IDROLOGIA

Enciclopedia Italiana (1933)

IDROLOGIA (da ὕδωρ "acqua" e λογία suffisso delle scienze)

Mario Giandotti

Scopo della scienza idrologica è lo studio del ciclo terrestre che compiono le acque da quando, sotto forma di precipitazione liquida e solida, cadono sulla superficie della terra a quando, per diverse vie, o ricapitano al mare o si disperdono definitivamente nel sottosuolo o, infine, ritornano per evaporazione all'atmosfera. È pertanto evidente che la scienza idrologica ha intimi rapporti con la meteorologia, con la geologia, con la fisica terrestre e anzi in taluni campi di ricerca si può ritenere che si confonda con le scienze suddette.

Avvertenze circa il modo di apprezzamento della precipitazione. - La meteorologia insegna quali siano le cause delle precipitazioni, quelle della loro variazione in quantità e intensità per periodi prestabiliti in dipendenza della posizione geografica, dell'orientamento orografico dei bacini e del pendio, e descrive nella loro forma e funzionamento i varî strumenti ideati, con continuo perfezionamento, per raccogliere e stimare le quantità delle precipitazioni.

In generale però, a meno che l'insegnamento della meteorologia non sia specificamente dedicato come introduzione all'idrologia, trascura alcune importanti considerazioni specialmente riguardo all'influenza che possono esercitare, ad esempio, i boschi sulla quantità della precipitazione che effettivamente raggiunge il suolo, sulla sua conservazione e valore equivalente in acqua allorquando si verifichi sotto forma di neve. Pertanto sull'argomento diamo qui un necessario cenno sommario.

Esperimenti condotti in differenti regioni da varî autori (Mathieu, Sachs, Haberlandt, Ebermayer, Wollny, Horton, ecc.) tendono ad ammettere che il bosco può trattenere in media circa il 25 ÷ 30% delle precipitazioni con valori del 20% nei faggi, del 30% nei pini, del 45% negli abeti a folta chioma. L'equivalente in acqua della neve varia, specie con la quota sul livello del mare del terreno su cui essa cade, con la temperatura dell'aria e anche, evidentemente, con lo spessore dello strato nevoso.

Le prime due cause si compenetrano in quanto la temperatura ha gradiente negativo con l'elevazione.

Si sono riscontrate (Lancaster-Wengler) densità variabili omogeneamente da 0,14 per temperature di + 2° C. a 0,06 a temperatura di -13°. A seconda della potenza dello strato nevoso si sono rilevate variazioni di densità da 0,19 per altezza di strato di m. 0,05 e 0,35 per altezza di m. 0,65 tanto da potere stabilire (Okada) la formula d = 0,1695 + 0,00037 h, dove d indica la densità e h l'altezza dello strato. Si ammette generalmente per calcoli approssimati una densità media della neve di 0,10.

Circa l'influenza media che esercita la quota alla quale cade la neve sulla densità di essa, indagini sulle Alpi francesi darebbero variazioni di densità da 0,09 (quota 400) a 0,06 (quota 1750).

La neve è soggetta a perdite per evaporazione e ad acquisti idrici per condensazione. Varî esperimenti conducono ad ammettere una possibile variazione da 2 a 5 millimetri nelle ventiquattro ore (Westmann) e di 190 mm. in un'intiera stagione (Fitzgerald) e una condensazione di mm. 0,4 ÷ 1 al giorno.

Lo scambio idrico e fra manto nevoso e atmosfera può essere espresso dalla formola:

dove a e b sono costanti specifiche da determinare; t, la durata in ore dell'esperimento; F, la tensione del vapore dell'aria circostante; f, la tensione massima del vapore alla temperatura dello strato della neve.

Afflussi meteorici. - Le precipitazioni che in un certo periodo di tempo raggiungono il suolo su una determinata superficie costituiscono l'afflusso meteorico il quale, in cifre, viene rappresentato dal prodotto dell'area di tale superficie per l'altezza della precipitazione caduta in quel periodo di tempo. Si può esprimere in mc. (mq. della superficie per m. di altezza di precipitazione) o anche, quando si tratta di grandi aree, in milioni di mc.

Poiché l'altezza della precipitazione non è mai uniforme sull'intera area di un bacino che abbia una certa estensione, specie se esso si presenta di variabile altimetria, così per raggiungere lo scopo nel modo più approssimato si segue in genere un metodo di stima dell'afflusso meteorico detto metodo ietografico.

Su una carta topografica o geografica e nei punti che rappresentano le varie stazioni pluviometriche situate nel bacino considerato si scrivono in metri le altezze di precipitazione caduta rispettivamente nel periodo di tempo che si vuole considerare (un giorno, una decade, un mese, un anno). Si tracciano allora, a somiglianza di quanto si pratica in topografia, le curve che uniscono i punti di uguale altezza di precipitazioni interpolando convenientemente fra i valori segnati nei punti di stazione suddetta. Se, ad esempio, si è prestabilito di tracciare le curve segnanti i punti con precipitazione distanziata di 100 mm., otterremo il bacino diviso in tante zone conterminate da curve di 100, 200, 300, 400 mm., ecc., di precipitazione.

Allora, moltiplicando le aree di queste zone per le medie delle rispettive precipitazioni delle isoiete conterminanti e cioè 150, 250, 350... mm. si otterrà, sommando poi i risultati, l'afflusso meteorico sul bacino considerato. Se contemporaneamente si tien conto anche delle curve ipsometriche o di ugual quota topografica con prefisso intervallo, si può giungere a determinare gli aflussi meteorici per zone di altitudine ottenendo così la variazione di contributo per afflusso meteorico che un bacino può offrire alle varie quote. Le carte che portano tracciate le curve isoiete si chiamano anche carte delle precipitazioni e in generale sono mensili e annuali.

Deflussi. - Le acque di precipitazione che giungono sulla superficie del suolo in parte penetrano in esso, in parte evaporano, e in parte scorrono superficialmente e formano i ruscelli, i rivi, i torrenti, i fiumi.

La parte che scorre superficialmente o che defluisce, rappresenta quindi una frazione dell'afflusso meteorico. Il rapporto fra la quantità di precipitazione che passa in deflusso e l'afflusso meteorico si definisce coefficiente di deflusso. I coefficienti di deflusso si considerano per determinati periodi ai quali si riferiscono quindi anche le precipitazioni e in generale si prendono in considerazione i coefficienti di deflusso annuali e più raramente quelli mensili e quelli stagionali. Ci riferiamo quindi di massima ai coefficienti di deflusso annuali.

Naturalmente, a parità di altezza di precipitazioni, questo coefficiente è variabilissimo nei varî bacini a seconda dei loro caratteri geologici, culturali, morfologici, topografici, di orientamento e di estensione e, a parità delle dette condizioni e quindi anche in uno stesso bacino, a seconda dell'altezza della precipitazione o della intensità (altezza nell'unità di tempo). Per i caratteri geologici evidentemente i bacini costituiti da terreni impermeabili avranno coefficiente di deflusso maggiore dei bacini a terreni permeabili; per i caratteri colturali basti ricordare il potere trattenitore dei boschi; si deve aggiungere però che se il bosco viene creato su terreno di rocce molto permeabili, tende a diminuire tale permeabilità e ad accrescere il coefficiente di deflusso, mentre effetto opposto si ha nel caso contrario.

Se si aggiunge che il bosco necessita d'una grande quantità d'acqua per la sua vita vegetativa si dovrebbe ammettere che esso tende, in certi casi, a diminuire la quantità d'acqua scorrente superficialmente, e quindi il coefficiente di deflusso. A ogni modo però il bosco, anche per il potere trattenitore delle nevi che esso esercita nelle radure, tende a perequare il coefficiente medesimo nei valori mensili, stagionali e nelle singole precipitazioni. I terreni coperti di piante, in genere, hanno maggiore porosità di quelli nudi o con scarsa vegetazione, e quindi minore coefficiente di deflusso, in quanto, mentre questi ultimi, sotto l'azione della precipitazioue, si costipano e tendono a diminuire i vani, gli altri oppongono ostacoli validi a tale effetto. A questo riguardo i terreni coltivati a piante da campo hanno il predominio perché vengono annualmente arati, seguono quelli a bosco e infine quelli a piante foraggere permanenti. Circa l'influenza dei caratteri topografici e morfologici è facile concludere che i bacini a forma più raccolta e a rapidi pendii permettono meno di quelli allungati e pianeggianti la penetrazione delle acque e pertanto per essi il coefficiente di deflusso è maggiore che per i secondi. Per l'orientamento o esposizione del bacino si nota che le superficie inclinate a nord dànno i maggiori deflussi, seguono quelle a ponente e levante e infine i deflussi minori sono dati dalle superficie esposte a sud. L'influenza dell'altezza e della durata della precipitazione sul coefficiente di deflusso è assai rilevante ed è stata suscettibile di più esatta valutazione.

In generale il coefficiente di deflusso aumenta con l'aumento delle precipitazioni.

Ad es., per il Po un aumento del 40% delle precipitazioni provoca una maggiorazione del coefficiente di deflusso del 30%. Il fenomeno però può essere attenuato o anche annullato se la maggior precipitazione si manifesta più frazionata in molte e leggere pioggie. Infatti l'intensità delle precipitazioni (altezza nell'unità di tempo) è legata alla durata da relazioni che hanno potuto essere espresse da formole che risultano naturalmente specifiche per le diverse caratteristiche dei varî climi. Così ad esempio G. Fantoli, per il clima di Milano, stabilisce la relazione

dove i è l'intensità oraria della pioggia in mm.; T la durata in ore, a = 48; b = 0,66.

Poiché il coefficiente di deflusso dipende dall'entità e intensità della precipitazione, così tutte le cause meteorologiche che influiscono su queste caratteristiche delle precipitazioni sono fattori diretti di tale coefficiente. In modo speciale si devono notare le distribuzioni della pressione o situazioni isobariche che tendono a insistere sui bacini che si considerano.

I coefficienti di deflusso si determinano sperimentalmente per ogni bacino, ma per i bacini per i quali ciò non sia possibile si possono adottare quelli sperimentalmente dedotti per quei bacini che presentano caratteri spiccati di similitudine con i primi seguendo le avvertenze e specificazioni prima accennate. Si sono anche, nell'impossibilità di specifiche determinazioni, escogitate formole svariatissime per esprimere la quantità della precipitazione defluente negli alvei.

Si sono fatte determinazioni da Rafter (Hudson), da Gustinn (fiumi dell'est, Stati Uniti), da Grunski (California), da Russel (Ohio), da Vernvele (Sudbury, Passaio, Croton), da Owens (Severn), ecc. Per l'Europa citeremo la formula di Keller. L'equazione generale è y = 0,942 x − 405 dove x in mm. è il deflusso e x la precipitazione totale nei valori annuali in mm. Il massimo deflusso è espresso da:

e il minimo da:

La prima è valevole fino a x = 500 mm., come limite inferiore, e rappresenta il limite superiore per bacini con grandi afflussi (alpini e montani); la seconda vale fino a x = 625 mm. e per bacini piani con piccoli affluenti. A. Coutagne, sempre per l'Europa centrale, trovò il coefficiente di deflusso a:

dove è l'altezza di precipitazione annua in mm. ed e la base dei logaritmi naturali.

Per l'Italia si possiedono ormai sperimentalmente i coefficienti di deflusso di tutti i maggiori fiumi. Da tali coefficienti, per l'analogia cui prima si è fatto cenno, si può risalire a stimare quelli dei minori corsi d'acqua. Rimandando quindi per maggiori dettagli alle pubblicazioni del Servizio idrografico italiano, si riportano qui i coefficienti relativi ad alcuni tipici fiumi della penisola: Po 0,60; Ticino 0,72; Adda 0,78; Oglio 0,70; Mincio 0,68; Sesia 0,78; Dora Baltea 0,95; Tanaro 0,54; Trebbia 0,90; Taro o,70; Adige 0,83; Piave 0,80; Isonzo 0,88; Reno 0,58; Tronto 0,62; Pescara 0,55; Ofanto, Liri 0,38; Crati 0,66; Volturno 0,50; Tevere 0,44; Arno 0,40; Magra 0,70; Simeto 0,42; Tirso 0,30.

Si è detto che il coefficiente di deflusso di un dato bacino nel senso generale è il rapporto fra la quantità d'acqua effettivamente defluita e l'aflusso meteorico da cui dipende. Mentre le caratteristiche idrologiche di un bacino si considerano in generale individuate dal coefficiente annuo, mensile, stagionale, si deve considerare anche come molto importante il coefficiente di deflusso relativo a eventi speciali o eccezionali, come ad esempio le piene. Si dice quindi coefficiente di deflusso integrale di una piena il rapporto fra l'afflusso meteorico che l'ha procurato e il deflusso totale della piena stessa considerata quindi per la durata dell'onda che partendo da una data altezza idrometrica, ritorna alla stessa o, meglio, viene a collimare con l'altezza che dopo lo stesso periodo avrebbe segnato il fiume continuando nel suo regime non perturbato.

Il coefficiente, invece, che rappresenta il rapporto fra il deflusso della piena dall'inizio di esso al suo colmo e l'afflusso considerato per il tempo stesso rappresenta il coefficiente di deflusso al colmo della piena. Così, ad esempio, nella grande piena del Po del giugno 1917, a Pontelagoscuro si riscontrò un coefficiente di deflusso integrale di 0,63 e un coefficiente al colmo di 0,40.

In alcuni bacini alimentati da ghiacciai si riscontra spesso il coeffificiente di deflusso annuo superiore all'unità. In tal caso, quando si possa dare completo affidamento alla stima delle precipitazioni meteoriche anche alle alte quote del bacino, si deve ammettere che si sia verificata durante l'estate un'ablazione glaciale molto sensibile e in sbilancio rispetto all'alimentazione nivale e alla condensazione.

A tale proposito si accenna che per il bacino dell'Adda (Fantoli) fu riscontrato nei mesi estivi un tributo di condensazione e conseguente fusione di mc. 0,220 per ogni kmq. di superficie glaciale, mentre l'intero apporto di ablazione si può considerare di circa mc. 0,400 per kmq.

Il fenomeno dell'accumulamento e della fusione delle nevi in relazione alla determinazione dei coefficienti di deflusso. - Allorquando in un bacino, per alcune zone, la precipitazione avviene sotto forma di neve, i deflussi non avvengono secondo le leggi cui si è accennato, in quanto la parte di precipitazione allo stato di neve rimane al suolo e giunge al corso d'acqua nel successivo periodo della fusione. Cosicché, mentre il coefficiente di deflusso annuale, specialmente se medio di una serie di anni, non risente di tale fenomeno, viceversa i coefficienti mensili e stagionali ne sono gravemente alterati. Con metodo speciale (M. Giandotti) è possibile giungere a un'individuazione approssimata del fenomeno medesimo e alla correzione dei coefficienti di deflusso che deriverebbero dal considerare l'afflusso meteorico come conseguente alle precipitazioni considerate tutte come liquide e che come tali risultano dagli Osservatorî nei quali effettivamente si notano le misure, facendo sciogliere la neve raccolta negli strumenti.

Il metodo, molto sinteticamente, si può così spiegare. Si considerano per un determinato bacino come precipitazioni nevose di ciascun mese quelle che si verificano al disopra della linea di livello per la quale la media temperatura è zero (isoterma zero) e come precipitazioni liquide quelle che si riscontrano al disotto di tale linea. L'operazione si ripete per tutti quei mesi nei quali l'isoterma zero rientra nei limiti altimetrici del bacino. I coefficienti di deflusso di tali mesi si riferiscono quindi solamente agli afflussi meteorici liquidi. La fusione delle nevi, sempre considerata media nei mesi, avviene successivamente per quelle zone che vengono a mano a mano a trovarsi sotto l'isoterma zero (che gradualmente si rialza di quota nel bacino) e si ammette che tale fusione avvenga proporzionalmente alla temperatura media mensile che nelle zone stesse viene a verificarsi. Con opportuni accorgimenti nello sviluppo dei calcoli, assai complessi, si giunge a determinare i volumi di deflusso mensile dovuto alla fusione. In tali mesi, dunque, il coefficiente di deflusso naturale del bacino si accresce tenendo conto di questo apporto non accusato dalle stazioni pluviometriche. In certi casi, è evidente, il coefficiente di deflusso mensile può risultare maggiore dell'unità.

Regime dei corsi d'acqua. - Il regime dei corsi d'acqua non può evidentemente dipendere che dalle leggi dei deflussi. Si può ritenere sufficiente il distinguere il regime fluviale in glaciale, pluvionivale, pluviale.

a) Regime glaciale. - Il regime glaciale, nei climi temperati, si riferisce a limitati corsi d'acqua nei quali ha predominanza il deflusso dovuto alla fusione delle nevi e dei ghiacci e nei quali la precipitazione avviene esclusivamente, o quasi, sotto forma di neve. Evidentemente il deflusso è qui regolato dalla temperatura ed è caratterizzato da un colmo durante il periodo nel quale si verifica la fusione e da un minimo durante il periodo di non fusione.

Questo fenomeno è così accentuato che si può verificare, nella eventualità di una pioggia estiva, una diminuzione piuttosto che un aumento del deflusso, e ciò perché la quantità di deflusso che viene sottratto per mancato irraggiamento solare sulle nevi e sui ghiacci, in seguito all'annuvolamento, è maggiore di quella proveniente dalle piogge.

Pertanto, nel regime glaciale, il diagramma idrometrico dei corsi d'acqua è parallelo a quello della temperatura e indipendente da quello delle precipitazioni. UJn'analisi condotta (Giandotti) per tali bacini (Alpi) ha concluso che la portata di magra invernale di essi è strettamente legata alla percentuale di glaciazione (rapporto dell'area glaciale all'area totale) e che può esistere la relazione

dove x rappresenta la percentuale di glaciazione; y il contributo in litri per secondo e per kmq. di bacino e dove a, b, c sono costanti coi valori a = 15; b = 0,2; c = 120.

Praticamente si ottiene:

b) Regime pluvionivale. - È il regime che ordinariamente si riscontra nei bacini nei quali su determinate zone può cadere e persistere la neve.

Il regime di questi corsi d'acqua dipende più dalle piogge o più dalle nevi a seconda dell'estensione delle dette zone e dell'andamento della temperatura. Nel primo caso si hanno due periodi di maggiori deflussi (primavera-autunno) e due di minori nell'estate e nell'inverno in corrispondenza cioè dei cicli delle precipitazioni e della temperatura. Magra estiva per scarsità di precipitazioni e grande potere evaporante: magra invernale per il fatto che le precipitazioni sono in gran parte sotto forma di neve. Grandi deflussi primaverili per piogge e fusione di nevi, autunnali per sole piogge. Il colmo primaverile può essere maggiore o minore del colmo autunnale.

Nel secondo caso il regime si accosta a quello glaciale e, pur avendosi due colmi, il maggiore deflusso lo si riscontra nella tarda primavera quasi sempre superiore a quello autunnale.

c) Regime pluviale. - Si riscontra nei corsi d'acqua nei quali non si hanno in generale formazioni di nevi persistenti o comunque in forma insignificante. Il regime è caratterizzato dai cicli delle piogge. Nei climi temperati si ha un periodo di grandi deflussi che comprende l'autunno, l'inverno e la primavera e un periodo di piccoli o piccolissimi deflussi, nell'estate. Il primo periodo però s'inizia nel tardo autunno (novembre-dicembre) e termina nei primi della primavera (aprile-maggio) cosicché i due periodi, nel tempo, quasi si equivalgono.

Elementi siatistici del regime fluviale. - Il regime dei corsi d'acqua viene a essere conosciuto nelle varie sezioni, dominate dai rispettivi bacini che vi affluiscono, mediante le misure delle altezze d'acqua e le misure delle portate (mc. d'acqua che passano in un secondo nella sezione considerata). Le prime si rilevano con speciali strumenti (idrometri comuni, idrometrografi, teleidrografi) e le seconde mediante stime dirette, eseguite generalmente con molinelli a segnalazione elettrica.

Le letture idrometriche agl'idrometri comuni si fanno di solito una volta al giorno, intensificando fino a eseguirle anche ogni ora in caso di piena. Gl'idrometrografi dànno il diagramma continuo del livello d'acqua e infine i teleidrografi dànno il diagramma medesimo, segnalato a distanza (uffici, posti di guardia, ecc.).

Le altezze idrometriche formano le serie mensili, stagionali, annuali, ecc. Delle rispettive serie è interessante conoscere i valori massimi, minimi, e le tenute o permanenze e cioè il numero dei giorni (nella serie anzidetta) per i quali l'altezza idrometrica si mantiene in determinati intervalli idrometrici prestabiliti, ad esempio, di dieci in dieci, di venti in venti centimetri. Così si dice, ad esempio, che in un certo fiume il livello idrometrico durante un anno (se la serie è annuale) si è mantenuto per 50 giorni fra le altezze idrometriche m. 1 e m. 1,20; 120 giorni fra le altezze 0,20 e 0,40, ecc.

Identico sistema statistico si usa per le portate e si avranno così nelle rispettive serie la portata massima, la minima, la media e le varie tenute. Dalle tenute o permanenze delle portate si deducono le caratteristiche più importanti dei corsi d'acqua, specialmente nei riflessi delle utilizzazioni delle acque e, anche, del lavoro di erosione esercitato sull'alveo. Così è sostanziale conoscere per qualsiasi fiume o torrente la quantità d'acqua sulla quale si può fare assegnamento, ad es., per tutto l'anno, per nove, sei, tre mesi, ecc.

Le serie idrometriche e di deflusso, quando abbracciano un considerevole numero di anni, possono fornire la serie dell'anno medio che risulta dalle medie dei singoli valori idrometrici o di portata, e tale serie dell'anno medio può riferirsi ai singoli giorni, alle decadi, ai mesi.

Le serie idrometriche sono suscettibili di segnalare le variazioni dell'alveo fluviale in quanto i livelli di magra dipendono direttamente dal modellamento dell'alveo e se, in un determinato anno o più anni, si dovesse riscontrare un abbassamento dei livelli stessi, mentre il controllo delle portate non indica per esse variazioni sensibili, si deve dedurre logicamente che l'alveo fluviale ha subito un abbassamento, e viceversa.

Per le misure di portata v. idrometria.

Per alcune particolarità del regime fluviale (piene, moto delle acque nei fiumi e torrenti, meandri, dinamica degli alvei, temperatura delle acque) v. fiume; idraulica fluviale; piena.

Frazione dell'afflusso meteorico che si evapora o che penetra in profondità. - La frazione che manca al coefficiente di deflusso per raggiungere l'unità rappresenta, per una determinata sezione fluviale, le perdite reali dell'afflusso. Tali perdite sono rappresentate dall'evaporazione e dalla penetrazione delle acque in profondità. Su quest'ultimo punto occorre notare che tali perdite nell'economia generale di un fiume possono in parte essere apparenti, in quanto ciò che per una data sezione può rappresentare una sottrazione al deflusso, per un'altra sezione può viceversa rappresentare un acquisto se le acque percolanti, o parte di esse, tornano a giorno nel fiume considerato.

Evaporazione. - Dagli studî sperimentali condotti specialmente in Inghilterra, Francia, Germania e Svizzera si deduce che l'evaporazione dal suolo, oltreché dagli elementi meteorologici (temperatura, pressione, vento, umidità) dipende precipuamente dalla natura del suolo, dalla sua costituzione geologica, dallo stato colturale, ecc. Le conclusioni sarebbero: 1. che l'evaporazione dal suolo aumenta col crescere della precipitazione: essa è minore di quella propria agli specchi d'acqua posti nelle stesse condizioni climatologiche; 2. l'evaporazione è maggiore nel terreno ricoperto di piante erbose che non in quello nudo o coltivato; 3. essa è minore dal suolo coltivato in confronto al suolo nudo; 4. l'evaporazione da suolo profondo è maggiore di quella relativa a un suolo di piccolo spessore.

In uno studio di Keller, per i varî bacini europei, intesi come grandi raggruppamenti oro-idrografici, si conchiude con la seguente formula dove Z rappresenta l'evaporazione e x la precipitazione in millimetri:

essa vale per i valori di x fino a 560 mm.

Il limite inferiore dell'evaporazione è dato da Z = 350 mm. e quello superiore da:

dove x non deve essere minore di 625 mm.

La prima equazione si adatta ai bacini con grandi afflussi (montani) la seconda per bacini pianeggianti.

Altri (Coutagne) sostiene che l'evaporazione aumenta bensì con la precipitazione, ma poiché con la pioggia cresce anche l'umidità, l'evaporazione dovrà a un certo punto diminuire. L'evaporazione sarebbe così rappresentata da una curva che passa per un massimo. Tale curva è espressa dalla formula:

dove Z e x rappresentano l'evaporazione e la pioggia massima, x0 la precipitazione per la quale si ha l'evaporazione E0; h un coefficiente sperimentale; e la base dei logaritmi neperiani.

Per l'Europa centrale si avrebbero i valori E0 = 0,4; h = − 2,773; x0 = 0,725. Per l'America del Nord E0 = o,65; h = − 1,2; x0 = 1,125. Per l'America del Sud E0 = 1; h = 0,81; x0 = 1,5. Per il massiccio centrale della Francia E0 = 0,5; h = 1,42; x0 = 1.

Per quanto la seguente formula (Weilemann) si riferisca a evaporazione da secchi d'acqua, pure si cita per dare un'idea di come entrano i fattori climatologici nell'espressione generica dell'evaporazione.

nella quale h = evaporazione nel tempo z; β e β1 costanti sperimentali; b = pressione atmosferica; w = velocità del vento: m1 differenza fra il peso del vapore contenuto in un mc. d'acqua satura alla temperatura t1 (dello strato superiore dello specchio d'acqua) e il peso del vapore realmente esistente in un mc. d'aria alla temperatura t.

Penetrazione in profondità. - Circa la quantità d'acqua ehe penetra in profondità, è chiaro che la sua determinazione non può dipendere da formule generali, ma da indagini particolari bacino per bacino.

Tale determinazione che può dedursi per differenze fra gli afflussi e la somma rappresentata dai deflussi e dall'evaporazione, quando l'evaporazione sia a sua volta determinabile, è viceversa molto difficile a farsi direttamente, dipendendo da condizioni geologiche, colturali, morfologiche delle quali le prime assai difficilmente si possono discriminare agli effetti della penetrazione delle acque, specialmente nei grandi bacini fluviali, per i quali del resto, agli scopi pratici, basta conoscere la somma delle perdite e degli acquisti, determinabili per differenza dagli afflussi e dai deflussi controllati.

A ogni modo una determinazione di penetrazione in profondità nei bacini montani dei corsi d'acqua può essere fatta quando i bacini stessi in qualche gola siano naturalmente sbarrati da una soglia rocciosa, e quando non si tratti notoriamente di sistema carsico, in quanto in corrispondenza di essa tutte le acque penetrate in profondità nella parte a monte del bacino rit0rnano a giorno. Misure di portata comparative eseguite in corrispondenza della stretta rocciosa e a monte prima delle risorgenze, potranno, per differenza, dare con approssimazione la quantità di acque che erano entrate in percolazione nel bacino superiore del fiume.

Per bacini di pianura a costituzione omogenea o quasi e agli scopi specialmente agricoli (irrigazioni) si sono fatte molte determinazioni sperimentali. Nella pianura emiliana si è trovato che la quantità delle precipitazioni che raggiunge la falda freatica è circa il 27%. In Francia per il Captage de Rennes il 29%; per le Hautes sources de la Vanne il 21%; per il bacino del Hain il 30%; negli Stati Uniti varia fra il 12 e il 18%; a Brooklyn il 28%; in Inghilterra (esperimenti ventennali di Lawes e Gilbert) il 43% con estremi di 14 e 80%.

Circa le perdite e rinascenze delle acque infiltrate nei fiumi si hanno eloquentissime risultanze d'indagini. Per l'Oder, ad es., nella media di un decennio si hanno perdite di 100 litri a km. Invece come rinascenze si riscontrano, ad es., nel Po nel tronco sotto Chivasso mc. 3 a km. d'alveo, nel Ticino mc. 1 per km.; nel Mincio mc. 0,7 a km.; nell'Oglio mc. 0,5 a km.; nell'Adige mc. 0,035 a km. Una formula che può essere assunta per determinare le perdite di un corso d'acqua è la seguente (Giandotti):

dove h e H sono le altezze rispettive, sul piano impermeabile sottostante, della falda freatica e del pelo d'acqua normale del fiume; a la metà della larghezza dell'alveo; r la distanza fra la mezzeria della sezione del fiume e il punto nel quale la falda proveniente dal fiume si raccorda col livello della falda freatica; k è il coefficiente di filtrazione.

Ipotesi sulla formazione delle acque sotterranee. - a) Dalle precicipitazioni meteoriche per infiltrazione diretta o a mezzo dei fiumi come precedentemente si è visto. Tale ipotesi è suffragata dal fatto che si ha sempre aumento di orizzonte freatico in seguito a piogge di una certa intensità , e durata. L'obiezione principale a tale ipotesi è quella del potere evaporante di terreni per i quali le acque meteoriche non potrebbero raggiungere la falda. Ma si osserva come l'evaporazione sia poco significante nel confronto, in quanto diretti esperimanti (Radway) dimostrano l'entità dell'evaporazione variante in un giorno da mm. 5 a mm. 2, variando la profondità del pelo freatico da m. 0,15 a m. 0,55, mentre l'alzamento capillare, ad es., nelle sabbie, è variabile da mm. 4,5 a mm. 11,8 in un giorno, per profondità della falda da m. 1,20 a m. 0,30;

b) dalla condensazione (Vogler, Mezger). Il vapore acqueo si condenserebbe a contatto con il terreno e penetrerebbe in profondità. Però si obbietta che gli esperimenti dimostrano (Latham) come tale condensazione si mantiene intorno ai mm. 8 all'anno con massimo di 33 mm.;

c) per effetto endogeno (E. Suess) e cioè dalla condensazione di gas provenienti dalla fusione dei materiali nell'interno della terra. Però quest'ipotesi, anche se ammissibile, non può riferirsi che alle acque della grandissima profondità, delle quali non si tratta in questo articolo.

Rinviando per l'argomento generale delle acque sotterranee alla voce sotterranee, acque, si accennerà qui in particolare ai metodi per la determinazione sperimentale della quantità d'acqua meteorica che penetra definitivamente nel terreno, alla velocità dell'acqua nei terreni permeabili, alla determinazione della pendenza di una falda e alla velocità reale dell'acqua nella stessa.

Determinazione della quantità d'acqua che penetra nel terreno. - La quantità d'acqua meteorica che penetra definitivamente nel terreno può essere determinata sperimentalmente mediante rilievi metodici di variazione della falda e determinando il coefficiente di porosità del terreno. Esperimenti si possono anche fare a mezzo di speciali strumenti chiamati permeometri. È interessante anche stabilire confronti dell'oscillazione della falda con la precipitazione e la temperatura dell'aria. Nei mesi estivi la parte della precipitazione che penetra alla falda è piccolissima o anche nulla per ragione dell'evaporazione fortissima, mentre le pioggie invernali e anche le nevi profittano molto alla falda.

Esperimenti diretti nella pianura emilana palesarono che, mentre una precipitazione di 230 mm., caduta nei mesi dal gennaio all'aprile, innalzò il livello della falda di m. 0,60, la stessa precipitazione, caduta nei mesi dal maggio al settembre, non poté arrestare l'abbassamento della falda di m. 1,50. Particolarmente una stessa precipitazione, caduta nei mesi di febbraio e agosto, causò un alzamento di falda, in febbraio, quattro volte superiore a quella dell'agosto. Se i terreni non sono irrigati, generalmente, e nei nostri climi, il livello freatico più alto è in primavera, seguono l'inverno, l'estate, l'autunno. Se i terreni sono irrigati precede l'estate, poi seguono primavera, autunno, inveroo.

Velocità dell'acqua nei terreni permeabili. - Si sono eseguite numerosissime esperienze che condussero a varie formule nelle quali comparisce sempre la pendenza o perdita unitaria di carico nella falda. Si cita Seelheim e Hazen, con le formule v = 37,6 d2 i e v =116 d2 i. Nella prima d è il diametro della sfera nella quale s'intendono trasformati i grani di sabbia, nella seconda d è l'effettiva grandezza del grano. Ciò condusse a una formola generale v = Ki.

Masoni e Forchheimer trovarono però che la velocità cresceva in minor misura del carico e che si adattavano le formule:

La velocità dell'acqua nel terreno varia con la temperatura di essa. Sperimentalmente si trovò, ad es. (Havrez), che a 100° la velocità dell'acqua era sei volte maggiore che a 0°.

Si cita una formula che tiene conto della temperatura delle acque:

in cui i simboli hanno il noto significato.

Fu anche trovato che per acque calde la permeabilità cresce più considerevolmente per le sabbie grosse che per le sottili.

Si ha a questo riguardo la formula:

dove k è il coefficiente di filtrazione alla temperatura t e k0 il coefficiente relativo alla temperatura di 4°. La formula generale del moto dell'acqua nei terreni è la seguente:

dove dy è la perdita di carico sul percorso dx e μ una costante specifica det terreno. Si citano alcune velocità sperimentali.

In terreni alluvionali assai cementati, con pendenza i = m. 0,0064 la velocità risulta di m. 1,13 al giorno (Giandotti). Per terreni consimili m. 1,40 a Mannheim; m. 0,33 a Brooklyn.

Il Lee, con pendenze di m. 0,003, trovò per sabbie fini m. 0,04; sabbie medie m. 0,17; sabbie grosse m. 0,70; ghiaie fino m. 4,40 al giorno.

Il movimento verticale di penetrazione delle acque nel terreno avviene bensì sotto l'effetto della gravità, ma subordinatamente Al fenomeno della capillarità e in generale con velocità ridottissima. Si citano risultati di Spott a Scheelhass. In sabbie umiche calcari v mm.0,006 al 1″; in argilla da mattoni mm. 0,001 al 1″. La formula di Darcy, secondo esperimenti successivi (Prinz) vale nel linnte di pendenza da 1/1000 a 1/3000.

Per grandi pendenze la legge stessa differisce in menn e ciò in tanta maggiore misura quanto più grossi sono gli elementi della massa porosa. Così nelle sabbie sottili la legge può essere adottata fino a velocità massima di m. 0,25 all'ora e nelle ghiaie fino a m. 2,50.

Se la velocità di filtrazione è, come si è visto,

e se con ρ si rappresenta il rapporto fra spazî vuoti e pieni della massa porosa nella quale si muove l'acqua, la portata attraverso alla superficie S sarà:

Il coefficiente K, naturalmente, deve essere determinato sperimentalmente caso per caso che si studia. A ogni modo si dànno qui alcuni esempi di valori praticamente desunti:

Il valore di

ha le dimensioni di una velocità. La dimostrazione è la seguente:

L'espressione di Darcy:

ammette che la perdita di carico dy si abbia per il percorso dx.

Invece il hercorso effettivo è ds e pertanto la formula esatta sarebbe:

ma quando α = 90°, sen α = 1 e allora

che è il valore massimo della velocità che si riscontra nella filtrazione verticale senza carico. Praticamente però si determina k che e chiamato coefficiente di filtrazione. Tale determinazione si può fare, ad es., conducendo prove di esaurimento da pozzi e rilevando sperimentalmente tutti gli elementi delle formule nelle quali entra il k e che esprimono le portate.

L'unica incognita k può essere quindi determinata. Ad es., riferendoci alla figura 1 si effettuino a un pozzo due attingimenti di regime che diano le portate Q1 e Q2. A una certa distanza r si affondi un tubo piezometrico nel quale sia possioile rilevare i livelli h1 e h2 corrispondenti alla vena depressa per i suddetti attingimenti. Considerato il cilindro di raggio r con altezza d'acqua h1, avremo che attraverso alla sua superficie laterale passa la portata:

e considerando lo stesso cilindro con altezxa d'acqua h2. si avrà similmente:

da esse, poiché si conoscono sperimentalnente Q1, Q2, r, i1, i2, si può dedurre k che rinane espresso da:

Questa formula ha il vantaggio di prescindere dalla conoscenza della profondità alla quale si trova il piano inpermeabile.

Se invece s'infiggono due tubi piezometrici alle distanze dal centro del pozzo di r1r2 e si segue lo stesso procedimento si otterrà lo scopo di determinare k con una sola portata di regime Q. Si avrà (figura 2):

da cui

da cui si ricava k in quanto tutte le altre quantità si possono ottenere per osservazione diretta.

Siccome si ha anche per la ieoria generale dei pozzi che

di cui

per i due tubi piezometrici si ha:

e cioè

ma poiché si è già determinato il k e si conosce z1z2 si può dedurre z1 + z2 e quindi separatamente z1 e z2 e cioè la posizione del piano impermeabile.

Altro metodo per determinare il k è il seguente (Puppini). Si fori un pozzo e secondo varî diametri partenti da detto pozzo come centro si affondino altri tubi.

Se si stabilisce nel pozzo centrale una depressione di regime in seguito a pompamento prolungato e si rilevano le quote dei peli d'acqua agli altri tubi, sarà possibile tracciare delle curve di livello della falda o meglio dell'imbuto di depressione creato nella falda, curve che se risultano chiuse intorno al pozzo centrale rappresentano le direttrici di altrettanti cilindri che si possono considerare come superficie di uguale carico. Si considera una di queste superficie cilindriche e ci si riferisce a un tratto elementare. Δs di essa nel quale la pendenza del pelo d'acqua sia i e h la profondità media del piano impermeabile; la portata Δq che passa attraverso l'elemento Δh sarà:

e facendo la sommatoria per tutta la superficie

dove q corrisponde alla portata di regime che si sottrae al pozzo centrale. Poiché le i, Δs, h, si deducono sperimentalmente si può calcolare il k.

Determinazione della pendenza di una falda e della velocità reale dell'acqua stessa. - Per determinare la pendenza di una falda si può operare come segue: si affondano nel terreno fino ad addentrarsi nella falda idrica tre pozzi tubolari (tubi Norton, ad es.) in conformazione di triangolo. Si livellano i peli d'acqua nei tre pozzi avendo così la possibilità di tracciare curve di ugual livello della falda (isofreatiche) e la linea di maggior pendio che rappresenta la pendenza e l'orientamento della falda. (Fig. 3).

La velocità dell'acqua nella falda va rilevata naturalmente lungo questa linea di maggiore pendenza e pertanto lungo essa si affonda un altro tubo.

Immettendo sostanze coloranti a tempo determinato nel pozzo P, e prelevando sistematicamente campioni d'acqua nel pozzo P0 si cerca di colpire il tempo nel quale in tali campioni compare la colorazione. La velocità della falda, approssimativamente, è data dalla lunghezza del percorso diviso per il tempo impiegato.

S'impiegano comunemente come sostanze coloranti le seguenti: fluoresceina, verde malachite, blu di metilene, violetto di Parigi, safranina, fuxina neutra, congo, annamina. Tutte sono visibili nell'acqua distillata nella proporzione di 1 a un milione. Però quando l'acqua ha una durezza di 40° idrotimetrici, la fuxina, il violetto, il verde malachite sono decolorati; dopo 24 ore gli altri colori sono molto attenuati e la fluoresceina stessa ha perduto un terzo del suo potere. Il passaggio nel suolo sabbioso diminuisce poco la colorazione: quella nei suoli calcarei decolora tutte le soluzioni al milionesimo eccetto la fluoresceina. L'argilla dà risultati intermedî, la torba decolora tutte le soluzioni. In tal caso conviene la fuxina acida, assai meno potente, ma che può essere rigenerata, dopo filtrazione, con acido acetico. La fluoresceina si scorge a occhio nudo in diluizione di 1 a 200 milioni su spessore di cm. 20.

Circa la quantità di sostanze coloranti da immettersi si dànno alcune formule pratiche:

dove A è la quantità di sostanza in grammi; K un valore dipendente dalla qualità della sostanza e cioè uguale a

per la fluoresceina;

per la fuxina;

per il cloruro di sodio; Δ è la portata presunta del pozzo in cmc. al secondo, l è la distanza fra il punto d'immissione e il punto di ripresa in cm.

dove però A è espresso in kg., l in km. e Δ in mc.

L'esame dei campioni si fa per confronto con l'acqua pura data dalla stessa falda prima dell'introduzione della sostanza. Con lo speciale apparecchio del Trillat si è potuto stimare la diluizione di 1 a 500.000.000.

La velocità della falda si può determinare anche con un metodo elettrico (Slichter). La figura 4 chiaramente indica lo schema del circuito che si deve impiantare nei due pozzi. È da notare che il filo immesso nel pozzo a valle deve essere isolato dall'involucro del pozzo stesso. Nel pozzo superiore si versa una soluzione di cloruro d'ammonio e si rileva lo scatto dell'amperometro allorquando l'elettrolito raggiunge l'involucro del pozzo a valle e il filo di rame in esso immesso.

Il circuito poi che collega i due involucri dei pozzi dà la possibilità di seguire il moto della soluzione elettrolitica a mezzo dell'intensità variabile della corrente per diminuita resistenza.

Con una registrazione continua per mezzo dell'amperometro si rileverà un aumento dell'intensità stessa fino a un massimo quando tutto l'elettrolito si stenderà fra i due pozzi e seguirà poi una diminuzione e la riduzione a zero quando l'elettrolito medesimo sarà passato a valle del secondo pozzo.

Bibl.: U. Masoni, Sul moto dell'acqua attraverso i terreni permeabili, Napoli 1895; E. Ebermayer, Einfluss der Wälder auf die Bodenfeuchtigkeit, ecc., Stoccarda 1900; G. Fantoli, Alcune note d'idrografia sulla estensione dei ghiacciai nel dominio dei nostri fiumi alpini, Milano 1902; L. Faure, Drainage et assainissement agricole des terres, Parigi 1903; Lee, Underground Waters of salt River Valley, Washington 1905; L. Pochet, Études sur les sources, Parigi 1905; R. d'Andrimont, La science hydrologique, Liegi e Parigi 1906; G. Fantoli, Il Po nelle effemeridi di un secolo, in Atti d. Soc. p. Progr. d. scienze, 1912; Wengler, Die specifische Dichte des Schnees, Berlino 1914; Willis Moore, A Report on the influence of forest on climate and on floods, Washington 1910; Ph. Forchheimer, Hydraulik, Lipsia 1914 (ristampa 1924); F. Eredia, Le precipitazioni in Italia, in Ann. uff. centr. meteorol., 1915; M. Giandotti, Boschi e acque, Roma 1916; Strachan Mackenzie, Mill, Owens, The investigation of Rivers, final report, Londra 1916; M Giandotti, in R. Commissione per lo studio del regime idrografico del Po, Seconda pubblicazione, Parma 1917; E. Prinz, Handbuch der Hydrologie, Berlino 1919; D. Mead, Hydrology, New York 1919; M. Giandotti, Il fenomeno dell'accumulamento e della fusione delle nevi in relazione al regime dei deflussi, in Italia Elettrica, maggio 1919; id., Progetto di irrigazione con canale dal Po a Piacenza, Reggio Emilia 1924.

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