti oscuri che la malattia tuttora presenta.

Nell'ultimo decennio importanti contributi hanno arricchito le nostre conoscenze sull'infezione influenzale: gli studî sulla biologia e la biochimica dei virus influenzali hanno assunto tale sviluppo da costituire un paradigma nel campo degli studî virologici, gli studî epidemiologici hanno portato nuova luce al problema dello sviluppo delle epidemie mentre sul piano della clinica e soprattutto su quello della profilassi e della terapia sono stati raggiunti risultati concreti di grandissima importanza scientifica e pratica.

Eziologia. - I virus influenzali, in base al loro comportamento nelle prove di fissazione del complemento, vengono oggi distinti in tre tipi fondamentali: A, B e C; le prove di emoagglutinoinibizione hanno inoltre permesso di differenziare nell'ambito dei tipi A e B numerose varianti sierologicamente affini, mentre non si conoscono varianti analoghe per il tipo C. Quest'ultimo fu isolato da R.M. Taylor (1949) e subito dopo da T. Francis jr. e coll. (1950) che lo chiamarono virus JJ; questo tipo di virus non è stato finora mai identificato nel corso di epidemie, si ritiene perciò che esso provochi di norma solo infezioni sporadiche; è stato isolato da solo ed in associazione con il tipo A e spesso con altri virus, non influenzali, responsabili di infezioni respiratorie; nell'ambito della morbilità generale per influenza la sua importanza sebbene ancora non del tutto precisata, parrebbe modesta. Nel 1953 è stato isolato dapprima in Giappone e quindi negli Stati Uniti, Russia, Inghilterra un nuovo virus (virus Sendai, NPV = newborn pneumonitis virus) responsabile di una malattia di tipo influenzale con spiccata tendenza, specie nei bambini, alle infezioni pneumoniche e meningee; la classificazione di questo virus è tuttora discussa, venne dapprima classificato come virus influenzale tipo D ma del tutto recentemente (C. H Andrewes e coll., 1959), in base ad alcune caratteristiche morfologiche ed alla attività emolitica esplicata nei confronti delle emazie, è stato distinto dai virus influenzali ed ascritto ai virus para-influenzali (v. anche virus in questa App.).

Epidemiologia. - Gli studî epidemiologici hanno progredito sensibilmente negli ultimi anni. Dei tre tipi fondamentali, il tipo A dà più frequentemente epidemie, il tipo B provoca invece più spesso piccole epidemie circoscritte a comunità scolastiche, militari, ecc., mentre il tipo C finora non ha avuto diffusione epidemica; il tipo A-PR 8 ha dominato fino al 1943, mentre da allora le epidemie sono state costantemente determinate dal tipo A-FM1 fino alla più recente, 1959, sostenuta da una variante antigenica del tutto nuova: il ceppo dell'influenza asiatica.

Ma il problema epidemiologico fondamentale non riguarda il tipo di virus responsabile bensì il come e il perché l'epidemia stessa insorge. L'i. è considerata una classica malattia infettiva a diffusione per contagio interumano, questo spiega con apparente facilità la diffusione delle epidemie. Tuttavia lo studio accurato di varie epidemie ha dimostrato che esse hanno sicuramente in alcuni casi origine multicentrica (F. Magrassi, 1948, G. Giordano e E. Bussinello, 1951): la malattia esplode cioè contemporaneamente e indipendentemente in centri lontani e all'infuori di ogni possibilità di contagio interumano. Si ammettono oggi - C.H. Andrewes - due possibilità: epidemie che insorgono da focolai molteplici ad origine autonoma (forse da infezioni subcliniche nelle quali i virus acquistano progressivamente virulenza fino a dare infezioni manifeste) ed epidemie ad insorgenza da uno o pochi focolai, che si diffondono per contagio interumano.

Aspetti clinici. - Sul piano clinico sono da segnalare le nuove osservazioni tendenti a caratterizzare le forme sostenute dal tipo C, il riconoscimento dell'esistenza di una pneumopatia influenzale sostenuta dal virus influenzale indipendentemente da superinfezioni batteriche e gli studî sulle complicanze cardiovascolari. L'influenza tipo C non comporterebbe differenze significative nel comportamento sintomatologico rispetto al quadro classico da tipo A e da tipo B (anche questi clinicamente non differenziabili): sarebbe solo segnalata un'impronta rinitica più spiccata, ma la frequenza di infezioni contemporanee da ceppi influenzali tipo A e da altri virus respiratorî diversi dai virus influenzali, toglie valore discriminativo a questo dato già di per sé poco espressivo. Le complicazioni polmonari, responsabili, nella grandissima maggioranza dei casi, di morte in corso di i., sono per lo più dovute a superinfezioni batteriche (streptococchi beta-emolitici e, soprattutto, stafilococchi), ma è sicuramente documentato che possono essere sostenute dai soli virus influenzali. Sul piano patogenetico la pneumopatia influenzale differisce sostanzialmente da altre pneumopatie da virus: nell'infezione influenzale il virus, data la primitiva localizzazione. a livello dell'epitelio tracheo-bronchiale, raggiunge gli alveoli polmonari direttamente per contiguità, "pneumopatia a primitiva localizzazione respiratoria" secondo la classificazione di C. Frugoni, F. Magrassi e G. Giunchi, mentre in altre pneumopatie il virus perviene al parenchima per via ematica: "pneumopatia da infezione viremica con secondaria localizzazione respiratoria", secondo gli autori precedentemente citati.

Dall'esame critico delle numerose indagini sul comportamento dell'apparato cardiovascolare nell'influenza, si possono trarre le seguenti conclusioni: disturbi lievi (tachicardia, ambascia precordiale, algie) sono rilevabili con la stessa frequenza con cui si osservano anche in altre malattie infettive; alterazioni elettrocardiografiche significative, in quanto di grado notevole e persistenti nel tempo, si osservano solo in rari casi; sul piano anatomico la endocardite non è stata finora rilevata, la pericardite lo è stata solo eccezionalmente, mentre la miocardite interstiziale diffusa o a focolai è estremamente rara. La ricchezza delle osservazioni pubblicate è in contrasto con le affermazioni precedenti ma i casi sicuri, con indiscutibile documentazione virologica, sono pochi e spesso le alterazioni osservate sembrano da attribuirsi più che al virus influenzale, alle infezioni batteriche concomitanti.

Profilassi e terapia. - La profilassi vaccinica dell'influenza investe numerosissimi problemi scientifici e metodologici; accenneremo ai più importanti di essi. È accertato che se eseguita tempestivamente e con vaccino appropriato, la vaccinazione riduce sensibilmente l'incidenza della malattia. Una grave difficoltà pratica è costituita dalla necessità di allestire in breve tempo grandi quantità di vaccino poiché il comparire continuo di nuove mutanti di virus, rende inattuabile la preparazione preventiva di scorte di vaccino da tener pronte per il momento in cui esse dovessero rendersi necessarie. Le epidemie infatti sono dovute a ceppi antigenicamente sempre lievemente diversi dai precedenti, da qui il concetto di M.F. Burnet, di "novità sierologica" che costituisce una delle caratteristiche fondamentali dei virus influenzali e da qui anche la necessità di preparare il vaccino di volta in volta ad epidemia iniziata cioè utilizzando il virus in causa in quella determinata epidemia. Altro problema pratico è quello delle dosi e vie di introduzione: allo scopo di risparmiare il vaccino ne è stata largamente sperimentata, e con successo, l'inoculazione intradermica che consente appunto una grande economia di materiale. Attualmente la preferenza viene data a vaccini allestiti da numerosi ceppi di virus, concentrati, e sospesi in sostanze oleose che, pur contenendo dosi di virus circa dieci volte inferiori, riescono più attivi dei vaccini in soluzione fisiologica.

Nel campo della profilassi e della terapia, recentissime ricerche condotte sul piano biochimico da G. Cavallini e E. Mí ssarani e sul piano biologico e clinico da F. Magrassi e coll. hanno permesso per la prima volta di individuare in derivati chetoaldeidici del difenile, dei farmaci attivi nei confronti di alcune infezioni da virus, ivi compresa l'infezione influenzale. In campo clinico, la sperimentazione è stata svolta su largo materiale comprendente casi di influenza tipo A e tipo B, accertati eziologicamente mediante isolamento del virus e studio del comportamento sierologico; i dati ottenuti, valutati statisticamente sono risultati ampiamente significativi: la temperatura cede per crisi entro la 24ª-36ª ora con regressione rapida dei sintomi tossici generali e delle manifestazioni mucositiche. Anche in senso profilattico i risultati appaiono largamente probativi: incidenza della malattia nel 5-7% dei soggetti trattati, contro il 40-55% dei soggetti non trattati, utilizzati come controlli. Vedi tav. f. t.

Bibl.: C. Frugoni, F. Magrassi, G. Giunchi, Le malattie dell'apparato respiratorio da virus e da rickettesie, Relaz. al 50° Congresso medicina interna, Roma 1949; F. Magrassi, Rapporti tra virus e cellule ospiti, in Atti VIII Congresso nazionale microbiologia, Milano 1952; M. Kuroya, N. Ishida, Newborn virus pneumonitis (type Sendai). II. The isolation of a new virus possessing hemagglutinin activity, in Yokohama Med. Bulletin, IV (1953), p. 217; M. Kuroya, N. Ishida, T. Shiratori, Newborn virus pneumonitis (type Sendai). The isolation of a new virus, in Tohoku Journal Exp. Medicine, LVIII (1953), p. 62; T. Sano, I. Nītsu e coll., Newborn virus pneumonitis (type Sendai) the clinical observation of a new virus pneumonitis of the newborn, in Yokohama Med. Bull., IV (1953), p. 199; T. Sano, I. Nītsu e coll., Newborn virus pneumonitis (type Sendai). The Clinical observation, in Tohoku J. Exp. Med., LVIII (1953), p. 56; G. B. Bruce White, P. S. Gardner e coll., Infection with Sendai virus in an outbreak of respiratory illness in Brit. Med. Journal, n. 5015 (1957), p. 381; P. S. Gardner, Serological evidence of infection with Sendai virus in England, in Brit. Med. Journal, n. 5028 (1957), p. 1143; O. G. Gerngross, Peculiarities of an influenza outbreak due to type D virus in Vladiwostok in 1956, in Problems of Virology, II (1957), p. 71; R. G. Sommerville, H. G. Carson, Newborn pneumonitis virus (type Sendai), Evidence of infection in south-west Scotland, in Brit. Med. Journal, n. 5028 (1957), p. 1145; A. F. Rhodes, C. E. Van Rooyen, Textbook of virology, Baltimora 1958; G. Cavallini, E. Massarani, F. Magrassi, Identificazione di nuovi farmaci attivi in diverse infezioni da virus, in Rend. Acc. Naz. dei XL, serie IV, X (1959); F. Magrassi, P. Altucci e coll., New anti-viral compounds with considerable activity in vivo. I-Biphenyl derivatives, in Journal Med. and Pharm. Chem., I (1959), p. 601; F. Magrassi, G. Cavallini, E. Massarani, Identificazione di farmaci attivi nell'infezione da virus influenzale A-PR8 nel topo, in Rend. Acc. Naz. dei XL, serie IV, X (1959); F. Magrassi, Problèmes actuels de chimiothérapie des maladies à virus, in Helv. Med. Acta, XXVI (1959), p. 614; K.E. Jensen, E. Minuse, W.W. Ackermann, Serologic evidence of American experience with newborn pneumonitis virus (type Sendai) in Journal of Immunology, 1955, p. 71.

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