Indonesia

Enciclopedia Italiana - VI Appendice (2000)

Indonesia

Claudio Cerreti
Paola Salvatori

(App. III, i, p. 862; IV, ii, p. 173; V, ii, p. 659)

Geografia umana ed economica

di Claudio Cerreti

.mw-parser-output span.smallcaps{font-variant:small-caps}.mw-parser-output span.smallcaps-smaller{font-size:85%}Popolazione

Nonostante una significativa riduzione dei tassi di crescita demografica (peraltro tuttora elevati), l'I. è ormai nettamente il quarto paese del mondo per popolazione dopo Cina, India e USA, e prima di Brasile, Pakistan e Federazione Russa. La distribuzione della popolazione sul territorio indonesiano continua a risentire di fortissimi squilibri territoriali, con l'isola di Giava che presenta una densità media (più di 870 ab./km²) di circa venti volte superiore a quella del resto del paese, ospitando il 60% degli abitanti su meno del 7% della superficie.

Benché non si possa dire che sia fallita la politica di redistribuzione demografica in atto da tempo nel paese (con il trasferimento di milioni di abitanti da Giava e Bali nel Kalimantan e a Sumatra), è tuttavia evidente che il fenomeno ha proporzioni di una tale portata da non poter essere contrastato che marginalmente nel breve-medio periodo, se non si arresterà la crescita naturale. Per altro verso, i processi di colonizzazione agricola in atto, sia nel Kalimantan sia a Sumatra, si vanno sommando al vasto sfruttamento forestale praticato da tempo nelle stesse isole, provocando un rapido aggravamento delle condizioni ambientali naturali.

Si tratta non solo della perdita incessante di superfici forestali (l'I. produce quasi 200 milioni di m³ di legname, abbattendo quasi il 2% delle sue foreste ogni anno), ma anche, più recentemente (dall'inizio degli anni Novanta), del ripetersi di gravissimi fenomeni di inquinamento atmosferico, che hanno investito una vasta area dell'Asia sud-orientale, prodotti dal diboscamento attuato mediante incendio e dal debbio stagionale: pratiche entrambe tradizionali, i cui effetti risultano però vistosamente accentuati dall'aumento della pressione antropica, oltre che da una particolare congiuntura climatica.

La crescita demografica appare molto più consistente nelle popolazioni urbane, ad accrescimento rapidissimo, rispetto a quelle rurali, per effetto sia delle migliori condizioni di accesso ai servizi sanitari, sia, e soprattutto, degli imponenti flussi migratori spontanei che continuano a investire le grandi città: non solo Djakarta, che si avvia ad assommare dieci milioni di ab., ma anche Surabaya e Bandung (oltre i due milioni), Medan, Palembang e Semarang (oltre il milione) e molte altre città con diverse centinaia di migliaia di abitanti.

La popolazione rurale continua a rappresentare i due terzi circa del totale. Una serie di indicatori sociali segnala condizioni di vita tutt'altro che soddisfacenti per la gran parte degli abitanti, specialmente per quelli, appunto, che vivono nelle campagne (peraltro anche le estesissime periferie informali prodotte dall'inurbamento sono a loro volta caratterizzate da condizioni igieniche, a dir poco, precarie).

Condizioni economiche

tab.

Un'evoluzione imponente si è registrata in campo economico, come mostra il semplice dato del PIL per abitante, quasi raddoppiato dalla metà degli anni Ottanta alla metà del decennio seguente, nonostante l'aumento di popolazione. Tali risultati sono in larga parte effetto di politiche di pianificazione condotte dai governi secondo le cadenze di piani quinquennali i cui obiettivi principali sono stati l'incremento della produzione agricola, il potenziamento dell'industria manifatturiera e la diversificazione produttiva, l'aumento della dotazione infrastrutturale (v. tab.).

L'area messa a coltura è in continuo aumento, e in aumento risultano anche le produzioni alimentari (l'I. è il terzo produttore mondiale di riso), essendosi raggiunta l'autosufficienza, salvo che in alcune annate sfavorevoli. Parallelamente, l'allevamento ha continuato a progredire e così la pesca (oltre 4 milioni di t di pescato l'anno). Ma è soprattutto nell'ambito delle produzioni destinate all'esportazione che l'I. ha realizzato i maggiori progressi (il paese è il secondo produttore mondiale di caucciù e di olio di palma, il terzo di cacao, il quarto di caffè, fra i primi per spezie, banane, legname, zucchero di canna).

Lo sviluppo dell'industria si è dapprima fondato sulla lavorazione locale delle ricche produzioni minerarie, dando luogo alla nascita di un'industria metallurgica piuttosto rilevante (stagno, nichel, alluminio) che si è affiancata a quella di raffinazione del petrolio. Non trascurabili, inoltre, sono i prodotti minerari che vengono esportati senza lavorazione preventiva, nonché il gas naturale e i minerali preziosi (oro, diamanti). L'incidenza del petrolio, che comunque resta la principale voce attiva del commercio estero, si è drasticamente ridotta (dall'80 al 20% delle esportazioni totali).

Accanto al petrolio, con un valore esportato di poco inferiore, compaiono però i prodotti tessili e dell'abbigliamento: è in questo comparto, infatti, che l'industria manifatturiera (il cui apporto alla formazione del PIL è fortemente aumentato nell'ultimo decennio) ha realizzato l'espansione più considerevole. Si tratta in larga misura di piccole e piccolissime imprese, con modesta applicazione di capitale e largo impiego di manodopera, decisamente orientate all'esportazione. Il loro successo è determinato soprattutto dal bassissimo costo della manodopera, le cui condizioni di lavoro, però, espongono il comparto a pesanti critiche da parte della comunità internazionale. Quest'ultima, nel richiedere il rispetto dei diritti dei lavoratori, di fatto accusa l'industria indonesiana (come quella di altri paesi dell'Asia di Sud-Est) di attuare una sorta di concorrenza sleale; in questo senso, e date anche le ventilate ritorsioni commerciali, un'ulteriore crescita del settore appare incerta. Oltre all'industria tessile, è il caso di ricordare almeno quella automobilistica (a capitale in larga parte coreano).

Sotto il profilo delle infrastrutture, specialmente per quanto riguarda le comunicazioni, la situazione non appare altrettanto progredita: la condizione arcipelagica dell'I. non agevola, certamente, la soluzione del problema, ma anche all'interno delle singole isole, esclusa Giava, lo sviluppo della rete stradale rimane proporzionalmente modesto. Di buon rilievo sono il sistema portuale, principalmente destinato all'imbarco dei prodotti esportati, e lo sviluppo dell'aviazione civile che, annualmente, realizza alcune centinaia di km volati.

Nell'insieme, il sistema economico dell'I. ha registrato prestazioni fra le migliori al mondo già dagli anni Settanta, naturalmente tenendo presenti i relativamente bassi valori di partenza. Tuttavia, come hanno dimostrato gli eventi economici verificatisi nel 1998-99, la struttura produttiva del paese rimane molto fragile. Il problema principale sembra di natura finanziaria ed è legato con tutta evidenza alla vastità del debito estero accumulato nel corso degli anni per far fronte al costante deficit delle partite correnti; questo, a sua volta, dipende largamente dall'esportazione di capitali dall'I. e dalla modestia dei reinvestimenti produttivi (oltre che da fenomeni anche molto estesi di evasione fiscale e simili). Di conseguenza, circa un terzo del valore delle esportazioni è assorbito dagli interessi passivi.

Nonostante la nazionalizzazione, attuata in passato, di buona parte delle attività produttive, una quota consistente delle produzioni è rimasta nelle mani di imprese straniere o transnazionali, o di pochissimi imprenditori locali: questi e quelle preferiscono investire altrove i profitti, come è il caso degli Indonesiani di origine cinese, che ormai dirigono i loro capitali in Cina, mentre gli elementi di corruzione presenti nel sistema non consentono un'accettabile redistribuzione della ricchezza prodotta, nonostante gli impegni presi dal governo nella lotta contro la povertà.

I recenti interventi di privatizzazione e gli incentivi al reinvestimento nel paese, specialmente nelle aree sfavorite, come anche certe iniziative in campo fiscale, hanno attenuato in qualche misura le difficoltà interne e hanno accresciuto la disponibilità di capitali produttivi, ma non hanno diminuito l'esposizione del sistema indonesiano alle fluttuazioni o alle speculazioni finanziarie internazionali. Al tempo stesso, la liberalizzazione all'ingresso di capitali esteri (ammontanti a circa 40 miliardi di dollari nel 1995) ha accentuato proprio la dipendenza dal mercato finanziario. Fin dall'estate 1997, si è così innescata una crisi valutaria e finanziaria che ha prodotto un aumento dei prezzi dei beni di consumo tale da provocare proteste e incidenti in gran parte del paese, sia nelle aree urbane sia in quelle rurali.

Questioni territoriali

In questo quadro, che sembra preludere a un brusco rallentamento della crescita economica nell'immediato e a un probabile aumento dell'emigrazione, alcune tensioni da sempre presenti nella società indonesiana si sono riacutizzate. In particolare, la minoranza di origine cinese, attiva specialmente nel commercio al dettaglio, è stata oggetto di viva ostilità da parte della popolazione. Ma il paese è gravato da altri problemi politico-territoriali, la cui mancata soluzione rischia di provocare crisi internazionali: è il caso di Timor Est, dove il contrasto tra abitanti cattolici da una parte e immigrati islamici e forze governative dall'altra ha portato all'invio di un contingente internazionale di pace (v. oltre: Storia). Altri scontri interessano l'isola di Flores, dove pure vive una cospicua comunità cattolica, e l'Irian Jaya, dove le popolazioni locali oppongono forti resistenze alla penetrazione economica di grandi imprese straniere.

Sul piano della politica regionale e internazionale, e anche rispetto alle questioni ricordate, l'I. può valersi del sostegno dell'Australia, con cui ha raggiunto ottimi rapporti, tanto che è stato possibile attuare una rapida definizione del confine marittimo comune e una serie di iniziative politiche e militari coordinate. Si sta precisando una geopolitica dell'I. che intende collocare il paese al centro dell'area dell'ASEAN (Association of South-East Asian Nations) e in una posizione di spicco, anche a costo di frizioni con i paesi circostanti. Il riconoscimento della condizione di Stato d'arcipelago e quindi della sovranità sulle acque arcipelagiche (1994), se ha garantito all'I. il controllo di 3 milioni di km² di acque marine ormai legalmente considerate interne a tutti gli effetti, ha costituito anche la premessa per un consolidamento delle posizioni indonesiane a proposito di alcuni piccoli gruppi insulari (contesi con le Filippine) e delle isole Spratly, e ha rafforzato il controllo dell'I. sulle isole Natuna. Spratly e Natuna sono oggetto di rivendicazioni (fra i pretendenti è anche la Cina) sia per la loro posizione nel Mar Cinese Meridionale, sia perché i circostanti fondali ospitano grosse riserve di idrocarburi: intorno alle Natuna sarebbe stato individuato il maggiore giacimento metanifero off-shore del mondo, per il quale l'I. ha comunque recentemente siglato un accordo di concessione con una grande compagnia statunitense.

bibliografia

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Storia

di Paola Salvatori

Ex colonia olandese, l'I. non riuscì a conquistare con l'indipendenza (1949) un'effettiva stabilità politica, e fu travagliata per lunghi anni da violenti contrasti interni, ai quali non furono estranee le potenze occidentali, preoccupate di difendere le loro prerogative economiche e la loro influenza politica in un'area divenuta, nel nuovo assetto internazionale dominato dalla guerra fredda, particolarmente strategica. Fallito il tentativo di introdurre una democrazia parlamentare di tipo occidentale, il paese fu così soggetto dal 1959 al 1965 alla 'democrazia guidata' imposta dal leader indipendentista A. Sukarno, caratterizzata da un nazionalismo dai forti tratti paternalistici, per approdare, attraverso una cruenta reazione, al regime militare filoccidentale di A. Suharto. Il 'nuovo ordine', oltre che sull'esercito, si costruì su un positivo rapporto con l'Islam ma, soprattutto, si caratterizzò in senso liberista per l'apertura del mercato interno ai capitali stranieri (in particolare giapponesi e statunitensi) ottenendo alcuni evidenti successi dal punto di vista della crescita economica. Gestito in prima persona dal dittatore Suharto e dalla sua famiglia, detentrice dei principali monopoli del paese e di ingentissimi patrimoni, la forte accelerazione del processo produttivo, che beneficiava tra l'altro del bassissimo costo della manodopera, migliorò solo marginalmente le condizioni della stragrande maggioranza della popolazione, mentre fu accompagnata dal dilagare della corruzione e del nepotismo, che contaminarono gran parte della vita politica e amministrativa dello Stato. Cominciò così a manifestarsi, soprattutto nel ceto medio - numericamente cresciuto in seguito allo sviluppo del terziario e desideroso di acquisire un maggior ruolo politico - e nel ceto intellettuale, un diffuso malcontento, condiviso anche da vasti settori della borghesia imprenditoriale e commerciale musulmana gravemente danneggiata dalla concorrenza dei capitali stranieri e della ricca minoranza cinese, divenuta il referente economico del regime. Il tentativo di Suharto di depotenziare il movimento islamico attraverso l'imposizione a tutte le organizzazioni sociali e religiose (1985) di una filosofia di Stato (pancasila), genericamente umanitaria e ugualitaria, fornì ulteriori motivi di contrasto e, provocando una crisi nell'organizzazione politica musulmana che sosteneva il regime (il PPP, Partai Persatuan Pembangunan, Partito unitario dello sviluppo), accrebbe le forze dell'opposizione. Agli inizi degli anni Novanta Suharto sembrò avviare una politica di cauta liberalizzazione accompagnata da una ripresa dei rapporti con la comunità musulmana: il ruolo della pancasila venne ridimensionato e fu riconosciuta una sia pur limitata libertà di stampa e di opinione.

Nacquero così nuove organizzazioni politiche e sociali, alcune sotto l'egida del regime come l'Associazione degli intellettuali musulmani (1990) diretta da B.J. Habibie, altre apertamente antigovernative e non riconosciute, come il Sindacato indonesiano del benessere (1992) guidato da Muchtar Pakpahan, mentre riprendeva vigore sotto la direzione di Megawati Sukarnoputri (figlia di A. Sukarno), eletta presidente nel 1993, l'azione del Partai Demokrasi Indonesia (Partito democratico indonesiano, raggruppamento moderato di nazionalisti e cristiani), l'unico partito oltre il PPP e il Golkar (Golongan Karya, il partito delle categorie professionali) a essere ammesso ufficialmente. Nei primi mesi del 1994, inoltre, anche in seguito alle pressioni internazionali, il governo revocò la legge (introdotta nel 1986) che consentiva all'esercito di intervenire durante gli scioperi e aumentò il salario minimo giornaliero.

I limiti della politica liberale di Suharto non tardarono a manifestarsi: di fronte alle crescenti richieste di democratizzazione e di moralizzazione della vita pubblica, di cui si fece portavoce soprattutto il movimento studentesco, e alle rivendicazioni economiche delle classi lavoratrici, il regime reagì con arresti e condanne indiscriminati e con il ripristino di un severo controllo sull'informazione che comportò la soppressione, nel giugno 1994, dei principali quotidiani del paese.

In campo internazionale vennero intensificate in questi anni le relazioni diplomatiche con la Cina e migliorati i rapporti con l'Australia. Le relazioni con il Portogallo, invece, rimasero difficili a causa dell'irrisolta questione di Timor Est: nonostante le ripetute condanne da parte dell'ONU e delle organizzazioni internazionali dei diritti umani, le autorità indonesiane (che controllavano la maggioranza delle attività estrattive e delle piantagioni) continuarono sull'isola la violenta repressione contro gli esponenti del movimento indipendentista (Fretilin, Frente Revolucionária do Timor Leste Independente), espressione della popolazione locale prevalentemente cattolica. Tale repressione fu accompagnata da un'intensa campagna di assimilazione culturale, promossa anche attraverso una massiccia immigrazione di popolazione musulmana. Una linea analoga venne adottata nei confronti dell'Irian Jaya (la parte occidentale della Nuova Guinea), anch'essa abitata da una popolazione indigena prevalentemente cattolica, animata da forti sentimenti autonomisti. L'assegnazione, nell'ottobre 1996, del premio Nobel per la pace al vescovo di Timor, C.F. Ximenes Belo, e al leader indipendentista in esilio J. Ramos Horta, suscitò le vivaci proteste del governo indonesiano.

A partire dal 1996, in vista delle elezioni politiche fissate per l'anno successivo, la tensione si acuì particolarmente. Il tentativo del governo di delegittimare il leader dell'opposizione Megawati Sukarnoputri, estromettendola di fatto dalla direzione del partito democratico, provocò gravi disordini (luglio) e nuove ondate di arresti, mentre cresceva in tutto il paese il clima di intimidazione nei confronti di quanti si opponevano al regime. Fiaccato dalla repressione e dalle ingerenze governative, il partito democratico conquistò solo 11 seggi nelle elezioni svoltesi nel maggio 1997, a fronte degli 89 del PPP e dei 365 del Golkar, che ribadiva così pesantemente la propria supremazia.

La situazione rimase critica anche nei mesi successivi, aggravata dalle pesanti ripercussioni sociali derivanti dalla crisi risicola, conseguente alla siccità, e soprattutto dagli effetti della crisi finanziaria che aveva investito nell'estate i paesi del Sud-Est asiatico.

L'aumento della disoccupazione e dei prezzi dei generi di prima necessità, conseguente anche alle misure richieste dal FMI come condizione per i finanziamenti, provocò tra la fine del 1997 e i primi mesi del 1998 imponenti manifestazioni di protesta (degenerate in alcuni casi nel violento assalto agli esercizi commerciali della comunità cinese) che coinvolsero per la prima volta massicciamente anche il ceto medio, depauperato dalla crescita vertiginosa dell'inflazione. A fronte dell'incertezza dimostrata dai leader delle forze di opposizione, il movimento studentesco assunse la guida delle agitazioni saldandole alle richieste di democratizzazione e ponendosi come obiettivo l'allontanamento di Suharto (che nel marzo 1998, unico candidato, aveva ottenuto il settimo mandato presidenziale). Nonostante la brutale repressione operata dall'esercito, a maggio Suharto, soprattutto per le pressioni internazionali, in particolare statunitensi, fu infine costretto a dimettersi e fu sostituito dal vicepresidente B.J. Habibie.

Più volte rimandate, nel giugno 1999 si tennero infine le elezioni politiche vinte dal Partai Demokrasi Indonesia Parjuangan (Partito democratico indonesiano di lotta), formato nel febbraio da Megawatti, che conquistò 154 seggi a fronte dei 120 ottenuti dal Golkar e dei 58 andati al PPP.

La transizione a un regime democratico si manifestò tuttavia estremamente complessa. Sanguinosi scontri interetnici e interreligiosi scoppiarono in tutto il paese provocando centinaia di vittime. Particolarmente critica fu la situazione verificatasi a Timor Est (v. in questa Appendice). L'esito del referendum indetto da Habibie nell'agosto 1999, anche in seguito alle pressioni dell'ONU, contrario all'autonomia all'interno dello Stato indonesiano e favorevole all'indipendenza, scatenò la feroce reazione dei filoindonesiani che perpetrarono violente rappresaglie nei confronti della popolazione civile, deportata in massa nella zona occidentale e fatta oggetto di esecuzioni sommarie. Habibie, incapace di fronteggiare la situazione e pressato dagli Statunitensi, fu infine costretto ad accettare la decisione dell'ONU di inviare un contingente internazionale di pace, giunto a Dili nel settembre 1999. Un clima di tensione accompagnò anche le elezioni presidenziali svoltesi in ottobre e vinte dal leader musulmano moderato Abdurrahman Wahid.

bibliografia

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H.R.J. Vatikiotis, Indonesian politics under Suharto. The rise and fall of the new order, London 1998.

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