Improvvisazione

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Arte e uso di comporre versi all’improvviso, senza preparazione e meditazione, o di comporre musica nell’atto stesso di eseguirla. È detta i. l’opera stessa, letteraria o musicale che si compone improvvisando. letteratura Dalle fonti si evince che l’i. poetica fu praticata in ogni tempo. Cicerone (De orat. III, 194) ricorda l’abilità di Antipatro di Sidone di «fundere ex tempore» versi di ogni metro. Petrarca, riprendendo la notizia da Cicerone, ne trae motivo per biasimare gli improvvisatori della sua epoca (Rerum mem. libri III, 36, 2). Ma il fenomeno ebbe la sua massima fioritura in Italia durante il Rinascimento e, con caratteri diversi, nel preromanticismo e nel romanticismo. Tra gli improvvisatori rinascimentali: B. Ugolini, P. Sasso,Serafino Aquilano , B. Accolti, e, in latino, A. Brandolini.

Il culto arcadico per la poesia semplice, musicalmente indeterminata, e soprattutto poi la concezione romantica della poesia istintiva fecero apprezzare nel 18° e 19° sec. i nuovi ‘bardi’ e ‘trovatori’, che poetavano sull’onda dell’immediata ispirazione. Numerose furono le accademie, nelle quali i poeti improvvisavano su temi dati dal pubblico. B. Perfetti fu il primo a esibirsi in tali accademie, e fu addirittura incoronato poeta in Campidoglio; incoronata fu anche, non senza contrasti, la celebre Corilla Olimpica (M.M. Morelli). Sulle sue orme si mosse Amarilli Etrusca (T. Bandettini). Grande abilità dimostrò F. Gianni. T. Sgricci improvvisava addirittura tragedie. Alcuni mescolavano ai temi tradizionali altri temi ispirati dagli avvenimenti del tempo: tra i maggiori, G. Rossetti, B. Sestini, G. Milli Cassone. Continuava intanto a fiorire la poesia popolare improvvisata, tradizionale in alcune campagne d’Italia.

Musica

L’i. si riscontra già negli organa medievali, nelle diminuzioni e nelle fioriture dei cantori al liuto e, successivamente, nei vocalizzi del cosiddetto ‘bel canto’, come anche nella musica strumentale, presso gli organisti e i cembalisti che accompagnavano il canto in chiesa o in concerto o in teatro, spesso fornendo anche preludi, postludi improvvisati. Grandi improvvisatori furono G.F. Händel, J.S. Bach, L. van Beethoven, F. Liszt, C. Franck. L’i. continuò a essere coltivata per tutto l’Ottocento da compositori, cantanti e interpreti strumentali, questi ultimi specie nelle cadenze dei concerti per strumento solista.

Nel Novecento l’i. è interpretata come introduzione di elementi aleatori, indeterminati e casuali nell’esecuzione. L’i. costituisce un elemento strutturale del linguaggio jazzistico, che per gran parte del suo cammino storico si è servito dello schema tema-variazione-invenzione mediante il quale l’esecutore, abbandonata la linea melodica originariamente esposta, ne improvvisa altre che del tema iniziale mantengono la successione armonica. Di i. intesa come vera e propria composizione estemporanea, però, si può parlare, a rigore, solo in relazione al free-jazz che rifiutava l’adozione di qualsiasi riferimento armonico o ritmico predeterminato, recuperando al contempo alla pratica jazzistica l’impiego dell’i. collettiva. L’i. è presente anche in altre forme musicali (pop, rock ecc.).

È chiamata improvviso una composizione strumentale, prevalentemente pianistica, priva di schemi formali fissi. Il compositore boemo J.H. Vorísek (1791 -1825) fu il primo a usare il termine impromptu per questo tipo di pezzi e altri esempi ne diedero in epoca romantica F. Schubert, F. Chopin, R. Schumann e F. Liszt. Il genere fu coltivato anche dai compositori del Novecento.

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