Il mito dello sviluppo sostenibile

Frontiere della Vita (1999)

Il mito dello sviluppo sostenibile

Bruno Trezza
(Dipartimento di Economia Pubblica, Facoltà di Economia e Commercio, Università degli Studi di Roma 'La Sapienza', Roma, Italia)

È possibile realizzare l'idea di sviluppo sostenibile? In questo saggio illustreremo un approccio al problema della difesa dell'ambiente diverso da quello tradizionale. L'idea centrale è che l'ambiente vada considerato come un sistema complesso autoorganizzato ove hanno luogo le attività umane; l'elemento rilevante è il modo in cui tali attività interagiscono con i cicli che costituiscono l'ambiente stesso. Il problema consiste nel conciliare le necessità del sistema economico con l'esigenza di non disarticolare i cicli della biosfera e quindi salvaguardare l'ambiente. Mediante l'uso di alcuni indicatori, relativi alla conversione di energia operata dalla fotosintesi e all'ammontare di energia usata dall'uomo, illustreremo la rapidità con cui vengono disarticolati i cicli della biosfera e l'urgenza di elaborare un nuovo modo di intervenire sul problema. Una volta posta nella giusta prospettiva la relazione tra sistema economico e ambiente, si evince con chiarezza che l'unico modo di affrontare il problema sta nel considerare l'ambiente non come una risorsa da sfruttare, ma come un bene da preservare.

Introduzione

Il grado di distruzione ambientale è ormai ben noto ed è del tutto chiaro che l'attuale livello di impatto delle attività umane sull'ambiente non può essere mantenuto senza provocare un danno irreversibile alla vita sulla Terra. Il Business Council for Sustainable Development ha affermato nel suo rapporto all'UNCED (United Nations Conference on Environment and Development, Conferenza delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo) che "non possiamo continuare nei nostri metodi attuali di uso dell'energia, di gestione delle foreste e dell'agricoltura, di protezione delle piante e delle specie animali, di gestione dello sviluppo urbano e di produzione dei beni industriali" (Schmidheiny, 1992). Il W orld Resource lnstitute ha dichiarato che "il mondo non è oggi proiettato verso un futuro sostenibile, ma piuttosto verso una molteplicità di disastri umani e ambientali" (World Resource lnstitute, 1992). La Banca mondiale (World Bank), prendendo in esame il previsto aumento della produzione per il 2035, ha affermato che "se il degrado e l'inquinamento dell'ambiente dovessero crescere in parallelo all'aumento della produzione, il risultato sarebbe uno spaventoso disastro ambientale" (World Bank, 1992). Il W orldwatch lnstitute ha concluso che "se non riusciremo a convertire la nostra economia auto distruttiva in un'economia sostenibile dal punto di vista ambientale, le future generazioni saranno sopraffatte dal degrado ambientale e dalla disintegrazione sociale" (Brown, 1993).

Anche a uno sguardo superficiale, la lista dei danni causati e il livello di degradazione ambientale risultano impressionanti: aumento generale della temperatura, riduzione dell'ozono strato sferico, deposizione di sostanze acide, inquinamenti tossici, estinzione di specie, deforestazione, degrado dei suoli, esaurimento delle risorse idriche, ittiche e rinnovabili. A questa lista, già così preoccupante, va aggiunta l'esistenza di interrelazioni tra i diversi fenomeni, in quanto i diversi tipi di danno ambientale tendono a rinforzare i rispettivi effetti negativi; la deforestazione è causa di degrado dei suoli, dell'estinzione di specie viventi e di aumento della temperatura, la deposizione di sostanze acide uccide le foreste e inquina le falde acquifere, le extraradiazioni UVB, dovute alla riduzione dello schermo di ozono, danneggiano le larve dei pesci e il fitoplancton, e così di seguito. In breve, tutti i problemi sono aggravati e il degrado ambientale è, allo stesso tempo, aumentato e accelerato.

Tra il 1952 e il 1991 la popolazione mondiale è aumentata di un fattore pari a 2,17, la produzione annua di molti prodotti tradizionali, come acciaio, zinco, alluminio, si è accresciuta di un fattore simile, tra 1,6 e 3,5 a seconda dei prodotti, ma tutti i prodotti legati al petrolio e al trasporto sono cresciuti a tassi molto più elevati, raggiungendo fattori di incremento di 5,7 volte. Poiché queste produzioni, e i consumi loro connessi, sono tra le maggiori cause di inquinamento, non solo il sistema economico e le attività umane si sono sviluppati a un tasso molto elevato, ma i maggiori tassi di crescita si sono avuti nei settori dove l'inquinamento è maggiore.

Per completare il quadro bisogna prendere in esame il previsto aumento della popolazione mondiale; la proiezione media tra quelle calcolate dall'ONU assume per il 2030 il raggiungimento della cifra di 8670 milioni di persone, sempre che il tasso di crescita si riduca da 1,6 del 1990 a 0,9 nel 2030 (ONU, 1995). Inoltre nel 2025 1'85% della popolazione sarà concentrato nei paesi meno ricchi, con una distribuzione di età a favore dei più giovani che richiedono, come è ovvio, più alti tassi di crescita per la creazione di posti di lavoro. Poiché i paesi più ricchi tenderanno a mantenere, se non ad aumentare ulteriormente, il loro livello di vita, nei prossimi trenta anni il peso sull'ambiente non potrà non aumentare notevolmente.

Energia equivalente dalla fotosintesi globale e da petrolio, carbone e gas

tab. I

Un modo semplice, ma efficace, per valutare la velocità e la forza con le quali le attività umane incidono sull'ambiente consiste nel confrontare l'energia equivalente ottenuta dalla produzione di petrolio grezzo, carbone e gas naturale con l'energia solare convertita dalla fotosintesi globale, per esempio, per gli anni 1952 e 1991 (tab. I). Le cifre mostrano che l'energia equivalente ottenuta da combustibili fossili è aumentata dall'inizio degli anni Cinquanta di 3,33 volte, mentre l'energia convertita dalla fotosintesi (vegetazione più plancton marino) può essere considerata costante, anche se probabilmente è diminuita di almeno il 10% a causa della distruzione di foreste tropicali.

Sino circa al 1952, nel flusso di energia passante attraverso la bio sfera la parte relativa alla fotosintesi era largamente prevalente su quella usata per i processi industriali; quaranta anni dopo l'energia per fini di produzione e consumo era più che doppia rispetto a quella usata per la fotosintesi. In termini di energia, il rapporto tra l'energia usata dall 'uomo e quella foto sintetica, che è alla base del ciclo della vita, è aumentato dal 64% al 214%. A un certo momento, durante gli anni Sessanta, l'uomo è divenuto il fattore più importante nell'evoluzione dell'ecosistema, ma la comunità scientifica e l'umanità intera sembrano non aver preso debita coscienza di questo evento epocale. Mentre il processo di fotosintesi produce molecole biologiche e ossigeno, pienamente compatibili con il processo della vita e del tutto riciclabili, i prodotti derivanti dall 'uso industriale dell'energia sono quasi sempre difficilmente riciclabili e, pertanto, inquinanti. Il danno è immenso e non vi è più molto tempo per intervenire.

Come vedremo meglio più avanti, il raffronto tra l'energia usata per la fotosintesi e quella usata dall'uomo è molto più significativo di qualsiasi raffronto che tenga conto dell'ammontare totale di energia proveniente dal Sole. La ragione di ciò sta nel fatto che l'energia usata per la fotosintesi è alla base del ciclo vitale sulla Terra ed è proprio questo ciclo che viene compromesso dall'inquinamento e dal degrado ambientale. Solo questo confronto fornisce un' idea significativa dell'impatto dell'attività umana sull'ecosistema, inteso come sistema in evoluzione.

La gravità della situazione avrebbe dovuto spingere verso un'immediata e drastica modificazione del rapporto tra attività umane e ambiente, trasformando così anche il rapporto tra sistema economico e biosfera; per far ciò sarebbe stato necessario un profondo cambiamento dell'atteggiamento complessivo dell 'uomo verso l'ecosistema e del modello culturale che ne è alla base. Si è invece verificato solo un modesto tentativo di intervenire sul processo di degrado ambientale, limitando l'impatto della nuova situazione sull'attuale sistema economico e sulle sue esigenze. Ciò è stato fatto ponendo attenzione allo sviluppo sostenibile, ovvero alla opportunità di creare una situazione nella quale le esigenze di sviluppo e di funzionamento del sistema economico potessero permanere inalterate e allo stesso tempo consentire la salvaguardia dell'ambiente.

Le condizioni per uno sviluppo sostenibile non sono state trovate e il degrado ambientale è continuato quasi del tutto indisturbato mentre la discussione teorica si è arricchita di molti contributi e l'analisi empirica di molti strumenti, nessuno dei quali veramente idoneo ad affrontare il problema. In questo saggio presenteremo una rapida panoramica dei fondamenti teorici dell'analisi economica dell'ambiente, prenderemo in esame gli strumenti raccomandati dalla dottrina e adottati nella pratica e, infine, suggeriremo un modo alternativo e, si spera, più corretto di affrontare il gravissimo tema del rapporto tra attività umane e ambiente.

Lo stato della teoria

Dai classici ai neoclassici

La prima riflessione sul rapporto tra attività economiche e ambiente può essere fatta risalire al pensiero classico, in particolar modo a T.R. Malthus (1826) e D. Ricardo (1821), in relazione allo studio della impossibilità di uno sviluppo sostenibile a causa dell'esaurimento delle risorse rispetto all'accrescersi della popolazione. Mentre infatti le prime venivano ad accrescersi secondo una progressione lineare, si riteneva che la popolazione aumentasse secondo una progressione geometrica.

Mediante l'analisi di questi autori, veniva capovolta l'ipotesi di crescita illimitata, resa possibile dal potenziamento dei mercati e dal continuo aumento della divisione del lavoro nell'industria manifatturiera, già presente nel pensiero di A. Smith (1789). Mentre infatti Smith non prendeva in esame alcun fattore esterno al sistema economico, Malthus e Ricardo consideravano il sistema economico in termini di relazione dinamica rispetto alle risorse ambientali e alle loro possibilità di accrescimento; di conseguenza l'unico sbocco possibile veniva considerato lo stato stazionario nel quale una popolazione di dimensione finita dava luogo a produzione e consumo costanti e permanenti nel tempo. La perpetuabilità di questo stato stazionario veniva assicurata dal rinnovarsi delle risorse.

La tesi di Malthus e Ricardo fu fondamentalmente condivisa anche da J.S. Mill (1871) che a tal riguardo introdusse l'importante considerazione della scarsità relativa delle risorse naturali, in modo da considerare l'effetto economico dell'aumento dei prezzi prima del raggiungimento del limite ultimo dello stato stazionario. Mill, inoltre, introdusse la considerazione della natura come fornitrice di servizi connessi alla qualità della vita, che possono essere compromessi dalla continua crescita economica. In questo senso, egli non considerava lo stato stazionario come il triste sbocco di uno sviluppo al limite delle capacità di sostentamento, ma come una condizione nella quale la limitazione, scelta liberamente, della popolazione, della produzione e dei consumi poteva dar luogo a un'adeguata qualità della vita. Mill scriveva infatti "Spero sinceramente, per il bene dei posteri, che essi accettino lo stato stazionario molto prima che la necessità delle cose li costringa a subirlo".

Gli sviluppi teorici successivi alla teoria classica, costituiti dalla teoria neoclassica sorta intorno alla metà del secolo 18°, presero le mosse dalla legge dei rendimenti decrescenti mediante la semplice generalizzazione per la quale un aumento del prodotto, sia in agricoltura sia nell'industria, poteva essere causato dall'aumento di un qualsiasi fattore produttivo, ma in incrementi decrescenti, e che un aumento equiproporzionale di tutti i fattori doveva in ogni caso dar luogo a un aumento del prodotto nella stessa proporzione (omogeneità lineare della funzione di produzione). Questa idea di omogeneità e separabilità dei fattori della produzione consentì alla teoria neo classica di astrarre il processo produttivo dalle condizioni fisiche e storiche della produzione stessa e di legarlo solo al sistema di scelta dei consumatori. Si creava così un universo chiuso - il mondo dell'economico - nel quale le attività di produzione e consumo di beni e servizi venivano separate da qualsiasi relazione con l'ambiente e risultavano legate solamente le une alle altre da un rapporto di funzionalità.

In questo contesto la presenza dell'ambiente fu considerata solo nella forma di risorse non rinnovabili, per esempio depositi petroliferi o minerari, per le quali sorgeva il problema della gestione: rapporto tra consumo immediato e consumo futuro, ovvero tra benessere delle generazioni presenti e di quelle future. Un'analisi rilevante a questo proposito è quella di H. Hotelling (1931) che formulò una regola di gestione di tali risorse in grado di riportare il problema all'interno delle categorie economiche. Secondo tale regola i prezzi sono indici di scarsità relativa - scarsità in relazione all'uso, diretto o indiretto, a fmi di consumo per cui il valore di una risorsa esauribile dovrebbe crescere nel tempo a mano a mano che si avvicina il momento del suo esaurimento, ovvero che si accresce la sua scarsità relativa. In tale situazione un uso corretto della risorsa implica che il suo impiego sia possibile ogniqualvolta il tasso di crescita del suo valore sia inferiore al rendimento di un'attività finanziaria alternativa, ovvero al tasso di interesse di riferimento.

In effetti tale regola non è altro che l'applicazione della regola fondamentale dell'economia neo classica in merito alle decisioni rispetto al tempo: una riduzione dell'uso diretto o indiretto di beni a fmi di consumo presente a favore del consumo futuro è possibile solo quando l'incremento di valore che si ottiene risulti inferiore al tasso di interesse. Un racconto tradizionale vuole che G. Washington tagliasse l'albero di ciliegio nel giardino della sua casa nel momento in cui il tasso di crescita dell'albero si rivelò minore del tasso di interesse.

Successivamente la teoria ha operato un'opportuna divisione tra risorse rinnovabili e risorse non rinnovabili, risorse stock e risorse flusso. Le risorse rinnovabili possono essere utilizzate sino al punto in cui il loro rinnovamento viene compromesso; oltre questa soglia si innescherebbe un processo di deterioramento, talvolta anche irreversibile. Su tali basi fu introdotto il concetto di livello minimo di conservazione (Ciriacy-Wantrup, 1968).

La teoria neoclassica e l'ambiente

La riduzione del problema ambientale al problema delle risorse e della loro gestione ha consentito alla teoria neoclassica di affrontare l'emergenza del problema ambientale mediante l'uso degli strumenti concettuali propri dell'analisi economica e, in particolare, della teoria del benessere, che si andarono perfezionando nel corso degli anni Sessanta.

Lo schema concettuale rilevante presenta infatti l'ambiente come una serie di beni, le risorse ambientali, il cui uso viene valutato, come avviene per qualsiasi altro bene, dai componenti della società. Come per tutti gli altri beni, la valutazione è fatta in relazione alla capacità di contribuire al soddisfacimento dell 'utilità dei consumatori. Poiché i beni ambientali sono in genere liberamente disponibili, non vi è un prezzo da pagare per utilizzarli, e di conseguenza non possono essere soggetti a valutazione e a gestione efficiente.

Per il raggiungimento dell'efficienza sono stati individuati vari strumenti, così come altri strumenti sono stati predisposti per tener conto dell'impatto ambientale sotto diversi aspetti. Questi, come tutti gli altri strumenti considerati dalla teoria economica, verranno esaminati criticamente più avanti.

Il dibattito sulle risorse esauribili e lo sviluppo sostenibile

Un uso efficiente delle risorse non ne impedisce, ovviamente, l'esaurimento. Di conseguenza, notevole attenzione è stata data al problema dell'esaurimento delle risorse naturali. Nel 1963 un'indagine empirica condotta da S. Barnett e L. Morse per conto della fondazione americana Resources for the Future dimostrò che nel periodo compreso tra il 1870 e il 1957 i costi reali dei fattori produttivi forniti dalla natura erano diminuiti rispetto agli altri costi di impresa. A determinare questo fenomeno furono, si sostenne, i benefici compensativi derivanti dal progresso tecnologico (Smith e Krutilla, 1979).

Verso l'inizio degli anni Settanta tale posizione ottimistica venne messa in forse sia dall'embargo petrolifero del 1973, che diede luogo a un enorme scatto verso l'alto dei prezzi delle materie prime, sia dal crescente inquinamento ambientale, sia, infine, dalla pubblicazione del rapporto del Massachusetts Institute of Technology (MIT) per il Club di Roma sui limiti dello sviluppo (Meadows, 1972; Mesarevic e Pestel, 1974). Fino a quel momento era convinzione comune tra gli economisti che le risorse naturali e ambientali non ponessero ostacoli rilevanti alla continua crescita dell'economia. Il rapporto del MIT pose sul tappeto tre problemi - la crisi ambientale, quella alimentare e quella energetica - riferendoli al sistema Terra come sistema unitario. Il rapporto usava modelli di simulazione che, sulla base di proporzioni fisse nel consumo pro capite di risorse non rinnovabili e di una crescita costante dell'economia e della popolazione, prevedevano l'esaurimento delle principali riserve minerarie e il raggiungimento di un livello di non ritorno dell'inquinamento globale.

In tal modo la questione ambientale si poneva ancora una volta nei termini classici, tra crescita economica ed esaurimento delle risorse non rinnovabili. La reazione a questa ipotesi neomalthusiana fu assai forte; furono contestati sia i metodi usati sia le cifre del rapporto e inoltre furono presentati modelli basati su una visione più ottimistica relativamente alla scarsità delle risorse naturali. A sostegno della critica furono riprese le ipotesi alla base della visione neoclassica del problema ambientale, affermando che l'innovazione tecnologica può compensare in modo illimitato le restrizioni connesse all'esaurimento delle risorse, che l'energia e la materia utilizzabili nel processo economico sono disponibili in quantità molto maggiori delle riserve conosciute (in quanto esiste un ampio margine di sostituzione tra diversi tipi di risorse) e che il meccanismo dei prezzi di mercato è in grado di segnalare la crescente scarsità delle risorse in modo da consentirne il razionamento e la conservazione nel tempo (Bekermann e Oates, 1974; Nordhaus, 1974; Kahn et al., 1976).

La questione del rapporto tra crescita economica e ambiente non poteva non legarsi al problema dello sviluppo dei paesi del Terzo Mondo, dando così luogo a ciò che è poi divenuto noto come sviluppo sostenibile. All'inizio degli anni Ottanta è stato mostrato come l'aggravarsi della crisi dei paesi del Terzo Mondo debba considerarsi sia come crisi di sviluppo che come crisi ambientale (W orld Bank, 1984). La crisi ambientale è stata vista per lo più come desertificazione, esaurimento delle fonti tradizionali di energia e abbattimento delle foreste tropicali. Già nella United Nations Conference on the Human Environment, tenutasi a Stoccolma nel 1972, lo sviluppo sostenibile fu identificato come tematica generale. La conferenza stabilì infatti che sviluppo e protezione ambientale devono essere perseguiti simultaneamente tramite una pianificazione razionale. In questa occasione venne inoltre istituito lo United Nations Environment Programme (UNEP) come struttura dell'ONU.

L'UNEP svolse un notevole ruolo nella preparazione della World Conservation Strategy (WCS), testo nel quale vennero per la prima volta precisati i contenuti dello sviluppo sostenibile (IUCN, 1980), identificati nel mantenimento dei processi ecologici essenziali alla produzione di alimenti, alla salute e ad altri aspetti della sopravvivenza umana sul pianeta, nella salvaguardia della diversità genetica nel mondo animale e vegetale e nello sviluppo sostenibile degli ecosistemi, con particolare riguardo alle specie sfruttate dall'uomo. L'enunciazione più autorevole dello sviluppo sostenibile si è tuttavia avuta con la pubblicazione di Our Common Future, rapporto Bruntland, nel quale tale sviluppo è stato definito come "lo sviluppo che soddisfa i bisogni primari del presente, senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni".

La vaghezza della definizione ha stimolato successivamente molte precisazioni; lo sviluppo sostenibile è stato definito dalla W orld Commission on Environment and Development (WCED) come segue: "lo sviluppo sostenibile richiede che siano soddisfatti i bisogni fondamentali di tutti e che a tutti sia estesa la possibilità di soddisfare l'aspirazione a una vita migliore [ ... ] lo sviluppo sostenibile non deve deteriorare i sistemi naturali che sostengono la vita sulla Terra: l'atmosfera, le acque, il suolo e gli esseri viventi" (WCED, 1987). Nel rapporto dell'UNESCO lo sviluppo economico è stato tenuto distinto dalla crescita economica, dato che quest'ultima richiede l'impiego di maggiori quantità di materiali ed energia, mentre il primo consente miglioramenti senza un incremento nei consumi totali oltre i livelli sostenibili dall'ambiente (ovvero evoluzione qualitativa contrapposta a evoluzione quantitativa). Tuttavia, nel documento fmale della International Conference of the United Nations on Population and Development, tenutasi a Il Cairo nel settembre 1994, si afferma ancora una volta che "obiettivi e fini (perseguiti dalla comunità internazionale) sono la crescita economica all'interno di uno sviluppo sostenibile, ecc." (ONU, 1994).

In ogni caso, date le attuali condizioni del mondo e le previsioni di crescita della popolazione mondiale, indipendentemente da come siano trattati gli argomenti relativi alla crescita, allo sviluppo, all'equità tra generazioni, ecc., risulta del tutto chiaro come tale definizione implichi non solo il mantenimento, ma anche l'ampliamento del potenziale produttivo e dei consumi su scala mondiale.

Definita in tal modo, la teoria dello sviluppo sostenibile dipinge il migliore dei mondi possibili, dato che accoppia la difesa dell'ecosistema con l'aspirazione a un più elevato standard di vita, che in ogni caso implica un consistente tasso di crescita a livello mondiale; non chiede ai paesi ricchi di fare alcun vero sacrificio né chiede ai paesi del Terzo Mondo di rinunciare alla speranza dello sviluppo, ma chiede solo che ciò avvenga nel rispetto dell'ambiente senza nemmeno porre il problema dell'effettiva esistenza di tale possibilità. In effetti in tal modo il problema non viene risolto, ma semplicemente rimosso.

Sviluppo sostenibile e capitale naturale

Lo sviluppo sostenibile implica necessariamente la non esauribilità delle risorse naturali; tale concetto è stato equiparato da alcuni autori al mantenimento del capitale naturale. Il capitale naturale può essere definito come "tutto ciò da cui si ottiene un flusso di servizi produttivi nel tempo e che è soggetto a controllo nei processi di produzione" (Herffindal e Kneese, 1974). In tal modo l'accento viene posto su ciò che risorse naturali e manufatti hanno in comune e si assume la possibilità di sostituzione degli uni alle altre.

A tale riguardo, gli economisti del London Center for Environmental Economics hanno impiegato molti sforzi per sostenere come il mantenimento dello stock di capitale naturale sia la condizione necessaria per lo sviluppo sostenibile, mentre invece non si possa fare affidamento sull'evoluzione automatica della tecnologia nella direzione della salvaguardia ambientale. Lo sviluppo sostenibile "può significare o che il benessere pro capite cresce nel tempo grazie alla sostituzione tra capitale naturale e capitale riproducibile dall'uomo; oppure che la crescita nel tempo del benessere pro capite è soggetta alla condizione che il capitale naturale non diminuisca" (Holmberg, 1992).

Delle due possibilità la scuola di Londra ritiene praticabile solo la seconda, in quanto afferma che alcune risorse ambientali non sono sostituibili, che la conoscenza degli ecosistemi è limitata (per cui questi vanno conservati e non alterati), che molti fenomeni sono irreversibili (come il recupero della diversità biologica) e, infine, che i più poveri e i più deboli sono i più danneggiati dal degrado ambientale. È stato fatto inoltre notare come il principio della conservazione del capitale naturale sia coerente con la visione del mondo che riconosce alle altre specie il diritto all'esistenza, indipendentemente dalla loro utilità per gli uomini (Pearce e Turner, 1990).

La rilevanza di tale teoria dipende dalla individuazione e dalla misurazione del capitale naturale. In merito a tale aspetto la soluzione prospettata è ben lontana dall'essere soddisfacente in quanto, abbandonata la misurazione in termini fisici a causa della eterogeneità delle risorse da considerare, la misurazione del capitale ambientale viene ricercata in termini monetari, applicando alla quantità di ciascuna risorsa i prezzi rilevati. Oltre al fatto che molte risorse non hanno prezzo (aria, acqua, habitat naturali, ecc.) e che in ogni caso i prezzi ottenuti non sono significativi (Hueting, 1980; Barbier, 1989), questo approccio finisce per ricadere all'interno della teoria tradizionale neoclassica, in quanto identifica il capitale naturale con le risorse e tenta di misurare queste stesse nei termini dei parametri propri dello spazio economico. Al di là dell'indicazione di principio, ci si trova quindi di fronte a una variante non particolarmente significativa o innovativa della teoria neoclassica del problema ambientale.

Nel complesso la teoria economica, nelle sue diverse articolazioni, ritiene che ogni attività economica richieda dall'ambiente: materie prime ed energia come fattori produttivi, riciclaggio dei rifiuti, mantenimento del sistema di sostegno della vita.

Qualsiasi aumento di produzione colloca uno sforzo crescente su questi elementi. Il concetto di coefficiente di impatto ambientale (ClA) è stato concepito per poter tentare una misurazione di tale sforzo (Jacobs, 1991). Riduzioni nel ClA sono ritenute possibili mediante mutamenti nella composizione della produzione verso forme meno dannose, sostituzione dei fattori produttivi più dannosi con fattori meno inquinanti e aumento dell'efficienza delle risorse mediante il progresso tecnico. La Banca mondiale afferma esplicitamente che "se le limitazioni ambientali porranno o meno vincoli alla crescita dell'attività umana dipenderà dall'ampiezza della sostituzione, dal progresso tecnico e dai cambiamenti strutturali" (World Bank, 1992).

Per avere un'idea più precisa dello sforzo richiesto, l'impatto dell'attività umana sull'ambiente è stato espresso mediante l'equazione I =PCT (equazione di Ehrlich), dove I rappresenta l'impatto ambientale, P la popolazione, C il consumo pro capite e T il coefficiente di impatto per unità di consumo (Ehrlich e Holdren, 1974). Chiaramente nell'equazione T non è noto e C e T non possono essere considerati indipendenti. Ciononostante, l'equazione permette di fare semplici calcoli per determinare gli effetti di scenari differenti. Per esempio, se si suppone che la popolazione raddoppi nei prossimi cinquanta anni e che il consumo pro capite non diminuisca, T deve ridursi di quasi la metà se si vuoI mantenere costante l'impatto sull'ambiente. Proprio secondo questa linea di pensiero, D. Anderson (1992) sostiene che, assumendo le proiezioni della Banca mondiale sull'incremento di popolazione, esiste la possibilità di ridurre il ClA nella dimensione richiesta dall'equazione di Ehrlich nei maggiori campi di impatto ambientale. Anderson, tuttavia, non fa alcun tentativo di integrare i risultati ottenuti nei diversi campi, talché non è chiaro se l'energia e la produzione industriale addizionali richieste per migliorare l'agricoltura siano coerenti con le ipotesi altrove fatte di polluzione industriale.

In linea di principio, vi saranno situazioni connesse a inefficienza (dovute a politiche governative inadeguate o a fallimenti del mercato) che possono essere emendate sia sul piano dell'impatto ambientale sia su quello dei costi. Naturalmente vi saranno anche situazioni nelle quali miglioramenti dell'impatto ambientale implicheranno maggiori costi di produzione e quindi minor crescita economica. Vi sono opinioni differenti in merito all'importanza relativa delle due situazioni, cosicché mentre alcuni autori scrivono che "salvare l'ambiente certamente ridurrà la crescita della produzione e probabilmente implicherà più bassi livelli di reddito" (Tinbergen e Hueting, 1992) la Banca mondiale afferma che "i vantaggi dalla protezione dell'ambiente sono spesso elevati e i costi in termini di riduzione di reddito sono modesti se vengono applicate le politiche appropriate" (World Bank, 1992).

In ogni caso l'impegno maggiore è stato indirizzato a stabilire le caratteristiche dello sviluppo sostenibile e a trovare tecniche efficienti per la gestione delle risorse rinnovabili e non rinnovabili, al fine di raggiungere una situazione di sviluppo sostenibile basata esclusivamente sull'uso di risorse rinnovabili. Quest'ultimo problema è stato affrontato principalmente nella forma di meccanismi adeguati basati su sistemi di prezzi, tassazione e diritti sull'ambiente per limitare i processi produttivi e proteggere l'ambiente. Se ipotizziamo che esista una relazione coerente tra un'economia efficientemente gestita e la salvaguardia dell'ecosistema, la questione principale sembra essere quella di passare dall'attuale sistema, dannoso per l'ambiente, a un modo di vita compatibile con lo sviluppo sostenibile.

L'economia ecologica

Verso la fine degli anni Sessanta, riprendendo la tematica sostenuta da Mill, fu posto il problema della desiderabilità della crescita economica continua nei paesi industrializzati (Mishan, 1967); nello stesso tempo i limiti di tale crescita vennero per la prima volta analizzati alla luce della fisica (Boulding, 1966; Georgescu-Roegen, 1971). Si apriva così la questione della convenienza e dell'opportunità di una crescita illimitata, opportunità data per scontata dalla teoria neoclassica in quanto risultato dell'accresciuto benessere dei soggetti consumatori, fruitori ultimi dell'attività economica. Secondo E.I. Mishan, nelle economie avanzate non è il reddito assoluto degli individui ad assumere rilevanza ma il reddito relativo, per cui l'obiettivo di crescita continua non è significativo per tutta la società, in quanto non tutti possono migliorare la propria condizione relativa; inoltre egli sottolineò gli elementi di sgradevolezza connessi alla crescita continua e propose la "crescita zero" (Mishan, 1977). In tal modo, tuttavia, Mishan da un lato colpiva la teoria neoclassica nel suo presupposto fondamentale, senza avanzare una critica sufficientemente profonda, e dall'altro semplicemente non si rendeva conto delle ragioni profonde che spingono i sistemi industriali avanzati, basati sul profitto, verso una crescita senza limiti.

Più interessante si è rivelato il filone relativo ai limiti della crescita connessi alle leggi della fisica e in particolare alla termodinamica. La prima legge della termodinamica e il principio di conservazione della massa chiariscono che materia ed energia non possono essere né create né distrutte, ma solo trasformate; di conseguenza l'attività economica, consistente in produzione e consumo, non è altro che una particolare modalità di tali cambiamenti. Ogni forma di materia ed energia usata deve quindi ritornare nell'ambiente in forma di residuo (w) e in un diverso stato fisico. Non esiste dunque un processo lineare che leghi risorse e produzione, ma esiste un processo circolare che vede coinvolti anche l'ambiente e la sua capacità di riciclare i rifiuti. Il processo non è dato da (R) → (P, C), dove R indica le risorse utilizzate e P e C produzione e consumo, ma da (R) → (P, C) → (w) ⇒ (R'), dove R', le risorse alla fine del processo, saranno eguali o minori di R a seconda della capacità dell'ambiente di riciclare i rifiuti w; questa funzione è rappresentata dal simbolo ⇒. È naturale pensare che un continuo aumento dell'uso delle risorse, incrementando w, debba portare a una situazione nella quale i rifiuti non possono essere più riciclati né le risorse ricostituite.

All'interno di questa impostazione N. Georgescu-Roegen (1971; 1977; 1979) richiamò l'attenzione sul secondo principio della termodinamica, per il quale in un sistema isolato la materia e l'energia vanno necessariamente da uno stato di ordine verso uno stato di disordine e sono dunque sempre meno utilizzabili (incremento dell'entropia). Ogni processo fisico e biologico, e quindi economico, contribuisce ad aumentare sulla Terra il livello di entropia, in quanto utilizza materiali e flussi energetici ordinati e li trasforma in forme disordinate di materia ed energia. Inoltre è impossibile il riciclaggio della totalità dei materiali senza l'impiego di una quantità di energia maggiore di quella ottenuta. In relazione allo schema precedente si dovrebbe sempre avere R'<R.

La scarsa rilevanza in termini pratici della posizione di Georgescu-Roegen, basata sull'aumento necessario dell'entropia, nasce dal fatto che la Terra è un sistema non isolato e aperto che riceve energia dal Sole, per cui l'entropia sulla Terra non deve necessariamente aumentare. La vita infatti può essere considerata come un incremento di ordine connesso al continuo flusso di energia che la alimenta. Inoltre l'energia usata dall 'uomo, e comunque contenuta in tutti i combustibili fossili, è estremamente modesta in relazione all'ammontare di energia proveniente dal Sole. Di conseguenza l'asserto di Georgescu-Roegen si limita in pratica ad affermare la non riproducibilità di risorse fossili, come per esempio il petrolio, e di giacimenti di minerali.

Dalla posizione di questo autore è nato tuttavia un filone di analisi, ancora in via di elaborazione, che ha preso il nome di economia ecologica; secondo tale impostazione gli elementi di base sono dati (Klaassen e Opschoor, 1991) sia dall'interdipendenza circolare che incorpora i principali processi dell'ambiente e prende in considerazione le leggi ecologiche fondamentali, sia dalla indipendenza dei valori e dei bisogni dalle preferenze individuali (la società, per esempio, può attribuire alla preservazione dell'ambiente valori più elevati di quanto non facciano i singoli individui), sia infine dall'esistenza di una gerarchia dei valori (come modelli ultimi si pongono la sostenibilità e la compatibilità ambientali: protezione delle specie e modelli di uso delle risorse ecologicamente praticabili).

In attuazione di questi principi generali alcuni autori hanno cercato di individuare principi di coerenza tra attività economica e ambiente. In particolare è stato affermato (Daly, 1991) che: l) occorre limitare la scala dell'economia all'interno dei limiti di capacità della bio sfera, definendo la prima come il livello di popolazione moltiplicato per il consumo di risorse pro capite e la seconda come produzione primaria netta (NPP, Net Primary Product), ovvero l'energia solare catturata dagli organismi capaci di fotosintesi; 2) occorre indirizzare il progresso tecnico su un uso più efficiente delle risorse scarse; 3) occorre che il saggio d'uso delle risorse rinnovabili sia minore del tasso di rinnovamento delle stesse e che quello dell'emissione di residui non ecceda il saggio di assimilabilità dell'ambiente; 4) occorre che ogni investimento finalizzato all'uso di risorse non rinnovabili sia compensato da investimenti di pari importo in risorse rinnovabili.

In questo approccio la norma generale contenuta nel primo principio, che subordina la dimensione dell'attività economica alla capacità della biosfera di contenerla, è qualificata e specificata dalla definizione di attività economica come impiego di risorse e ulteriormente specificata dai principi successivi che disciplinano, appunto, l'uso delle risorse naturali. In tal modo tutta la costruzione teorica ricade ancora una volta nell'approccio tradizionale che tende a ridurre il problema dell'ambiente a quello della gestione adeguata delle risorse naturali. Il richiamo alla capacità della biosfera, considerata come energia che fluisce tramite la foto sinte si, e il problema della riciclabilità ambientale dei rifiuti non trovano collocazione e si pongono in termini non omogenei rispetto alle altre enunciazioni. Inoltre, è quanto meno ingenuo supporre che esista l'effettiva possibilità di sostituire risorse non rinnovabili con altre rinnovabili; in effetti questa non è altro, sotto diversa forma, che l'idea della sostituzione del capitale naturale con il capitale creato dall'uomo.

La scuola istituzionistica

A partire dal contributo di G. Myrdal (1972; 1978) è sorta una linea di pensiero, nota come scuola istituzionistica (Bromley, 1989; Hodgson, 1991; Kapp, 1991), che ha affrontato il problema sotto l'aspetto dei sistemi, in modo da riconoscere la complessità dei sistemi naturali e della relazione tra i sistemi economici e quelli ambientali.

Secondo tale scuola (Swaney, 1972), vi sono due modi estremi di affrontare il rapporto con la natura definiti come la "concezione della Terra inerte" (ingI. quiescent earth mentality) e la "concezione della Terra fragile" (ingI. frail earth mentality), con possibili concezioni intermedie. Nel primo caso si ha di fronte una Terra inerte, nella quale gli uomini possono agire a loro piacimento senza per questo mettere in forse le funzioni di sostegno della vita biologica. Nel secondo caso si ha un equilibrio ecologico molto fragile che può essere facilmente compromesso dall'attività umana. La visione degli istituzionisti si colloca all'interno di questi due estremi, in quanto essi individuano nella biosfera una serie di ecosistemi, tra loro interdipendenti e integrati, che presentano diversi gradi di stabilità; alcuni sono fortemente resilienti, altri invece sono molto fragili e, se perturbati, possono essere facilmente disarticolati. Di conseguenza la gestione dei problemi ambientali deve prendere in esame più aspetti. In primo luogo vanno considerate le interrelazioni tra ecosistemi, che danno luogo a catene ecologiche di causa ed effetto e che definiscono i sistemi di risorse. L'eliminazione dei risultati negativi è tanto più difficile quanto più lunga e complessa è la catena ecologica alla base del fenomeno, per cui la conoscenza di queste relazioni deve necessariamente accompagnare qualsiasi azione di impatto sull'ambiente. Occorre inoltre tener presente che la capacità dell'uomo di influenzare l'ambiente ha raggiunto livelli inimmaginabili, per cui non è più possibile basarsi sull'ipotesi pregiudiziale della Terra inerte.

Secondo questa teoria l'attività umana provoca la rottura di alcuni anelli della catena ecologica, anelli che non si possono facilmente ripristinare a causa della irreversibilità dei fenomeni evolutivi. Esiste inoltre la possibilità che, a causa della lunghezza e della complessità della catena ecologica, sia difficile rintracciare le cause di effetti indesiderati sull'ambiente così come è difficile valutare gli effetti complessivi delle attività umane. Alla valutazione di questi aspetti viene inoltre associata la considerazione che i sistemi sociali sono a loro volta sistemi complessi, per cui i bisogni della società possono risultare diversi dalla somma dei bisogni dei singoli soggetti che la compongono. In particolare, se le risorse fossero di proprietà privata, anche una gestione efficiente di tali risorse sul piano economico darebbe luogo a risultati non accettabili dal punto di vista della società nel suo complesso, non fosse altro che per l'assenza delle future generazioni dai mercati sui quali si trattano al presente le risorse ambientali.

Alcuni autori hanno preso in esame le interrelazioni esistenti tra valori e strutture sociali, in quanto i valori sociali vengono influenzati dalle strutture che costituiscono la società che, a loro volta, vengono influenzate dai valori sociali dominanti: si crea così un processo interattivo che è alla base dell'evoluzione della società umana. Secondo tale teoria lo sviluppo dell'Era moderna e contemporanea è avvenuto sulla base dell'ipotesi che non vi fosse alcun mutamento nei sistemi ecologici e quindi alcuna interazione tra attività umana e modificazioni dell'ambiente. Una conseguenza importante di tale impostazione è stata la sostituzione dell'energia solare, che assicurava energia rinnovabile, con i combustibili fossili, cioè con risorse non rinnovabili.

L'approccio istituzionalistico ha il merito di non voler elaborare una teoria o delle metodologie tese a includere i parametri ambientali all'interno del processo economico e di sottolineare la necessità di un approccio pluralista e interdisciplinare. Viene inoltre evidenziata l'importanza delle norme etiche da porre alla base dei processi decisionali, anche se si ribadiscono l'assunzione dei bisogni essenziali dell 'uomo e la loro conoscenza aprioristica come base delle politiche da attuare (Kapp, 1991).

Gli attuali strumenti di intervento e la difesa dell'ambiente

L'analisi del rapporto tra costi e benefici

Secondo la teoria neoclassica beni e servizi hanno valore solo in quanto contribuiscono a soddisfare le necessità di consumo finale dei membri della società. In un mercato perfetto, come quello concorrenziale, i prezzi si vengono a determinare in modo tale da riflettere la capacità dei beni di contribuire, direttamente o indirettamente, alla soddisfazione dei consumatori finali. In tal modo il sistema dei prezzi diviene un indicatore adeguato per l'allocazione delle risorse nei vari impieghi, così da massimizzare la soddisfazione ottenuta dal consumo. Molte volte, tuttavia, o per l'inadeguata struttura del mercato o per altri motivi, il sistema dei prezzi non riflette adeguatamente tali capacità e quindi non consente un'efficiente allocazione delle risorse: è questo il caso dei beni o delle risorse ambientali. Per affrontare situazioni simili il principale strumento elaborato dalla teoria economica è l'analisi costi/benefici. Tale analisi ha infatti il fine di individuare, per la società nel suo complesso, l'insieme dei costi e dei benefici, sempre valutati in termini di consumo finale, connessi a una qualsiasi decisione di natura economica. Si tratta cioè di valutare l'insieme degli incrementi e dei decrementi, diretti e indiretti, presenti e futuri, dei livelli di consumo secondo la valutazione che a essi danno tutti i soggetti interessati.

Secondo tale tipo di analisi, esiste un solo criterio di scelta, poiché il fine di qualsiasi atto economico è dato dal livello del consumo e dalla soddisfazione del consumatore. L'analisi costi/benefici è stata ed è tuttora alla base delle valutazioni fatte da tutti gli organismi internazionali (Banca mondiale, Banca d'Asia, ecc.) e da quasi tutti i governi nazionali in relazione ai progetti di investimento fmanziati con fondi internazionali o con fondi pubblici. Anche metodologie più recenti, come l'analisi multicriterio, che non sono coerenti con questa impostazione, sono state in effetti considerate (a torto, come vedremo in seguito) come estensioni e perfezionamenti di questo criterio generale.

L'importanza del criterio su cui si basa l'analisi costi/ benefici nasce dalla necessità di assegnare un fine univoco all'attività economica, in modo da consentire la valutazione di qualsiasi bene, servizio o risorsa in termini di un'unità metrica di riferimento: il consumo. Se infatti il consumo, e quindi la soddisfazione che i diversi soggetti ne traggono, è il fine unico dell'attività economica, ovvero le attività volte al soddisfacimento dei consumatori definiscono lo spazio economico, allora i giudizi di valore non possono trovare posto nella valutazione delle azioni economiche in quanto interferendo con il fine ultimo di queste ultime si collocano, per definizione, all'esterno dello spazio economico stesso. È pur vero che all'interno di questa analisi possono trovare posto anche giudizi di valore, nella forma di pesi attribuiti alle diverse valutazioni individuali, in modo da tener conto di elementi ritenuti politicamente significativi. Tali giudizi di valore, tuttavia, si collocano sempre all'esterno dello spazio economico e non entrano nel merito delle valutazioni sulle singole attività e decisioni, ma si limitano a definire condizioni al contorno come, per esempio, valutazioni relative alla distribuzione del reddito tra individui o tra generazioni o nel tempo, valutazioni che, per l'analisi economica, si presentano come dati a priori rispetto al processo di allocazione efficiente delle risorse.

L'idea di riportare il problema ambientale all'interno della gestione efficiente delle risorse, e quindi nel cuore dell'attività economica, ha fatto sì che dall'analisi costi/benefici siano nati quasi tutti gli strumenti e le metodologie di valutazione dei problemi ambientali.

Esternalità, tasse sull'inquinamento e altri strumenti

Tutti gli strumenti tratti dalla teoria economica attuale e utilizzati per tenere conto dell'impatto sull'ambiente sono basati sull'idea che i danni ambientali possano essere gestiti mediante pagamenti o valutazioni economiche. Qualsiasi valutazione di danni ambientali causati da attività economiche deve essere fatta tramite una relazione funzionale, in grado di collegare l'ammontare dell'inquinamento con il livello dell'attività economica; in tal modo può essere stabilito il livello ottimale di inquinamento e raggiunta l'efficienza.

L'ipotesi teorica rilevante per analizzare le interazioni esistenti tra la produzione e l'ambiente prevede che i fattori ecologici non presi in considerazione dal mercato possano essere internalizzati facendo pagare un prezzo ai produttori di inquinamento, considerato come una forma di esternalità negativa. In realtà la teoria economica ha introdotto il concetto di esternalità in relazione a fenomeni del tutto diversi da quelli dell'impatto ambientale e solo successivamente ha dato luogo a questa estensione applicativa. Le esternalità insorgono quando le attività di un soggetto interferiscono con quelle di un altro soggetto, per cui occorre introdurre correttivi per evitare che le decisioni prese separatamente dai soggetti, non tenendo conto della interferenza, diano luogo a decisioni inefficienti a livello di sistema. Il problema nasce dalla incompatibilità della divisione della capacità decisionale tra i vari soggetti rispetto a un sistema che non può essere suddiviso in parti o sotto sistemi isolati; quando il potere decisionale viene attribuito a un solo soggetto le esternalità svaniscono.

Una specifica applicazione di questo punto di vista consiste nel creare diritti sui danni ambientali, che possono essere acquistati e venduti come qualsiasi altro bene (teorema di Coase); in tal modo si viene a creare un mercato e possono essere ottenute soluzioni efficienti. Altri strumenti sono basati sulla tassazione dei danni ambientali: tasse sull'inquinamento possono essere introdotte al fine di modificare la struttura dei costi e indurre i singoli produttori a determinare livelli di attività compatibili con un livello ottimale di inquinamento (tasse pigouviane).

Questi metodi per stabilire e valutare gli effetti dell'attività umana sull'ambiente sono resi inefficaci dal fatto che la questione non è correlata a un'allocazione inefficiente delle risorse che può essere corretta mediante un adeguato sistema di prezzi e tasse ma al ben più complesso problema dell'interazione tra attività umane e ambiente, come ha per esempio sostenuto la scuola istituzionistica. Il degrado ambientale non è connesso né al problema della distribuzione del potere decisionale fra individui diversi né alla difficoltà di individuare prezzi adeguati per le risorse ambientali, ma all'impatto complessivo che le attività di produzione e consumo hanno sui cicli che costituiscono la vita della bio sfera. Gli strumenti quali esternalità, tasse sull'inquinamento, ecc., finalizzati alla valutazione e alla eliminazione dei danni ambientali, sono intrinsecamente fuorvianti e non possono raggiungere il fine per il quale sono stati predisposti: i danni ambientali e l'inquinamento considerati da un punto di vista economico e al fine di raggiungere l'efficienza economica (efficienza paretiana), sono sempre differenti dai danni ambientali e dall'inquinamento considerati sotto il profilo biofisico. In tal modo i soggetti, quando agiscono come operatori economici, sono indotti a pagare per distruggere le basi della loro stessa esistenza come esseri viventi. Parimenti i paesi più industrializzati sono autorizzati a pagare i paesi meno sviluppati per accettare l'inquinamento generato dalle necessità dei consumatori più ricchi.

Indicatori

Gli indicatori sono stati ideati per controllare i fattori cruciali per il mantenimento delle basi ecologiche della nostra vita e per richiamare l'attenzione sui danni all'ecosistema. Indicatori di sviluppo sostenibile sono stati introdotti nella gestione dell'ambiente anche per valutare se un determinato percorso di sviluppo sia realmente sostenibile. Questi indicatori fanno riferimento a elementi economici, sociali e ambientali e sono basati su indici di tipo monetario ed energetico.

Gli indicatori economici più semplici introducono i prezzi al fine di modificare il prodotto interno lordo (PlL) e operare compensazioni per il degrado ambientale connesso all'esaurimento delle risorse minerarie, all'erosione del suolo, all'inquinamento delle acque, ecc. Oltre alla difficoltà di trovare definizioni e misure accettabili per le grandezze da includere nella revisione del PlL, il problema maggiore consiste da un lato nella impossibilità di valutare i beni ambientali non riconducibili al mercato in termini monetari (ignorando così funzioni ecologiche essenziali) e dall'altro nella mancata considerazione delle interazioni esistenti tra economia e ambiente. Altri tentativi sono basati sull'identificazione e sulla misurazione del capitale naturale, in modo tale che un suo deprezzamento è considerato come un indicatore avverso allo sviluppo sostenibile.

Gli indicatori socioeconomici appartengono allo stesso quadro, in quanto tentano semplicemente di prendere in considerazione grandezze sociali non considerate quando si valuta il PlL, quali livelli di nutrizione, di salute, di educazione, ecc. Con l'lSEW (lndex of Sustainable Economic Welfare, indice di benessere economico sostenibile) è stata introdotta una misura del danno ambientale a lungo termine associato ai mutamenti climatici. Questo indice lascia insoluto il problema della misurazione e della valutazione di risorse naturali, quali foreste, miniere, ecc., e trascura, come tutti gli indicatori economici e socioeconomici, le interconnessioni, cruciali alla comprensione del processo di interazione dinamica, tra l'economia e l'ambiente con il quale le attività economiche vanno a impattare.

Gli indicatori ecologici meritano maggiore attenzione, ma il loro uso è limitato dalla nostra modesta conoscenza del modo in cui funziona l'ecosistema. Molti indici usano la produzione primaria netta, ovvero l'energia che resta dopo aver sottratto dall'energia solare quella usata per la respirazione dei produttori primari (v. anche il saggio di R. Valentini, Flusso energetico e produzione primaria). Tali indici, tuttavia, danno solo informazioni quantitative sull'ecosistema, mentre valutazioni qualitative possono essere ottenute solo mediante lo studio della biodiversità, ancora allo stato pionieristico.

Dati ambientali e contabilità economica

La proposta, formulata dalle Nazioni Unite (ONU, 1992), per realizzare una contabilità ambientale ed economica integrata attraverso il SEA (System for Environment Accounting, sistema per una contabilità ambientale ed economica integrata), riflette un modo ulteriore di tenere conto degli effetti dell'attività economica sull'ambiente. Il SEA si presenta come un sistema ancillare rispetto allo SNA (System of National Accounts of the United Nations, sistema di contabilità nazionale), in modo che la necessità di descrivere la relazione tra ambiente e sistema economico non vada a creare difficoltà al sistema dello SNA stesso. A tal fine sono stati concepiti sistemi satellite in modo da trattare problemi come la produzione di abitazioni, la protezione sociale, l'educazione, ecc. al di fuori della struttura centrale della contabilità rappresentata dallo SNA.

Per tale motivo il SEA deve essere costituito da blocchi separati contenenti la descrizione dell'interazione tra ambiente e sistema economico in termini fisici, i costi imputati all'uso delle risorse naturali e l'estensione dei confmi dello SNA mediante la considerazione della protezione interna ed esterna per l'ambiente come attività produttiva. Comunque questo tipo di analisi, così come la proposta avanzata da W. Leontief agli inizi degli anni Settanta (Leontief, 1974), non permette per esempio di seguire il cammino completo dei rifiuti, una volta introdotti nell'ambiente, poiché va sempre introdotto un confine definito ai processi produttivi.

L'identificazione delle attività rilevanti nel campo ambientale è stata posta nella forma di una contabilità del patrimonio nazionale (National Patrimony Account) che, tuttavia, richiede una sintesi di dati fisici che non potrà mai essere raggiunta per molte ragioni. Tra queste, la principale è data dalla difficoltà di defmire il capitale naturale e di determinare la differenza tra stock e flussi. Inoltre, l'ambiente varia nel tempo e le componenti del capitale naturale mutano notevolmente in relazione ai tempi e ai modi nei quali l'inquinamento diviene evidente. Per esempio, le piogge possono ripulire l'atmosfera, il percolare di sostanze chimiche può inquinare le acque per anni, l'anidride carbonica introdotta nell'atmosfera vi può rimanere per secoli creando un effetto serra permanente. L'esigenza di rendere il SEA compatibile con lo SNA implica necessariamente che l'ambiente venga trattato come una risorsa data, come qualsiasi impianto produttivo, e mai come un sistema in evoluzione nel quale sono inseriti gli stessi esseri umani.

Problemi di misurazione

Grande incertezza esiste in merito alla misurazione in termini bio fisici dell'impatto delle attività umane sull'ambiente, in quanto il 'rumore di fondo' dei mutamenti naturali spesso copre gli effetti delle azioni umane. Ancora più grave è l'inadeguatezza della nostra conoscenza delle catene di causa ed effetto (Carpenter, 1994). Le risposte ambientali alle azioni umane non possono essere previste facilmente, in quanto esse non sono lineari e quindi non sono analizzabili mediante i modelli usati solitamente. In queste condizioni gli sforzi attuali sono inadeguati a comprendere il funzionamento di sistemi che coinvolgono molte risorse, ecosistemi locali molteplici e sistemi a larga scala. La mancanza di validi indicatori statistici è stata anche sottolineata in un rapporto della Asian Development Bank (1990), nel quale si afferma che "l'informazione statistica sull'ambiente è scarsa, spesso inaccurata, raramente confrontabile tra paese e paese e raramente disponibile in serie temporali comprendenti un numero sufficiente di anni".

In generale le difficoltà di misurazione nascono dall'ignoranza delle condizioni dell'ecosistema a scala regionale, dalla non linearità delle risposte dell'ecosistema allo stress, dalla variabilità naturale, dagli errori di campionamento e di analisi nei rilevamenti sul campo, da un monitoraggio inadeguato nello spazio e nel tempo, dalla deliberata falsificazione dei dati per motivi politici, sociali o culturali, dalla inadeguatezza della ricerca delle relazioni tra gli ecosistemi naturali e quelli gestiti (Carpenter, 1994).

Attività economica ed ecosistema

La caratteristica più importante dei sistemi economici, secondo la teoria economica neoclassica, consiste nella possibilità di raggiungere risultati positivi da un punto di vista generale, tramite scelte e decisioni individuali. Su questa caratteristica sono basati tutti i tentativi operati per consentire al mercato di tenere conto degli effetti sull'ambiente.

L'assunto di base sotto stante a questa teoria è che il processo produttivo possa essere appropriatamente definito. A tal fine i fattori produttivi, i prodotti e le relazioni che li legano devono essere ben determinati e ciò richiede l'esistenza di uno specifico limite, all'interno del quale è definito il processo produttivo e oltre il quale nessun effetto è preso in considerazione. Oltre questo limite il processo produttivo non deve avere alcun effetto sull'ambiente o, se lo ha, tale effetto deve poter essere trascurato a ogni fine pratico; in caso contrario, il confine dovrebbe essere esteso indefinitamente. In tal modo le decisioni possono essere prese dai singoli operatori, una volta che ciascuno di essi abbia la completa visibilità dell'intero processo che dirige e di tutti i conseguenti risultati. Esternalità, indicatori, ecc. sono gli strumenti mediante i quali i singoli operatori possono prendere in considerazione specifici e ben definiti danni ambientali. In tal modo può essere mantenuta la struttura decisionale decentrata, caratteristica dell'attuale sistema economico.

In questo contesto il problema della relazione tra attività economica ed ecosistema è formulato in termini di allocazione di risorse scarse e di compensazione di ben definiti e circoscritti effetti sull'ambiente, mediante specifici strumenti legati ai singoli processi produttivi. In tal modo vengono definiti nuovi confini per ciascun processo produttivo e la struttura del sistema è lasciata inalterata. Il sistema dei prezzi ombra ha proprio il compito di riportare all'interno del confine del processo produttivo, e quindi all'attenzione di ogni singolo operatore, gli effetti sull'ambiente che non hanno valutazione economica e quindi non sono presi in esame dai singoli soggetti operanti nell'economia di mercato. In questo modo tali effetti dovrebbero essere presi in esame, le decisioni modificate e l'ambiente preservato. In coerenza con tale approccio l'ecosistema deve essere ripartito in sottosistemi separati e non interagenti tra loro, cosicché i processi di produzione e di consumo possono anche essere separati e attribuiti a singoli operatori. In realtà, come vedremo oltre, esiste una sola risorsa scarsa, rappresentata dall'ecosistema nel suo complesso, in quanto la dimensione della produzione e del consumo a livello mondiale è talmente grande che, a ogni fine pratico, non è possibile alcuna ripartizione significativa dell'ecosistema né è possibile confinare gli effetti sull'ambiente all'interno di una determinata dimensione o di un determinato spazio. Ogniqualvolta sono presi in esame determinati effetti, ne emergono di nuovi che devono essere specificatamente considerati, in una serie senza fine di nuovi accadimenti che riflettono l'impossibilità di separare l'ecosistema in parti disconnesse tra loro.

Non desta quindi sorpresa che tutti gli approcci proposti, qui brevemente passati in rassegna, manchino di una base teorica adeguata per integrare la natura e la società umana in un quadro coerente e che, quindi, non siano in grado di elaborare strumenti empirici adeguati a raggiungere decisioni veramente efficaci. Non vi è alcuna dimostrazione valida dell'esistenza di un possibile sviluppo sostenibile, comunque definito, come non vi è alcuna sicura conoscenza dell'interazione tra la società umana e l'ecosistema: l'esistenza dello sviluppo sostenibile è stata assunta come data. La contraddizione interna di questa ipotesi è inoltre rivelata dal fatto che all'unanime consenso per il passaggio dall'attuale processo di sviluppo non sostenibile a quello sostenibile non corrisponde, né potrebbe corrispondere, alcun consenso sul modo di attuarlo.

Istituzioni di ricerca e problemi di natura culturale

Due ulteriori problemi meritano attenzione. Il primo riguarda i magri risultati ottenuti dalle istituzioni di ricerca. Per esempio, nel 1969 il congresso americano approvò un NEPA (National Environment Policy Act, decreto per la politica nazionale per l'ambiente) che richiedeva una valutazione di impatto ambientale per tutti i maggiori progetti federali; tuttavia queste valutazioni sono state considerate solo sul piano procedurale e nessun incremento di conoscenza è venuto dall'attività del NEPA. Dopo oltre dieci anni di attività, nessun risultato rilevante è stato ottenuto dal NAPAP (National Acid Precipitation Assessment Program, programma nazionale per la valutazione delle precipitazioni acide), un'istituzione finanziata dal Congresso americano; piuttosto, sono state sollevate accuse di manipolazione di dati per proteggere interessi economici o elettorali. Il NAPAP è stato giudicato "un esempio di come non vanno fatte valutazioni su larga scala" (Schindler, 1992). Istituzioni di ricerca sull'ambiente in altri paesi non sembrano ottenere risultati molto differenti.

Il secondo, e forse più importante, elemento riguarda il fatto che i problemi ecologici sono considerati non solo dal punto di vista scientifico, ma anche da prospettive religiose e culturali diverse. Al momento questi problemi sono considerati sempre più da un punto di vista etico in molte parti del mondo, specialmente nelle aree meno industrializzate, come mostra la ripresa dell'insegnamento dei libri religiosi. L'attuale crescita della popolazione e dei consumi sta creando una situazione insostenibile che darà luogo a un duro confronto su questioni politiche ed ecologiche senza la mediazione di un insieme di valori comuni, scientifici ed economici, ai quali il mondo occidentale è abituato.

Attività umane ed ecosistema

Una definizione dell'ambiente

Tutto ciò che avviene, avviene in un contesto, e il contesto in cui l'uomo vive e opera è l'ecosistema. L'ecosistema, tuttavia, non è statico e immutabile ma è, a sua volta, il prodotto di un processo: il lento processo evolutivo che consente la vita sulla Terra.

L'ecosistema è un sistema auto organizzato che si è evoluto per un lungo lasso di tempo ed è costituito da sotto sisterni collegati e interagenti gli uni con gli altri. Anche questi sottosistemi sono sistemi auto organizzati, dato che questa è la caratteristica principale della vita. In quanto sistemi complessi, sia l'ecosistema che i suoi sotto sistemi hanno proprietà che risultano dall'insieme delle interrelazioni funzionali, che non possono essere compiutamente analizzate mediante lo studio di uno o più elementi isolati dal complesso (Capra, 1996).

La dinamica dell'ecosistema può essere brevemente illustrata nel modo seguente. L'energia irradiata dal Sole è per la massima parte dissipata; solo parzialmente viene usata per la fotosintesi, e così trasferita a produttori e consumatori. La dissipazione, imposta dal secondo principio della termodinamica, è poi completata con il processo di respirazione. Un certo numero di componenti materiali (carbonio, nutrienti, ecc.) è restituito all'ambiente e può essere riutilizzato per un ulteriore ciclo. Si crea in tal modo una retro azione, cosicché l'ecosistema può essere rappresentato come un sistema ricorsivo che lavora in cicli e utilizza l'energia solare come sorgente di energia a bassa entropia. L'intensità di emissione energetica da parte del Sole è rimasta costante fin dai tempi geologici più recenti e anche la retro azione basata sui cicli del carbonio e dei nutrienti non ha mostrato cambiamenti significativi.

fig. 4

L'ecosistema abbraccia un'ampia gamma di organismi viventi: dai produttori, che trasformano materiale inorganico in materiale organico, ai consumatori, che demoliscono il materiale organico nei suoi componenti elementari (fig. 4). Tra questi due estremi si collocano tutti gli esseri viventi capaci di trasformare materiale organico in altro materiale organico. La vita sulla Terra muta continuamente, seppure lentamente, tuttavia gli esseri viventi percepiscono il sistema come inalterato, essendo la loro vita breve rispetto alla velocità del cambiamento. Le specie, al contrario, si adattano e così divengono parte del processo evolutivo. Tanto più breve è la vita dei singoli viventi, tanto più velocemente e facilmente le specie si adattano alla trasformazione dell'ecosistema: è per questo motivo che i singoli esseri viventi devono nascere e morire.

A causa della natura complessa dell'ecosistema, la comprensione del suo funzionamento presenta, con tutta probabilità, almeno lo stesso livello di difficoltà che si incontra nello studio delle macchine non banali di Ashby e nello studio dei sistemi sensibili alle condizioni iniziali, i cosiddetti sistemi SIC (Sensible to lnitial Conditions, sensibili alle condizioni iniziali).

Una macchina banale è una struttura caratterizzata da input e output legati da relazioni specifiche e non alterabili. Un semplice esempio è dato dalla macchina da scrivere, nella quale le lettere scritte sono connesse ai tasti: se la relazione è ignota, essa può essere facilmente scoperta mediante tentativi successivi. Una macchina non banale di Ashby è invece una struttura nella quale input e output sono legati da relazioni mutevoli e in cui i mutamenti sono innescati dagli impulsi che la macchina riceve. Un esempio potrebbe essere una macchina da scrivere nella quale la relazione tra lettere e tasti cambia a seconda del tasto toccato. In questa situazione la struttura della relazione complessiva che lega lettere e tasti è molto difficile da scoprire, anche se strettamente deterministica. Le macchine non banali di Ashby possono essere considerate come delle vere e proprie scatole nere, rappresentate da strutture matematiche caratterizzate da un vettore finito di input, da un vettore finito di output, dalla funzione dello stato interno e dalla funzione di output.

Anche nei casi più favorevoli, vale a dire nei casi in cui le immissioni, le emissioni e gli stati interni sono conosciuti, il numero degli schemi di transizione che possono essere ottenuti è enorme. Senza tenere conto della complessità computazionale dovuta alla lunghezza della sequenza di identificazione, un sistema con solo tre input binari, tre output binari e quattro stati interni ha 1048 possibili schemi di transizione (Laise, 1994).

l sistemi SIC, anche noti come sistemi caotici, sono sistemi di equazioni differenziali nei quali le variabili di stato, x, dipendono dalle condizioni iniziali in un modo tale che la differenza tra x = f(t,xo) e x = f(t,xI), dove xo e xl sono due condizioni iniziali differenti, cresce in modo estremamente rapido al crescere del tempo t (Devaney, 1989). Per poter predire l'evoluzione nel tempo di un sistema di questo tipo, le condizioni iniziali devono essere conosciute con grande precisione. La quantità di informazione relativa alle condizioni iniziali cresce molto rapidamente con l'ampiezza temporale sulla quale il comportamento del sistema va analizzato, per cui risulta computazionalmente impossibile allargare la finestra di osservazione oltre certi limiti; dopo che è trascorso un certo lasso di tempo, il valore delle variabili effettive può largamente differire da quelle calcolate, per cui qualsiasi calcolo, anche se effettuato con l'aiuto di potenti computer, si presenta distorto e inaffidabile.

Va inoltre osservato che la bio sfera, essendo un sistema complesso composto da sottosistemi complessi e interagenti, non può essere considerata come somma di parti separate senza cadere in un serio problema di efficienza per quanto riguarda la teoria dell'informazione. Ciò può essere sinteticamente mostrato nel seguente modo. Se si considerano due sottoinsiemi propri, X e Y, il contenuto informativo algoritmico richiesto, H(X,Y), per descrivere X e Y insieme, ovvero come parti di una stessa unità, è dato dall'espressione H(X) + H(Y) + H(X:Y), dove H(X) e H(Y) rappresentano il contenuto informativo necessario per descrivere ogni singola parte e H(X:Y) rappresenta il grado di interdipendenza tra X e Y. Specificamente, nella teoria dell'informazione, si ha:

formula

,

dove P(X)e P(Y) rappresentano la probabilità dell'evento in parentesi,

formula

la probabilità della coppia

formula

e 0(1) indica che al massimo esiste una differenza di ordine l connessa alla macchina su cui si svolge il programma di calcolo. Di conseguenza, se esiste interdipendenza tra X e Y, ovvero se queste sono parti di uno stesso insieme (o sistema) Z, il numero di bit, ovvero l'ammontare di informazioni, richiesto per conoscere X e Y separatamente, è molto maggiore di quello necessario per conoscere Z nel suo complesso, ovvero X e Y considerati insieme come sistema unico (Chaitin, 1979).

La percezione dell'ambiente

A fini di conoscenza l'uomo tende a separare il sistema nel quale vive in due parti: una parte che viene osservata e una parte circostante, che comprende tutto il resto e che va considerata come ambiente, o contesto. Il legame tra causa ed effetto è confinato al sistema osservato, e viene tracciata una chiara linea di separazione tra gli esperimenti intrapresi, le azioni messe in atto, le regole perseguite e il resto del mondo considerato come l'ambiente, o il contesto, in cui tutto ciò ha luogo. Mentre gli scienziati sono consapevoli delle limitazioni e della natura congetturale di tale suddivisione, le applicazioni tecniche, come quelle realizzate per la produzione industriale, richiedono che la linea di confine sia tracciata con certezza e sia immutabile nel tempo; solo in questo modo le attività economiche possono essere valutate e poste in essere.

L'ipotesi di base sottostante a qualsiasi attività economica è che il processo di produzione sia ben definito; ciò implica l'esistenza di un preciso confine oltre il quale si assume che non vi sia alcun effetto sull'ambiente o, se vi è, possa essere del tutto trascurato per ogni fine pratico. In tal modo le decisioni possono essere prese da singoli operatori nella misura in cui ciascun operatore, all'interno delle linee di confine stabilite, ha la visione completa dell'intero processo che governa e delle relative conseguenze.

Una semplice rappresentazione della biosfera come sistema ricorsivo può essere data da S ⇒ (A → B → ... → Z → A), dove S indica l'energia proveniente dal Sole e le frecce la trasformazione da un sottosistema (A,B,C, ... ) all'altro, tutti facenti parte della biosfera. In questa rappresentazione la sequenza B → C può essere considerata come un processo che porta da B a C, ma a livello di sistema anche l'opposto, pur se in modo indiretto, è o può essere vero. L'unica risorsa per la bio sfera è l'energia solare che sostiene l'intero ciclo della vita, nel quale impulsi e risultati, cause ed effetti possono essere distinti solo in relazione a specifici casi e sottosistemi, ma non per il sistema nel suo complesso.

I processi di produzione sono, invece, concepiti come vie a senso unico, che partono dagli input, o cause, e terminano negli output, o effetti; essi possono essere indicati come sequenze del tipo (I → O), equivalenti alla sequenza B → C. Energia, materiali, impianti, ecc. sono le risorse dalle quali vengono attivati gli input, mentre la natura è considerata come risorsa naturale. Il processo economico richiede che a I e O siano attribuiti dei valori, diciamo P e V, in modo da poter determinare il segno della differenza OV - IP, che deve essere positiva per rendere il processo possibile. L'attività umana è fatta di un enorme numero di processi di questo tipo, tutti realizzati all'interno della biosfera e generalmente sostenuti da energia non solare. Questi processi, che possono essere concepiti solo se separati dal sistema ricorsivo nel suo complesso, impattano sull'ambiente in molti e non prevedibili modi.

Per individuare i processi di produzione e di consumo e attribuirli a singoli operatori, l'ecosistema deve essere suddiviso in sotto sistemi separati che non interagiscono gli uni con gli altri. Tuttavia, l'ecosistema nel suo complesso è un processo pienamente integrato e va considerato come un sistema complesso autoorganizzato. Questa concezione non solo viene naturale alla mente, ma è ormai proposta da molti studiosi (Capra, 1996). Poiché l'intera struttura della produzione e del consumo odierni ha raggiunto una dimensione tale da innescare una serie di retro azioni che modificano il funzionamento dell'ecosistema, risulta del tutto inadeguato il tentativo di contenere gli effetti all'interno di una determinata dimensione o di un determinato spazio e di affrontare le conseguenze di questa interdipendenza in termini di analisi parziali, come quelle alla base dell'attuale approccio economico, in modo da valutare l'impatto ambientale in termini di singole azioni o progetti. Tale impostazione ha il solo scopo di mantenere in essere la partizione tra sistema osservato e ambiente, le caratteristiche di funzionamento del sistema economico e il modo con cui esso viene percepito.

La natura delle attività economiche e la teoria economica

Alla luce di quanto detto, diviene di estrema importanza definire quale sia il vero fine dell'attività economica. La teoria economica attuale ritiene che il fine dell'attività economica sia quello di soddisfare, attraverso il consumo, i bisogni umani; in tal senso la ricerca del profitto è solo un mezzo per raggiungere tale fine. Basandosi su questa ipotesi, la teoria economica ha anche stabilito le condizioni che devono essere verificate perché un sistema economico possa essere considerato efficiente e quindi neutrale rispetto ai fini che la società intende perseguire.

Questa impostazione non è appartenuta ai classici, né ovviamente a Karl Marx (Trezza, 1993) e in tempi più recenti lo stesso IM. Keynes ha elaborato una importante distinzione tra sistema economico che ricerca il profitto e sistema economico fmalizzato a massimizzare l'utilità ottenibile dal consumo. Keynes ha definito il primo sistema come economia imprenditoriale e il secondo come economia cooperativa; questo secondo sistema è alla base della teoria neoclassica. Di conseguenza, lo scopo della politica economica consiste nel far sì che un'economia imprenditoriale si comporti come economia cooperativa; questo stato di cose è stato da lui indicato come economia neutrale (Keynes, 1987; Rymes, 1989). Keynes afferma chiaramente che "in una economia imprenditoriale il solo fine consiste nel far soldi" (Rymes, 1989); in The generai theory of employment, interest and money, lega inoltre l'ammontare degli investimenti al solo fine del profitto (Keynes, 1936). Naturalmente anche per Marx il profitto è il solo fine dell'attività economica. La validità della definizione adottata e della conseguente distinzione operata da Keynes tra due tipi di sistema può essere facilmente apprezzata osservando la realtà dei fatti e il modo in cui le imprese sono gestite e valutate sul mercato dei capitali.

La metrica propria dell'attuale sistema economico, essendo esso un sistema finalizzato al profitto, è data dalla valutazione in termini monetari, in modo da stabilire la validità dei risultati ottenuti. Infatti tutti i bilanci delle imprese, così come tutte le valutazioni economiche, sfociano in un numero nella metrica dello spazio dei prezzi monetari, il che elimina qualsiasi giudizio di valore. In tal modo il sistema economico risulta separato da qualsiasi altra parte della società umana e i risultati, cercati e ottenuti dagli operatori economici all'interno dello spazio economico, sono valutati nei termini della stessa metrica che defmisce questo spazio. Nessun giudizio di valore è permesso dato che la sola misura accettata è espressa nei termini della metrica unidimensionale data dal sistema dei prezzi monetari; in tal modo viene stabilita la semplice regola secondo la quale tutto ciò che dà luogo a profitti maggiori va preferito a ciò che causa profitti minori.

Per potere in qualche modo rappresentare il funzionamento di questo sistema mediante il principio della soddisfazione del consumatore, la teoria economica è stata modellata in modo da porre le valutazioni economiche in termini di una metrica che in qualche modo potesse conformarsi a quella effettivamente usata nel sistema economico reale; in tal modo la teoria è stata capace di offrire una descrizione in qualche modo plausibile del funzionamento del sistema economico. l giudizi di valore sono stati espunti anche dalla teoria economica e il sistema economico è stato considerato come separato dal resto della società. Anche in questo caso le attività economiche vanno giudicate per se stesse e nella metrica di uno spazio economico, questa volta dato nei termini di utilità del consumo: più consumo, a parità di distribuzione tra individui, è preferibile a meno consumo e i raffronti possono essere fatti in termini scalari o unidimensionali.

Tuttavia, per raggiungere questo risultato è stato necessario introdurre ipotesi che non solo non trovano riscontro nella realtà, ma non offrono nemmeno una base logica sufficiente; si tratta in particolare dell'ipotesi che il consumatore possieda un ordinamento 'razionale' nello spazio dei beni presenti e futuri e dell'ipotesi che il consumatore non raggiunga mai una condizione di sazietà all'interno delle scelte possibili (Mas-Colell et al., 1995). La debolezza di queste ipotesi e della teoria basata su di esse è stata messa in evidenza molte volte sia all'interno dell'approccio tradizionale (Kahnemann e Tversky, 1984; Laise e Valentino, 1995; Mas-Colell et al., 1995) sia da posizioni globalmente critiche (Georgescu-Roegen, 1984; Simon, 1985); le ipotesi su cui si basa la teoria delle scelte del consumatore sono, inoltre, in pieno contrasto con molti studi recenti sul concetto di razionalità umana (Lackoff, 1987; Damaso, 1995; Hofstadter, 1995) e anche con i recenti e fortunati sviluppi della logica, come la fuzzy logic.

Va anche osservato che la maggior parte delle imprese e delle istituzioni fa uso dell'analisi multicriterio per operare le sue scelte, ma questo tipo di analisi non è compatibile con la teoria delle scelte basate sulla massimizzazione dell'utilità, in quanto contraddice proprio le ipotesi su cui tale teoria è costruita. Infatti, l'analisi multicriterio implica o dà luogo a ordinamenti non 'razionali', contrariamente a quanto la teoria richiede, e quindi impedisce la costruzione di funzioni di domanda e offerta con le proprietà richieste. Solo in casi molto particolari, nei quali tutti i criteri possono essere combinati in uno solo, i risultati ottenuti sono compatibili con la teoria economica (Laise e Valentino, 1995). Nella realtà, quindi, la maggior parte degli operatori economici agisce usando metodologie incompatibili con le ipotesi su cui la teoria economica neoclassica è costruita.

Mediante la negazione della vera natura del sistema economico, la teoria ha tentato di creare un sistema che giustifichi l'esistenza e il modo di funzionare del sistema economico reale su basi differenti e più accettabili, ma fuorvianti; essa tuttavia non è riuscita a creare un corpo teorico in grado di rappresentare tale funzionamento in modo del tutto coerente.

La relazione tra attività economiche ed ecosistema

Il sistema economico può essere considerato come un sotto sistema in crescita che interagisce con l'ecosistema, vale a dire con il contesto nel quale le attività economiche hanno luogo. In tal senso il sistema economico è paragonabile a un qualsiasi altro sistema di esseri viventi che fanno parte dell'ecosistema e interagiscono con esso.

Tutti gli esseri viventi producono rifiuti col loro metabolismo; tali rifiuti si inseriscono nella catena di cicli vitali e materiali sui quali si basa la vita sulla Terra. Le attività di produzione e consumo interagiscono con l'ecosistema, introducendo in esso molti processi aggiuntivi, di natura chimica e fisica. Ciò causa, sia per l'alto tasso di produzione di rifiuti sia per la creazione di composti chimici difficili da scomporre, un processo di accumulazione che riduce progressivamente la capacità dell'ecosistema di trasformare i rifiuti in sostanze utili alla vita e dà luogo invece a un processo di degrado ambientale sempre più rapido. Il problema dell'ambiente non è, quindi, legato allo sfruttamento delle risorse naturali, ma al modo in cui le attività umane interferiscono con il funzionamento dell'ecosistema stesso. Sorgono così alterazioni che destabilizzano i cicli vitali e materiali e che accelerano l'evoluzione dell'ecosistema verso condizioni nuove e ignote.

L'inquinamento e il degrado ambientale sono gli effetti della retro azione del sistema complessivo sul sotto sistema percepito dall'uomo. Naturalmente tali effetti sono recepiti direttamente dalle persone tramite la propria esperienza diretta, le misurazioni scientifiche e le pubbliche dichiarazioni, vale a dire all'interno del normale spazio della vita umana nel quale trovano posto i giudizi di valore e nel quale vengono giudicate le diverse azioni. Le cause del degrado ambientale, invece, si collocano nello spazio economico autonomo nel quale valgono le regole del mercato e tutto è valutato nei termini della metrica economica, mentre i giudizi di valore non giocano alcun ruolo.

La teoria economica presenta il sistema del libero mercato come un sistema capace di ottimizzare l'uso di risorse scarse per cui, invece di sottomettere le attività economiche e le decisioni che impattano sull'ambiente ai giudizi di valore espressi dalla società, si cerca di rendere in qualche modo rilevanti gli effetti del degrado ambientale sulle decisioni economiche. A tal fine sono stati fatti molti tentativi, mediante l'uso di tutti gli strumenti che la teoria è stata capace di concepire, per far percepire a livello economico gli effetti dei danni ambientali tramite valutazioni e misurazioni fatte in termini della metrica dello spazio economico. Nel far ciò, ogniqualvolta sono stati considerati nuovi danni, sono state tracciate nuove linee di demarcazione tra le attività economiche e l'ambiente, cioè il contesto nel quale queste attività hanno luogo. Queste linee di demarcazione devono essere e sono state continuamente modificate nel tempo.

Il Sole, l'aria, l'acqua, il rumore, la qualità della vita, l'ambiente nel suo complesso sono elementi essenziali per la vita umana, ma il processo economico non può prenderli in considerazione se non quando a essi sia associato un prezzo. Quando ciò avviene, tutti questi elementi sono trasformati in risorse utilizzabili, cioè beni che possono essere venduti e comprati. In tal modo la presente organizzazione della società è mantenuta e il degrado ambientale diviene un problema tecnico, il problema di stabilire il giusto sistema di prezzi, la cui soluzione viene affidata a esperti ed economisti.

Oltre al fatto che si possono attribuire prezzi e valutazioni solo ad alcune delle componenti ambientali, tale attribuzione non salvaguarda adeguatamente l'ambiente, dato che il problema consiste nella disarticolazione dei cicli alla base dell'ecosistema. Per chiarire meglio questo punto, consideriamo una qualsiasi conseguenza dell'attività umana che esercita un impatto sull'ambiente, per esempio, l'emissione di CO2. In generale vi sono due possibilità: la prima consiste nello stabilire il livello di emissioni di CO2 per unità di tempo e distribuire questo ammontare tra le diverse attività in funzione della loro importanza sociale; la seconda prevede di individuare un prezzo efficiente, o una tassa o qualche altro strumento elaborato dalla teoria economica, al fine di determinare l'ammontare delle emissioni.

Nel primo caso l'ammontare del fenomeno, l'emissione di CO2, è deciso al di fuori del sistema economico sulla base di un giudizio di valore relativo alla preservazione dell'atmosfera. Le attività di produzione e consumo devono adeguarsi in modo da mantenersi all'interno del limite stabilito, quale che possa essere il relativo impatto sul sistema economico; la società nel complesso deve poi prendere provvedimenti per rendere tale aggiustamento socialmente sopportabile.

Nel secondo caso il prezzo è determinato all'interno del sistema economico in modo da creare uno scambio tra il fenomeno dannoso, in questo caso l'emissione di CO2, e tutti gli altri beni economici; l'emissione può essere considerata come una risorsa negativa e deve essere valutata come tutte le altre risorse, in modo da consentire al sistema economico di funzionare efficientemente e senza intoppi. Il livello dell'impatto ambientale, se valutato tramite prezzi efficienti o tassazione pubblica, è determinato in modo flessibile cosicché l'effetto fmale sull'ambiente è il risultato del bilanciamento delle forze e degli interessi economici; in tal modo la difesa dell'ambiente viene venduta e comprata come qualsiasi altro bene economico.

Inoltre, nella determinazione economica del danno ambientale, gli oggetti della valutazione non sono l'ambiente e il suo deterioramento, ma la percezione economica del danno o degli inconvenienti subiti da un dato numero di soggetti, più o meno direttamente coinvolti dalle attività produttive o di consumo prese in esame.

Infine la valutazione, la tassazione e la defmizione contabile delle caratteristiche ambientali vengono fatte singolarmente e in connessione a ben definiti danni ambientali e a specifiche attività di produzione e di consumo. L'ambiente, invece, come si è detto, è un processo ben integrato e ciò che conta è l'impatto complessivo di tutte le attività umane, cosicché l'effetto complessivo di tutti i baratti tra i danni ambientali e gli interessi economici diviene ancora più imprevedibile.

In questa situazione il concetto di sviluppo sostenibile implica tacitamente la capacità di dominare e governare l'interazione tra uomo e ambiente in modo da salvaguardare quest'ultimo e realizzare ciò che l'uomo desidera. Secondo un'opinione largamente condivisa l'attuale situazione non dovrebbe dar luogo a particolari preoccupazioni in quanto qualsiasi danno causato dalla tecnologia può essere compensato e risolto da tecnologie differenti o che verranno scoperte in un prossimo futuro. In realtà per rendere possibile lo sviluppo sostenibile occorrerebbe la piena comprensione dell'impatto complessivo dell'attività umana sull'ambiente; per far ciò è richiesto un livello di conoscenza attualmente non disponibile e probabilmente non raggiungibile a causa, tra le altre ragioni, della complessità computazionale indicata a proposito delle macchine non banali di Ashby e dei sistemi SIC. L'adattamento delle specie viventi all'ambiente non è mai completo ed è ottenuto mediante una serie di tentativi successivi, spesso con drammatici mutamenti nei livelli delle popolazioni esistenti. La condizione dell'uomo non è differente da quella di qualsiasi altra specie e occorre molta cautela nel credersi capaci di controllare la sua interazione con l'ecosistema. Non è nemmeno possibile perseguire lo scopo di subordinare il rapporto tra uomo ed ecosistema alle esigenze del sistema economico, autonomamente definito nella sua propria sfera e soggetto alla necessità di una continua espansione.

Conclusioni

L'ambiente è il contesto nel quale vive l'uomo e nel quale la società umana - essa stessa un sistema in evoluzione - deve trovare il suo posto. Come qualsiasi essere vivente, l'uomo ha sempre causato modificazioni nel suo ambiente e, quindi, nella bio sfera; tuttavia, nel mondo preindustriale i mutamenti risultavano limitati nello spazio e nelle dimensioni e non sbilanciavano la biosfera nel suo complesso. Inoltre, la relativa lentezza del mutamento ambientale non ha mai posto l'uomo di fronte alla necessità della sua salvaguardia in termini complessivi e su scala planetaria, ma solo in relazione a condizioni locali di ben più diretta accessibilità e intelligibilità. La rivoluzione industriale, mutando la natura, l'ampiezza e il tasso di crescita delle attività umane, ha creato il problema della compatibilità tra l'insieme delle attività umane e la salvaguardia della bio sfera. La società umana è diventata la maggiore causa di evoluzione ambientale e deve quindi assumersi la responsabilità di tale evoluzione. Anche se gli effetti finali sull'ambiente non possono essere individuati, deve essere fatto il massimo sforzo per comprendere la natura e l'intensità dell'impatto dell'attività umana sull'ambiente in modo da limitarne i danni. Sembra invece che l'uomo voglia il meglio di ambedue i mondi: la sostenibilità dei tempi antichi e lo sviluppo continuo dei tempi presenti. È difficile dire quando avverrà il risveglio da questo sogno, ma non è difficile prevedere che esso sarà raccapricciante.

L'uso degli strumenti concepiti dalla teoria economica e diretti alla difesa dell'ambiente dà luogo a una relazione con la bio sfera instabile e insostenibile. Tutte le procedure, infatti, perseguono lo scopo di valutare i danni ambientali, dando loro un prezzo o un valore economico; nel far ciò le caratteristiche ambientali sono ricondotte all'interno della sfera economica e valutate insieme a tutti gli altri elementi economici che concorrono a formare costi e ricavi. Considerare i danni ambientali e le altre condizioni necessarie alla vita come risorse da valutare economicamente e da usare come qualsiasi altra risorsa consente di collocare il problema dell'ambiente all'interno dello spazio economico e di renderlo soggetto alla particolare metrica valida in quello spazio. Si permette così la destabilizzazione dell'ecosistema disarticolando i suoi cicli. Poiché destabilizzare l'ecosistema equivale a distruggere le basi della vita sulla Terra, ciò significa porre la soppressione della vita sullo stesso piano di qualsiasi altra attività presente all'interno della sfera della produzione e del consumo: i prezzi pagati per l'accettazione del degrado ambientale diventano quindi prezzi dell'omicidio, a livello planetario, delle future generazioni, se non di quelle già presenti.

Anche se non sarà mai possibile raggiungere una comprensione completa e una piena capacità di previsione dei risultati dell'impatto dell'attività umana sulla bio sfera, per compiere qualche progresso verso la salvaguardia dell'ambiente occorre il massimo sforzo nello studio dell'ecosistema e dei sottosistemi che lo compongono. Dovrebbero essere effettuate valutazioni complessive in modo da ottenere linee guida per tutte le attività umane; dato che non è possibile consentire una valutazione singola dell'impatto ambientale per ciascuna di esse, tutti i rilevanti processi di produzione e consumo dovrebbero essere rivisti sulla base di tali valutazioni globali e sulla base delle relative linee guida, in modo da accertare nel miglior modo possibile come essi interagiscono con i processi ambientali e come queste interazioni possono essere ricondotte a livelli sostenibili dal punto di vista ambientale. Occorrerebbe individuare livelli e forme di consumo differenti da quelli attuali e sostenibili sulla base delle previsioni sull'aumento della popolazione mondiale. A questo punto potrebbero essere indicati obiettivi, suggerite linee di movimento e poste in essere scelte sensate.

Occorrerebbe cioè che la consapevolezza del danno ambientale, tante volte denunciato, desse luogo a un piano di modificazione dell'insieme delle attività umane complessivo, e non solo a limitate e specifiche linee di intervento, abbandonando in tal modo l'irrealizzabile tentativo di ricondurre la difesa dell'ambiente sul piano delle decisioni economiche. Si consentirebbe così un avanzamento sia rispetto alle dichiarazioni di volontà di intervento in difesa dell'ambiente più volte effettuate in contesti internazionali di grande risonanza (Conferenza di Rio de Janeiro, 1992), sia rispetto agli insufficienti e parziali impegni assunti in materia (Trattato di Montreal, 1978).

È necessario prendere consapevolezza dell'impossibilità di affrontare il problema della difesa dell'ambiente mediante la decentralizzazione delle decisioni, in un contesto di sviluppo continuato, basandosi sulla valutazione economica dei danni ambientali nella forma di risorse scarse, in modo da mantenere le caratteristiche rilevanti del sistema economico attuale. l giudizi di valore dovrebbero essere reinseriti cosicché le decisioni possano essere esplicitamente di natura politica, dato che esse riguardano scelte tra standard di vita, in termini di forme e livelli di consumo, di preservazione dell'ecosistema e di salvaguardia dell'ambiente su scala locale e globale. Attenzione particolare dovrebbe essere posta agli effetti di tale stato di cose sul sistema economico e sui vincoli che devono essere imposti per mantenere i profili di produzione e consumo nei limiti prefissati. Dovrebbe essere concepita una nuova forma della sfera economica e dovrebbe anche essere individuato un nuovo rapporto tra le decisioni economiche e quelle politiche.

La scelta che l'umanità è chiamata a compiere richiede anche più di un pur drammatico mutamento nel modo in cui solitamente viene considerata l'economia. Occorre piuttosto un ribaltamento nel meccanismo economico e nel punto di vista del mondo occidentale sull'ambiente. Ciò che si richiede è una vera rivoluzione culturale, dato che bisogna sostituire il concetto di sfruttamento e di controllo dell'ambiente con quello di coesistenza con esso. I principi etici, per essere efficaci, devono essere sentiti da ciascun individuo come necessari e legittimi, dato che non possono mai essere resi operanti da un qualsiasi insieme di regole o leggi alle quali non è concessa una profonda e piena adesione: è necessario un grande sforzo culturale per far sì che i mutamenti sociali e comportamentali richiesti possano aver luogo.

L'enorme difficoltà di incamminarsi su questa strada è evidente ed essa è grandemente accresciuta dal fatto che, mentre l'impatto sull'ambiente è globale, e anche il sistema economico va verso una dimensione globalmente planetaria, la sede delle decisioni politiche, e quindi dei giudizi di valore, resta parcellizzata tra le tante realtà politiche esistenti, nate nel corso dell'evoluzione storica del genere umano. Le differenti realtà politiche spesso rispondono a concezioni e ideologie diverse e risultano connesse a interessi particolari e non di rado contrastanti; né esiste a livello mondiale un'autorità in grado di sovrapporsi agli stati nazionali e di affrontare il problema ambientale nella globalità planetaria, ove esso necessariamente si colloca.

Il semplice spostamento, da molti suggerito, dal dominio sull'ambiente alla custodia di esso non è sufficiente, dato che l'uomo non può considerarsi come il custode o il guardiano della natura, ma deve considerarsi come un suo abitatore, come una creatura nel grembo materno. Come tale l'uomo non ha, e per molto tempo a venire - se non per sempre - non avrà, la conoscenza e la capacità di comprendere, per non dire di governare, un sistema di tale complessità. L'unica prova che l'uomo sino a oggi ha avuto del fatto che l'ambiente in cui vive sia adatto a lui è la sua presenza sulla Terra: di qui la suprema follia di qualsiasi profonda modificazione dell'ecosistema.

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