Imola

Enciclopedia machiavelliana (2014)

Imola

Lucio Biasiori

La città romana di Forum Cornelii fu quasi completamente distrutta durante la guerra greco-gotica (535-53). Inserita dai Bizantini nell’Esarcato e successivamente conquistata dai Longobardi, dopo l’arrivo in Italia dei Franchi la città fu consegnata all’arcivescovo di Ravenna. Nella seconda metà dell’11° sec., I. si diede uno statuto comunale e, dopo una dura lotta contro il potere vescovile, si schierò con l’impero (1159), riuscendo a resistere per quasi un secolo alle pressioni dei maggiori centri guelfi vicini: Faenza e Bologna. Dopo essere entrata nell’orbita di Bologna e tornata nominalmente sotto lo Stato della Chiesa, divenne dominio della famiglia guelfa degli Alidosi. Nelle Istorie fiorentine (IV vi-vii) M. narra la fine di tale signoria, quando Angelo della Pergola, condottiero al soldo dei Visconti, distrusse la rocca cittadina ed espugnò la città, come punizione per aver aderito alla lega antiviscontea. L’influenza di Milano su I. si mantenne dai Visconti, agli Sforza, ai Riario (con il matrimonio fra la duchessa Caterina Sforza e il nipote di papa Sisto IV, Girolamo Riario). Ancora nelle Istorie fiorentine si può leggere un asciutto resoconto di come I. venne usata sullo scacchiere politico italiano, tra il comportamento da «principe nuovo» di Sisto IV – «il primo che cominciasse a mostrare quanto uno pontefice poteva, e come molte cose, chiamate per lo adietro errori, si potevono sotto la pontificale autorità nascondere» – e le trame espansionistiche del ducato di Milano (cfr. VII xxii 6-8).

La forzatura nepotistica, grazie alla quale Riario si insediò a Forlì e a I., unitamente al suo esoso fiscalismo, fu causa del malcontento che portò alla congiura del 1488 e all’uccisione del conte (Istorie fiorentine VIII xxxiv 7-18, cfr. anche Discorsi III vi 156-59; per l’analisi di questi testi → Sforza, Caterina). La signoria pervenne quindi a Caterina, reggente per conto del figlio Ottaviano; la contessa, «ripreso lo stato, la morte del marito con ogni generazione di crudeltà vendicò» (Istorie fiorentine VIII xxxiv 20).

Proprio alla corte di Caterina Sforza, dal 12 al 24 luglio 1499, si svolse una delle prime esperienze diplomatiche di Machiavelli. Oltre alla possibilità di arruolare dei fanti in Romagna e procurarsi munizioni, la questione sul tavolo era quella di garantirsi un reciproco appoggio: Firenze aveva bisogno dell’aiuto di Forlì e I. per sbarrare la strada a Venezia e impedirle di aiutare la città ribelle di Pisa; Caterina doveva contare sull’aiuto di Firenze, dopo che il re di Francia Carlo VIII, per punire il voltafaccia di Ludovico il Moro, zio della contessa, si era alleato con Venezia e il papa, cioè con i due vicini più ostili dei domini sforzeschi in Romagna. La legazione di M. presso Caterina Sforza si svolse per la massima parte a Forlì.

A I., invece, M. si recò durante la sua seconda legazione presso Cesare Borgia, dal 5 ottobre 1502 al 21 gennaio 1503, nella fase della cosiddetta congiura della Magione (per la quale → Modo che tenne il duca Valentino). Compito di M. era di rappresentare con la massima prudenza la difficile posizione di Firenze, impossibilitata ad appoggiare i congiurati (tra i quali figuravano suoi nemici giurati, come gli Orsini), ma allo stesso tempo preoccupata dei travolgenti successi di Cesare Borgia. M. avrebbe dovuto anche confermare la vecchia «condotta» del Valentino con Firenze, di fatto una taglia che la Repubblica pagava a Borgia; emblematica, a questo proposito, è la lettera dell’8 novembre 1502, in cui M., come replicando a un innominato «amico», scrive che

l’Eccellenza di questo duca non si aveva a misurare come gli altri Signori, che non hanno se non la corazza [emendamento su carrozza], rispetto allo stato che tiene, ma ragionare di lui come di un nuovo potentato in Italia, con il quale sta meglio fare una lega e un’amicizia che una condotta (LCSG, 2° t., p. 429).

M. rimase a I. fino all’11 dicembre 1502; seguì poi gli spostamenti del duca. Le lettere da I. si situano in un momento assai importante nella formazione del pensiero politico machiavelliano: lo testimonia, per certi aspetti, il fatto che proprio allora M. richiedesse all’amico Biagio Buonaccorsi l’acquisto di una copia delle Vite di Plutarco (→), da poco ripubblicate a Venezia (Buonaccorsi a M., 21 ott. 1502), quasi per confrontare la «esperienza delle cose moderne» con la «lezione delle antiche» (Principe dedica 2). Inoltre, durante il suo soggiorno a I., M. ebbe probabilmente occasione di incontrare Leonardo da Vinci (→), a quel tempo impiegato come ingegnere militare per conto del Valentino.

Così come coloro che disegnano e’ paesi si pongono bassi nel piano a considerare la natura de’ monti e de’ luoghi alti e, per considerare quella de’ luoghi bassi, si pongono alto sopra ’ monti, similmente, a conoscere bene la natura de’ populi, bisogna essere principe, e, a conoscere bene quella de’ principi, conviene essere populare.

Dietro questo passaggio della dedica del Principe è stata vista un’allusione a Leonardo, che pochi mesi dopo l’incontro con M. avrebbe dato un saggio della sua meravigliosa capacità di dipingere paesi dall’alto proprio con la celebre mappa di I., ora conservata a Windsor (C. Ginzburg, Distanza e prospettiva. Due metafore, in Id., Occhiacci di legno. Nove riflessioni sulla distanza, 1998, pp. 180-81).

M. tornò a I. durante la sua seconda legazione presso la corte papale (cfr. le lettere del 21-26 ott. 1506), poco prima che Giulio II si impadronisse di Bologna, cacciandone i Bentivoglio; in quel momento la cittadina aveva un ruolo strategico nel movimento delle truppe pontificie. Anche l’ultima missione di M., presso Francesco Guicciardini ai tempi della lega di Cognac, tocca Imola. Il 2 aprile 1527 M. si spostava da Bologna a Forlì, anticipando l’avanzata del nemico; nella lettera da I., M. ammonisce la Repubblica affinché «voglia piuttosto spendere dieci fiorini per liberarvi securamente, che quaranta che vi legassino e distruggessino». La debolezza di Firenze e del pontefice Clemente VII era però ormai senza rimedio. Tornato dalla Romagna a Firenze, M. moriva il 21 giugno, in tempo per vedere i lanzichenecchi di Carlo V calare su Roma e metterla a sacco.

Bibliografia: N. Galassi, Figure e vicende di una città, 2 voll., Imola 1984-1986; G.M. Anselmi, Machiavelli, i Borgia e le Romagne, in Machiavelli senza i Medici (1498-1512). Scrittura del potere / Potere della scrittura, Atti del Convegno, Losanna 18-20 novembre 2004, a cura di J.-J. Marchand, Roma 2006, pp. 221-30.

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