IMPERIUM

Enciclopedia Italiana (1933)

IMPERIUM

Giuseppe Cardinali

In senso lato indica in genere il potere di comando su chicchessia e su checchessia, per es., la potestà del padrone sul servo o del padre sul figlio, onde imperium Romanorum o populi romani è usato nel senso politico di dominio dei Romani sui popoli soggetti, e passando dal senso astratto al senso concreto, l'espressione designa geograficamente ìl territorio dell'impero, i fines imperii. Ma la parola ha sin da principio un suo preciso senso tecnico e giuridico, indica cioè il sommo potere militare e giurisdizionale dei più alti magistrati, cioè del dittatore, del console (e, quindi, dei tribuni militum consulari potestate), del pretore, e si distingue con ciò dal termine potestas, che indica, in senso lato, il potere non solo dei più alti, ma anche degli altri magistrati: censori, tribuni della plebe, edili, questori, e, in senso ristretto, il potere di questi minori magistrati, in confronto e quasi in contrasto con l'imperium dei più elevati. L'imperium, nel senso tecnico e giuridico che abbiamo detto, comprende:

1. il potere militare del magistrato, e, cioè, oltre l'alto comando in guerra, le facoltà di formare, ogni volta che fosse necessario, l'esercito, di nominare gli ufficiali, di conchiudere trattati d'armistizio e di pace, di battere moneta per avere il denaro indispensabile, d'amministrare la cassa militare, di conferire ricompense e decorazioni;

2. il potere sulla vita e sulla persona dei cittadini colpevoli e riottosi, potere che abbraccia la coërcitio, cioè la competenza poliziesca di costringere a ragione chi disubbidisse, la facoltà giudiziaria di condannare i rei criminali, e il diritto del comandante di mantenere a ogni costo la disciplina dell'esercito. È questo il potere del quale sono simbolo i littori, che accompagnano, recando il fascio delle verghe e della scure, tutti i magistrati forniti d'imperium; e in origine tale potere non doveva avere limitazioni, ma col procedere del tempo il diritto di provocazione impedì al magistrato di toccare la persona e la vita dei cittadini nell'interno della città, di guisa che l'antica competenza continuò a esercitarsi soltanto nella sfera militare, nei rapporti fra comandante e soldati, ma non più in quelli tra magistrato e cittadini. L'imperium acquistò allora il suo carattere precipuo di non poter essere esercitato se non oltre il primo miglio di là dal pomerio della città di Roma, onde la distinzione tra le funzioni che si svolgevano in Roma, domi, e quelle fuori, militiae. Contro le sentenze penali pronunciate dal magistrato oltre quel confine, almeno fino alle leges Porciae, non era ammesso né l'appello ai comizî, né l'intercessione del collega;

3. il potere giudiziario nel contenzioso civile. In verità, secondo la concezione dei giuristi (Paul., Dig., L, 1, 26; Gaio, IV, 103), non tutta la giurisdizione civile del magistrato poggia sull'imperium, ma soltanto una parte, ed essi distinguono tra i iudicia i quali legitimo iure consistunt, e quelli che imperio continentur. La prima categoria è costituita dalle contese che si svolgono nella città di Roma tra parti, fornite entrambe della cittadinanza romana, nelle quali contese il magistrato rimette il caso a un giurato, e a questo spetta pronunciare la sentenza. L'altra categoria è costituita dalle contese alle quali partecipa un non cittadino, da quelle che vengono portate dinnanzi al magistrato al di fuori della sfera domi e da quelle che il magistrato rimette al giudizio di recuperatores; ma in sostanza si deve riconoscere che tutto il potere giurisdizionale civile del magistrato poggia sull'imperium: infatti la stessa serie di magistrati ai quali spetta il comando militare, esercita la giurisdizione civile, cioè consoli e pretori. E se il magistrato non giudica nel processo civile regolare, egli elabora il diritto patrio e decide come questo si debba applicare nei casi singoli sia con istruzioni speciali ai giurati (formula), sia col manifesto generale (edictum);

4. la facoltà di convocare il popolo (ius agendi cum populo) e di trattare col senato (ius referendi). È da notare che anche i tribuni del popolo avevano in tempo storico quest'ultimo diritto.

Durante la repubblica l'imperium fu esercitato, oltreché da magistrati ordinarî che abbiamo detto, da magistrati inferiori, quando, per l'assenza del magistrato supremo, questi delegava un suo dipendente, quaestor o legatus, a rappresentarlo, o quando, in caso di morte, uno di questi lo surrogava. Ma il maggiore allargamento della sfera di persone fornite d'imperium fu nella repubblica cagionato dall'ognor crescente bisogno di provvedere a più comandi d'eserciti e al governo di più provincie. Da esso sorse la prorogatio imperii, che determinò la categoria dei promagistrati. E la prorogatio poteva avvenire in due modi, o in quanto i comizî la concedessero, oltre l'anno, al magistrato che n'era investito, o in quanto questi direttamente l'usasse per il principio che il comandante d'un esercito o il governatore d'una provincia avevano non solo il diritto, ma il dovere di continuare nelle loro funzioni, finché non fossero sostituiti, sul luogo, dai loro successori. Così divenne frequente col procedere del tempo il titolo di proconsul o di propraetor a seconda che il potere esercitato fosse pari a quello del console o del pretore. Da Silla in poi il governo delle provincie fu sostanzialmente sottratto alle magistrature ordinarie e lasciato alle promagistrature, nel senso che, il periodo d'ufficio dei magistrati forniti d'imperium fu praticamente elevato a due anni, l'uno esercitato nella sfera domi, l'altro nelle provincie. Ma nemmeno la promagistratura poté bastare ai compiti nuovi che via via s'imposero nel crescente sviluppo della Repubblica, e si dovette giungere al punto di conferire l'imperium per via straordinaria a magistrati inferiori o a privati. Ciò avvenne in particolar modo e con particolare frequenza per questori funzionanti nella sfera militiae, donde si sviluppò l'istituto del quaestor pro praetore. Tra i privati il primo che con certezza fu rivestito dell'imperium proconsulare fu Pompeo nel 67 a. C., quando gli fu affidato il compito di distruggere i pirati, e in quell'occasione fu deciso che anche i 25 aiutanti che Pompeo doveva scegliere dall'ordine senatorio avessero l'imperio propretorio. E furono queste decisioni che ebbero la massima importanza per l'avvenire, inquantoché l'impero proconsolare di Augusto, come osserva il Rosenberg, si trova sulla stessa linea di quello di Pompeo, e i 25 legati di questo si possono considerare come i predecessori dei legati propraetore dell'epoca imperiale. Nella quale, appunto, cessò nei consoli, nei pretori e nei promagistrati l'alto imperio militare, e questo risiedette a vita nel principe, che a sua volta lo delegava, subordinatamente, ad altri, e l'esercitava nella forma di potestà proconsolare, mentre l'altro sommo potere, che completava la sua qualità di capo dello stato, era la potestas tribunicia (v. imperatore).

Nell'epoca repubblicana dovette competere l'imperium anche all'interrex e al magister equitum, e secondo il Mommsen pure al pontifex maimus in base al passo di Livio, xxxvII, 51, che è però controvertibile.

Bibl.: Th. Mommsen, Römisches Staatsrecht, I, 3ª ed., Lipsia 1887, p. 22 segg., 61 segg., 116 segg., 637 segg.; III, p. 1052 segg.; O. Karlowa, Römische Rechtsgeschichte, I, Lipsia 1885, p. 130 segg.; id., Gesammelte Schriften, IV, Berlino, p. 52 seg.; P. Willems, Le droit public Romain, 7ª ed., 1910, pp. 209 segg., 309 segg.; J. Toutain, in Daremberg e Saglio, Dictionnaire des Antiquités, III, pag. 418 segg.; A. Rosenberg, in Pauly-Wissowa, Real-Encyckl., IX, colonna 1201 segg.; E. De Ruggiero, in Dizionario Epigrafico di Antichità romane, IV, pag. 45 seg.

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