immortalità Condizione di non essere soggetto alla morte.
1. Religioni antiche e politeistiche
Le prime forme di una credenza nell’i. equivalgono a manifestazioni dell’incapacità di concepire uno stato dell’esistenza che nulla abbia di comune con la vita. In diverse
In civiltà in cui vi siano individui preminenti (capi, stregoni), la cui morte significa un avvenimento eccezionale, si tende a distinguere tra le sorti, dopo la morte, di questi individui e quella della gente comune; dove invece vi sono pratiche rituali (per es. iniziazioni) che creano differenze tra i vivi, queste differenze si proiettano anche nella morte: si costituisce l’idea del giudizio che decide sull’i. dell’anima, o si crede che i morti eccezionali abbiano una sorte eccezionale, cioè un’i. divina o quasi, per cui essi diventano oggetto di culto. Così alla visione dello stato di morte come una continuazione più scialba ed esangue della vita, quale appare nella rappresentazione degli inferi in molte religioni antiche (l’Arallū assiro-babilonese, lo Shĕ’ōl ebraico, l’Ade greco, il
In India, nella fase vedica della religione, l’i. è riservata esclusivamente agli dei, benché non manchi un regno paradisiaco dei morti, sotto il re
La speculazione filosofica greca (Platone, Aristotele), inserendosi nelle idee religiose, getta le basi di una dottrina dell’i. personale.
Nell’ebraismo biblico, il tema della vita dopo la morte non è precisamente definito, probabilmente per una scelta culturale che privilegia la vita di questo mondo. Si parla sovente dello Shĕ’ōl come del luogo triste e oscuro in cui indistintamente si raccolgono i trapassati. L’idea dell’anima sembra presente in alcune allusioni (I Sam. 25, 29, Salmi 49, 16, Eccl. 12, 7), ma solo tardivamente (2° sec. a. C.) comincia a essere esplicitamente formulata. Più rilevanti le tracce di una credenza nella risurrezione dei morti (I Sam. 2, 6, Is. 26, 19, Dan. 12, 2 e 13) che riguarda l’intera persona. Rifiutata dai sadducei, la credenza fu al centro della fede dei farisei insieme al concetto del mondo futuro, condizione escatologica variamente intesa.
Nel cristianesimo primitivo, l’escatologia è fondata sull’idea della risurrezione, mentre una dottrina sull’anima non è ancora definita con precisione in tutto il Nuovo Testamento. Sull’i. dell’anima cominciano a discutere solo gli apologeti e i Padri, soprattutto sotto l’influenza del pensiero greco: ma le posizioni sono dapprima assai diverse e oscillanti. Così, Taziano considera l’anima come un principio materiale che diviene immortale solo per grazia divina, e più tardi, sulla stessa linea di pensiero, Lattanzio farà dell’i. una conquista etica del soggetto; Tertulliano invece, pur considerando l’anima materiale, ne difende l’autonomia, l’indissolubilità e l’immortalità. Più chiara è la posizione di Giustino che, nutrito di platonismo e neopitagorismo, loda Platone per aver affermato l’i. dell’anima, mentre condanna Aristotele il quale, per aver definito l’anima «forma» del corpo, ne ha eliminato ogni vita ultraterrena. Per lungo tempo, nella speculazione cristiana dei Padri e della prima scolastica, continua a gravare su Aristotele questa condanna, mentre è acquisita la dottrina platonica dell’anima, soprattutto tramite la speculazione di s. Agostino. S. Tommaso, invece, accetta la definizione aristotelica dell’anima e cerca di dimostrare come gli argomenti di Aristotele approdino all’i. dell’anima individuale, difendendo questa posizione contro gli averroisti, per i quali nell’aristotelismo (ritenuto la massima espressione della ragione umana) c’è posto solo per l’i. di un intelletto agente unico per tutta la specie umana.
La posizione di Tommaso viene impugnata anche da scotisti e occamisti, ritenendo essi indimostrabile, con argomenti tratti da Aristotele, l’i. dell’anima, e continuando a sostenere quindi l’insegnamento platonico-agostiniano. Le polemiche sull’i. dell’anima restano vive fino al Rinascimento con il perpetuarsi delle stesse correnti medievali cui si aggiunge, alla fine del Quattrocento, la posizione alessandrista che afferma, da un punto di vista puramente filosofico, la mortalità dell’anima.
Nella filosofia moderna, quando non sono riprese le tradizionali posizioni agostiniana o tomista, il problema dell’i. dell’anima individuale, uscito dall’ambito teologico, perde il suo autonomo significato e si risolve nei problemi del soggetto e dello spirito, dell’essere e del tempo.