INDO-GRECI E INDO-PARTHI, Sovrani

Enciclopedia dell' Arte Antica (1961)

INDO-GRECI E INDO-PARTHI, Sovrani

A. M. Simonetta

Numismatica artistica.

1) Indo-Greci. − La storia della dominazione greca nell'Irān orientale e nell'India nord-occidentale, quale essa ci appare attualmente, è sostanzialmente il frutto di un complesso lavoro di deduzione compiuto sui documenti numismatici ad integrazione degli scarsissimi documenti storici ed epigrafici (v. anche battriana, arte della).

Già prima della conquista di Alessandro esistevano in Battriana, in Sogdiana e nella valle del Kābul (Paropamisadae) colonie greche, ed è probabilmente ad esse che si deve la produzione di monete i cui tipi derivano, con progressive modificazioni, dai classici tipi ateniesi. È probabile che anche il dinasta Sophytes, che coniò moneta attorno ai tempi di Alessandro, sia da collegare a tali nuclei greci. Dopo la morte di Alessandro, la Battriana divenne per breve tempo indipendente sotto il dominio di Stasanor, per poi passare a far parte dell'impero seleucide. Staccatasene nel 247 a. C., durante la terza guerra siriana, sotto la guida di Diodotos I, già governatore seleucide della Battriana e della Sogdiana, il regno greco battriano iniziò una rapida espansione sotto Euthydemos I, verso il 205 a. C., ed alla morte di Demetrios I (c. 182 a. C.) esso comprendeva tutto l'attuale Afghanistan, il Tagikistan e parte dell'Uzbekistan e del Turkmenistan. Successivamente anche il Gandhara e Taxila furono conquistati, ma il nuovo impero diveniva preda di confuse guerre civili che lo dilaniarono per oltre quarant'anni (c. 172-132 a. C.). Ne approfittarono prima i Parthi, poi gli Shaka ed i Tochari (Yue-che) per impadronirsi di quasi tutti i territorî a settentrione della catena dell'Hindu Kusb, nonché del Seistan.

Una nuova fase di espansione del regno indo-greco si ebbe sotto Menandros (c. 130-110 a. C.): l'intera valle dell'Indo fino al mare fu conquistata e l'armata greca, collegata ai contingenti di altri stati indiani, avanzò vittoriosa fino a Pataliputra (Patna) sul Gange. Le conquiste sul basso corso dell'Indo e nella valle del Gange si rivelarono effimere, ma per i quarant'anni successivi alla morte di Menandros il regno indo-greco si conservò incontestabilmente come la maggiore potenza dell'India settentrionale. Tuttavia una nuova invasione Shaka, iniziatasi verso il 70 a. C., causava il frantumarsi dello stato. Per altri sessant'anni circa incessanti lotte si svolsero con alterne vicende fra i Greci e gli Shaka (v.) finché, verso il 10 a. C., la nuova dinastia indo-parthica attaccava gli esausti contendenti; Hermaios, ultimo dei re indo-greci, per salvare gli ultimi lembi del suo stato si confederava con Kujula Kadphises, fondatore della dinastia Kuṣāna, che alla morte di Hermaios, prendeva pacificamente possesso dei Paropamisadae concludendo il ciclo indo-greco ed iniziando quello dell'impero Kuṣāna.

Lo studio dell'arte degli Indo-greci è reso particolarmente arduo dal fatto che, all'infuori delle loro monete, virtualmente nulla ci è rimasto della loro opera. Gli strati dell'epoca indo-greca non sono stati raggiunti in nessuno degli scavi compiuti nei centri importanti dell'Afghanistan e del Pakistan e, pertanto, è giocoforza limitarci all'arte numismatica. Questa fin dai tempi di Euthydemos I (c. 231-200 a. C.) comincia a distaccarsi dalla tradizione seleucide ed a rendersi stilisticamente indipendente. Negli ultimi anni del regno di Euthydemos, infatti, inizia la propria attività a Bactra un incisore di qualità eccezionali, che manifesta la sua personalità inizialmente con uno stile ritrattistico di un vigoroso realismo. Questo artista (i coni da lui preparati sono inconfondibili), nel successivo regno di Demetrios I (c.200-182 a. C.) migliora ulteriormente la qualità del suo lavoro modificando leggermente le caratteristiche del disco monetale, che diviene più ampio, pur non mutando di peso, così che le proporzioni fra lo spazio libero ed il ritratto del re migliorano. Compare inoltre per la prima volta sul retro delle monete una divinità sincretica: Eracle che si incorona con un serto di pampini o di foglie d'edera, un attributo estraneo al culto di Eracle in Occidente. Molte monete di Euthydemos II (c. 182-175 a. C.), di Antimachos I (c. 175-170 a. C.), di Pantaleon (c. 170-169 a. C.) e di Agathokles (c. 169-165 a. C.) sono evidentemente opera di questo artista che, apparentemente durante il regno di Antimachos I, si trasferì da Bactra nei Paropamisadae. Egli, invece, non preparò alcuno dei conî bilingui che rappresentano l'innovazione fondamentale degli Indo-Greci ed il suo influsso si continuà, semmai, negli incisori battriani, pur di assai minor valore, che continuarono a Bactra e nei Paropamisadae a produrre monete di peso attico, fra le quali spicca, per essere la più grande moneta d'oro coniata nel mondo ellenistico, il pezzo da 20 stateri di Eukratides I (c. 171-160 a. C.).

Già ai tempi di Demetrios I fu compiuto nei Paropamisadae qualche esperimento di monetazione bilingue sia in argento che in bronzo: iscrizione in greco al dritto e traduzione in pràcrito al retro, tuttavia è solamente con Apollodotos I (c. 165-160 a. C.) e con Straton I (c. 160-135 a. C.) che anche l'argento comincia ad essere sistematicamente coniato secondo il sistema indiano, mentre dopo la morte di Heliokles (c. 135 a. C.), perduti quasi tutti i possedimenti battriani, l'emissione di monete di tipo attico si riduce enormemente fino ad assumere il valore di emissioni celebrative, come, ad esempio, gli straordinari doppi decadracmi di Amyntas (c. 83-80 a. C.), le più grandi monete d'argento coniate nell'antichità classica. In queste tarde monete attiche lo stile è lo stesso di quello delle bilingui.

L'adozione di monete più piccole di quelle attiche e la necessità di porre al dritto l'iscrizione greca posero agli incisori indo-greci gli stessi problemi di spazio che, assai più tardi, ebbero gli incisori romani, ed è notevole una forte affinità fra le soluzioni adottate dalle due scuole. È inoltre curioso che fin dai tempi di Eukratides I, gli Indo-Greci abbiano rappresentato, sia su monete di tipo greco che su monete bilingui, il re nell'atto di brandire la lancia, un motivo che, certo indipendentemente, è adottato nella monetazione romana del III, IV e V secolo. Le monete indo-greche, per ciò che riguarda il ritratto del re, sono notevoli, almeno fino all'epoca di Apollodotos II (c. 70-65 a. C.) per il predominare di conî con un rilievo assai forte, con piani notevolmente staccati ed un forte effetto di chiaroscuro, cui si unisce una quasi miniaturistica cura dei dettagli ed un grande realismo. Non mancano, tuttavia, fin dall'epoca di Straton I, esemplari di rilievo molto meno accentuato ed in cui la figura appare "slargata" nei suoi tratti.

I rovesci delle monete d'argento, tranne i pochi esempi in cui è figurato il sovrano armato, a piedi od a cavallo, portano l'immagine di una divinità ellenica (Pallade, Demetra, Nike, Artemide, Zeus, Eracle, Dioscuri) spesso, peraltro, con attributi iranici: corona radiata Zeus (= Mithra); corona di pampini Eracle; talvolta accompagnati da altri elementi: elefante, Nike. Assai più rari sulle monete d'argento gli attributi di divinità usati come soggetto (esempio civetta) o motivi asiatici (zebù, elefante). Talvolta una divinità prende il posto del ritratto del re: busto di Pallade in alcune monete di Menandros, Nike (con al retro il re a cavallo) sulle emissioni di Antimachos Il (c. 135-130 a. C.), elefante su quelle di Apollodotos I. Eccezionali, ma di grande interesse, un genio alato e nimbato che indossa una corta tunica e che regge una corona ed un ramo di palma (Menandros, emissione tarda), ed i tipi di Telephos (c. 70-68 a. C.): mostro umano con code di serpente in luogo delle gambe al dritto ed Helios e Artemide stanti al retro.

Nei bronzi la varietà dei tipi è assai maggiore: predominano le divinità che compaiono sulle monete d'argento ed i loro attributi, ma fanno la loro comparsa anche divinità minori, simboli ed animali diversi, nonché, se pur raramente, divinità e simboli religiosi indiani come Yakshī, Mithra, Stūpa, Buddha in contemplazione (?). Nei bronzi manca, di solito, il ritratto del re. Pur essendo di regola assai belli anche i bronzi ed i retri degli argenti, l'eccessiva ricerca dei particolari in figure così minute nuoce all'insieme, che appare al tempo stesso rigido e barocco, pur negli atteggiamenti di grande movimento che predominano nei tipi. A partire da Apollodotos Il, nei convulsi sessanta anni di lotte coi barbari che videro il progressivo disintegrarsi dello stato indo-greco, si osserva una netta decadenza delle qualità artistiche del numerario; decadenza rapidissima nelle zecche più orientali che, nel giro di pochi anni, si riducono a produrre delle vere caricature dei tipi precedenti, assai più lenta nelle zecche occidentali, in cui le caratteristiche del ritratto perdono progressivamente di vigore mentre i rovesci divengono sempre più rigidi e schematici. Tuttavia fino ai tempi di Hermaios si hanno esemplari degni delle tradizioni antiche, per esempio il tetradracma attico di Hermaios.

2) Indo-Parthi. − Lo stato indo-parthico ebbe origine dalla secessione dall'impero parthico della Drangiana, nota anche, dopo l'invasione shaka del 128 a. C., come Sakastene (moderno Seistan). Mentre non abbiamo virtualmente alcun documento sul quale fondarci per la ricostruzione della storia di questo stato, l'uso dei dinasti indo-parthi di indicare nelle iscrizioni delle loro monete le relazioni di parentela o di gerarchia che li legavano fra loro, facilita assai la compilazione delle liste reali, pur mancando qualsiasi data e sebbene gli unici documenti che ad essi si riferiscano siano un testo apocrifo cristiano, redatto circa due secoli dopo la fine della dinastia, ed un'iscrizione.

Dopo un breve periodo di indipendenza sotto Vonones (c. 52-42 a. C.), la Sakastene diveniva definitivamente indipendente sotto Orthagnes verso il 10 a. G. La nuova dinastia iniziò una rapida fase di espansione e già una ventina di anni dopo Gondophares I, successore di Orthagnes, era in possesso di tutto l'Afghanistan meridionale e di tutta la valle dell'Indo dall'Himalaya al mare. Il nuovo impero non aveva, tuttavia, alcuna consistenza e già verso il 40 d. C. gli Indo-Parthi, travagliati da lotte intestine e premuti dai Kuṣāna, avevano perso le pianure indiane; verso il 55 d. C. perdevano l'Arachosia e verso il 70-75 anche gli ultimi loro dominî in Sakastene erano forse assorbiti dai Kuṣāna e la dinastia indo-parthica aveva fine.

Una così rapida espansione ed una ugualmente rapida rovina rendono facilmente comprensibile come, dal punto di vista artistico, gli Indo-Parthi nulla ci abbiano lasciato di originale.

La loro monetazione (non va dimenticato che essa rappresenta la manifestazione artistica ufficiale ed un mezzo di propaganda della dinastia) imita, nelle emissioni coniate in Sakastene, i modelli arsacidi, che tuttavia sono interpretati con una certa libertà, soprattutto per ciò che riguarda il ritratto del re. Sotto i primi re i tipi si ispirano a quelli in uso nelle zecche arsacidi di Seleucia sul Tigri e di Susa, più tardi è solo la monetazione di Susa che sembra stilisticamente più prossima a quella indo-parthica.

In Arachosia venne prodotto un tipo unico di monete: tetradracmi di bronzo con al dritto il busto del re ed al retro una Nike. Spesso gli esemplari pervenutici sono in cattive condizioni, ciò che rende ardua una valutazione obbiettiva del loro pregio artistico. Si può tuttavia affermare che solo Gadana (c. 5-1 a. C.), in qualità di viceré di Gondophares I e Pakores (c. 35-55 d. C.) ebbero incisori che produssero, pur nella schematicità e nella relativa goffaggine della figura, ritratti abbastanza bene individualizzati. Degli altri abbiamo immagini quasi grottesche. In India gli Indo-Parthi si limitarono a continuare i tipi shaka ormai decadenti di Azes II e dei suoi satrapi, dritto: re a cavallo, retro: Zeus stante oppure il re stante, vestito dell'himàtion. Infine possediamo piccole dracme di bronzo di Gondophares I, coniate all'estremità orientale dei suoi dominî, che continuano in forma estremamente degenerata i tipi indo-greci della zona.

Gli scavi hanno confermato quanto era presumibile dai dati numismatici. A Taxila la fase indo-parthica non è che la continuazione della fase shaka, ed è anzi provato dalle iscrizioni delle monete che Aspavarma, satrapo di Taxila sotto l'ultimo re shaka Azes II, conservò la sua carica almeno per alcuni anni sotto Gondophares I. È tuttavia notevole il Tempio del Fuoco attribuito ad epoca parthica, che ha evidenti affinità sia con analoghe costruzioni arsacidi sia con il tempio Kuṣāna di Surkh Kotal (v.). Un altro importante monumento è un complesso edificio, assai ben conservato, a Kuh-i Kwagia (v.) nel Seistan, che viene attribuito all'epoca di Gondophares I, ma che, peraltro, viene unanimemente considerato come un tipico monumento parthico.

Tuttavia l'unico documento letterario che ci ricordi i sovrani indo-parthi: gli apocrifi Atti dell'apostolo Tommaso, composti verosimilmente nel III sec., ci dicono che durante il regno di Gondophares I artisti occidentali furono portati alla corte di questo sovrano dalle province orientali dell'Impero Romano. Sebbene gli Atti in questione siano evidentemente in larga misura leggendarî (tra l'altro il viaggio dell'apostolo si sarebbe compiuto in un'epoca in cui Gondophares era già morto), essi possono ben ricordare un fatto reale attribuendo a Gondophares la prima iniziativa di quegli scambî di artefici che tanto dovevano influire sull'arte della successiva epoca Kuṣāna.

Bibl.: P. Gardner, A Catalogue of Indian Coins in the British Museum. The Greek and Scythic Kings of Bactria, Londra 1886; E. Herzfeld, Sakastan, in Archaeologische Mitteilungen aus Iran, Berlino 1932; W. W. Tarn, The Greeks in Bactria and in India, Cambridge 1951; R. Ghirshman, L'Iran des origines à l'Islam, Parigi 1951; G. K. Jenkins-A. K. Narain, The Coins Types of the Saka-Pahlava Kings of India, in Numismatic Notes and Monographs, Numismatic Soc. India, 1957; J. Marshall, Taxila, Cambridge 1951; A. K. Narain, The Indo-Greeks, Oxford 1957; A. M. Simonetta, A New Essay on the Indo-Greek, the Sakas and the Pahlavs, in East and West, IX, 1958, p. 154 ss.