Il lavoro subordinato

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L’art. 2094 c.c. definisce il lavoratore subordinato come colui che «si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore». L’art. 2104, co. 2, c.c. conferma, con ulteriore forza, che il lavoratore subordinato deve «osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende». Da queste disposizioni emerge in maniera evidente la caratteristica essenziale del lavoro subordinato, ossia l’eterodeterminazione dell’attività, intendendosi per tale l’assoggettamento del lavoratore al potere del datore di lavoro di impartire continue e dettagliate istruzioni per l’esecuzione dell’attività lavorativa. Va sottolineato come tale assoggettamento sia tollerato dal nostro ordinamento solo in quanto limitato alla prestazione dedotta in contratto, il che vuol dire che si tratta di una dipendenza tecnico-funzionale all’organizzazione dell’impresa a capo della quale c’è l’imprenditore dal quale i collaboratori «dipendono gerarchicamente» (art. 2086 c.c.). Ciò non toglie il fatto che la persona del lavoratore resta comunque fortemente implicata nel rapporto, con tutti i pericoli che ne conseguono, e che aumentano in maniera direttamente proporzionale all’aumentare della disoccupazione. Sulla base di questi presupposti è stato creato l’apparato protettivo del lavoro diritto del lavoro che nella figura del lavoratore subordinato riconosce una debolezza micro-individuale (nel rapporto di lavoro) e macro-individuale (sul mercato del lavoro). È quindi evidente come la qualificazione di un rapporto di lavoro come subordinato sia la ‘chiave esclusiva’ di accesso alle tutele poste dall’ordinamento sia nei confronti del datore di lavoro, sia sul piano previdenziale. Dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che questa (forse drammatizzata) qualificazione vada ricercata utilizzando il cosiddetto metodo sillogistico, secondo il quale si opera una sussunzione per identità degli elementi della fattispecie concreta agli elementi della fattispecie astratta. In tale sussunzione l’elemento che va ritenuto decisivo, ai fini della qualificazione del rapporto come subordinato, è senz’altro quello dell’eterodeterminazione della prestazione lavorativa come sopra intesa. In via sussidiaria dottrina e giurisprudenza hanno elaborato degli indici ulteriori: l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione, il vincolo di orario, l’esercizio del potere disciplinare, l’esclusività del rapporto, l’intensità della prestazione, l’inerenza di questa al ciclo produttivo, l’alienità dei mezzi di produzione e la retribuzione fissa a tempo, senza rischio. È bene sottolineare come tali indici possano essere utilizzati solo in via sussidiaria, in quanto in sé compatibili anche con il lavoro autonomo, e quindi utili a concorrere solo in via indiziaria alla qualificazione del convincimento del giudice. Un cenno particolare merita il criterio tradizionale di distinzione tra lavoro autonomo e subordinato fondato sull’oggetto dell’obbligazione, che pone da un lato la locatio operis, ossia l’obbligazione di risultato con relativo rischio del mancato conseguimento a carico del debitore, e, dall’altro, la locatio operarum, ossia l’obbligazione di mezzi con relativo rischio a carico del creditore della prestazione. Ma anche questa distinzione ha utilità solo parziale ai fini della qualificazione del rapporto, in quanto può solo consentire l’esclusione della natura subordinata dello stesso se l’obbligazione è di risultato, con relativo rischio sul lavoratore, mentre l’obbligazione di mezzi può essere propria sia di un rapporto di lavoro autonomo che di uno subordinato, con necessario ricorso al sopra descritto criterio essenziale della eterodeterminazione. Caratterizzazione specifica assume il lavoro subordinato nel pubblico impiego, anche a seguito di recenti vicende di privatizzazione.

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