IMPOSTE E TASSE

Enciclopedia Italiana (1933)

IMPOSTE E TASSE

Jacopo TIVARONI
Anna Maria RATTI

TASSE Nel linguaggio scientifico, e spesso anche in quello amministrativo, imposta è quella parte della ricchezza privata che i cittadini d'uno stato, o coloro che vi risiedono, devono cedergli per la soddisfazione dei bisogni pubblici di ordine generale; tassa invece è la somma che si paga in corrispettivo d'una prestazione che pur recando a tutti i consociati un vantaggio indistinto, ne reca uno particolare e distinto a coloro che ne profittano.

La parola tassa può essere intesa in senso ristretto o proprio, e allora si riferisce soltanto ai compensi pagati per i servigi resi dai pubblici istituti esercitati dallo stato per fini essenzialmente politici (amministrazione della giustizia, pubblica istruzione, ecc.). Ma la parola tassa può essere intesa anche in senso esteso e meno proprio e allora comprende anche i compensi pagati per i servigi resi dalle pubbliche imprese (ferrovie, poste, telegrafi, tranvie, bagni municipali, ecc.), che lo stato e gli enti pubblici minori esercitano per motivi economico-sociali, e cioè per sostituire un monopolio pubblico a un monopolio privato, altrimenti inevitabile. In un caso e nell'altro la differenza tra imposta e tassa consiste in ciò, che l'imposta è pagata per la soddisfazione dei bisogni collettivi d'indole generale (difesa esterna, sicurezza pubblica, ecc.), di cui non è possibile precisare la quantità consumata da ciascun contribuente, e quindi il prezzo che egli ne deve corrispondere; la tassa invece è la contro-prestazione che i cittadini pagano allo stato per una prestazione, da loro stessi individualmente richiesta, di servigi degli enti pubblici.

Nella finanza contemporanea, in cui le entrate derivanti dai beni patrimoniali dello stato hanno un'importanza relativamente scarsa, le imposte e le tasse (soprattutto le prime) rappresentano le fonti principali, ordinarie e normali delle entrate dello stato e degli enti pubblici minori. vero che alcune volte lo stato, per fronteggiare spese straordinarie, ricorre in misura molto ragguardevole al debito pubblico e all'emissione di carta-moneta, ma nel primo caso lo stato deve poi di nuovo fare assegnamento sulle imposte e sulle tasse per pagare gl'interessi dovuti ai suoi creditori; nel secondo caso il procedimento si risolve in una decurtazione dei redditi, e cioè in un'imposta, a carico di alcune classi della popolazione (possessori di titoli del debito pubblico, di depositi presso le banche e creditori in genere), mentre altre classi (industriali, commercianti e debitori in genere) ricavano da tale circolazione cartacea particolari profitti.

Classificazione delle imposte. - Le imposte si distinguono: a) secondo la forma con cui sono soddisfatte: imposte in natura e in moneta. Le prime sono proprie d'un periodo storico sorpassato; le seconde, invece, d'uno più progredito e hanno da molto tempo sostituito le imposte in natura in tutti gli stati civili;

b) secondo la loro natura: imposte dirette e imposte indirette. Con una distinzione che risale al Hoffmann (1840) e che fu poi introdotta in Italia da L. Cossa e da G. Alessio, diciamo dirette quelle imposte che colpiscono una manifestazione immediata della ricchezza del contribuente, come il prodotto, il reddito e il patrimonio; indirette quelle che colpiscono una manifestazione mediata della ricchezza, in quanto questa manifestazione è indice (più o meno esatto) della capacità economica del contribuente, come i trasferimenti e il consumo della ricchezza;

c) secondo il loro oggetto: l'imposta è reale quando colpisce la ricchezza senza tener conto delle condizioni personali del suo possessore (imposte sui consumi e sui trasferimenti, imposte sui terreni, sui fabbricati, ecc.): è personale invece quando colpisce la ricchezza tenendo conto delle condizioni personali del suo possessore, p. es. degl'interessi passivi, del numero dei componenti la famiglia del contribuente, dello stato di celibato, ecc.;

d) secondo il metodo di riscossione: si ha l'imposta di contingente o di ripartizione quando, fissato in precedenza il prodotto totale di un'imposta, questo viene ripartito fra i vari compartimenti, provincie, comuni e contribuenti in una misura prestabilita (imposta sui terreni nelle provincie dove non è ancora attuato il nuovo catasto), di guisa che l'imposta riesce gravosa negli anni di scarsa produttività e leggiera in quelli più fortunati; si ha invece l'imposta di quotità quando è fissata in precedenza solo l'aliquota che il cittadino deve pagare, di guisa che il gettito dell'imposta segue le vicende del reddito, senza che gli enti pubblici possano contare sopra un prodotto prestabilito (imposte sui terreni, nelle provincie dove è attuato il nuovo catasto, sui fabbricati e di ricchezza mobile).

Imposte e reddito. - La fonte normale delle imposte è il reddito netto dei privati, ossia quella parte di ricchezza che viene di continuo riprodotta e che può essere consumata senza intaccare il capitale da cui deriva. Al reddito si contrappone il patrimonio, intendendosi per esso non solo la ricchezza impiegata produttivamente, ma tutta la ricchezza anche improduttiva. È necessario che l'imposta colpisca il reddito e non il patrimonio, perché se essa colpisse il patrimonio distruggerebbe le fonti stesse (i mezzi) della produzione della ricchezza. Ma anche senza raggiungere questo grado estremo di pressione, l'imposta non deve nemmeno ostacolare eccessivamente l'incremento della ricchezza nazionale che avviene appunto mediante la trasformazione in capitale d'una parte del reddito netto annuo, mentre quella parte del reddito che è ceduta allo stato a titolo d'imposta viene per lo più sottratta al consumo riproduttivo e alla formazione di nuova ricchezza. Un'eccessiva pressione tributaria è una fra le principali cause della povertà di alcune nazioni uno dei più gravi ostacoli al loro progresso agricolo e industriale.

In parecchi casi l'imposta ha anche l'effetto necessario di modificare il precedente assetto dell'economia nazionale. Un primo e importante esempio di questa conseguenza dell'imposta lo troviamo nei dazî protettori, i quali, mentre procurano un'entrata allo stato, modificano la precedente produzione delle ricchezze, facendo affluire il capitale alle imprese protette a danno di quelle non protette, e modificano la distribuzione delle ricchezze stesse in quanto arricchiscono i produttori a danno dei consumatori. Analogamente l'esenzione dall'imposta sui consumi necessarî, unita a una preponderante tassazione diretta, ha per effetto una correzione della precedente distribuzione della ricchezza; mentre una lieve tassazione dei redditi dei capitali, unita a una forte pressione sui consumi necessarî, avrebbe per effetto di rendere più sperequata la precedente ripartizione della ricchezza.

Evasione, incidenza e traslazione delle imposte. - Non sempre i contribuenti pagano i tributi imposti dal legislatore, ma cercano anzi spesso di sottrarvisi o rinunciando al consumo, o ricorrendo a surrogati del bene tassato o anche a mezzi illeciti, quali il contrabbando, la frode, la denuncia soltanto parziale o la completa omissione della prescritta denuncia della ricchezza imponibile. La misura dell'evasione dipende da varie circostanze; essa è anzitutto inversa del grado di moralità della popolazione, e specialmente dell'intensità con cui essa apprezza i bisogni pubblici in confronto di quelli privati. Ma anche il saggio dell'imposta influisce grandemente sulla misura dell'evasione, perché mentre la maggioranza della popolazione è disposta a subire quel sacrificio che ritiene giusto, sono pochi coloro che, potendolo, non cercano di sfuggire all'imposta, quando giudichino sproporzionato il saggio dell'imposta. E finalmente hanno grande influenza i procedimenti tecnici adottati per controllare il reddito imponibile (v. fisco: Reati fiscali: XV, p. 469).

Alcuni scrittori affermano che il contribuente può anche liberarsi, in tutto o in parte, dal tributo aumentando la sua produzione. È questa la teoria della rimozione o del rigetto dell'imposta, la quale però è completamente erronea, perché se il contribuente deve, a cagione dell'imposta, produrre una maggiore quantità di beni economici per non subire una perdita materiale di patrimonio, val quanto dire che l'imposta si paga pienamente, ove si consideri che questo aumento della produzione, che d'altra parte può verificarsi soltanto raramente, perché ostacolato da leggi psichiche, fisiche ed economiche, non rimane al contribuente, e che egli perciò impiega improduttivamente, in relazione a sé stesso, il lavoro e il capitale necessario alla produzione dell'aumento surriferito. Questo aumento di lavoro e di risparmio, ossia questo maggior sacrificio, costituisce appunto la percussione che sopra di lui esercita l'imposta. La teoria della rimozione dell'imposta è quindi una semplice illusione.

L'incidenza o la traslazione delle imposte si verifica nei casi in cui il contribuente paga il tributo impostogli (il momento in cui il contribuente di diritto paga l'imposta è detto percussione dell'imposta); se il contribuente percosso non riesce a trasferire sopra nessun'altra persona l'onere del tributo, si compie a suo carico l'incidenza dell'imposta, ossia quella sottrazione che l'imposta opera sui beni di chi ne sopporta il carico in via definitiva; se il contribuente di diritto invece riesce a trasferire o ripercuotere l'imposta sopra altre persone, si ha la traslazione o ripercussione dell'imposta, quel processo mediante il quale il contribuente si compensa, in tutto o in parte, delle imposte e tasse da cui è colpito, trasferendone l'onere su altri, i quali, alla loro volta, se ne liberano in tutto o, in parte.

Si è constatato che i fenomeni della traslazione sono strettamente subordinati a quelli del valore, e che non vi ha traslazione d'imposta, che non sia causata da una variazione di valore. In altre parole, perché la traslazione possa dirsi avvenuta, è necessario che la ragione dello scambio del bene tassato si sia mutata, non già per ragioni estrinseche all'imposta, bensì e unicamente in virtù delle modificazioni recate dall'imposta medesima sul mercato. E invero se non muta il rapporto tra la domanda e l'offerta del bene colpito, ossia se non ne muta il prezzo, non vi è, né vi può essere, trasferimento d'imposta. E poiché il valore è regolato da leggi differenti a seconda che si tratti di beni prodotti in condizioni di concorrenza o di monopolio, così col variare della legge del valore, variano anche quelle che regolano la traslazione delle imposte.

Considerando qui soltanto la teoria generale della traslazione, supponiamo che in un momento dato, nel quale i prezzi dei prodotti e degli elementi della produzione e i profitti sono nel loro punto normale di equilibrio, s'introduca una nuova imposta, la quale colpisca tutti i profitti delle imprese. Si devono anzitutto distinguere due casi a seconda che l'imposta colpisca imprese che si trovano in condizione di concorrenza o in condizione di monopolio. Nel primo caso l'imposta deve evidentemente essere considerata come un aumento del costo di produzione della merce, per cui i produttori cercheranno di compensarsene elevando il prezzo, e se non vi riescono i loro profitti saranno più scarsi e la produzione della merce diminuirà. Si manifesta infatti uno di questi due risultati: o i produttori trasferiranno a poco a poco il loro capitale a industrie non tassate; oppure, se il trasferimento del capitale non è possibile, la produzione sarà ristretta con la scomparsa delle imprese che si trovano al margine, mentre l'imposta impedirà l'afflusso d'ogni capitale nuovo. In ambedue i casi quindi, con l'andare del tempo, l'offerta diminuirà, il che porterà a un aumento del prezzo. Il consumatore sopporterà quindi l'onere dell'imposta. Circa il secondo caso, è noto che il monopolista nella scala dei prezzi non sceglie il prezzo massimo, né quello minimo, ma quello che gli reca il massimo profitto netto e che, in questo regime, il costo di produzione serve solo a fissare il limite minimo del prezzo. Se ora il monopolista viene colpito da un'imposta proporzionale sul profitto netto, sembra che non possa mai trasferirla sul consumatore, perché ogni aumento di prezzo gli farebbe ottenere un prodotto netto inferiore a quello che otteneva col prezzo fissato in precedenza.

I principî giuridici delle imposte. - Sono quelli della generalità e dell'uniformità. Per generalità dell'imposta s'intende che tutti i cittadini di uno stato e coloro che vi risiedono devono contribuire all'imposta, senza esenzioni o immunità a determinate classi e ceti sociali. Per uniformità dell'imposta s'intende che tutti coloro che si trovano nella medesima condizione economica devono pagare la stessa quantità d'imposte.

Si è posto il problema circa il criterio preferibile per applicare il principio dell'uniformità dell'imposta. Secondo la teoria dell'equivalenza, sviluppata specialmente da J. R. Mac Culloch, da N. W. Senior e da A., Thiers' giusta è quell'imposta per la quale ogni cittadino contribuisce alle spese dello stato nella stessa misura dell'utilità che egli ritrae dalle prestazioni dello stato. Alla loro volta i beni prodotti dall'economia collettiva entrerebbero nel consumo dei privati in misura proporzionale al reddito. Si osserva che non è possibile determinare la quantità delle prestazioni di ordine generale, alle quali corrisponde l'imposta, che ciascun contribuente ottiene dallo stato, e quindi l'utilità che egli ne ritrae, appunto perché si tratta di prestazioni d'ordine generale e quindi non individualizzabili. D'altra parte non è esatto che i beni economico-privati siano consumati in misura proporzionale al reddito, perché, mentre i redditi minori devono essere impiegati completamente nel consumo, quelli maggiori concedono un margine di risparmio, tanto più ampio quanto più è grande il reddito, e quindi se i beni economico-pubblici fossero consumati nella stessa proporzione di quelli economico-privati, l'imposta dovrebbe essere non proporzionale al reddito, ma degressiva.

La teoria dell'eguaglianza, o meglio, della proporzionalità dei sacrifici, esposta per la prima volta da J. Stuart Mill, sostiene che i servizî dello stato riescono necessarî a tutti i cittadini, che la necessità non comporta graduazioni e che per conseguenza tutti i contribuenti devono subire uno stesso sacrificio per la soddisfazione dei bisogni collettívi di ordíne generale. Ne deriva che giusta è quell'imposta la quale preleva da ogni reddito un'identica utilità, ossia un uguale valore soggettivo. Il difetto di questa teoria è d'essere poco precisa e di non offrire un criterio concreto per la distribuzione delle imposte. Come è possibile che un'imposta, anche fortemente progressiva, faccia subire lo stesso sacrificio alle classi ricche e alle classi povere? Alle classi ricche, per cui l'apprezzamento soggettivo d'ogni unità di ricchezza è minimo in causa della loro ricchezza, e alle classi povere per cui per contrario esso è massimo, in causa della loro povertà stessa? La teoria dell'eguaglianza dei sacrifici è stata in seguito perfezionata e trasformata in quella della proporzionalità dei sacrifici, la quale sostiene che le varie classi di redditieri devono sacrificare la stessa proporzione non del loro reddito, ma dell'utilità totale del loro reddito. Questa teoria parte dall'ovvia premessa che l'utilità di ciascuna unità di reddito non è uguale per chi ne possiede molte e per chi ne possiede poche, perché i bisogni che vengono soddisfatti con le prime unità di reddito hanno un'importanza di primo ordine, sono necessarî e imprescindibili; quelli invece che vengono soddisfatti con le ultime unità dei redditi maggiori presentano un'importanza assai tenue. Le classi ricche attribuiscono quindi a ogni unità del loro reddito un'importanza minore di quella che le classi povere attribuiscono a ogni unità del loro reddito. Ma questa teoria manca tuttora d'una base precisa, perché la "misura dell'utilità" non è stata ancora trovata.

La teoria della capacità contributiva fu costruita da parecchi autori, specialmente tedeschi (F. J. Neumann, Al. Schaffle, A. Wagner), per evitare le critiche rivolte alle precedenti; ed è certamente ad esse preferibile, tanto che in questi ultimi anni è stata la teoria dominante. Questi scrittori ravvisano nell'imposta non tanto il prezzo dei pubblici servizî, ma quella somma che deve essere pagata dai contribuenti per effetto della loro subordinazione politica allo stato, allo stesso titolo per cui si deve prestare il servizio militare. La capacità contributiva dei cittadini, il cui indizio più sicuro è il reddito, è ciò che offre una concreta misura per la distribuzione delle imposte. Questa teoria ha il grande pregio d'indicare il rapporto fra stato e contribuente come realmente si manifesta nella vita pubblica moderna, ma forse non è nemmeno essa perfetta in causa d'una certa sua indeterminatezza, perché quando afferma che fonte dell'imposta deve essere il reddito, esprime sì un concetto esatto per sé stesso, ma non ci dice ancora se sia necessario tener conto delle varie fonti da cui il reddito proviene, della sua misura e della varia intensità ed estensione dei bisogni che esso deve soddisfare.

Per contro, secondo la teoria dell'utilità relativa o del valore collettivo l'imposta non sarebbe che quella parte della ricchezza privata che i cittadini rivolgono volontariamente e spontaneamente, nella misura per ciascuna classe indicata dal principio edonistico, alla soddisfazione dei bisogni pubblici. Ma questa teoria non può essere completamente accettata, perché essa rappresenta i rapporti tra i cittadini e lo stato non come sono, ma come dovrebbero idealmente essere. E il punto di minore resistenza di questa teoria sta in ciò, che essa non dimostra come, dalla valutazione individuale che fa ogni cittadino del rapporto fra imposta che paga e utilità del servizio che riceve, si formi quella valutazione oggettiva che s'impone al governante come norma della sua azione. E. Sax che è stato il primo e il più autorevole assertore di questa teoria, dice che il governante fa una media di tutte le valutazioni individuali e segue questa media come sua norma per la produzione dei beni e dei servizî pubblici. Questo concetto di media non è convincente. Perché, o si tratta di bisogni; ossia d'ideali o d'interessi che sono comuni a tutti (come la sicurezza pubblica, la giustizia, la sanità, l'istruzione), e in questo caso non si tratta d'una media tra i varî bisogni, ma d'un bisogno generale; o si tratta di bisogni che sono sentiti da alcuni, ma non da altri, e non è possibile fare una media fra due volontà contrastanti, come p. es. quella favorevole a un'impresa coloniale e quella propensa all'estensione delle assicurazioni operaie. In questo caso è il governo che decide, ispirandosi ai principî sociali prevalenti in una determinata società.

La teoria del sacrificio minimo, esposta da Fr. I. Edgeworth nel 1897, sostiene che, per avere una distribuzione giusta delle imposte, bisogna scegliere quelle che meno ostacolano la produzione e meno alterano la precedente distribuzione della ricchezza. Ma anche questa cade nel difetto d'indicare piuttosto una meta da raggiungiere che un criterio positivo capace di regolare la distribuzione delle imposte.

Imposta proporzionale e imposta progressiva. - Si ha l'imposta proporzionale quando la percentuale dell'imposta in rapporto alla ricchezza tassata rimane costante, qualunque sia la quantità di questa. Si ha l'imposta progressiva quando il rapporto percentuale cresce col crescere della ricchezza imponibile. Si è posto il problema della preferibilità dell'imposta proporzionale o di quella progressiva, ma questo problema, analogamente a quello della distinzione dei bisogni pubblici da quelli privati, non è, in realtà, risolto secondo teorie scientifiche, ma in conformità a quei principî morali, giuridici e politici che prevalgono in una data società.

I principî amministrativi dell'imposta. - Secondo A. Smith, l'imposta deve presentare i seguenti caratteri fondamentali:1. i cittadini d'ogni stato devono contribuire al mantenimento del governo in proporzione del reddito che rispettivamente godono sotto la protezione dello stato; 2. l'imposta deve essere "certa" e non arbitraria, cioè fissata in modo che tutti i contribuenti conoscano esattamente la quantità di ricchezza che devono pagare allo stato; 3. l'imposta deve essere "comoda" e cioè prelevata nel modo e nel tempo più opportuni e convenienti per i contribuenti; 4. l'imposta deve essere "economica" ossia ordinata in modo che si tolga ai contribuenti la minor somma possibile oltre quella che entra nelle casse dello stato.

Accertamento e riscossione. - Introdotta un'imposta è di grande importanza l'esatto accertamento del suo oggetto, ossia quel complesso di norme giuridiche e di operazioni tecniche, mediante il quale la pubblica autorità determina gli oggetti delle imposte e le obbligazioni individuali dei contribuenti. L'importanza d'un esatto accertamento deriva dalla circostanza, che se alcune categorie di contribuenti riescono a sfuggire in tutto o in parte all'imposta di cui, secondo il diritto positivo vigente, sono costituiie debitrici, altre categorie di contribuenti, che il legislatore non aveva in animo di colpire, devono essere assoggettate a più alte o a nuove imposte, per sopperire a quel minor provento, che è conseguenza dell'evasione delle prime categorie.

Secondo la legislazione italiana le imposte sui trasferimenti e quelle sui consumi vengono generalmente riscosse da funzionarî dello stato (procuratori del registro, impiegati delle dogane, ecc.), o da enti cui ne è demandata la riscossione (Società Italiana degli Autori per i diritti erariali sugli spettacoli pubblici: R. Automobile Club Italiano per le tasse sugli autoveicoli); invece le imposte e sovrimposte dirette sono riscosse da esattori, i quali sono dei privati cittadini o delle persone giuridiche, che prendono in appalto tale servizio e vengono retribuiti mediante una percentuale delle somme riscosse. Caratteristica di questi esattori è che essi pagano allo stato il non riscosso come se lo avessero riscosso, salvo il diritto di procedere in via giudiziaria contro i debitori morosi. Questo sistema presenta il vantaggio di permettere allo stato di fare assegnamento su entrate certe e nel tempo prestabilito e di rendere più pronti i contribuenti a pagare le imposte dovute. Considerato però sotto l'aspetto sociale, incontra l'obbiezione che esso assicura l'esistenza e l'incremento di una classe di capitalisti speculatori, i quali possono ottenere lucri cospicui dai proprî capitali, solo in corrispettivo del rischio incorso.

Il governo e gli esattori in quanto lo rappresentano devono usare tutto e solo quel rigore che è necessario per riscuotere le imposte non pagate alla scadenza. Un rigore eccessivo ha per risultato di far sopportare inutili sacrifici ai contribuenti morosi e di suscitare antipatie verso l'amministrazione dello stato; un rigore insufficiente incoraggia l'evasione delle imposte, con la deplorevole conseguenza in talune imposte di far pagare i debitori solventi per gl'insolventi secondo il metodo della compensazione delle quote inesigibili. Per le sanzioni stabilite per le evasioni, v. fisco: Reati fiscali.

Evoluzione storica dei sistemi tributarî.

Nell'epoca immediatamente precedente la Rivoluzione francese, gli elementi essenziali e la struttura del sistema tributario della Francia, sul quale erano generalmente modellati i sistemi tributarî degli altri stati d'Europa, a eccezione di quello della Gran Bretagna, si possono brevemente descrivere nel modo seguente. Le principali imposte dirette erano: il vingtième del reddito dei contribuenti, che era imposta ordinaria; l'impôt sur le revenu, che era imposta straordinaria, ma ripetutamente applicata sopra ogni specie di reddito, soprattutto sui redditi dei privilegiati; la taille, che colpiva specialmente il reddito della proprietà fondiaria, e da cui erano esenti i nobili, il clero e molte persone che esercitavano alti uffici nello stato; i doni gratuiti del clero, versati a titolo straordinario, ma rinnovati frequentemente; la capitazione, imposta generale personale sul reddito; la corvée royale, che consisteva in prestazioni di lavoro per la manutenzione delle strade, ma fu trasformata in imposta in moneta già nel 1787. Le imposte sui trasferimenti consistevano nei diritti di sigillo, di controllo, d'insinuazione e nel centième denier sui trasferimenti dei beni, specialmente immobili, tra vivi o per causa di morte, e su altri atti giuridici. Le imposte sui consumi erano riscosse sotto forma di dazî d'importazione e d'esportazione, e di dazî interni sugli olî, sul sego, sul cuoio, sugli oggetti di ferro e sul sale. Quest'ultima gabella riusciva particolarmente pesante, perché ciascun contribuente aveva il dovere di comperare una determinata quantità di questa sostanza (le devoir du sel). Venivano inoltre colpite le bevande mediante les droits des aides. Il tabacco formava oggetto di monopolio e ne era proibita la coltivazione all'interno. Negli anni 1770-80 le imposte erano, per un po' meno della metà del totale, imposte dirette, per un po' più della metà imposte indirette. Il vizio fondamentale del sistema tributario consisteva nell'immunità delle classi privilegiate, che rendeva necessaria un'imposizíone eccessivamente gravosa, e, per di più, male ripartita, a danno delle classi medie e inferiori e soprattutto della popolazione rurale.

L'Assemblea costituente, partendo dal principio della generalità dell'imposta e della sua ripartizione proporzionale, procedé dapprima a una riforma saggia e benefica del sistema tributario preesistente, a ogni imposta abolita sostituendone un'altra nuova, più giusta e altrettanto redditizia; ma in un secondo periodo la stessa Costituente e in seguito la Convenzione abrogarono le imposte interne sui consumi e i monopolî fiscali, non preoccupandosi però di colmare i vuoti cagionati dalle deliberate soppressioni mediante altre entrate ordinarie. Questo sistema, nonché la condizione di generale disordine e di decomposizione sociale in cui era caduta la Francia, condussero negli ultimi anni della Rivoluzione le finanze dello stato sull'orlo dell'esaurimento e dell'abisso.

Il governo giunse a stabilire in modo durevole un nuovo sistema di imposte soltanto dopo che, per merito di Napoleone, fu ristabilito l'ordine sociale e politico. Il nuovo sistema non rappresentava un ordinamento del tutto originale delle imposte: esso si riconnetteva a quello precedente, ma lo trasformava e lo perfezionava in conformità ai principî politici della Rivoluzione, già però attenuati dalle più temperate vedute dell'imperatore; aveva inoltre i grandi pregi d'essere sufficiente, chiaro e unitario. Dove è più stretto il legame con il passato è nel campo delle imposte sui consumi. Queste imposte, che la Rivoluzione aveva in gran parte abolite, furono di nuovo discretamente e gradatamente ristabilite; s'impose così di nuovo il dazio consumo, dapprima in alcune città (1797-1798) e in seguito in tutti i comuni; si ristabilì l'imposta sulle bevande (1804-1808), quella sul sale (1806), il monopolio del tabacco (1808), e si aumentò anche la tariffa dei dazî d'importazione. Ma nello stesso tempo quest'opera di riorganizzazione riuscì a eliminare ciò che le imposte del sistema precedente avevano di più vessatorio e di più ingiusto; così, p. es., furono definitivamente abbandonate le dogane interne, che le merci dovevano pagare nel loro passaggio attraverso varie provincie dello stato, quelle più propriamente locali, che si dovevano pagare entro i confini d'una stessa provincia in determinate località situate sulle strade e sui fiumi; fu ristabilita l'imposta sul sale, ma sotto forma di monopolio, venendo abolito il detestato sistema di costringere ciascun contribuente ad acquistare una determinata quantità di questa derrata, e furono naturalmente soppresse tutte le differenze prima esistenti tra ordini e ordini di provincie e le esenzioni personali relative all'imposta sul sale; venne restaurato il monopolio sulla vendita del tabacco, ma ne fu permessa, con le debite cautele, la coltivazione interna, che prima era vietata. Per ciò che riguarda le imposte sui trasferimenti, i diritti di registro e di bollo furono riordinati in una vasta legislazione, certamente molto fiscale, ma tecnicamente eccellente. Più importanti ancora furono le trasformazioni operate nel campo delle imposte dirette. Alla taglia fu sostituita l'imposta fondiaria (1790), a carico di tutti i proprietarî di terreni e di fabbricati, e più tardi (1807) basata sul sistema del catasto; a fianco dell'imposta fondiaria furono istituite l'imposta personale mobiliare e l'imposta personale o taxe du citoyen, che rappresentava in origine un obbligo civico correlativo all'esercizio dei diritti di cittadino, era fissata in una misura equivalente al prezzo di tre giornate di lavoro, ed era dovuta da ciascun individuo non indigente (il prezzo della giornata di lavoro variava da 50 centesimi a fr. 1,50). L'imposta mobiliare fu stabilita (1796) in proporzione della pigione effettiva o presunta pagata da ciascun cittadino già sottoposto alla contribuzione personale. A queste due imposte si aggiunse quella delle patenti (1791-1795), che in origine sostituì i precedenti diritti d'ammissione nelle soppresse corporazioni d'arti e mestieri (maitrises et jurandes). Essa colpiva tutti i redditi delle industrie e dei commerci secondo segni o indizî esterni, e cioè principalmente tenendo conto della particolare attività economica esercitata, della popolazione della località dell'esercizio, e dell'affitto dei locali destinati all'esercizio stesso.

E finalmente al sistema delle imposte dirette fu aggiunta l'imposta sulle porte e finestre, che come dice la sua stessa denominazione, era un'altra forma d' imposta sulla pigione, per quanto venisse generalmente anticipata dal proprietario della casa. Si tratta d'un sistema, se non completo e perfetto, certamente ammirevole per la sua giustizia, semplicità e coordinazione. A rendere generale l'imposizione su tutte le fonti di reddito mancavano ancora due elementi indispensabili, e cioè un'imposta sugl'interessi del capitale mobiliare e un'imposta sul prodotto del lavoro personale. Nel 1872 con l'imposta sui redditi dei valori mobiliari fu aggiunto il primo elemento, mentre il secondo è stato inserito nel sistema delle imposte dirette francesi soltanto nel 1917.

Questo sistema d'imposte, e particolarmente di quelle dirette, presentava tali caratteri di superiorità su quello dell'ancien régime, che tutti gli stati del continente, primi quelli che dovevano in seguito formare l'Italia, sebbene in tempi e in misure diverse, l'adottarono essi pure nelle loro legislazioni. Soltanto in alcuni paesi si ebbero parziali ritorni all'antico ordinamento, nel periodo 1814-1848, specialmente in tema di immunità. Si può affermare così che, pur tenendo nel debito conto la diversità della pressione del complessivo carico tributario sul reddito dei privati, gl'istituti finanziarî dei varî stati del continente, a partire dall'inizio del sec. XIX sino al 1860 circa, presentano comuni gl'indirizzi generali e i rami fondamentali dell'imposizione.

La Rivoluzione francese non esercitò invece influenza, o tutt'al più ne esercitò una molto limitata, sull'ordinamento tributario della Gran Bretagna, ma ciò avvenne non già perché quello stato rifiutasse i principî proprî della Rivoluzione, ma perché esso li aveva in buona parte adottati sin dall'epoca della dittatura di Cromwell (1649-1658). In seguito, a partire dalla metà del secolo scorso, è invece uno degli elementi essenziali e caratteristici del sistema tributario inglese, e cioè l'inserzione d'un elemento personale su un sistema d'imposte essenzialmente reale, mediante l'income-tax, che viene preso a modello dagli stati più civili del continente. Questa considerazione dell'elemento personale, che era stata sistematicamente abolita dalla finanza francese sin dall'epoca della Rivoluzione, viene in seguito accettata ed estesa ai sistemi finanziarî degli altri più importanti stati civili fra cui l'italiano (1864 e 1923). E così il principio caro ai seguaci della finanza individualista, che ogni unità di reddito, quali si siano la somma e la fonte del reddito stesso, debba essere colpita nella stessa proporzione, viene gradualmente abbandonato e sostituito con quello di adeguare l'imposta all'effettiva capacità contributiva di ciascun individuo.

Sistema tributario italiano.

Storia. - Il sistema tributario del regno d'Italia fu istituito (1859-1864) sulle basi di quello allora vigente nel regno di Sardegna, che era uno dei meglio ordinati e nello stesso tempo uno dei più gravosi tra i sistemi tributarî applicati negli antichi stati. Le principali riforme che vi furono in seguito apportate ebbero generalmente lo scopo di chiamare a contribuire categorie in precedenza esenti o meno colpite dalle imposte negli ordinamenti preesistenti, per aumentare le entrate dello stato, e ciò allo scopo di fronteggiare le molteplici esigenze della vita militare, civile e amministrativa del nuovo regno.

Il sistema tributario, quale fu istituito su solide basi da Quintino Sella, da Marco Minghetti e da Antonio Scialoia, si può descrivere nel modo seguente: la tassazione diretta era formata dalle tre imposte sul reddito dei terreni, sul reddito dei fabbricati e sul reddito della ricchezza mobiliare. L'imposta sui terreni, riscossa dapprima sulla base dei catasti degli antichi stati, perequata, in via provvisoria, fra i varî compartimenti del nuovo regno nel 1864, doveva essere basata (legge 1° marzo 1886, n. 3682) su un catasto geometrico particellare uniforme per tutta l'estensione dello stato, allo scopo di perequare in via definitiva l'imposta stessa fra i singoli compartimenti e di portare a un'unica e recente epoca di riferimento e cioè al dodicennio 1874-1885, tutti i precedenti estimi, ottenuti mediante catasti differenti fra loro per la data, il metodo di formazione e la bontà dei risultati. Ma alla formazione del nuovo catasto, che, dovuto specialmente agli studî di Angelo Messedaglia, rappresentava quanto di più perfetto si potesse ottenere in questo genere d'operazioni, non si dedicarono tempestivamente le somme necessarie per la sua completa attuazione in un tempo relativamente breve, cosicché oggi, dopo 44 anni dal suo inizio, il catasto è compiuto in sole 20 provincie, è in corso di allestimento in altre 43, e non è ancora iniziato nelle rimanenti 29.

Dall'imposta fondiaria, comune sino allora per i redditi dei terreni e per quelli dei fabbricati, fu nel 1865 staccata e resa indipendente quella sui fabbricati che colpiva tutte le costruzioni a uso di abitazione e di opificio e che esentava soltanto le costruzioni rurali, considerate come beni strumentali per la produzione del reddito dei terreni. Solo molto più tardi, e cioè nel 1923, il reddito degli opifici fu a sua volta dichiarato esente dall'imposta sui fabbricati, e assoggettato a quella meno gravosa di ricchezza mobile, dato che gli opifici sono essi pure beni strumentali per la produzione del reddito delle industrie.

Sempre nel 1864 fu introdotta nella nostra legislazione anche l'imposta sui redditi di ricchezza mobile (progettata e illustrata in una memorabile relazione da Quintino Sella) col proposito di unificare i diversi tributi, che, con estensione, misura e metodi d'accertamento diversi, colpivano i redditi della ricchezza mobiliare degli antichi stati. Questa imposta si sostituiva unicamente ai tributi reali e speciali sui redditi del capitale mobiliare, delle industrie, dei commerci, delle professioni e degl'impieghi privati, e non colpiva il reddito dei terreni e dei fabbricati, perché questi formavano già oggetto dell'imposta fondiaria. Più tardi il testo unico 24 agosto 1877, n. 4021, tuttora vigente, sebbene modificato da molte successive disposizioni, coordinava in un saldo nesso organico le norme precedenti e le perfezionava sotto l'aspetto tecnico, pur lasciando immutate le basi di quest'imposta, che è certamente la più geniale istituzione della nostra legislazione tributaria.

Alle imposte dirette si coordinarono (1862) quelle sui trasferimenti a titolo gratuito e a titolo oneroso. Nelle prime, che erano già prelevate in tutti gli antichi stati, tranne che nel Regno delle due Sicilie, si applicava una aliquota proporzionale per ciò che concerne l'ammontare delle singole quote di successione, e progressiva in correlazione inversa della prossimità della parentela. Sin dall'inizio l'imposta colpiva non soltanto gli estranei e la linea collaterale, ma anche la linea diretta, sebbene questa ultima nella tenue proporzione del 0,50%.

Nello stesso tempo venne pure istituita la tassa di manomorta, che sostituì quella sulle successioni per i beni degli enti morali, laici ed ecclesiastici, che altrimenti sarebbero stati esenti dall'imposta sulle successioni. Le imposte sui trasferimenti a titolo oneroso furono esse pure riordinate nel nostro Regno nel 1862, e si ebbero così le tasse di registro, di bollo, le tasse ipotecarie, le tasse sulle società industriali e d'assicurazione e quelle sull'emissione dei biglietti di banca. Le tasse di registro colpivano, e colpiscono, gli atti civili e giudiziarî mediante i quali si crea, si dichiara, si trasferisce, si modifica o s'estingue un diritto. Erano inoltre sottoposti al bollo gli atti che dovevano in seguito essere registrati, nonché altri documenti che attestano quegli scambî che, data la rapidità e la frequenza con cui sono compiuti, non potrebbero essere assoggettati a registro, come p. es. i mutui cambiarî, gli scambî di prodotti fra industriali e commercianti o di commerciantì tra loro, i biglietti d'ingresso ai teatri e ad altri pubblici spettacoli, i biglietti ferroviarî, ecc.

Ma, sin dall'origine del nostro ordinamento tributario, quelle che procuravano all'erario dello stato un reddito alquanto maggiore delle imposte dirette e di quelle sui trasferimenti, considerate singolarmente, erano le imposte sui consumi.

Nei pochi anni che decorsero dal 1859 al 1867, il sistema tributario sui consumi venne ordinato sulla base dei dazî doganali, dei dazî di consumo, delle imposte di fabbricazione e delle privative. Per ciò che concerne i dazî doganali, si estese in tutta Italia la tariffa vigente in Piemonte, che, quanto all'importazione, era ispirata alle opinioni liberiste, predominanti in quello stato, e conteneva tre soli dazî d'esportazione (sui vini in bottiglia, sull'acquavite e sugli olî d'oliva).

In un secondo periodo, e cioè dal 1864 al 1878, lo stato, sospinto dalla necessità di aumentare le entrate dell'erario, pur mantenendosi ligio ai principî liberisti, procedette a numerosi aggravamenti delle tariffe, per abbandonare poi nel 1878 l'indirizzo seguito, e ispirarsi ai principî d'un moderato protezionismo, che trovò la sua applicazione nella tariffa di quell'anno (v. dazio e dogana: La tariffa doganale italiana).

In quanto ai dazî di consumo essi furono mantenuti in tutti i comuni dello stato, dei quali alcuni, i maggiori, furono, ai loro effetti, dichiarati chiusi, mentre altri, i minori, ma di gran lunga superiori per numero, furono dichiarati aperti. L'imposta governativa sulla macinazione dei cereali, forma d'imposizione che è legata alla storia di gravi tumulti e di non meno gravi repressioni, fu introdotta nel 1868 e soppressa nel 1879 per i cereali inferiori e nel 1884 per il frumento.

Le tasse di fabbricazione, come furono ordinate nel 1862-64, colpivano soltanto la produzione della birra, delle acque gassose, nonché degli spiriti, ma soltanto quando questi venivano prodotti nei comuni chiusi. La trasformazione della tassa sugli spiriti in una vera e propria imposta di fabbricazione è del 1870, e l'istituzione della tassa di fabbricazione sugli zuccheri data soltanto dal 1877.

Furono inoltre conservate ed estese a tutto lo stato la privativa del tabacco (estesa alla Sicilia soltanto nel 1874) e quella del sale, da cui però sono rimaste sempre esenti la Sardegna e la Sicilia, già esistenti negli antichi stati, e la privativa del lotto, essa pure applicata dagli antichi stati tranne che in Sardegna, dove non è mai stata introdotta.

A sua volta il sistema tributario dei comuni fu basato principalmente sul prodotto dei dazî di consumo (in parte aboliti, in parte trasformati con la legge 20 marzo 1930), dei centesimi addizionali alle imposte dirette sui terreni e sui fabbricati, di alcune imposte proprie dei comuni, quali la tassa di famiglia o focatico, istituita nel 1868, l'imposta sul valore locativo, istituita nel 1866, di esercizio e rivendita (1870), sulle vetture e domestici (1866), sul bestiame agricolo (1868), sulle bestie da tiro, da sella e da soma (1865), e d'altre imposte di minor rendimento.

Le finanze delle provincie, tenendo conto del fatto che le loro spese sono prevalentemente rivolte a favore della proprietà fondiaria, rurale ed edilizia, furono basate quasi esclusivamente sui centesimi addizionali delle imposte sui terreni e sui fabbricati.

Quelle che abbiamo ora descritte furono le basi solide, logiche e fra loro bene coordinate, sulle quali fu istituito nel periodo dell'unificazione il sistema finanziario italiano. A mano a mano che in esso si andarono svolgendo il patrimonio e il reddito dei privati, andò aumentando, ma con percentuale più alta, anche la somma delle contribuzioni, richieste in misura sempre crescente per una maggiore soddisfazione dei bisogni pubblici. Il saggio dei tributi conservati o istituiti nel periodo dell'unificazione venne gradualmente ma sensibilmente aumentato, e alle vecchie imposte se ne aggiunsero numerose altre, così da estendere il campo dell'imposizione, tanto per ciò che riguarda le imposte dirette quanto per ciò che si riferisce alle imposte sui trasferimenti e sui consumi, chiamando a contribuire, non appena apparivano, tutte le nuove manifestazioni dell'attività economica. Così sempre nuovi atti, prima esenti, furono sottoposti al registro e al bollo, si allargò il campo di applicazione delle cosiddette tasse di surrogazione del bollo e registro, mentre la tassa di fabbricazione fu applicata anche ad altri prodotti prima esenti, come la cicoria, il glucosio, il maltosio, gli olî di cotone, gli articoli per illuminazione, il gas-luce e l'energia elettrica, i fiammiferi, ecc. Nello stesso tempo la tariffa doganale del 1887 elevò in misura sensibilissima la moderata protezione concessa alle industrie nazionali con la precedente tariffa del 1878; e da allora in poi, nonostante le mitigazioni della protezione, dovute ai trattati di commercio con le potenze centrali stipulati nel 1891 e a quello con la Francia (1898), un'elevata protezione è stata applicata dalla nostra legislazione doganale nelle sue successive modificazioni.

La percentuale complessiva delle contribuzioni governative, comunali e provinciali che era stata dell'11,85% del reddito complessivo dei privati nel 1860-64, andò lentamente ma continuamente crescendo sino al 13,17% nel 1908. La guerra di Libia rese necessario un ulteriore aumento della complessiva tassazione, che nel 1914-15, immediatamente prima della grande guerra aveva raggiunto la percentuale del 14-15%. Le spese necessarie per la guerra e per il periodo di ricostruzione e di assestamento immediatamente successivo portarono la pressione al 22-23% del reddito dei privati. Perciò non soltanto furoro sensibilmente aumentati i saggi dei tributi preesistenti, ma ne furono istituiti parecchi di nuovi, principali fra i quali l'imposta sui sopra-profitti di guerra, l'imposta sugl'incrementi di patrimonio derivanti dalla guerra l'imposta straordinaria sul patrimonio e altre ancora, ora abolite, meno l'imposta sul patrimonio, la quale cesserà del tutto solo nel 1940.

Il riordinamento dei tributi, affrontato nel 1922, poriò in breve tempo all'abolizione di tutte le forme d'imposizione sia diretta sia indiretta aventi carattere di soprastruttura bellica; al riordinamento delle tre imposte dirette fondamentali nella loro base imponibile e nel loro assetto; alla trasformazione in proporzionali delle aliquote delle imposte stesse divenute, contrariamente alla loro natura, progressive; all'estensione dell'imposta mobiliare ai redditi agrarî; all'istituzione, ad integrazione delle imposte reali, di un'imposta personale progressiva sull'insieme dei redditi dei cittadini, e all'istituzione d'un nuovo tributo a larga base in sostituzione delle molteplici tasse prima esistenti sugli scambî della ricchezza. Numerosi sgravî ed esenzioni furono accordati inoltre, sia per liberare da vincoli la produzione e il commercio, sia per agevolare la discesa dei prezzi, sia ancora per facilitare la formazione del risparmio nazionale e l'afflusso di quello estero; e si cercò contemporaneamente di rendere sempre più esatto l'accertamento della ricchezza imponibile, sottoponendo a revisione i redditi dei terreni e a rivalutazione quelli dei fabbricati, dando modo agli uffici locali d'intensificare la revisione e la ricerca dei redditi mobiliari e combattendo energicamente le evasioni fiscali. Con analoghi principî fu condotta anche la riforma dei tributi locali; e, ad eccezione d'alcuni provvedimenti ispirati a particolari esigenze, tutta la legislazione di questi ultimi anni si può dire coerentemente rivolta a perfezionare il sistema così riordinato senza alterarne le linee direttive. Lo squilibrio del bilancio, riapparso nel 1930-31 per effetto della crisi, ha però necessariamente indotto ad aggravare la pressione fiscale, che già si era dovuta inasprire per compensare la contrazione delle entrate (esaurimento dei tributi straordinarî e in un secondo tempo diminuzione del gettito degli ordinarî in conseguenza della stabilizzazione monetaria) e per fronteggiare nello stesso tempo i maggiori oneri derivanti allo stato dal complesso d'iniziative adottate per lo sviluppo economico della nazione; mentre, d'altra parte, per proteggere i prodotti nazionali contro la concorrenza di paesi a valuta deprezzata e ridurre le importazioni per bilanciare la diminuzione delle esportazioni si sono apportati nuovi aumenti alla tariffa doganale (v. italia: Finanze; dazio e dogana).

Organi per l'applicazione delle leggi tributarie. - Al Ministero delle finanze, come all'organo direttivo centrale dell'amministrazione finanziaria italiana, fa capo tutta la materia delle imposte e tasse ed esso svolge la sua attività in questo campo mediante apposite direzioni generali (dir. gen. delle imposte dirette, dir. gen. delle tasse sugli affari e dir. gen. delle dogane e delle imposte indirette), le quali, con la collaborazione di due organi ausiliarî pure centrali (direzione generale del catasto e dei servizî tecnici e comando generale della regia guardia di finanza) provvedono all'applicazione delle leggi tributarie. Le direzioni generali hanno alle loro dipendenze varî organi esecutivi locali e inoltre speciali organi ispettivi, i quali coadiuvano e completano l'azione ispettiva delle intendenze di finanza (organi direttivi locali rappresentanti del ministero in ogni provincia del regno), distinguendosene per il fatto d'avere una competenza specifica e non, come queste ultime, una generale funzione di sorveglianza su tutti i servizî finanziarî della provincia.

Organi locali dipendenti dalla direzione generale delle imposte dirette sono gli uffici distrettuali delle imposte dirette, i quali hanno il compito d'accertare l'ammontare dell'imposta dovuta dai singoli cittadini, e di difendere nei casi controversi gl'interessi dell'amministrazione dinanzi agli organi contenziosi. La riscossione, invece, tranne il caso in cui lo stato trattiene direttamente all'atto del pagamento d'un reddito l'aliquota dell'imposta dovutagli (ritenuta diretta) e quelli in cui è ammesso il versamento diretto in tesoreria o all'ufficio del registro, è affidata, come si è già detto sopra, a esattori retribuiti ad aggio, i quali riscuotono i tributi nei comuni o consorzî di comuni e li versano alle ricevitorie provinciali (frequentemente appaltate a casse di risparmio, monti di pietà, banche popolari) che li versano a loro volta alla tesoreria dello stato. La vigilanza sugli uffici distrettuali delle imposte dirette e sulle esattorie e ricevitorie è affidata a ispettori provinciali, la cui azione è coordinata e controllata da ispettori superiori, alle dirette dipenderize della direzione generale, competenti ciascuno per un singolo compartimento (11 in tutto).

Per decidere sui ricorsi dei contribuenti contro le rettifiche di dichiarazioni e gli accertamenti d'ufficio da parte degli uffici distrettuali sono istituiti appositi organi amministrativi contenziosi: la commissione amministrativa di prima istanza (risiedente normalmente in ogni comune capoluogo di mandamento), la commissione amministrativa provinciale (in ogni capoluogo di provincia), cui può ricorrere sia l'ufficio finanziario sia il contribuente, e la commissione amministrativa centrale per le imposte dirette (presso il Ministero delle finanze) cui si può ricorrere contro la decisione della commissione provinciale, solo, di regola, quando si tratti di vertenze involgenti l'interpretazione e l'applicazione delle leggi. Chiuso tale procedimento amministrativo e sempre che si tratti di questioni di diritto, è ammesso il ricorso all'autorità giudiziaria ordinaria. Per gli speciali reclami in via amministrativa che la legge consente dopo l'iscrizione dell'imposta nei ruoli nominativi dei contribuenti, in caso di errore materiale, duplicazione, omessa o incompleta notifica degli avvisi d'accertamento, inesistenza o intassabilità del reddito, cessazione o diminuzione del reddito tassato, è competente invece l'intendente di finanza. Per l'applicazione dell'imposta sui terreni in particolare, per giudicare cioè dei reclami contro i risultati delle operazioni catastali e le tariffe d'estimo, sono competenti le commissioni censuarie comunali e provinciali e la commissione censuaria centrale dal cui presidente dipende il collegio dei periti catastali.

Organi locali della direzione generale delle tasse sugli affari sono gli uffici delle ipoteche, diretti da un conservatore delle ipoteche (aventi una propria circoscrizione ma per lo più risiedenti in tutte le provincie del regno), cui è affidata dal cod. civ. la conservazione e la tutela della proprietà e dei diritti reali e che dipendono quindi solo per la parte disciplinare e amministrativa dal Ministero delle finanze per le questioni di merito dall'autorità giudiziaria; gli uffici del registro (aventi pure circoscrizione propria), cui compete l'amministrazione di tutte le tasse e dei beni demaniali; gli uffici misti del registro e delle ipoteche, diretti da procuratori del registro con funzioni anche di conservatori delle ipoteche (situati là dove, pure occorrendo a volte la conservatoria, non vi sono affari tali da renderne necessaria la costituzione); e gli uffici del registro aventi il servizio del punzone (risiedenti solo nelle città principali), che trattano esclusivamente la materia del bollo. L'andamento dei servizî nei suddetti uffici è sottoposto alla vigilanza degl'ispettori di circolo (la circoscrizione dei circoli segue in linea di massima l'antica divisione circondariale). Nelle città principali risiedono inoltre gl'ispettori permanenti per la vigilanza sulle riscossioni in materia di bollo. Gli ispettori superiori hanno l'alta vigilanza su tutti gli organi ispettivi e locali del loro compartimento (i compartimenti sono attualmente 14) e ricevono istruzioni direttamente dalla direzione generale.

Organi locali dipendenti dalla direzione generale delle dogane e delle imposte indirette sono gli uffici doganali o dogane, diretti da ispettori delle dogane, suddivisi rispetto alla loro ubicazione in dogane di confine, interne (in alcuni centri di grande importanza), e internazionali (presso le stazioni ferroviarie di confine dove il servizio viene svolto contemporaneamente dai funzionarî italiani e da quelli dello stato confinante). Essi provvedono, fra l'altro, alla liquidazione e riscossione dei diritti di confine, dei diritti accessorî, della tassa di consumo sul caffè, della tassa di vendita sugli olî minerali, dei diritti marittimi, della tassa sugli scambî all'importazione, ecc. Dalla direzione generale delle dogane e delle imposte indirette, oltre che dalla direzione generale del catasto dipendono anche gli uffici tecnici di finanza, solo però in quanto incaricati del servizio delle imposte di fabbricazione e del controllo sulle fabbriche dei prodotti soggetti a tributo. Dalla direzione stessa dipendono i laboratorî chimici delle dogane e delle imposte indirette. Le verifiche ordinarie e straordinarie sull'andamento generale degli organi locali della Direzione generale delle dogane e delle imposte indirette sono affidate a ispettori superiori presso la direzione generale. La soluzione delle controversie che sorgono tra contribuenti e uffici doganali circa la qualificazione delle merci in rapporto al dazio, spetta al Ministero delle finanze, ma per dare parere sulle contestazioni stesse è istituito un apposito organo consultivo, il collegio dei periti doganali.

Per quel che riguarda l'applicazione dei tributi locali, affidata agli enti stessi, formati i ruoli e notificate agl'interessati le nuove iscrizioni o variazioni e le eventuali rettifiche delle denunce, il contribuente può ricorrere, contro il tributo comunale attribuitogli, a un'apposita commissione comunale e in seconda istanza alla giunta provinciale amministrativa, integrata da due rappresentanti delle associazioni sindacali; e contro il tributo provinciale, alla giunta provinciale amministrativa e in seconda istanza alla giunta stessa integrata come sopra. Chiuso il procedimento contenzioso amministrativo, è ammesso poi il ricorso al magistrato ordinario che ha in questo campo competenza di fatto e di diritto. Per i ricorsi contenziosi in materia d'imposte di consumo la decisione spetta al podestà, al prefetto e in terzo grado al ministro delle Finanze; per quelli in materia di sovrimposte, qualora la controversia verta su deliberazioni che autorizzano le sovrimposte entro il limite normale, per le provincie, e fino al 3° limite, per i comuni, è competente in 1° grado la giunta provinciale amministrativa e in 2° grado il ministro dell'Interno, il quale decide di concerto col ministro delle Finanze, previo parere della Commissione centrale per la finanza locale; contro il decreto del ministro è ammesso solo il ricorso per legittimità al Consiglio di stato in sede giurisdizionale. Contro il decreto del ministro delle Finanze che autorizza l'eccedenza delle sovrimposte provincìali oltre il 2° limite o contro il provvedimento del ministro stesso che dichiari non potersi far luogo all'eccedenza, non è ammesso che il ricorso per legittimità ai sensi della legge sul Consiglio di stato. Per le questioni di diritto, anche in materia di sovrimposte, è sempre ammesso il ricorso al magistrato ordinario. Accertati così definitivamente i tributi locali e iscritti in ruolo, si può contro le risultanze del ruolo stesso ricorrere ancora al prefetto, per iscrizioni di partite contestate e non definite, per omissione della prescritta notificazione o per errore materiale.

Sistema trtbutario vigente. - Le imposte dirette (A), le tasse sugli affari, dette anche tasse sullo scambio della ricchezza (B) e le impostc indirette (C), sono le tre categorie in cui si possono raggruppare le entrate fiscali del bilancio dello stato italiano (oltre il gettito dei monopolî fiscali per cui v. monopolio). Considerati particolarmente i tributi erariali bisognerà però tener conto anche dei tributi locali (D), che costituiscono il maggior cespite di entrata delle provincie e dei comuni.

A) Imposte dirette:1. Imposta sui terreni (legge 1 marzo 1886, n. 3682, e successive modificazioni: specie rr. decr. 16 dicembre 1922, n. 1717, e 16 ottobre 1924, n. 1613, e r. decr. legge 12 agosto 1927, n. 1463). Colpisce i proprietarî fondiarî in base al reddito netto dei terreni. All'individuazione dei proprietarî fondiarî e all'accertamento del reddito imponibile delle loro proprietà si provvede mediante il catasto (v.). L'aliquota dell'imposta sui terreni è del 10% dell'estimo: all'imposta erariale si possono aggiungere però sovrimposte comunali e provinciali, rispettivamente entro i limiti normali del 200% e del 50% e i limiti massimi del 500% e del 100%. Sono colpiti dalla legge anche i terreni delle ville private e dei giardini pubblici che, in quanto sottratti alla coltura ordinaria, non dànno un reddito monetario, ma hanno un valore d'uso. Sono esenti i terreni affatto improduttivi, quelli occupati da chiese, cimiteri, fortificazioni e gl'immobili dello stato destinati a uso pubblico, ecc. Esenzioni di carattere personale sono accordate alle famiglie numerose, all'Opera nazionale mutilati e all'Opera nazionale orfani di guerra ed esente è pure per 20 anni il maggior reddito dei terreni bonificati.

2. Imposta sui fabbricati (v. soprattutto r. decr. 30 dicembre 1923, n. 3069, e successive modificazioni: specie r. decr. legge 12 agosto 1927, n. 1463). - Colpisce in base al reddito netto i possessori dei fabbricati costruiti esclusivamente a scopo d'abitazione, ufficio e negozio. Il reddito imponibile si ha deducendo 1/3 a titolo di spese e perdite eventuali, dal reddito lordo valutato in base all'affitto reale o presunto in via di comparazione. L'aliquota dell'imposta è del 10% e le sovrimposte comunali e provinciali, il cui limite normale è del 5% dell'imposta erariale, non possono superare i limiti massimi rispettivi del 125 e del 75%. Sono, tra gli altri, esenti le costruz10ni rurali appartenenti ai proprietarî dei terreni cui servono (il cui reddito si considera compenetrato nel reddito fondiario), gli opifici industriali, le sedi delle legazioni estere e gli edifici particolarmente considerati nel trattato del 1929 tra la S. Sede e l'Italia. E consentito inoltre per tutti i fabbricati un biennio di esenzione dalla data della loro abitabilità ed esenzioni particolari di più lunga durata (generalmente 25 anni) sono state accordate in questi ultimi anni per favorire le nuove costruzioni. Esenzioni totali sono consentite a favore delle famiglie numerose, dell'Opera nazionale mutilati e dell'Opera nazionale orfani di guerra.

3. Imposta sui redditi di ricchezza mobile (testo unico 24 agosto 1877, n. 4021, e successive modificazioni: specie decr. luogoten. 9 settembre 1917, n. 1546, r. decr. 21 dicembre 1922, n. 1660, r. decr. 4 gennaio 1923, n. 16, r. decr. 30 dicembre 1923, n. 3070, r. decr. legge 16 ottobre 1924,n. 1613, r. decr. legge 12 agosto 1927, n. 1463). - Ha per soggetto ogni individuo o ente morale italiano o straniero che abbia nello stato un reddito di ricchezza mobile e per oggetto il reddito stesso, ogni reddito cioè non colpito dall'imposta sui terreni o da quella sui fabbricati, che si produca nello stato o che sia dovuto da persona domiciliata o residente nello stato. I redditi di ricchezza mobile sono distinti, a seconda dei diversi fattori di produzione da cui derivano, in varie categorie e subiscono trattamenti diversi nei riguardi dell'aliquota dell'imposta e delle detrazioni concesse. Costituiscono la categoria A i redditi di solo capitale (interessi di crediti ipotecarî e titoli varî); la categoria B, i redditi misti di capitale e di lavoro, derivanti dall'esercizio d'industrie e commerci, e dalla gestione agraria; la categoria C1, i redditi di lavoro di carattere incerto e variabile derivanti dall'esercizio di arti e professioni; la categoria C2, i redditi di lavoro di carattere fisso (stipendî, pensioni, assegni, vitalizî); la categoria D, i redditi di lavoro costituiti da stipendî, pensioni, assegni, corrisposti dallo stato, dalle provincie, dai comuni, dalle istituzioni di pubblica beneficenza, dagli enti pubblici d'istruzione e dai corpi scientifici, ai quali fu ritenuto applicabile l'art. 33 dello statuto del regno, nonché da aziende esercenti pubblici trasporti e reti telefoniche. Una speciale categoria, detta comunemente delle mercedi operaie, comprende le paghe e competenze accessorie del personale dipendente da stabilimenti governativi, da provincie, comuni e rispettive aziende autonome, da privati o enti e società commerciali esercenti o concessionarie di ferrovie, di tranvie urbane e intercomunali e di linee di navigazione interna e da aziende esercenti reti telefoniche. I redditi netti accertati sono integralmente tassabili solo se appartengono alla categoria A. I redditi delle altre categorie sono tassabili invece solo se, ragguagliati ad anno, superano le lire 2000 (per la determinazione di questo minimo imponibile si tiene conto del cumulo di tutti i redditi netti del contribuente); se poi, pur raggiungendo il minimo imponibile, non superino un determinato ammontare (al massimo di L. 2500) sono tassati solo in parte. Le aliquote sono attualmente del 20% per i redditi di categoria A, del 14% per la categoria B, del 12% per la categoria C1, dell'8% per la categoria C2; dell'8% per la categoria D e del 4% per le mercedi operaie. L'aliquota sui redditi agrarî (cui fu estesa nel 1923 l'imposta di ricchezza mobile) è del 5% per i redditi percepiti dal proprietario del fondo e del 2,50% per quelli percepiti dal colono. I comuni e le provincie non hanno facoltà di sovraimporre. Varie sono le esenzioni accordate, alcune in base alla speciale natura dei redditi (per gl'interessi dei titoli di debito pubblico, ecc.), altre per ragioni di carattere personale (per la dotazione della corona, le retribuzioni della Santa Sede ai suoi dignitarî, ecc., i redditi degli agenti diplomatici e consolari delle nazioni estere, i redditi delle famiglie numerose, quelli dell'Opera nazionale mutilati, dell'Opera nazionale orfani di guerra, ecc.).

4. Imposta complementare progressiva sul reddíto (r. decr. 30 dicembre 1923, n. 3062 e successive modificazioni; specie r. decr. legge 30 dicembre 1924, n. 2104 e r. decr. legge 12 agosto 1927, n. 1463). - Ha per soggetto tutti coloro, cittadini o stranieri, che godono redditi prodotti nel Regno o godono nel Regno redditi prodotti all'estero e per oggetto il cumulo dei redditi, qualunque sia la loro origine e anche se, in forza di leggi speciali, siano esenti totalmente o parzialmente dalle singole imposte dirette. Solo le persone fisiche devono l'imposta complementare (i redditi delle società e associazioni di vario genere vanno attribuiti ai singoli soci azionisti, ecc.), e sono imponibili in base alla somma oltre che dei redditi proprî anche dei redditi altrui, quando di questi abbiano la libera disponibilità, l'amministrazione o l'uso senza l'obbligo della resa dei conti. Nell'accertamento del reddito complessivo soggetto all'imposta complementare si tiene conto, oltre che dei redditi già accertati (anche se non definitivamente) ai fini delle singole imposte dirette, di quelli risultanti da documenti comunque certi e perfino di quelli la cui esistenza si possa presumere in base al tenore di vita del contribuente. Dal reddito complessivo così rilevato debbono detrarsi poi tutte le spese e perdite sopportate per la produzione dei varî redditi, le imposte e tasse dovute allo stato, provincie, comuni e altri enti autorizzati, le annualità passive d'ogni genere (purché il relativo importo di esse sia accertato come reddito in confronto del percipiente), le ritenute sulle pensioni, i premî per le assicurazioni sulla vita e i contributi a casse di previdenza; da ultimo il reddito già così depurato va ridotto ancora di 1/20 (non eccedente però le lire 3000) per ciascuna persona che viva a carico del contribuente, escluso il coniuge. Solo quando, al netto delle detrazioni oggettive, il reddito complessivo superi le lire 6000, e dedotte anche le quote per persone a carico (detrazioni soggettive) raggiunga le lire 3000, è colpito dall'imposta complementare, le cui aliquote hanno carattere progressivo, e vanno dall'1% sui redditi minimi imponibili al 10% su quelli che raggiungono o superano il milione (per i redditi di categoria D è prevista l'aliquota eccezionale del 0,50%). Esenzioni sono accordate solo al re e alla famiglia reale, agli ambasciatori e agenti diplomatici esteri e, con alcune limitazioni, ai consoli e agenti consolari. Non entrano nel cumulo dei redditi le pensioni di guerra e assegni per medaglie al valore ed è accordata inoltre l'esenzione fino a L. 100.000 di reddito complessivo a favore delle famiglie numerose.

5. Imposta personale progressiva sui celibi (r. decr. legge 19 dicembre 1926, n. 2132, e r. decr. legge 24 settembre 1928, n. 2296). - Ha per soggetto i celibi da 25 a 65 anni e per oggetto il loro reddito complessivo. L'imposta consta d'una somma fissa (di L. 70,100 e 50 a seconda che l'età del celibe sia compresa tra i 25-35 anni, i 35-50 e i 50-65), cui va aggiunta una quota integrativa corrispondente a una metà di quella che sarebbe dovuta applicando al reddito del contribuente le aliquote dell'imposta complementare. Il reddito imponibile è quello valutato ai fini dell'imposta complementare; se il celibe vive a carico della famiglia d'origine, si deve tener conto del reddito complessivo accertato a nome dei genitori, diviso per il numero dei figli. Sono esenti i religiosi che abbiano pronunciato voto di castità, i grandi invalidi di guerra, gli ufficiali, sottufficiali e soldati, per i quali il matrimonio è subordinato a condizioni e limitazioni, coloro cui l'art. 61 cod. civ. vieta di contrarre matrimonio e gli stranieri residenti in Italia.

6. Imposte dirette straordinarie. - Create durante e dopo la guerra, pur dando luogo ancora a riscossioni e rimborsi, sono ormai da tempo abolite; è bene ricordare però l'imposta straordinaria sul patrimonio (r. decr. legge 22 aprile 1920, n. 494), il cui gettito, come s'è già notato, si esaurirà completamente solo nel 1938. Furono colpiti tutti i patrimonî appartenenti al 1° gennaio 1920 alle persone fisiche separatamente considerate e agli enti collettivi (escluse le società per azioni, in quanto il loro patrimonio si considerò ripartito tra gli azionisti, lo stato, le provincie, i comuni, le istituzioni pubbliche di beneficenza, istruzione, ecc.), con aliquote progressive che dal 4,50%, sui patrimonî minimi imponibili (L. 50.000) giungevano fino al 50% per i patrimonî di 100 e più milioni; il paramento dell'imposta stessa fu ripartito in 20 annualità (10 se il patrimonio era costituito per 3/5

da beni mobili); ne fu autorizzato però e facilitato il riscatto.

B) Tasse sugli affari. - 1. Tasse sulla registrazione degli atti (testo unico 30 dicembre 1923, n. 3269, e successive modificazioni). - Colpiscono tutti gli atti fatti nel Regno in forma pubblica e privata, civili e commerciali, stragiudiziali e giudiziali, come pure le trasmissioni a titolo oneroso o gratuito per atti tra vivi della proprietà e dei diritti reali e sono pagati di regola all'atto della registrazione dalle persone fisiche e giuridiche interessate a fare eseguire la registrazione stessa (la quale accerta la legale esistenza degli atti in genere e imprime data certa alle scritture private). Le tasse si applicano secondo l'intrinseca natura e gli effetti degli atti anche se la forma apparente di essi non corrisponda e sono progressive, proporzionali, graduali e fisse a seconda che si applicano ai trasferimenti a titolo gratuito, alle trasmissioni a titolo oneroso e agli atti che contengono obbligazioni o liberazioni, agli atti che sono semplice dichiarazione e attribuzione di valori e di diritti, agli atti che possano servire di titolo o documento legale. Le aliquote sono diverse, si può dire, per ogni singolo atto considerato (v. tariffa allegato A, testo unico). Numerose sono le esenzioni e riduzioni accordate, sia in vista dell'ente da cui gli atti derivano (stato, Cassa nazionale assicurazioni sociali Opera nazionale combattenti, ecc.), sia in vista della natura e dello scopo degli atti (riconoscimento di figli naturali, beneficenza, ecc.).

2. Tasse di bollo (testo unico 30 dicembre 1923, n. 3268, e successive modificazioni). - Colpiscono tutta la carta destinata per atti civili e commerciali giudiziali e stragiudiziali e tutti gli scritti, stampe, disegni e registri indicati dalla legge e sono pagate da coloro che tali atti o scritti compiono o di essi si servono. Per lo più questi atti o scritti sono soggetti al bollo fino dalle loro origini, alcuni di essi invece solo in caso che se ne voglia far uso. Le tasse di bollo sono fisse, graduali e proporzionali, si corrispondono in modo ordinario, impiegando la carta bollata che si vende per conto dello stato; in modo straordinario, applicando a qualsiasi specie di carta marche da bollo, o facendovi apporre dagli uffici del registro bolli speciali; e in modo virtuale, mediante pagamento della tassa senza materiale apposizione di bolli. L'esenzione assoluta dalle tasse di bollo è concessa agli atti e scritti riguardanti l'interesse pubblico e a molti altri ancora per ragioni politico-economiche o benefico-sociali, per lo più nei casi in cui è accordata anche l'esenzione dalle tasse sulla registraziorie. Per alcuni atti le tasse di bollo sono poi ridotte alla metà.

3. Tasse ipotecarie (testo unico 30 dicembre 1923, n. 3272, e successive modificazioni). - Colpiscono le rinnovazioni, trascrizioni, cancellazioni e gli annotamenti che si fanno nei pubblici registri delle ipoteche e sono pagate da coloro nell'interesse dei quali tali atti si compiono o dai debitori contro i quali le ipoteche sono iscritte o rinnovate. Anche le tasse ipotecarie sono fisse, graduali o proporzionali, secondo la natura degli atti (v. allegato A. del testo unico). Sono esenti le formalità nell'interesse dello stato e delle amministrazioni parificate nei rapporti tributarî; e altre numerose esenzioni e riduzioni sono accordate per scopi benefici o per ragioni economico-sociali.

4. Tasse in surrogazione del bollo e del registro (testo unico 30 dicembre 1923, n. 3280, e successive modificazioni). - Carattere surrogatorio delle tasse di bollo e di registro hanno; a) la tassa di negoziazione, che colpisce ogni trasferimento di titoli di credito (eccettuati quelli relativi a titoli di stato e di banche popolari e cooperative, a cartelle e obbligazioni fondiarie, a obbligazioni del consorzio di credito per le opere pubbliche, ad assegni bancarî e circolari, libretti o ricevute di conto corrente e di risparmio, cambiali, biglietti e altri effetti di commercio, nonché alle azioni e obbligazioni delle società e associazioni estere soggette alla tassa sul capitale delle società straniere) in proporzione del valore dei titoli stessi, e che è a carico degli enti da cui i titoli sono stati emessi, salvo il regresso verso i proprietarî o possessori dei medesimi; b) la tassa sul capitale delle società straniere, che colpisce in misura proporzionale tutti i capitali destinati a operazioni nel Regno da parte di società costituite all'estero; c) la tassa sulle operazioni di anticipazione e sovvenzione contro deposito o pegno di merci, titoli e valori, proporzionale, e a carico di chiunque, privato o ente (eccettuati solo i monti di pietà), compia le operazioni stesse.

5. Tasse sulle assicurazioni (testo unico 30 dicembre 1923, n. 3281, e successive modificazioni). - Colpiscono tutte le assicurazioni fatte nel Regno da privati o da società sia nazionali sia estere (a eccezione di quelle che hanno per oggetto beni esistenti all'estero) e anche quelle fatte all'estero se debbano essere usate nel Regno o si riferiscano a persone ivi domiciliate o a beni in esso esistenti. Sono proporzionali, di varia misura, e a carico degli assicuratori, che hanno diritto di rivalsa sugli assicurati. L'esenzione è accordata per le assicurazioni stipulate da casse di mutuo soccorso, per quelle contro gl'infortunî sul lavoro, ecc.

6. Tasse sulle concessioni governative (testo unico 30 dicembre 1923, n. 3279, e successive modificazioni). - Colpiscono le concessioni governative propriamente dette, le autorizzazioni, gli atti e i provvedimenti amministrativi e sono a carico di coloro che tali atti richiedono. Sono tasse fisse e le loro aliquote hanno una grande varietà in funzione della diversa importanza economica e morale che gli atti hanno per il richiedente (v. allegati A, B e C del testo unico). Numerose sono le esenzioni e riduzioni.

7. Tassa sugli scambî (testo unico 28 luglio 1930, n. 1011). - Si suddivide in tassa sugli scambî interni e tassa sugli scambî con l'estero. La prima colpisce ogni scambio di merce (non solo compra-vendita ma anche permuta, prestito di consumo, cessione in pagamento, ecc.) effettuato fra industriali, commercianti ed esercenti, per causa del loro esercizio, anche se le cose scambiate siano destinate a essere comunque usate nell'azienda dell'acquirente, e deve essere pagata da chi emette il documento di scambio, salvo il diritto a rivalersi sull'altro contraente. La seconda, a carico degli importatori, colpisce tutte le merci importate dall'estero, qualunque ne sia la destinazione (il beneficio della temporanea importazione e del drawback è esteso però anche agli effetti della tassa scambî e così pure le esenzioni accordate dalle disposizioni preliminari alla tariffa doganale a favore di capi di stato, principi del sangue, membri del corpo diplomatico e consolare). Non sono colpite invece le merci esportate, sia direttamente da produttori, fabbricanti e negozianti, sia con l'intervento d'esportatori, e sfuggono alla tassa anche gli scambî che hanno per oggetto merci in transito o depositate nei luoghi soggetti a vigilanza doganale. La tassa sugli scambî è stabilita nella misura unica del 2,50% (per taluni prodotti e per varie esigenze sono stabilite però particolari aliquote) del valore o del prezzo dello scambio. Esenzioni di carattere soggettivo non sono contemplate. Le poche esenzioni di carattere oggettivo sono tassativamente indicate dalla legge (alcuni generi alimentari di prima necessità e combustibili, generi di monopolio dello stato, ecc.).

8. Tassa di successione (testo unico 30 dicembre 1923, n. 3270, e successive modificazioni: cfr. specie r. decr. legge 30 aprile 1930, n. 431). - colpisce l'ammontare del patrimonio ereditario netto che si trova nel Regno al momento dell'apertura della successione, indipendentemente dal luogo di morte dell'autore e dalla sua qualità di cittadino italiano o straniero, ed è a carico degli eredi e legatarî. La tassa di successione si applica in tutte le trasmissioni della proprietà, dell'usufrutto, dell'uso e godimento di beni o d' altri diritti che si verificano per causa di morte o per assenza dichiarata o presunta della persona alla quale i beni e i diritti appartengono, e anche nei passaggi di usufrutto dei beni costituenti la dotazione dei benefici ecclesiastici e delle cappellanie. Sono esenti solamente le trasmissioni che si verificano dai genitori a favore di due o più figli e i loro discendenti, compresi i figli naturali legalmente riconosciuti, e tra coniugi con due o più figli, e le liberalità a qualsiasi titolo a favore di provincie, comuni e altri enti morali italiani (e anche stranieri, a condizione di reciprocità) legalmente riconosciuti, fondati o da fondarsi, quando lo scopo specifico delle liberalità sia di beneficenza d'istruzione o d'educazione. Dalle attività ereditarie si devono dedurre le passività per avere il patrimonio imponibile. Agli effetti dell'applicazione della tassa, che è sempre proporzionale, il patrimonio imponibile si ripartisce poi in scaglioni soggetti ad aliquote di regola progressive (entro il limite minimo dell'1% e quello massimo del 50%) e tanto più elevate quanto meno stretto è il vincolo di parentela che unisce l'autore della successione agli eredi o legatarî. Alcune trasmissioni sono soggette però ad aliquote costanti del 5% e del 3%.

9. Tassa di manomorta (testo unico 30 dicembre 1923, n. 3271, e successive modificazioni). - Colpisce la rendita annua reale o presunta di tutti i beni che appartengono agli enti morali che si propongono uno scopo essenzialmente duraturo o perseguibile in un futuro indeterminato (provincie, comuni, istituti di beneficenza, d'istruzione, d'educazione istituti religiosi, ecc.). Gli enti che rispondono a tale requisito e che hanno una rendita eccedente le lire 1000 annue sono soggetti al pagamento della tassa, a eccezione di quelli parificati nei rapporti tributarî all'amministrazione dello stato, delle società commerciali e industriali, di credito e d'assicurazione di qualunque forma, dei benefici ecclesiastici ai titolari dei quali siano o debbano essere concessi assegni supplementari di congrua, dell'istituto della Croce Rossa, dell'Opera nazionale combattenti, di varie casse di previdenza e d' altri enti a scopo benefico. Sono esenti, inoltre, in alcuni casi, gl'interessi dei capitali dati a mutuo dalle casse di risparmio e di quelli depositati alla Cassa depositi e prestiti, nonché le rendite presuntive degli stabili che servono all'uso immediato degli enti o per opere di beneficenza, ecc. L'aliquota normale è del 7,20%, ma gli enti aventi fini di culto e gl'istituti aventi scopo di beneficenza, istruzione, educazione e pubblica utilità in genere godono dell'aliquota ridotta del 0,90%.

10. Tasse di bollo sui trasporti (testo unico 30 dicembre 1923, n. 3275, e successive modificazioni). - Colpiscono i trasporti terrestri e marittimi sia di viaggiatori, sia di bagagli, animali e merci, sulle linee esercitate dalle ferrovie dello stato, sulle linee di navigazione marittima e su quelle automobilistiche sovvenzionate o no dallo stato e sono pagate direttamente dall'amministrazione delle ferrovie e dagli esercenti le altre linee di trasporto, che hanno però diritto di rivalsa verso i passeggeri, spedizionieri, ecc. Le tasse sui trasporti sono fisse e proporzionali; le prime si applicano su ogni documento di trasporto rilasciato, le seconde invece solo nei riguardi dei trasporti sulle linee esercitate dalle ferrovie dello stato e sulle linee automobilistiche.

11. Tasse sugli autoveicoli (testo unico 30 dicembre 1923, n. 3283, e successive modificazioni: specie r. decr. legge 26 dicembre 1926, n. 2486). - Colpiscono la circolazione su aree pubbliche degli autoveicoli d'ogni specie e la navigazione in acque pubbliche degli autoscafi e sono a carico dei possessori di tali mezzi di locomozione. Le tasse sono di varia misura a seconda della destinazione del veicolo e della potenza normale del motore e vengono riscosse, per conto dello stato, dal Reale Automobile Club d'Italia, cui è devoluto un aggio di riscossione del 3,96%. Sono previste numerose esenzioni.

12. Diritti erariali sugli spettacoli (testo unico 30 dicembre 1923, n. 3276, e successive modificazioni: specie r. decr. legge 12 agosto 1927, n. 1553). - Colpiscono l'introito netto totale (compresi i proventi derivati da diritti di guardaroba, oblazioni, aumento sui prezzi delle consumazioni, ecc.) di tutti gli spettacoli e trattenimenti dati al pubblico, anche se di beneficenza, e sono a carico dell'impresario, dell'appaltatore o di colui che abbia ottenuto la licenza voluta dalla legge di pubblica sicurezza. La misura dei diritti erariali varia a seconda della natura dello spettacolo o trattenimento dal 10 al 20% e la loro riscossione (tranne che per le corse dei cavalli e per gli spettacoli sportivi) è affidata dallo stato alla società italiana degli autori, cui spetta un aggio del 5%.

13. Tasse di bollo sulle carte da giuoco (testo unico 30 dicembre 1923, n. 3277, e successive modificazioni). - Colpiscono, con aliquote percentuali più o meno elevate a seconda della qualità, tutte le carte da giuoco fabbricate nel Regno o provenienti dall'estero e devono essere pagate dai fabbricanti e dagl'importatori, che hanno però di fronte ai rivenditori un credito privilegiato (art. 1958 cod. civ.).

14. Tasse sui contratti di borsa (testo unico 30 dicembre 1923 n. 3278 e successive modificazioni). - Colpiscono tutti i contratti a contanti, a termine, fermi, a premio, di riporto (quelli di riporto e a termine stipulati per un termine superiore a quaranta giorni sono però soggetti alla tassa sulle anticipazioni contro deposito e pegno) e ogni altro conforme agli usi commerciali, sia fatto in borsa, sia fuori, di cui formino oggetto titoli di qualsiasi natura, nazionali ed esteri; nonché le compre-vendite a termine di valori in moneta, in verghe o in divise estere e, se ci sia l'intervento di mediatori iscritti, anche di derrate e di merci, siano o no fatte in borsa. Tutti coloro che concludono uno dei suddetti contratti, che la legge denomina complessivamente contratti di borsa, sono obbligati al pagamento della tassa, salvo il diritto di rivalsa, qualora i contratti stessi siano stati stipulati per conto di altri da banchieri e da persone ammesse al mercato ufficiale. La tassa ha aliquote fisse che variano a seconda della natura del contratto e della qualità dei titoli e delle parti contra enti.

C) Imposte indirette sui consumi. - Dei diritti doganali che insieme con le imposte di fabbricazione costituiscono questa categoria, è trattato sotto dazio e dogana; qui basta considerare:

le imposte di fabbricazione (testi unici approvati con decreto ministeriale 8 luglio 1924 e successive modificazioni: specie r. decr. legge 28 luglio 1929, n. 1363) che hanno per oggetto l'alcool di 1ª e 2ª categoria, lo zucchero di 1ª e 2ª classe, il gas-luce e l'energia elettrica, la birra, la cicoria e altri surrogati del caffè, gli organi d'illuminazione elettrica, il glucosio e maltosio, gli olî di semi, le polveri piriche e altri prodotti esplodenti e l'acido acetico e che sono a carico dei produttori.

Le imposte di fabbricazione sono dovute solo in quanto il prodotto che ne è passibile sia destinato al consumo nello stato; di qui il principio dell'abbuono o della restituzione della tassa ogni volta che il prodotto sia esportato. Sono stabilite inoltre, per alcune imposte, esenzioni particolari, per lo più di carattere oggettivo e con riguardo specialmente alle destinazioni dei prodotti diverse dalla normale. La quantità del prodotto ottenuto è base dell'applicazione di queste imposte che in genere ad essa si commisurano.

D) Tributi locali (testo unico 14 settembre 1931, n. 1175, e successive modificazioni) che si possono suddividere in quattro categorie:

1. Imposte di consumo (r. decr. legge 20 marzo 1930, n. 141), che dal 1° aprile 1930 sostituiscono i dazî interni di consumo (v. dazio e dogana), sono di esclusiva competenza comunale e colpiscono pochissimi generi, alcuni dei quali di non largo e indispensabile consumo (e cioè bevande vinose o alcooliche, carni e pesci conservati, dolci e cioccolato, formaggi e latticinî, profumerie e saponi fini, gas-luce, energia elettrica, materiali per costruzioni edilizie, mobili e pelliccerie). Alcune imposte di consumo sono ad valorem e si applicano secondo un'aliquota percentuale unica stabilita dalla legge, altre invece specifiche e per l'applicazione di queste la legge ha fissato delle tariffe massime più o meno elevate a seconda della maggiore o minore popolosità dei comuni (a questo scopo i comuni sono stati ripartiti in nove classi in base alla loro popolosità); la legge stessa contempla poi numerose esenzioni sia oggettive sia soggettive. Le imposte di consumo si applicano alla vendita o cessione a qualsiasi titolo dei generi tassati fatta dal produttore o dal commerciante all'ingrosso ai consumatori o ai commercianti al minuto dello stesso comune (nel primo caso sono a carico del produttore o del commerciante all'ingrosso, nel secondo dei commercianti al minuto), nonché al consumo diretto del commerciante all'ingrosso e della propria famiglia. Per i generi trasportati a qualsiasi titolo in altro comune o provenienti dall'estero le imposte si applicano nel comune di consumo e sono a carico del possessore o destinatario. Per i generi esportati è ammessa, con determinate norme, la restituzione dell'imposta di consumo pagata.

2. Imposte non afferenti a servizî pubblici, tra le quali sono esclusivamente comunali: a) l'imposta sul valore locativo, obbligatoria per i comuni delle cinque prime classi, dovuta da chiunque, cittadino o straniero, tenga a propria disposizione nel comune una casa d'abitazione e applicata al valore locativo reale o presunto con aliquote progressive dal 5 al 9% a seconda della classe cui il comune appartiene; b) l'imposta difamiglia, che i comuni delle ultime quattro classi, che non applicano l'imposta sul valore locativo, possono essere autorizzati a istituire e che colpisce con aliquote percentuali, graduate entro un massimo dell'8%, il reddito complessivo di ogni residente nel comune; c) le imposte sul bestiame, sugli animali caprini e sui cani, dovute, in misura varia dai detentori e dai proprietarî dei detti animali; d) l'imposta sulle industrie, commerci, arti e professioni, applicabile, entro il limite massimo del 3%, a carico di chiunque tragga dall'esercizio di un'industria, d'un commercio, di un'arte o d'una professione un reddito soggetto all'imposta di ricchezza mobile, anche se il reddito stesso sia, in virtù di leggi speciali, esente dall'imposta erariale (in tal caso l'aliquota dell'imposta comunale è maggiore). A carico di coloro il cui reddito non possa essere assoggettato all'imposta di ricchezza mobile, o sia comunque non ancora accertato, i comuni possono istituire un'imposta di patente cui la provincia ha diritto di applicare un'addizionale autonoma; e) l'imposta di licenza, dovuta da chiunque gestisca alberghi, pensioni, osterie, bar, caffè, stabilimenti di bagni, rimesse, locali di stallaggio, sale da ballo, bigliardi e locali analoghi, e applicata al valore locativo degli ambienti occupati, con aliquote più elevate (dal 20 al 30 e anche al 50%) per gli esercizî in cui si effettui la vendita di bevande alcooliche e più mite (dal 10 al 15%) per gli altri. Alle macchine per la preparazione del caffè espresso usate nei suddetti esercizî si applica inoltre una tassa graduale a seconda della loro capacità; f) l'imposta sulle vetture, con aliquote diverse a seconda della categoria di queste e della classe del comune, e quella sui domestici (al massimo di L. 200); g) le imposte sui pianoforti e sui bigliardi, sia pubblici, sia privati (rispettivamente di L. 50 e 125); h) la tassa sulle insegne, iscrizioni, avvisi o richiami di pubblicità, in base al numero delle lettere e con aliquote varie secondo la classe del comune (da L. 0,20 a L. 7), quintuplicata e obbligatoria per le insegne in lingua straniera; i) l'imposta di soggiorno, dovuta nella misura massima del 10% del prezzo di locazione dell'alloggio da chiunque si rechi nel comune per temporanea permanenza e l'imposta di cura (al massimo di L. 30 annue) che i comuni possono imporre in sostituzione della prima, allorché sia loro riconosciuta per legge la caratteristica di stazione di cura, soggiorno, o turismo.

Sono invece di applicazione comunale e provinciale: a) la tassa di circolazione sui veicoli a trazione animale e sui velocipedi, obbligatoria, con aliquote variabili da 10 a 100 lire, riscossa dalle provincie anche per conto dei comuni e ripartita in proporzione delle spese sopportate per l'ordinaria manutenzione delle strade provinciali e comunali; b) il contributo integrativo di utenza stradale, obbligatorio, applicabile in varia misura (da 100 a 30.000 lire annue a carico di coloro che, in causa del loro commercio o della loro industria ovvero per altri motivi, determinino un più intenso logorio delle strade; c) il contributo di miglioria, che colpisce nella misura del 15% l'incremento verificatosi nel valore di beni stabili, rustici e urbani, per effetto delle esecuzioni di opere pubbliche da parte del comune e della provincia.

3. Tasse afferenti a servizî pubblici, che hanno scarsa importanza nei bilanci comunali e provinciali e comprendono la tassa per l'occupazione di spazî e aree pubbliche di qualsiasi genere e i diritti di peso pubblico, di misura pubblica e di affitto di banchi pubblici.

4. Sovrimposte fondiarie, v. Imposte dirette, n. 1 e 2.

I comuni e le provincie possono imporre i suddetti tributi locali solo se in precedenza autorizzati dalla legge e devono sottoporre anno per anno all'approvazione della giunta provinciale amministrativa e, in certi casi, del Ministero delle finanze le tariffe che intendono applicare. La riscossione avviene di regola per ruoli in base alle denunce dei contribuenti rettificate e agli accertamenti d'ufficio.

Bibl.: Oltre ai trattati generali d'economia e di finanze, cfr.: A) per le imposte: G. Cridis, Dei tributi, voll. 2, Torino 1832; L. Dufour, Delle imposte, Genova 1861; G. Pallavicino, Teoria delle imposte, Torino 1865; M. Pescatore, La logica delle imposte, Torino 1867; B. Benvenuti, Le imposte. Teoria e pratica, Milano 1869; S. Zeni, Le imposte, Ferrara 1869; C. Baer, L'avere e l'imposta, Torino 1872; A. Malgarini, Coordinazione giuridica delle imposte, Parma 1885; C. A. Conegliani, La riforma delle leggi sui tributi locali, Modena 1898; G. A. Vanni, Organizzazione degli Istituti finanziari, in Primo trattato completo di diritto amministrativo italiano a cura di V. E. Orlando, vol. IX, Milano 1902; E. Cossa, La teoria delle imposte, Milano 1902; L. Walras, Théorie critique de l'impôt, Parigi 1801; E. De Perieu, Traité des impôts, 2ª ed., Parigi 1866-1867; E. Vignes, Traité des impôts en France, voll. 2, 4ª ed., Parigi 1880; H. Denis, L'impôt, Bruxelles 1889; R. Stourm, Systèmes généraux d'impôts, Parigi 1893; J. G. Hoffmann, Die Lehre von den Steuern, Berlino 1840; K. von Hock, Die öffentlichen Abgaben und Schulden, Stoccarda 1863; F. G. Neumann, Die Steuern, Lipsia 1887; W. Vocke, Die Abgaben, die Auflagen und die Steuer, ecc., Stoccarda 1887; G. A. R. Helferich, Teoria generale dell'imposta, in Manuale dello Schoenberg, tradotto in Biblioteca dell'Economista, serie 3ª, vol. XIV, parte 1ª, Torino 1889; A. E. Schäffle, Die Steuern, in Hand- und Lehrbuch der Staatswissenschaften di K. Frankenstein, Lipsia 1895; C. Th. Eheberg, s. v. Steuer, in Handwörterbuch der Staatswissenschaften, 3ª ed., fasc. 50 e 51, Jena 1911; F. Y. Edgeworth, La teoria pura dell'imposta, in Biblioteca dell'Economista, s. 5ª, vol. XVI, Torino 1907; E. R. A. Seligman, Essays in taxation, New York 1915; Alzada Comstock, Taxation in the modern State, New York 1929.

B) Per le tasse: G. De Francisci-Gerbino, Le tasse nella dottrina e nel diritto finanziario, Palermo 1910; L. Nina, s. v. Tasse, in Digesto Italiano, Vol. XXIII, parte 1ª, Torino 1912-1916; V. Tangorra, Contributo alla teoria delle tasse, Pisa 1913; P. Ricca Salerno, Studi sulla teoria delle tasse, Palermo 1928; M. Pugliese, Le tasse nella scienza e nel diritto positivo italiano, Padova 1930; C. F. Schall, Le tasse, in Biblioteca dell'Economista, s. 3ª, vol. XIV, parte 1ª, Torino 1889; O. Ehlers, Die Stellung der Gebühr im Abgaben-System, in Schanz' Finanz- Archiv, vol. XIII, parte 2ª, pp. 1-81, Stoccarda 1896; G. von Mayr, s. v. Gebühren, in Stengel's Wörterbuch des deutschen Verwaltungsrechts, vol. I, Friburgo in B. 1890, p. 466 segg. (con aggiunte nei tre volumi complementari; cfr. anche la 2ª ed., curata dal Fleischmann); F. Kleinwächter: Gebühren und Verkehrsteuern, in Jahrbücher für Nationalökonomie und Statistik, XXIX (s. 3ª), Jena 1905; M. von Heckel, s. v. Gebühren, in Handwörterbuch der Staatswissenschaften, 3ª ed., vol. IV, ppp. 513-526; G. Strutz, ibidem, 4ª ed., 1923; F. Meisel, Gebühren und allgemeine Steuerlehre, in Handbuch der Finanzwissenschaft, vol. I, Tubinga 1926.

C) Per la storia: A. Wagner e H. Deite, Histoire de l'impôt depuis l'antiquité jusqu'à nos jours, traduz. fr., voll. 2, Parigi 1913; W. Gerloff e F. Meisel, Handbuch der Finanzwissenschaft, voll. 3, Tubinga 1926-1929; M. L. Rotondo, Saggio politico su la popolazione e le pubbliche contribuzioni del Regno delle Due Sicilie, ecc., Napoli 1834; L. Bianchini, Della storia economico-civile di Sicilia, voll. 2, Napoli 1841; id. Della storia delle finanze del Regno di Napoli, libri 7, 3ª ed., Napoli 1859; G. Pecchio, Saggio storico sull'amministrazione finanziaria dell'ex Regno d'Italia dal 1802 al 1814, Torino 1852; M. F. Peraldi, Sullo stato attuale dei domini della Chiesa Romana, Bastia 1855; V. Scialoja, I bilanci del regno di Napoli e degli Stati sardi, Torino 1857; A. Grimaldi, Il bilancio del regno di Napoli, Roma 1890 (ed. pubblicata da un anonimo avversario politico del G.); A. Meneghini, Le finanze austriache, Torino 1860; id., Le imposte nella Venezia e nella Lombardia, Torino 1863; id., Delle condizioni finanziarie delle Provincie Italiane tuttora soggette all'Austria, Torino 1864; Is. Sachs, L'Italie, ses finances et son développement économique, ecc., Parigi 1885; G. Alessio, Saggio sul sistema tributario italiano, voll. 2, Torino 1883 e 1887; A. Plebano, Storia della finanza italiana dalla costituzione del Regno alla fine del sec. XIX, voll. 2, Torino 1899-1900 e 1902; Fr. S. Nitti, Il bilancio dello stato dal 1862 al 1896-97, Napoli 1900; J. De Johannis, La finanza, in Mezzo secolo di vita italiana (1861-1911), Milano 1911; S. Segre, Dal disavanzo alla conversione (1876-1906), Torino 1911; A. Sandonà, Il Regno Lombardo-Veneto, ecc., Milano 1920; G. Carno-Donvito, Le finanze meridionali sotto il Regno delle Due Sicilie e Le finanze del nuovo Regno d'Italia, ecc., in L'economia meridionale, ecc., Firenze 1928; J. Necker, Compte rendu présenté au roi par M. N., Parigi 1781; J. Clamageran, Histoire de l'impôt en France, voll. 3, Parigi 1867, 1868 e 1876; Ch. Sudre, Les finances de l'ancien régime et de la révolution, Parigi 1885; H. Taine, Les origines de la France contemporaine. L'ancien régime, vol. I, libro v, e vol. III, 4ª ed., Parigi 1887; J. Sinclair, History of the public revenue of the British Empire, voll. 2, 3ª ed., Londra 1805; Th. Doubladay, A financial monetary and statistical history of England from 1688 to the present time, Londra 1847; W. Taylor, History of taxation of England, 1853; R. Gneist, Das englische Verwaltungsrecht, voll. 2, 3ª ed., Berlino 1883-1884; P. Bertolini, Il governo locale inglese, Torino 1899.

D) Per l'ordinamento finanziario italiano: A. de' Stefani, Ordinamenti finanziari, Roma 1926; id., Manuale di finanza, 2ª ed., Bologna 1932; V. Chiumenti, Guida per il contribuente, 9ª ed. aggiornata, Bologna 1930; Ministero delle finanze (Ragioneria generale dello stato), Il bilancio dello stato dal 1913-14 al 1929-30 e la finanza fascista a tutto l'anno VIII, Roma 1931; vedi, inoltre le varie raccolte di leggi e di testi unici in materia tributaria pubblicata dalla Libreria dello stato (cfr. catalogo).