Il cavallo nelle lasagne

Il Libro dell'Anno 2013

Anna Meldolesi

Il cavallo nelle lasagne

La frode alimentare che ha visto la commercializzazione di carne equina in alimenti che la proponevano come bovina, pone in ambito UE il problema dell’efficienza dei controlli in una rete di distribuzione sempre più intricata come il caso di cronaca scoperto in Francia sta a dimostrare.

Fotomontaggio contro Findus

Sofisticazioni, adulterazioni, contraffazioni, contaminazioni. Le frodi alimentari a volte comportano rischi per la salute, altre volte ledono ‘soltanto’ il diritto dei cittadini a ricevere informazioni veritiere sulla qualità e la composizione dei prodotti che consumano. Il problema è vecchio quanto l’uomo, quello che è cambiato nel corso del tempo è la sua dimensione sovranazionale, la sensibilità dell’opinione pubblica, la capacità tecnica e organizzativa delle autorità che vigilano sugli standard della catena agroalimentare. Il 2013 è stato l’anno della ‘carne di cavallo’, scoperta in hamburger e polpette, tortellini e cannelloni, arrosti e ragù confezionati che dichiaravano in etichetta solo carne bovina. Persino nelle olive ascolane. Non siamo di fronte a una crisi sanitaria, come quella dei germogli di soia contaminati, esplosa in Germania nel 2011. Piuttosto si tratta di una truffa su larga scala: in alcuni paesi la carne di cavallo è meno cara di quella bovina, soprattutto se proviene da animali macellati nel circuito clandestino, e mescolarle può diventare un affare. Tutto comincia il 15 gennaio 2013, grazie a un’indagine della Food safety authority irlandese sull’accuratezza dell’etichettatura degli hamburger. Già l’8 febbraio è evidente che non si tratta di un caso isolato. La Gran Bretagna avvisa Bruxelles di aver scoperto carne equina al 60-100% nelle lasagne vendute dalla multinazionale Findus e prodotte dalla ditta francese Comigel, con materie prime che potrebbero essere arrivate dalla Romania attraverso mediatori ciprioti e olandesi. L’informazione viene diramata a tutti i paesi membri attraverso il Sistema di allerta rapida per alimenti e mangini (RASFF) e la Commissione europea finanzia un monitoraggio in tutta l’Unione. Nel mese di marzo i prodotti in vendita sugli scaffali vengono sottoposti a controlli a campione alla ricerca di DNA equino e fenilbutazone, una sostanza cancerogena somministrata come antidolorifico ai cavalli da corsa, che non dovrebbe finire nella catena alimentare umana. Nei primi 361 controlli il Ministero della Salute italiano riscontra 14 positività alla carne equina e nessuna al fenilbutazone, percentuali in linea con quelle europee. Gli oltre 7000 test svolti in tutti i paesi della UE confermano che il DNA di cavallo è presente in meno del 5% dei prodotti etichettati come bovini, mentre appena lo 0,51% delle carcasse equine contiene tracce della sostanza proibita. L’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e l’Agenzia europea del farmaco (EMA) dichiarano che non c’è ragione di preoccuparsi: la probabilità che la salute di un consumatore possa essere danneggiata è inferiore a 1 su 100 milioni. Ma il fastidio per il raggiro rimane, così come l’effetto disgusto che attira l’attenzione su casi simili, veri o presunti. ‘Ratti al posto dei vitelli’ titolano i giornali internazionali, rilanciando una comunicazione ufficiale del Ministero della Pubblica sicurezza di Pechino. ‘Carne di cane nel vitello al curry?’, si domanda la BBC, che si è messa a prelevare campioni nei ristoranti indiani e cinesi d’Oltremanica. La Commissione europea intanto lavora alla razionalizzazione e al perfezionamento del quadro regolatorio in materia di sicurezza della filiera agroalimentare. Uno degli obiettivi è l’intensificazione dei controlli, in linea con le lezioni imparate durante lo scandalo della carne equina. Il pacchetto di misure presentate il 6 maggio 2013 copre tutto il settore, dagli allevamenti zootecnici alla produzione di sementi, e riduce i regolamenti da 70 a 5. Se supererà l’esame di Consiglio e Parlamento europeo, potrebbe entrare in vigore nel 2016. Altri problemi nella filiera agroalimentare, causati da negligenza o contaminazioni accidentali, non hanno suscitato lo stesso interesse, nonostante siano più preoccupanti sotto il profilo sanitario. Un allarme periodico e costantemente sottovalutato, per esempio, è l’elevata presenza di sostanze cancerogene prodotte da muffe (aflatossine) nel mais coltivato o importato in Italia, con ripercussioni sulla sicurezza dei mangimi per bovini e quindi del latte. Ancora irrisolta è l’emergenza dell’arsenico nell’acqua in decine di comuni della Regione Lazio, che rischia di contaminare anche la panificazione e le preparazioni alimentari. La terza deroga europea è scaduta e l’Istituto superiore di sanità ha confermato che nelle aree a rischio questo elemento chimico tossico è presente a livelli doppi rispetto a quelli della popolazione generale. In attesa del rapporto finale sul biomonitoraggio, gli esperti del Ministero hanno sollecitato il completamento del programma di dearsenificazione entro l’anno.

L’indagine sullo scandalo

Nessun problema di sicurezza alimentare, ma vanno inasprite le pene per le etichette scorrette. Queste, in estrema sintesi, le conclusioni cui la Commissione europea è giunta a seguito dei risultati dei test coordinati su scala UE da essa stessa voluti. Lo scopo dei test era duplice: in primo luogo erano in programma controlli – soprattutto a livello del commercio al dettaglio – sugli alimenti destinati al consumatore finale e commercializzati come ‘contenenti carni bovine’, per accertare la presenza di carne di cavallo non segnalata nell’etichetta; in secondo luogo si puntava ad accertare la possibile presenza di fenilbutazone nella carne di cavallo, un farmaco potenzialmente dannoso e assolutamente proibito nella catena alimentare umana. I risultati ai quali si è giunti hanno accertato che in meno del 5% della carne etichettata come bovina sono state trovate piccole percentuali di carne di cavallo. I test del DNA sono stati effettuati su 3600 prodotti bovini: 167 di questi sono risultati positivi. La Commissione ha anche preso in esame circa 3100 carcasse di cavalli e nello 0,51% dei casi ha riscontrato tracce di fenilbutazone. È stata la Francia a registrare la più alta percentuale di frodi alimentari con il 13% dei casi, mentre al Regno Unito, invece, va il primato con l’1,75% dei test positivi al fenilbutazone nella carne equina destinata al consumo umano.

La parola

Fenilbutazone

Composto organico dotato di proprietà analgesiche e antinfiammatorie, e di modeste proprietà antipiretiche. Il farmaco che se ne ricava, il bute, viene usato in medicina veterinaria per curare animali da compagnia ed equini esclusi dalla catena alimentare. Esso viene usato anche nella medicina umana nella cura di gravi casi di malattie infiammatorie croniche.

Mappa filiera Findus
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