Farmaceutica, industria

Dizionario di Economia e Finanza (2012)

farmaceutica, industria

Alberto Heimler
Lauretta Rubini

Settore economico nel quale si effettuano le attività legate alla ricerca, alla produzione e alla distribuzione di medicinali per uso umano o animale.

La ricerca: costi e benefici

La scoperta di nuovi farmaci è concentrata nelle principali imprese farmaceutiche mondiali, localizzate negli Stati Uniti, in Germania, in Svizzera e in Gran Bretagna. Nei loro bilanci le spese di ricerca pesano, secondo alcune stime dell’OCSE (➔), per circa il 20% del fatturato complessivo, un costo molto elevato, che deve essere coperto dai profitti conseguiti sui pochi farmaci che giungono di fatto alla fase della commercializzazione (➔ marketing). L’OCSE stima che un farmaco su 10 arriva al mercato. Gli altri 9 sono bloccati prima, perché non superano i rigorosi test delle agenzie governative, volte ad autorizzare la commercializzazione soltanto di quelli effettivamente benefici. Ne consegue che i prezzi dei singoli farmaci protetti dai brevetti non dovrebbero essere calcolati in proporzione ai costi diretti e indiretti associati alla loro realizzazione, ma essere tali da poter coprire i costi complessivi della ricerca, anche di quella che non ha condotto alla scoperta di medicinali commercializzabili. Altrimenti, le imprese sarebbero più caute e meno disponibili a impegnarsi nella ricerca, con effetti negativi sul benessere complessivo. Proprio per questo, negli Stati Uniti, i prezzi nell’industria f. sono liberi (non amministrati), anche se il mercato opera comunque in questo settore in maniera speciale, essendo i bisogni individuali intermediati da un tecnico, il medico, e pagati da un soggetto, l’assicurazione privata, che negozia i prezzi con le imprese f. in maniera collettiva. Pertanto, il potere di mercato delle imprese produttrici, per lo meno per i farmaci pagati dalle assicurazioni (generalmente quelli acquistabili con obbligo di ricetta medica), è in parte disciplinato dal potere negoziale degli acquirenti. Negli altri Paesi, tra cui l’Italia, i prezzi delle medicine brevettate, e soggette a obbligo di ricetta, sono invece regolati amministrativamente, ma, essendo difficile misurare i loro costi complessivi di produzione (sia per l’internazionalizzazione della produzione, sia per l’importanza delle spese di ricerca), il regolatore si limita a fissare il prezzo nazionale di un farmaco attorno alla media dei prezzi di quel farmaco nei vari Paesi in cui esso è commercializzato. Poiché questo metodo della media è diffuso in quasi tutto il mondo, anche in Europa e con la parziale eccezione della Gran Bretagna, dove si cerca di ricostruire i costi di produzione dei singoli  medicinali, il valore medio internazionale dei farmaci è chiaramente senza ancoraggio. Come conseguenza, molti Paesi hanno sviluppato tecniche di analisi costi-benefici (➔ costi-benefici, analisi dei) volte ad assegnare un valore ai diversi effetti di una cura, e per questa via stabilire il prezzo ottimale delle medicine. Tuttavia, anche questo approccio mantiene un elevato grado di discrezionalità, non essendo univoca la quantificazione dei diversi stati di salute.

Brevetto, marchio e farmaco generico

Le imprese operanti nel settore possono produrre farmaci di marca, o generici (detti anche equivalenti). I primi sono protetti da brevetti (➔ brevetto) ventennali, eventualmente rinnovabili tramite un Certificato di Protezione Complementare (CPC), che estende la protezione di altri 5 anni. Tale certificato, concesso unicamente per prodotti medicinali o fitosanitari, ha l’obiettivo di permettere alle imprese f. di recuperare, almeno in parte, gli anni di ricerca che precedono il lancio di un nuovo principio attivo. Una volta scaduto il brevetto, se il farmaco è ancora interessante da un punto di vista terapeutico, può essere fabbricato e venduto, denominandolo non più con il marchio (➔) originario, ma con il nome chimico generico del principio attivo e a un prezzo di vendita notevolmente più basso (secondo la normativa italiana, almeno il 20% rispetto all’analogo farmaco di marca). La legge lo definisce come «un medicinale che ha la stessa composizione qualitativa e quantitativa di sostanze attive e la stessa forma farmaceutica del medicinale di riferimento nonché una bioequivalenza con il medicinale di riferimento dimostrata da studi appropriati di biodisponibilità» (d. legisl. 219/2006, art. 10, 5° co., che recepisce la direttiva 2001/83/CE). Tra l’ultimo decennio del 20° sec. e il primo del 21°, si sono pertanto sviluppate numerose imprese specializzate nella produzione e vendita di farmaci generici. I sistemi sanitari nazionali, interessati al contenimento sia dei prezzi dei medicinali sia della spesa complessiva, ne promuovono il consumo tramite l’introduzione di obblighi sui medici che li prescrivono. In Italia, per es., il Servizio Sanitario Nazionale (➔ SSN) rimborsa il farmaco di marca solo se il medico lo prescrive, ma, non avendo introdotto alcun incentivo che sensibilizzi  il medico alla riduzione della spesa f., questi cerca soprattutto di accontentare i pazienti, che si sentono più tutelati dai farmaci di marca. Il consumo di quelli generici rimane, dunque, modesto nel confronto internazionale. La concorrenza nel settore, è pertanto, bipolare. Da un lato, esiste la rivalità delle grandi imprese, volta alla scoperta di nuovi farmaci e alla cura delle malattie più letali; dall’altro, esiste una concorrenza basata sulla produzione di quelli generici, e non coperti da protezione brevettuale, che comprende anche le imprese che operano su licenza delle grandi multinazionali.

Il mercato italiano

Nell’industria f. del nostro Paese operano in totale 334 produttori di materie prime e specialità medicinali, con una produzione, per il 2010, pari a 25 miliardi di euro. L’Italia è il terzo mercato in Europa e il secondo Paese (dopo Germania e prima di Francia, Gran Bretagna, Spagna e Svizzera) per valore della produzione e numero di imprese. Il peso dell’Italia sul totale in Europa, nel 2010, è stato del 10,3% per valore della produzione, e del 13% per numero di addetti e imprese. Rispetto agli altri settori, l’industria f. si caratterizza dunque per: più alto valore aggiunto per addetto (+118% rispetto alla media manifatturiera), più alte spese per il personale dipendente (+75%), più alti investimenti ed esportazioni per addetto (rispettivamente +72% e +186% ), investimenti R&S (➔ ricerca e sviluppo) per addetto pari a più del doppio rispetto a quelli dei settori a media e alta tecnologia e 8 volte rispetto ai livelli dell’industria manifatturiera. Tra i grandi settori industriali, il f. è quello che, nel primo decennio del 2000, è cresciuto maggiormente, con un incremento medio annuo del 6,2% (più del doppio della media manifatturiera nello stesso periodo).

La regolazione del settore

La regolazione esercita una profonda influenza sulla struttura dell’industria f. e sulla sua evoluzione. Gli obiettivi perseguiti dall’intervento pubblico sono: promuovere l’innovazione, garantendo che gli investimenti in ricerca siano remunerati sufficientemente; assicurare che i farmaci offerti siano effettivamente benefici; controllare l’ammontare della spesa f. e migliorarne la qualità. L’effetto combinato del perseguimento di questi obiettivi influenza sensibilmente le modalità di concorrenza del settore. Innanzitutto, la tutela della proprietà intellettuale è, più che altrove, lo strumento di rivalità delle imprese, soprattutto per la scoperta e la produzione di nuovi medicinali. Essendo il processo per ottenere l’autorizzazione a commercializzare farmaci lungo e costoso, la durata della protezione brevettuale è allungata in proporzione. Anche come conseguenza della sempre maggiore specializzazione dei f., nonostante i brevetti non diano luogo di per sé a posizioni di monopolio nel mercato, ma solo a diritti di esclusiva, e la concorrenza possa in linea di principio operare all’interno delle classi terapeutiche, si riscontra un grado di concentrazione, generalmente molto elevato, nei diversi mercati.

Alberto Heimler, Lauretta Rubini

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