IDROCARBURI

Enciclopedia Italiana - III Appendice (1961)

IDROCARBURI (XVIII, p. 728)

Luigi GERBELLA
Giuseppe BELLI

In questa voce sono presi in considerazione gli i. industrialmente coltivabili (gas naturali e petrolio) per aggiornare l'argomento con riferimento ai progressi conseguiti nella tecnica dello sfruttamento dei giacimenti e allo stato della legislazione che questa attività disciplina nei varî paesi. (Per altri argomenti, v. carburanti; gas: gas naturali; petrolio, in questa App.).

Generalità sulla perforazione e sulle indagmi intese a determinare la natura e la struttura delle rocce attraversate. - I notevoli progressi realizzati negli ultimi venti anni nella tecnica della perforazione, sia dal punto di vista meccanico, sia per la parte attinente al condizionamento dei fanghi di circolazione e le approfondite conoscenze nel campo geologico e geofisico hanno reso possibile l'esecuzione di sondaggi fino a profondità di 6000 m ed oltre e la ricostruzione, sempre più aderente alla realtà, della natura e della struttura del sottosuolo.

Nell'esecuzione dei sondaggi per la ricerca e la coltivazione di i. è ormai universalmente adottato il sistema di perforazione rotary, a distruzione completa di nucleo, molto più rapido degli altri sistemi, a parità di diametro di foro, e adatto, con l'aggiunta di particolari apparecchiature, al carotaggio delle rocce attraversate. D'altronde l'esame diretto delle carote, per conoscere natura e struttura delle rocce perforate, è attualmente integrato da rilievi elettrici, fondati sulle variazioni dei potenziali naturali e della resistività degli strati attraversati. Si possono così ricostruire con precisione la struttura del sottosuolo, la localizzazione delle rocce-magazzino e ottenere dati preziosi sulla natura dei fluidi di impregnazione.

In particolare, nei pozzi rivestiti con tubazioni metalliche che impediscono il franamento delle pareti e la dispersione dei fluidi, la natura delle rocce attraversate è studiata con metodi radioattivi, ad esempio introducendo nel pozzo una sorgente di neutroni che bombardano le pareti. Un rivelatore di raggi gamma, posto ad una certa distanza dalla sorgente, misura la quantità di raggi indotti dai neutroni, variabile essenzialmente in rapporto alla quantità di idrogeno in vicinanza della sorgente, cioè alla presenza di acqua o di idrocarburi negli strati in esame. Come sorgente di neutroni si adoperano sali di polonio mescolati con berillo; come rivelatori dei raggi γ indotti si utilizzano scintillometri, denominazione d'uso corrente per contatori a scintillazione (v. contatore, in questa App.). Con tali apparecchiature si riescono a individuare le formazioni porose, attraversate dai pozzi e a prevedere, con sufficiente precisione, se queste rocce contengono acqua oppure solo gas, o gas e petrolio.

La determinazione della radioattività di alcuni terreni serve poi per individuare strati-guida, tanto importanti per le correlazioni fra varî pozzi di uno stesso campo. Si è iniziata anche l'utilizzazione nei sondaggi di isotopi radioattivi, addizionandoli in dispersione colloidale ai fanghi di circolazione. Introducendo nelle tubazioni degli appositi rilevatori di raggi y, quali sono, ad esempio, gli scintillometri, si possono infatti individuare punti di perdita di fango, nel foro scoperto, o punti di fuga nelle tubazioni, in quanto gli appositi rivelatori indicano in detti punti la presenza anormale di isotopi radioattivi.

Nonostante i grandi progressi realizzati in questi ultimi anni nelle apparecchiature intese a rivelare la natura e la struttura delle rocce attraversate dai pozzi, rimane tuttavia la preoccupazione, con l'impiego del sistema rotary, che la pressione della colonna di fango di circolazione possa occultare la presenza di i. negli strati in cui la pressione del gas e del petrolio è inferiore a quella del fango. Può accadere infatti che questo entri nella formazione, la ingolfi e allontani dal pozzo gli i., che, in queste condizioni, non sono più individuabili neppure con misure radioattive. Peraltro, all'inconveniente su accennato si può ovviare con l'esecuzione di prove di strato (v. qui appresso).

Sonde rotary. - Una colonna di aste cave, animate da movimento di rotazione, consente allo scalpello, avvitato all'estremità inferiore delle aste, di disgregare, erodere il terreno in tutta la sezione del foro. Il materiale abraso e sminuzzato è trasportato alla superficie da un fluido circolante (il cosiddetto fango di perforazione o di circolazione), il cui peso specifico si fa variare, secondo le circostanze, da 1,20 a 2,40 e di cui si richiamano qui le molteplici funzioni. Esse consistono nel:1) raffreddare lo scalpello; 2) tenere sgombro di detriti il fondo del foro; 3) esercitare una azione disgregante sulla roccia e facilitare quindi il lavoro dello scalpello; 4) mantenere i detriti in sospensione per impedirne l'accumulo in fondo al pozzo, durante gli arresti della circolazione nelle normali manovre di estrazione e introduzione delle aste; 5) depositare, in seguito ad un complesso fenomeno di filtrazione, un intonaco di materiali colloidali sulle pareti del pozzo, impedendone i franamenti e permettendo quindi di eseguire tratti di pozzo anche di 3000 e più metri senza rivestimento (foro scoperto); le tubazioni di rivestimento sono introdotte, in questi casi, a lunghi intervalli; 6) esercitare, per effetto dell'elevato peso specifico, una pressione tale nel pozzo da contrastare quella di fluidi (gas, petrolio, acqua) eventualmente presenti negli strati attraversati ed evitare quindi pericolose e dannose eruzioni; 7) rendere minime le infiltrazioni liquide negli strati porosi per evitare perdite nella circolazione e per non inquinare orizzonti produttivi.

La fig. 1 riproduce un impianto completo di sonda rotary. In 1 è rappresentata la torre di manovra (derrick), formata di tubi di acciaio, facilmente smontabile e ricomponibile. In 2 è montato il bozzello fisso (crown block) di una taglia, per sostenere le aste e le tubazioni durante le manovre. Al bozzello mobile (travelling block) 3, è assicurato il gancio 6 al quale è appesa la testa di iniezione 7 con gli elevatori 8. Il giunto 9 collega la testa di iniezione con l'asta motrice 10, internamente cava ed a sezione quadrata o esagonale, che scorre entro una feritoia, di uguale sezione, predisposta, mediante opportuni aggiustaggi, al centro della tavola rotary 11. Un motore 13 imprime a quest'ultima, con interposte trasmissioni a ruote dentate coniche, un movimento di rotazione. La tavola trascina nel moto l'asta 10, la quale può contemporaneamente scendere nel foro, per seguire l'avanzamento dello scalpello S in fondo al pozzo. Lo scalpello a lame, adatto per terreni teneri, è solidale con l'asta motrice, con interposizione di aste pesanti P e di aste normali di perforazione A. Le une e le altre sono cave, per convogliare la corrente di fango spinto dalle pompe 21 in fondo al pozzo. Il fango, attraverso le tubazioni di mandata 23, il tubo 5, il flessibile 4 di raccordo con la testa di iniezione 7, l'asta motrice e le aste di perforazione, raggiunge lo scalpello, esce dai fori R e risale a giorno nell'intercapedine E, fra le aste e le pareti del foro o le aste e l'ultima tubazione introdotta Q alla quale è innestata una tubazione laterale F (le lettere Q e F si riferiscono alla fig. 5). Da quest'ultima, montata sotto il piano di manovra 28 (fig. 1) del derrick, il fango cade sopra un vibrovaglio, che separa i detriti sollevati a giorno, quindi attraverso un canaletto aperto od una tubazione 27 affluisce ai cassoni 24 di decantazione e condizionamento. In questi si aggiungono i correttivi necessarî per variare o ripristinare la densità, la viscosità, le proprietà intonacanti, ecc. del fango stesso. I tubi di aspirazione, all'ingresso delle pompe, sono muniti di filtri 22. Con la pompa 25, manovrando apposite valvole, il fango anziché alla testa di iniezione può essere spruzzato attraverso ugelli 26, nei cassoni di condizionamento, onde ottenere un'energica mescolazione.

La taglia è azionata dall'argano 14, a sua volta collegato con trasmissioni a catena ai motori 20, generalmente a ciclo diesel. Quando si devono estrarre o introdurre le aste o le tubazioni, si svita l'asta motrice 10 e la si colloca, provvisoriamente, insieme alla testa di iniezione, in un angolo della torre; si tolgono gli aggiustaggi al centro della tavola rotary 11 e con gli elevatori 8 si afferrano le aste o gli spezzoni di tubazione. Altri aggiustaggi conici, posti al centro della tavola, servono per trattenere le aste e le tubazioni durante le manovre. L'avvitamento e lo svitamento dei varî spezzoni di aste e di tubi è ottenuto con apposite chiavi, 12, appese alla torre, contrappesate e manovrate con funi che si avvolgono ai cabestani dell'argano. Quest'ultimo può essere provvisto di un tamburo supplementare sul quale si avvolge la fune 30 che passa sulla puleggia 31 e serve per manovrare apposita cucchiaia, con valvola di fondo, per effettuare pulizie eccezionali del pozzo in seguito a franamenti od altro. Sul tamburo principale dell'argano si avvolge la fune di manovra 17. In questi impianti la taglia può sollevare 50 ÷ 300 t. Dopo che le aste di perforazione sono state estratte dal pozzo, vengono accumulate sopra l'apposita impalcatura 29.

Nella fig. 1 si notano ancora: un regolatore idraulico automatico 15 della velocità di rotazione del tamburo dell'argano, un ripostiglio attrezzi 18 ed un indicatore automatico 19 del peso che grava sullo scalpello durante la perforazione. Per avanzare in rocce dure, gli scalpelli moderni, oltre alle frese con denti ricoperti di carburi metallici, sono provvisti di ugelli A (fig. 2) da cui escono violenti getti di fango che aiutano lo spurgo dei detriti ed il disgregamento della roccia. Lo spazio 16 (fig. 1) fra il piano di manovra 28 del derrick e il piano di campagna è denominato sottostruttura e si tiene alto 2÷3 m.

Negli impianti moderni, per pozzi non profondissimi, i derricks classici sono talvolta sostituiti da altri prefabbricati, in una, due o tre parti, rapidamente riunite e sollevate, oppure da antenne telescopiche, montate su autocarri o su semi-rimorchi.

Prove di strato. - Consentono di ottenere rapidamente le caratteristiche di un orizzonte attraversato da un sondaggio, senza necessità di montare le apparecchiature definitive, complesse e costose, richieste per mettere in produzione un pozzo, le quali, fra l'altro, possono compromettere l'ulteriore approfondimento del pozzo in esame. Le prove di strato hanno inoltre il vantaggio di creare nel pozzo una energica decompressione con la quale è possibile rimuovere le ostruzioni di un orizzonte mineralizzato, parzialmente inondato dal fango di circolazione al punto da occultare la presenza di idrocarburi.

Le analisi delle carote prelevate durante la perforazione sono rivolte a determinare la natura e l'età dei terreni attraversati, la permeabilità, rispetto ai varî fluidi, delle rocce magazzino, la porosità, ecc. Spesso, però, non è dato acquisire notizie precise sulla qualità e quantità degli i. contenuti, perché i più leggeri possono uscire dalle carote prima che queste siano analizzate e perché l'azione di dilavamento esercitata dal fango di circolazione sulle carote, prima che abbiano raggiunto la superficie, asporta parte degli idrocarburi contenuti.

Per contro, una carota impregnata di i. non autorizza a concludere che l'orizzonte è produttivo, dato che le saturazioni in acqua ed in petrolio possono essere tali da rendere impermeabile a questo ultimo la roccia, tanto da impedirne l'uscita dallo strato che lo contiene.

Per avere quindi una diagnosi, per quanto possibile aderente alla realtà, sulle condizioni della roccia magazzino e sui fluidi da essa ricavabili, sono necessarie prove di strato, le quali non sono soltanto qualitative, ma anche quantitative, perché permettono di determinare la pressione, la portata e la natura degli i. presenti nella formazione in esame.

Durante queste prove si riesce ad isolare dalla pressione idrostatica, originata nei pozzi per la presenza del fango di circolazione, lo strato o gli strati che si pensa possano contenere i., in modo che i fluidi eventualmente presenti possano liberamente fluire dal giacimento ed entrare nelle aste di perforazione, che sono state introdotte vuote nei pozzi.

Il tester, insieme delle apparecchiature adoperate per eseguire le prove di strato, comprende: 1° un registratore di pressione R (fig. 3); 2° un tubo perforato F attraverso il quale i fluidi della formazione in esame entrano nelle aste di perforazione; 3° un manicotto P, di grossi anelli di gomma, packer, il quale compresso si deforma ed aderisce alle pareti del pozzo in modo da isolarne la parte sottostante; 4° una valvola equilibratrice U, by pass, che serve per mettere in comunicazione, attraverso il tester, la parte superiore del pozzo con quella inferiore rispetto al packer; questa valvola aperta negli spostamenti del tester, rimane chiusa durante le prove di strato; 5° due valvole di ritenuta A e B, la seconda detta anche valvola di chiusura, che rimangono aperte durante le prove e sono chiuse alla fine di queste per conservare nel tratto A B del tester, durante il suo sollevamento, un campione, non inquinato dal fango, dei fluidi sgorgati dalla formazione sottoposta ad esame; 6° un registratore R′ utilizzato per conoscere la pressione nelle aste e per controllare, con il confronto dei diagrammi forniti da R, il regolare andamento delle varie operazioni; 7° un orificio tarato O per controllare la portata dei fluidi e per evitare, nella fase iniziale della prova, una variazione di pressione troppo brusca che potrebbe provocare franamenti nel pozzo in corrispondenza della formazione; 8° una valvola di apertura V, chiusa quando il tester è introdotto nel pozzo ed aperta non appena il packer è ben sistemato contro le pareti. Siccome le valvole A e B sono aperte e la valvola V è chiusa, al monento dell'apertura della valvola V si stabilisce, attraverso le aste di perforazione, il diretto contatto degli strati in esame con l'atmosfera esterna ed i fluidi, se presenti, possono sgorgare entro il tester; 9° una valvola C per circolazione inversa che crea una comunicazione fra l'interno e l'esterno delle aste, sopra la valvola di chiusura B, alla fine della prova, ossia quando il portacampione A B è chiuso ed il packer è distaccato dalle pareti del pozzo. Si realizza in tal modo una circolazione inversa del fango che scende nello spazio anulare fra le aste e le pareti del foro e risale nelle aste stesse spingendo a giorno i fluidi L (fig. 3-III) sgorgati dalla formazione e accumulatisi nelle aste. Si evita così di fare risalire le aste piene di idrocarburi liquidi che si disperderebbero sul piano di manovra del derrick, all'atto dello svitamento, con conseguenti disagi ed eventuali pericoli.

Nella fig. 3, in I è schematizzata la situazione del tester durante la discesa, le valvole U, A e B sono aperte, le valvole V e C chiuse, il packer ritratto; in II è invece schematizzata la situazione durante la prova di strato: le valvole A, B e V sono aperte, quelle U e C chiuse, il packer P è aderente alle pareti; infine in III è riprodotta la situazione durante la risalita del tester. Le valvole U, V e C sono aperte, quelle A e B chiuse, il packer è ritratto.

Accertato, in base al carotaggio e con misurazioni elettriche, lo spessore della formazione N (fig. 3 -II) da esaminare, si monta nel tester il tubo forato F di lunghezza tale che non appena il packer ha raggiunto il punto preciso in cui deve fare presa contro le pareti del foro, a tetto della formazione da esaminare, l'estremità inferiore del tubo F posi in E sul fondo del foro. In tal modo riesce facile ottenere il rigonfiamento degli anelli di gomma del packer. Quando il tubo F non posa sul fondo, si adoperano ancoraggi a cunei che impediscono la discesa del tester oltre il punto prestabilito e consentono in tal modo lo schiacciamento e il rigonfiamento delle guarnizioni di gomma del packer.

Le valvole contenute nel tester sono manovrate dall'esterno in varî modi ed essenzialmente con spostamenti verticali della colonna di aste, o con rotazione della stessa colonna, oppure con movimenti combinati di rotazione e traslazione od anche con il lancio, entro le aste, di barre pesanti che vanno a colpire le valvole, come è il caso della valvola V. Le manovre provocate da un movimento di rotazione sono assai delicate nei pozzi profondi e non verticali, perché resta spesso il dubbio se il movimento è stato trasmesso fino alla base delle aste. Le valvole dei tester moderni sono comandate dalla superficie con semplici traslazioni verticali delle aste oppure con dispositivi idraulici che assicurano la posa del packer nel punto scelto, l'apertura e la chiusura delle valvole nell'ordine prestabilito.

La durata normale di una prova di strato è compresa fra 8 e 12 ore: il tempo occorrente alla pressione di fondo per stabilizzarsi. Con durate superiori, il packer potrebbe rimanere bloccato contro le pareti, per deposito di detriti, fango od altro sopra di esso, con conseguente perdita dell'apparecchiatura.

Se la pressione negli strati soggetti a prova è tale da provocare un'eruzione di fluidi fino a giorno, è sufficiente misurare la portata per un tempo anche breve. Quando, al momento dell'apertura della valvola V, non si ottiene nessuna fuoriuscita di fluidi, può darsi che i pori della formazione siano ostruiti dal fango. In questo caso lasciando agire la pressione della formazione per qualche ora, senza la contropressione del fango nel pozzo, non di rado si ottiene uno spurgo dei pori ad opera della pressione di strato e conseguente fuoriuscita dei fluidi.

Indice di produttività. - La portata Q di un pozzo varia proporzionalmente alla differenza fra la pressione statica PG del giacimento e la pressione PF al fondo del pozzo in regime stabilizzato, purché le condizioni tecniche nel pozzo stesso non variino:

Il fattore di proporzionalità i è detto indice di produttività; esso è sempre costante per un determinato pozzo, fino a quando dette condizioni non subiscano variazioni.

Dalla [1], equazione di una retta, conoscendo una sola portata e la relativa differenza di pressioni, si può tracciare, in un diagramma, la linea del coefficiente di produttività, che passa per lo zero. Nella pratica si procede generalmente alla determinazione di almeno 3 punti di detta linea, per avere una maggiore precisione sul suo andamento; dal diagramma si ottiene immediatamente la portata conoscendo la differenza di pressione PG-PF. La pressione statica del giacimento, ottenuta chiudendo il pozzo, e la pressione di erogazione si misurano con un manometro registratore introdotto al fondo.

Durante il periodo produttivo di un pozzo è necessario controllare le sue condizioni di erogazione e confrontarle con quelle iniziali. Qualora si noti una diminuzione dell'indice di produttività si devono ricercare le cause e, per quanto possibile, eliminarle. Esse possono essere: variazione della natura dei fluidi erogati; riempimento del pozzo; presenza d'acqua al fondo; caduta della pressione statica; incidenti meccanici nell'attrezzatura del pozzo.

In giacimenti non omogenei (calcari fessurati) un'erogazione praticamente costante si ottiene spesso dopo lunghi periodi, anche di varie settimane; è necessario quindi, più che mai in questi casi, essere ben certí che le condizioni del pozzo (portata-pressione) siano stabilizzate per evitare grossolani errori derivanti dall'utilizzazione di misure relative a movimenti transitorî di fluidi anziché a movimenti permanenti.

Dispositivi di sicurezza per prevenire eruzioni. - Nella perforazione dei pozzi di ricerca e coltivazione di i., è necessario montare alla superficie opportune apparecchiature per impedire improvvise eruzioni di fluidi in pressione, sempre disastrose e spesso pericolose. Quando si inizia una perforazione, si introduce nel terreno un tubo di guida, lungo pochi metri, di diametro tale da consentire la successiva introduzione di varie colonne di tubi concentrici, tanto più numerosi quanto maggiore è la profondità e quanto più franosi sono i terreni attraversati. Il tubo di guida 17 (fig. 4), che deve essere orientato con molta cura nel senso della verticale, è cementato entro uno scavo praticato a mano ed è annegato entro un blocco di cemento 13.

Il tubo è saldato ad un robusto manicotto 11, svasato in alto e terminante con una flangia 10; nervature 18 lo collegano ad una piastra di appoggio 19 fissata al blocco di calcestruzzo 13. Al manicotto 11, con l'interposizione di cunei, è fissata la tubazione di superficie 16, introdotta nel pozzo e cementata per isolare le acque freatiche. Sulla flangia 10 è bullonato il secondo manicotto a doppia flangia 7 (spool), svasato internamente verso l'alto ed al quale è appesa, con interposizione di cunei 8, la terza tubazione 15 detta casing. Alla flangia 6 è bullonato il terzo manicotto 4 a doppia flangia ed a parete interna cilindrica: in 5 e in 9 sono indicati due anelli di invito per facilitare l'introduzione delle tubazioni, dello scalpello e per evitare danni, durante queste manovre, agli attacchi delle tubazioni sottostanti. Ogni manicotto ha raccordi per l'applicazione di manometri per misurare la pressione alla testa del pozzo (fori 2 e 3) o nell'intercapedine di due tubazioni concentriche. A questi raccordi si possono anche avvitare tubazioni L (fig. 5) per spurgare ad intervalli l'intercapedine fra due colonne di tubi o introdurre fango durante le manovre nel caso che le aste siano estratte dal pozzo ed una eruzione abbia costretto a chiudere le sovrastanti apparecchiature di sicurezza.

I prevenitori sono bullonati alla flangia 1 del manicotto 4 (fig. 4). Essi possono essere a chiusura totale, con due ganasce che realizzano la strozzatura completa del pozzo, quando i varî utensili e le aste sono state estratte; oppure a chiusura parziale, e si utilizzano se le aste sono entro il pozzo. In questo caso le due ganasce sono sagomate secondo un semicerchio di diametro uguale al diametro esterno delle aste. Le ganasce avvicinandosi assicurano una completa ermeticità anche attorno ad utensili varî di forma cilindrica. Alcuni prevenitori hanno i due dispositivi di sicurezza sovrapposti, come quello della fig. 4. Tutte le ganasce hanno anima metallica e guarnizioni fatte di gomma sintetica che è inattaccabile da parte degli idrocarburi. La pressione di servizio dei prevenitori varia da 140 a 500 e più atmosfere.

Il prevenitore, metà in vista e metà in sezione della fig. 4, ha due coppie di ganasce. La coppia superiore, di cui si vede sezionata la ganascia A, fa tenuta contro le aste o altri corpi cilindrici. Con la coppia inferiore, di cui si nota la ganascia B, si può ottenere la chiusura totale del pozzo se la bocca è libera. Le docce di lamiera R e R1 servono a riconvogliare nel pozzo sabbia od altri corpi eruttati con i fluidi e arrestati dalle ganasce. Queste sono solidali con stantuffi, S ed S1 che scorrono entro i cilindri, C e C1, nei quali arriva, con comando a distanza, un fluido in pressione ai lati opposti degli stantuffi, secondo la manovra che si desidera effettuare. Nella situazione rappresentata nella fig. 4, lo stantuffo S è in fondo corsa verso sinistra e la ganascia A aderisce all'asta E; la ganascia gemella di A contenuta in M, nella parte sinistra dell'apparecchio, si trova naturalmente nella stessa posizione di A. Lo stantuffo S1 è invece rappresentato in fondo corsa a destra. cioè la ganascia B lascia libero il foro; in identica posizione si trova la ganascia contenuta in N. La manovra delle ganasce può essere fatta a mano, agendo sui vitoni X ed Y.

Durante la ricerca di i., può accadere che, nonostante l'impiego di fanghi di elevata densità, non si riesca a vincere la pressione dei fluidi contenuti negli strati attraversati. Ciò avviene, ad esempio, se detti strati si trovano a debole profondità oppure se ad essi fanno seguito zone a perdita totale di circolazione. In questi casi è necessario montare alla bocca del pozzo, oltre ai prevenitori, un'apparecchiatura che consenta la rotazione dello scalpello e le varie manovre di perforazione a pozzo chiuso.

Il dispositivo montato sopra il prevenitore, della fig. 4, serve appunto per ottenere la chiusura ermetica del pozzo quando l'asta motrice T dello scalpello è introdotta nel pozzo ed è in movimento. La parte G sta ferma e la parte D ruota insieme alle aste. In V è indicato un dispositivo di trascinamento, con cunei di serraggio, che rendono solidale l'asta T alla bussola D; F e F1 sono due cuscinetti a rulli. La tenuta contro l'asta motrice si ottiene con una speciale guarnizione a sacco L di gomma sintetica, entro la quale sono incorporate barrette metalliche sagomate, che conferiscono all'insieme una particolare resistenza. La guarnizione L è tenuta bene aderente all'asta motrice dalla pressione che regna nel pozzo. Le guarnizioni Z assicurano la tenuta fra la parte mobile D e la parte fissa G. Durante le manovre per l'estrazione o l'introduzione degli spezzoni di aste, l'asta motrice deve essere tolta e per impedire che la pressione di strato possa mettere il pozzo in eruzione attraverso le aste, è necessario avere una valvola di non ritorno in fondo alle aste stesse, in vicinanza dello scalpello. Nella condotta di ritorno del fango si deve inoltre bullonare alla flangia Q una saracinesca di grande diametro che si chiude durante le manovre. Chiusa questa saracinesca e serrate le mascelle A del sottostante prevenitore contro la prima asta, si toglie la pressione in P aprendo apposita valvola I; in tal modo la guarnizione L si allenta ed è possibile estrarre e svitare l'asta motrice. Tolta questa, con elevatore speciale, attaccato alla fune di manovra, si solleva la colonna di aste fino a quando un giunto viene ad urtare contro le ganasce A. Chiusa la valvola I si allentano le ganasce A in modo da fare passare il giunto. Si apre I, si svita l'asta e così di seguito.

Cementazioni. - Introdotta una colonna di tubi in un pozzo, è necessario procedere alla cementazione della colonna per ancorarla al terreno e per isolare la formazione utile da strati assorbenti o contenenti altri fluidi. La fig. 5 è uno schizzo dimostrativo, non in scala, della sezione di un pozzo in perforazione per la ricerca di idrocarburi.

Oltre il tubo di guida G, cementato nell'avanpozzo scavato a mano, si suppone che siano state cementate: la colonna di superficie M e due colonne tecniche, la N e la Q, introdotte nel pozzo quando, per la natura rigonfiante o franosa dei terreni attraversati, non è più possibile avanzare con il foro scoperto. Nelle condizioni della fig. 5 il pozzo è in approfondimento, con il tratto X Y scoperto. La cementazione alle spalle delle colonne M ed N è stata fatta risalire fino alla superficie, mentre la cementazione della colonna tecnica Q è stata arrestata alla profondità O, con una sovrapposizione di qualche diecina di metri, nel tratto O D, alla cementazione precedente. Ciò allo scopo di permettere il taglio ed il recupero della tubazione tecnica fino al livello O, se il pozzo si deve abbandonare perché sterile o perché esaurito.

Per quanto riguarda la sistemazione esterna della colonna Q, è da tenere presente che durante la messa in opera del cemento, tutto il peso della colonna è trattenuto da uno speciale morsetto collocato alla bocca del pozzo chiamato strettoio o cravatta. Per effetto di tale peso la tubazione si allunga e l'allungamento cresce per il calore che si sviluppa durante la presa del cemento. Quando questa è ultimata, la tubazione in superficie si trova in tensione, come se sostenesse ancora il peso di tutta la tubazione introdotta nel pozzo. Se per una causa qualunque, quale ad esempio l'espansione di gas contenuto in un giacimento ad alta pressione, si produce un forte abbassamento di temperatura, può aversi una contrazione del metallo tale da riuscire fatale alla colonna fissata al fondo entro il cemento ed in superficie stretta dalla cravatta. In queste condizioni qualche giunto può cedere, l'interno del pozzo può essere messo in comunicazione con i terreni attraversati, e può verificarsi fuoriuscita di fluidi in pressione. Questi possono risalire fino alla superficie passando alle spalle delle tubazioni cementate oppure possono essere assorbiti da strati superiori porosi (sabbie) con gravi perdite e alterazioni che influenzano vaste zone circostanti e sono l'origine di gravi disastri.

È dunque necessario, appena il cemento ha fatto presa e prima di mettere in posto le inflangiature I, togliere la tensione alla colonna, senza produrre una compressione in O, per evitare flessioni, dovute a carico di punta, anch'esse pericolose. Si deve fare in modo che nel punto O non vi sia né tensione, né compressione, come se il tratto di colonna non cementata pendesse liberamente nel pozzo.

Nella fig. 5 in S ed in T sono schematicamente rappresentati due prevenitori, manovrabili a distanza con fluidi in pressione o a mano con i volantini V. Quello superiore S, aperto in figura, ha le ganasce sagomate per chiudere il pozzo in presenza delle aste di perforazione e l'inferiore T, chiuso in figura, ostruisce completamente il pozzo se la bocca è sgombra. F è il tubo di ritorno del fango di circolazione; questo entra nel pozzo dalle aste (non segnate nella fig. 5) e risale nell'intercapedine fra le aste stesse e le pareti del foro scoperto o delle tubazioni già cementate. In L sono indicate due tubazioni laterali con relative saracinesche, utilizzate per introdurre fango quando mancano le aste o queste non sono collegate con la testa di iniezione e quindi con le pompe. Se si temono eruzioni di fluidi in pressione, durante le manovre per l'estrazione delle aste, per cambiare lo scalpello od altro, è prudente aggiungere, attraverso le tubazioni L, un volume di fango uguale a quello di ogni spezzone di aste estratto, in modo da mantenere il pozzo sempre pieno di fango, per non diminuire la pressione al fondo. Nella fig. 5 in P è indicato il piano di manovra del derrick ed in R l'ingombro della tavola rotary.

Quando sotto la protezione dei terreni di copertura impermeabili da A a B esiste un giacimento di idrocarburi in pressione nello strato C, sotto la scarpa X della colonna Q, si introduce un'altra colonna e appena raggiunto il giacimento si cementa fino al tetto dello strato C, oppure al letto, secondo la natura delle rocce contenenti gli idrocarburi.

Per ottenere una buona cementazione è necessario che: il pozzo abbia un diametro per quanto possibile uniforme e abbia piccoli angoli di deviazione; la tubazione da cementare sia bene centrata nel pozzo; le operazioni di cementazione abbiano termine prima dell'inizio della presa del cemento; questo non si mescoli con il fango di circolazione e la sua introduzione cessi al momento opportuno. È inoltre necessario che il volume del cemento immesso corrisponda esattamente al volume degli spazî da colmare e che venga previamente distrutto l'intonaco depositato dal fango sulle pareti del pozzo; ciò si può ottenere con lavaggi o con speciali raschiatori delle pareti.

Eseguita quest'ultima operazione, introdotta e ben centrata nel foro la colonna, si iniziano subito le operazioni di cementazione propriamente dette. Per facilitarle si impiegano speciali teste di cementazione di cui la fig. 6 rappresenta un modello.

La testa T si avvita alla colonna L da cementare in modo che rimanga sopra al piano di manovra XY del derrick, mentre i prevenitori, se necessarî, si montano nella sotto-struttura, cioè sotto detto piano. In A ed in B sono indicati due tappi da cementazione, che possono essere di legno, con una massa metallica di appesantimento R, o con scheletro di alluminio come in M, con guarnizioni di cuoio o di gomma. Nel tappo inferiore B è fissata in N una membrana che si rompe quando il tappo arriva in fondo al pozzo, sull'apposito anello C (fig. 7) inserito nella tuba zion e.

All'inizio dell'operazione si introduce il tappo B (fig. 6) che galleggia sul fango e si avvita in Z la testa che contiene in A il tappo superiore, tenuto in posto dalla spina C. La valvola V è collegata in G alternativamente con le pompe a fango e con quelle che aspirano il latte di cemento dall'apposito condizionatore. All'inizio dell'operazione la valvola V si apre nella posizione 1 (v. particolare in fig. 6) ed è collegata con le pompe del cemento. Questo spinge davanti a sé il tappo B ed il fango sottostante che risale a giorno dall'intercapedine tra la tubazione da cementare e le pareti del pozzo. Quando tutto il quantitativo di cemento è introdotto nel pozzo, si svincola il tappo A, si collega la tubazione G con le pompe del fango e la valvola V si apre nella posizione 2. Il tappo A comincia a scendere (posizione A′) spingendo avanti a sé il cemento H e il tappo B. La fig. 6 rappresenta questo momento dell'operazione. Quando il tappo B arriva al fondo, sull'arresto C (fig. 7), si ha un aumento di pressione segnalato in superficie dal manometro delle pompe; la membrana N si rompe ed il cemento è spinto nell'intercapedine tra la tubazione e le pareti scoperte del foro. Il fango in questa fase di risalita è a diretto contatto con il latte di cemento, ma avendo quest'ultimo densità di 1,85 ÷ 1,95, cioè maggiore di quella del fango (densità 1,20 ÷ 1,40 quando si esegue una cementazione) i due fluidi non si mescolano perché il più leggero è sospinto verso l'alto dal più pesante.

Lo spostamento del latte di cemento ad opera di altro fango, che lo spinge verso il basso, con interposto tappo A, deve arrestarsi qualche metro prima di arrivare alla scarpa della tubazione da cementare, per essere sicuri che la cementazione di questa avvenga con cemento non inquinato. Per ottenere questo serve appunto il manicotto inserito nella tubazione al quale è applicato l'anello C (fig. 7) di cemento o di materie plastiche su cui si arresta il tappo inferiore e su questo il tappo superiore. Il volume della tubazione sotto l'anello C, va naturalmente aggiunto a quello dell'intercapedine da cementare per avere il volume totale del latte di cemento da introdurre nel pozzo.

La discesa del tappo A (fig. 6) è seguita all'esterno mediante lo svolgimento di una funicella U, di fibre artificiali inestensibili, arrotolata su di un arganello E, e introdotta nel premistoppa S. In F è indicato un contatore per misurare esattamente la lunghezza del cavetto svolto. A questo ultimo è appeso un piombo P, tenuto sempre a contatto con il tappo A.

Ultimata la cementazione la testa è chiusa utilizzando la valvola O; si monta sulla valvola D un manometro registratore. Durante la presa il cemento sviluppa calore e la pressione, all'interno della tubazione, aumenta in conseguenza per un certo tempo T. Trascorso un tempo pari a 1,5 T, si demolisce, con trapani speciali, l'anello C (fig. 7) e si perfora il cemento rimasto dentro la tubazione. L'approfondimento del pozzo può quindi riprendere.

Nella coltivazione dei giacimenti di i., si presenta non di rado il caso, come quello in O della fig. 8, di dover cementare una tubazione esattamente al tetto di un orizzonte produttivo che si vuole lasciare scoperto. In questi casi si effettua la cementazione con l'ausilio di uno speciale utensile, denominato ombrello, che viene intercalato nella tubazione.

L'ombrello è essenzialmente costituito da uno spezzone di tubo con feritoie, chiuso alla base da un diaframma D di materiale perforabile e provvisto esternamente di molle di acciaio a lamina, unite con un robusto telone impermeabile, rinforzato con petali di lamiera sottile. Molle, telone e petali rimangono aderenti alla tubazione quando questa è introdotta nel pozzo. Giunto l'ombrello nel punto in cui deve essere impostata la cementazione, si iniziano le operazioni già descritte. Il cemento, uscendo dalle feritoie, cade nell'ombrello e lo spinge contro le pareti del pozzo, realizzando una chiusura e una resistenza che siano sufficienti a fare risalire il cemento stesso alle spalle della tubazione. Quando la cementazione è stata ultimata, si perfora con apposito scalpello il diaframma dell'ombrello.

Completamento dei pozzi. - In un giacimento sufficientemente conosciuto a seguito di un adeguato numero di sondaggi esplorativi e di ricerca o per essere già in produzione, i lavori di completamento cominciano quando i pozzi giungono al tetto degli orizzonti produttivi. Tali lavori comprendono: l'attraversamento della formazione produttiva, la selezione dei varî orizzonti coltivabili separatamente, la eventuale applicazione di metodi atti ad aumentare la portata dei varî orizzonti (stimolazione) e la sistemazione a giorno definitiva con il montaggio delle attrezzature necessarie per la coltivazione.

I lavori di completamento di un pozzo devono essere disposti in modo da consentire la migliore comunicazione possibile fra i pori o le fessure della roccia magazzino e l'esterno, attraverso il foro di sonda.

Tale comunicazione è detta diretta se le pareti del foro che penetra nella formazione produttiva sono lasciate scoperte in modo che i fluidi sgorghino liberamente dai pori o dalle fessure. Con questo sistema, adottato quando la roccia magazzino è resistente (calcari, dolomie, ecc.), l'ultima colonna di rivestimento introdotta nel pozzo, chiamata colonna di produzione o più semplicemente casing (vedi C, fig. 8), si arresta in A, al tetto di un orizzonte F, dove è cementata. Per evitare comunque possibili franamenti, tra la base del casing (scarpa) ed il letto dell'orizzonte F si introduce nel foro un tubo perforato, L, denominato liner, che grovoca una lieve perdita di carico nel movimento dei fluidi. La comunicazione fra l'orizzonte produttivo e l'esterno è invece chiamata indiretta se, data la natura sabbiosa o comunque franosa della roccia contenente gli i., si ravvisa la necessità di attraversare con il casing la roccia magazzino cementando la scarpa S al letto della formazione (fig. 9). Successivamente, con utensili detti fucili, si perfora con speciali proiettili il casing e il retrostante cemento R. I fluidi, attraverso questi fori, raggiungono l'interno del pozzo e quindi la superficie.

Nei due casi (figg. 8 e 9) entro il casing C si introduce generalmente un tubo T (fig. 10) chiamato tubing, perforato nella parte inferiore. Nella fase produttiva, dato il minor diametro del tubing, rispetto al casing, la velocità di uscita dei fluidi dal tubing è maggiore rispetto a quella che si avrebbe nel casing e quindi è facilitato il trascinamento del petrolio ad opera del gas. Il tubing è necessario per una rapida regolazione del rapporto gaspetrolio nei pozzi che erogano contemporaneamente i. in fase liquida e gassosa. Il tubing ha inoltre la funzione di facilitare i lavori di sistemazione di un pozzo, per il fatto che esso consente un'energica circolazione dei fluidi, indispensabile per pulire il fondo del pozzo dai detriti che eventualmente lo possono aver ingombrato.

Controllo delle sabbie. - Quando un pozzo è stato completato come schematizzato nella fig. 8, se la roccia impregnata di i. è costituita da sabbia cementata, non si hanno inconvenienti, ma se la sabbia è sciolta, i fluidi che affluiscono verso il pozzo possono trascinarla verso la superficie. Il fenomeno del trascinamento della sabbia provoca non pochi inconvenienti, quali la tendenza delle pareti a franare e conseguenti accumuli di sabbia al fondo, con pericolo di creare ostacoli al passaggio dei fluidi. Il trascinamento di sabbia verso la superficie provoca poi, oltre che una forte usura di tutte le apparecchiature metalliche, anche franamenti interni della roccia magazzino e del tetto, con formazione di caverne che possono provocare sensibili dislocazioni attorno al pozzo, con la deprecabile conseguenza di rotture di cementazioni, dispersione di i. gassosi verso strati superiori porosi e quindi, in ultima analisi, gravi danni.

Inoltre il trascinamento di sabbia rende necessarie frequenti pulizie del pozzo, e perciò interruzioni della produzione. Si ricorre allora al montaggio, fra la formazione sabbiosa e l'interno del pozzo, di un filtro che lasci passare petrolio e gas ma non la sabbia, oppure si può consolidare quest'ultima con iniezioni di materie plastiche, le quali costituiscono un vero e proprio legante per i grani di sabbia.

Le resine impiegate in questi casi devono mantenere un certo grado di permeabilità, contrariamente a quelle adoperate nelle cementazioni. Sono impiegate resine a forte contrazione con l'aumento della temperatura e la cui polimerizzazione è parziale. La diminuzione della permeabilità delle sabbie, dopo il trattamento con tali resine, è dell'ordine del 15 ÷ 20%; ciò non porta gravi inconvenienti nella produzione dei pozzi se non quello di mantenere più alto lo scarto fra la pressione del giacimento e quella che regna al fondo del pozzo.

I filtri moderni, per evitare l'ingresso della sabbia nel tubing, sono costituiti da un liner L (fig. 8) ancorato alla base del casing C, con interposizione di un packer P per chiudere in modo ermetico l'intercapedine casing-liner, in modo da obbligare i fluidi a passare per il liner, provvisto di feritoie longitudinali convenientemente dimensionate, sulle quali la sabbia si addensa senza impedire l'afflusso degli idrocarburi.

La formazione di questi filtri può essere agevolata mettendo in posto, attorno ad un liner finestrato, ghiaietta mescolata al fango di circolazione e pompata in fondo al pozzo per farla entrare, per quanto possibile, dentro la formazione sabbiosa. È necessario montare un packer particolarmente robusto (packer da cementazione) fra il tubing e il casing, al tetto della formazione: l'operazione si arresta quando la pressione raggiunge limiti pericolosi per gli impianti.

Coltivazione successiva di più orizzonti con uno stesso pozzo. - Le procedure adottate variano secondo che la comunicazione fra il pozzo e gli strati mineralizzati è diretta o indiretta.

Nel primo caso, rappresentato nella fig. 8, la cementazione si interrompe in corrispondenza dei varî orizzonti di fronte ai quali sono inseriti, nel casing, tratti di tubazione fabbricata con materiali facilmente disgregabili, con mezzi meccanici o chimici. È il caso del tratto ab di fronte all'orizzonte B. Ultimato lo sfruttamento dell'orizzonte più profondo F, lo si isola dal pozzo con iniezioni di cemento o con la costruzione di un tappo. Si distrugge quindi il tratto di casing a-b, si mette a posto il liner, si regola l'altezza del tubing e si inizia lo sfruttamento dell'orizzonte B. Esaurito quest'ultimo si procederebbe in modo analogo in eventuali orizzonti superiori.

Il caso di comunicazione indiretta è illustrato nella fig. 9. Si suppone in questa figura che dopo avere cementato in E l'ultima colonna tecnica si siano attraversati tre orizzonti produttivi C, B ed A. Introdotta la colonna di produzione F (casing) la si è cementata fino in X, a qualche diecina di metri sopra la scarpa di E. Si comincia quindi a coltivare l'orizzonte più profondo, perforando il casing in corrispondenza di A. Quando questo orizzonte è esaurito lo si chiude con iniezioni di cemento, oppure si costruisce entro il casing un tappo T. Escluso l'orizzonte A, si perfora il casing in corrispondenza di B e lo si mette in produzione. Esaurito B si procede in modo analogo per l'orizzonte C e per eventuali altri orizzonti superiori. Nelle figg. 8 e 9 non è indicato, per semplicità, il tubing che si introduce, in ogni caso, arrestandolo all'altezza dell'orizzonte in coltivazione.

Limitazioni nell'estrazione del gas. - Se il petrolio è associato a gas libero, questo si raccoglie nella parte alta del giacimento (gas cap). In tali condizioni un'estrazione troppo intensa di gas, in rapporto al petrolio, può occasionare danni gravi, perché gli i. liquidi, privati della pressione dovuta ai gas, non salgono più spontanemente alla superficie ma devono essere pompati. Diminuisce con ciò il potenziale produttivo del pozzo e può anche diminuire la percentuale di ricupero degli i. esistenti nel giacimento. Pertanto, dopo avere determinato, con la maggiore possibile esattezza, lo spessore del gas cap, individuata cioè la zona di passaggio AB (fig. 10) fra il gas G ed il petrolio P, è necessario lasciare una fascia h di alcuni metri di spessore fra il gas cap e la zona di altezza P1 di emungimento del petrolio. La coltivazione provoca la sostituzione del gas al petrolio, con espansione del gas cap e conseguente abbassamento della zona di contatto AB fra le due fasi.

Il gas comincia a manifestarsi nel pozzo quando la base del gas cap raggiunge in CD le perforazioni praticate nel casing e nel cemento retrostante. A questo momento, per escludere o diminuire l'afflusso del gas, si può collocare un anello di gomma a tenuta R (packer), che consente al petrolio di salire a giorno attraverso il tubing T, forato sotto al packer, ed al gas di entrare nell'intercapedine I. In tal modo si regola in superficie l'afflusso del gas manovrando le valvole applicate alla bocca del pozzo, in corrispondenza dell'intercapedine casing-tubing, mentre l'afflusso del petrolio è regolato con le valvole applicate al tubing. Si ha così la possibilità di variare facilmente il rapporto fra gas e petrolio estratti. Il collocamento del packer è agevole se il foro è rivestito come nella fig. 10; difficoltà possono sorgere se il foro entro la formazione è scoperto. In questo caso si può ricorrere ad iniezioni di cemento o di materie plastiche nel tratto di formazione invasa dal gas, per consolidare le pareti nel punto di impostazione del packer. Quando il gas comincia a manifestarsi al livello E F, il packer si sposta da R in R

Stimolazione dei giacimenti. - Dopo avere completata la sistemazione interna di un pozzo e le prove di strato, può rendersi necessario, o per lo meno opportuno, cercare di migliorare la erogazione del pozzo prima di metterlo definitivamente in produzione. Le operazioni intese ad ottenere tale miglioramento si possono classificare in due gruppi: 1) Operazioni a limitato raggio d'azione, intese a pulire il pozzo ed eliminare le colmatazioni dell'orizzonte produttivo, provocate dal fango di circolazione, in modo da ripristinare nella roccia-magazzino la permeabilità naturale. Queste operazioni consistono essenzialmente in: a) raschiatura meccanica delle pareti nel tratto di pozzo che attraversa detto orizzonte; b) sparo di cartucce a palla o a granaglia di acciaio, nella roccia-magazzino, se questa è scoperta, e riperforazione, con gli appositi fucili se è rivestita con il casing; c) iniezioni di agenti tensio-attivi, quale ad esempio l'acido sulfonico della serie aromatica, i quali hanno la proprietà di diminuire la tensione superficiale dei fluidi, presenti nella roccia-magazzino, facilitandone quindi l'aflusso nel pozzo; d) lavaggio con getti d'acido cloridrico in soluzioni al 5÷15%.

2) Operazioni a largo raggio i cui effetti si possono riscontrare anche a qualche diecina di metri dal pozzo. Queste operazioni, oltre lo scopo di lavare e raschiare le pareti della roccia-magazzino, hanno anche quello di modificarne la permeabilità fino alla maggiore distanza possibile dal pozzo, in modo da migliorare il deflusso dei fluidi, creando fratturazioni nelle rocce compatte, allargando i passaggi nelle rocce porose, tanto da rendere produttivi orizzonti che non lo erano o lo erano molto debolmente. A tale scopo si impiegano: a) esplosivi; se la formazione non è tubata si usano generalmente dinamiti ordinarie o dinamiti gomme nella misura di 15÷20 kg per ogni metro di spessore della roccia-magazzino; gli esplosivi sono contenuti in torpedini fatte esplodere elettricamente dall'esterno; b) acidi, generalmente cloridrico, a più riprese, con aggiunta di agenti anti-emulsionanti per evitare la formazione di emulsioni di petrolio con l'acido, aventi elevata viscosità che disturbano i movimenti degli altri fluidi; c) fratturazioni idrauliche, a mezzo di iniezione (con pompe) nella formazione, di liquidi ad alta viscosità, per creare le condizioni necessarie ad ottenere la pressione di fratturazione, la quale crea una nuova rete di fratture o allarga quelle esistenti.

Sistemazione esterna dei pozzi. - La sistemazione esterna segue quella interna e si inizia con lo smontaggio degli apparecchi di sicurezza (prevenitori) che hanno consentito di ultimare il lavoro dì perforazione anche con elevate pressioni. Prima, però, è necessario accertare che le condizioni del pozzo, ed in particolare la densità del fango, siano tali da consentire di lasciare aperta la bocca del pozzo per il tempo necessario a smontare detti apparecchi e montare sulla flangia I (fig. 11) la valvola maestra E. Montata e chiusa questa valvola, gli altri lavori di montaggio e sistemazione possono continuare in tutta sicurezza.

La situazione tecnica nell'esempio, molto semplice, riportato nella fig. 11 è la seguente. Nel pozzo, oltre il tubo di guida non rappresentato in figura, sono stati introdotti: una colonna di superficie S, un casing C, un tubing di produzione T che termina con un liner finestrato L. Il casing cementato in Z è stato perforato nel tratto in cui attraversa il giacimento di i. G. Il packer P assicura la chiusura ermetica dell'intercapedine casing-tubing, in modo che i fluidi siano obbligati a passare per il tubing e attraverso l'orificio tarato O, posto al fondo per una prima regolazione del deflusso, se la pressione del giacimento è sufficiente, raggiungano in superficle la testa di eruzione (albero di Natale), la quale termina, in alto, con un raccordo a T, montato sopra la valvola maestra E. Sul braccio orizzontale del T è montata la valvola di manovra H a valle della quale si trova il raccordo 21, con orificio tarato, per regolare l'erogazione del pozzo (v. fig. 12). La testa del tubing, fissata in 22, si raccorda con la flangia I e quindi con la valvola maestra E. La pressione che regna nella testa del tubing è indicata dal manometro 19. La testa del casing è invece fissata in 23 e termina entro la flangia 24 del doppio raccordo 25. Alla flangia 26 di quest'ultimo è assicurata la valvola di manovra 27 e a valle di questa il manometro 20 indica la pressione esistente nell'intercapedine casing-tubing e dà quindi la possibilità di accertare se qualche cosa di anormale si produce nel pozzo.

I fluidi all'uscita del raccordo 21, attraverso il tubo 28 entrano in un separatore-misuratore. La fig. 11 dà uno schema di uno di questi apparecchi. Dal tubo 28 i fluidi passano nel labirinto 14, composto di varî cilindri coassiali finestrati, in modo che per effetto dei varî cambiamenti di direzione i liquidi si separano dal gas. Questo, salendo, attraversa un altro labirinto B, raggiunge la parte alta del separatore ed esce dal tubo U, sul quale è montata una valvola di non ritorno 8, e prosegue verso i gasometri, per essere quindi avviato ai compressori ed ai gasdotti. Il petrolio e l'acqua cadono al fondo del cilindro 7 e si separano per gravità. La linea cd sta ad indicare il livello del petrolio in un dato momento e la linea ab la separazione fra petrolio ed acqua. Il petrolio, raggiunto il livello del tubo 9, come in figura, si scarica attraverso questo, il tubo 15 ed il raccordo R ed entra nel cilindro inferiore 6 del separatore. Un galleggiante D si innalza insieme al livello del petrolio. Quando questo galleggiante ha raggiunto la posizione D′, un dispositivo automatico 3 chiude la valvola 1 ed apre la valvola 2, in modo che il petrolio si scarica attraverso 10 e prosegue verso i serbatoi di deposito, per il successivo inoltro alle raffinerie. Il galleggiante ridiscende; ritornato nella posizione D l'automatico 3 chiude la valvola 2 ed apre la 1; il ciclo ricomincia. Un contatore 12 registra il numero di aperture della valvola 2 e contemporaneamente i litri di petrolio usciti dal misuratore corrispondenti, per ogni apertura, all'altezza Q nel cilindro, con l'indicazione del tempo a cui si riferiscono i varî quantitativi prodotti. L'acqua trascinata dagli idrocarburi si accumula al fondo del cilindro 7; un galleggiante F e un dispositivo automatico 4, che comanda la valvola 5, provvedono allo scarico verso A. Un contatore è facilmente inseribile sul circuito dell'automatico 4 per misurare eventualmente anche l'acqua che esce dal pozzo.

Tre livelli M, N e 17, con tubi di vetro all'esterno, consentono di seguire la marcia dell'apparecchio. Il gas disciolto che eventualmente si sprigiona dal petrolio nel cilindro 7, attraverso il tubo 13 raggiunge la parte alta dell'apparecchio e si unisce alla corrente gassosa che proviene direttamente dal pozzo. Il manometro 18 indica la pressione che regna nel cilindro 7, mantenuta costante, e di poco superiore a quella atmosferica, a mezzo valvole automatiche a diaframma inserite nella tubazione 29 a valle della valvola 8.

Il raccordo a 90° montato in 21 è rappresentato in sezione nella fig. 12. La corrente fluida che arriva da A passa nell'orificio tarato C, praticato al centro del cilindretto B; per variare la contropressione al fondo del pozzo si cambiano i cilindretti B a cui corrispondono differenti valori degli orifici tarati. In analoghe apparecchiature la regolazione della pressione è ottenuta con rubinetto a spillo S (fig. 13) comandato con il volantino V. Lo spillo si sposta entro un tubo di Venturi T, e la sua posizione è indicata da un indice che si sposta di fronte ad una scala graduata G; F è una vite di bloccaggio dello spillo ed E una vite di fermo dei tubi di Venturi ricambiabili.

Inizio della fase produttiva. - Tutte le apparecchiature sopra descritte sono montate alla bocca dei pozzi aperti in giacimenti di i. ad alta pressione. Quanto detto vale anche se la pressione è moderata, salvo le dimensioni e alcune caratteristiche costruttive delle varie apparecchiature. Ultimata la sistemazione all'interno ed all'esterno di un pozzo, si passa alla fase produttiva, facendo sgorgare gli i., trattenuti nel pozzo dal peso della colonna di fango. Per iniziare la produzione si può sostituire il fango con un fluido più leggero, oppure si può diminuire l'altezza della colonna di fango. Un preliminare lavaggio con acido, per eliminare l'intonaco formato dal fango sulle pareti del pozzo, facilita la messa in produzione. Per alleggerire il fango si può impiegare acqua o petrolio grezzo o gasolio. Per abbassarne il livello si adopera uno stantuffo di espulsione con valvola di ritenuta che si apre dal basso verso l'alto. Il pistonamento è meno consigliabile dell'alleggerimento del fango, perché l'eruzione del pozzo può manifestarsi improvvisamente. Quando in un modo o nell'altro si è diminuita la contropressione che agisce sul giacimento, al punto che non si riesce più a contrastare la pressione di strato, questa espelle il fango residuo, e gli i. risalgono spontaneamente a giorno. Ha cosi inizio il periodo produttivo di un pozzo.

Estrazione di petrolio con pompe. - Fino a quando la pressione originata dalla colonna fluida presente in un pozzo è inferiore alla pressione del giacimento, questa espelle gli i. senza apporto di energia esterna. Con l'abbassamento della pressione nel giacimento la fase eruttiva cessa ed è allora necessario ricorrere ad una sorgente esterna di energia per sollevare il petrolio. Sono generalmente impiegate pompe (v. anche pompe, in questa App.) introdotte entro il casing ed avvitate ad un tubing di produzione. Queste pompe possono essere a stantuffo, mosso o da aste rigide fissate alla bocca del pozzo ad un bilanciere, oppure da un fluido in pressione convogliato dall'esterno fino in fondo al pozzo. Le pompe possono anche essere centrifughe azionate da un motore elettrico. Queste ultime sono adatte per pozzi profondi, per forti portate e pozzi deviati.

Le pompe mosse da un fluido in pressione, adatte per pozzi profondi, sono essenzialmente composte di due stantuffi montati sullo stesso asse, che si spostano verticalmente in due distinti cilindri sovrapposti. Lo stantuffo superiore mette in moto quello della pompa sistemato nella parte inferiore dell'involucro. Il fluido in pressione (petrolio grezzo) è canalizzato dalla superficie fino alla pompa a mezzo di un tubing di 1″1/4 montato parallelamente al tubing di produzi0ne, alla cui estremità inferiore è avvitata la pompa.

La fig. 14 rappresenta la sezione di una pompa a stantuffo azionata con aste rigide fissate ad un bilanciere, montato alla bocca del pozzo e che trasforma il moto rotatorio, di un motore elettrico o diesel, in moto alternativo mediante un manovellismo. Il corpo di pompa P, avvitato al tubing d' produzione, è lungo 1,50 ÷ 3 m ed è provvisto alla base di una valvola di fondo V a sfera; lo stantuffo S è composto con 3 ÷ 4 coppelle di acciaio rivestite di cuoio. Nella parte superiore dello stantuffo è montata un'altra valvola R; le aste di pompamento A sono assicurate alla gabbia di questa valvola. Il funzionamento della pompa è intuitivo. Sotto la pompa è avvitato un dispositivo denominato gas anchor, che impedisce al gas che si libera dal petrolio di entrare nella pompa e disturbarne il funzionamento. Il gas anchor è essenzialmente costituito da un tubo finestrato G (fig. 14), chiuso alla base e concentrico con altro tubo B aperto alla base. Il gas entra in F col petrolio e mentre quest'ultimo è succhiato in 1 all'interno della pompa, il gas tende a salire, esce in 2 ed attraverso l'intercapedine casing-tubing perviene a giorno.

Qualunque sia il tipo di pompa adottato, la produzione è avviata, a giorno, ad un separatore per dividere il petrolio dall'acqua ed eventualmente dal gas presente.

Pozzi aperti in giacimenti di solo gas ad alta pressione. - La sistemazione esterna di un pozzo che produce soltanto gas ad alta pressione è schematizzata nella fig. 15.

Si suppone sia stato cementato il casing C al tetto dell'orizzonte inferiore Y, nel quale si è sistemato un liner L di uguale diametro del casing. È stato quindi introdotto il tubing T, forato in corrispondenza della formazione, al tetto della quale è stato sistemato il packer P. In corrispondenza dell'orizzonte superiore Z il casing è stato perforato per raccogliere nell'intercapedine casing-tubing il relativo gas. All'esterno, sulle inflangiature che sostengono il casing ed il tubing, vi sono due valvole maestre ed in prosecuzione del tubing è montata la croce di erogazione G. Nelle due derivazioni orizzontali di quest'ultima, a valle delle valvole di manovra V, si hanno due rubinetti a spillo H (v. fig. 13) per regolare l'erogazione del gas che sale nel tubing. Nelle derivazioni orizzontali montate a giorno, in corrispondenza dell'intercapedine casing-tubing, sono inserite due valvole di manovra N a cui fanno seguito i due rubinetti a spillo O per regolare l'erogazione del gas proveniente dall'orizzonte Z e che è smaltito attraverso il tubo B. Il gas che esce dal tubing e che trascina acqua e poco petrolio, entra nel separatore F al fondo del quale si raccolgono i liquidi, allontanati con appositi scaricatori automatici attraverso la tubazione M ed avviati ai decantatori per la successiva separazione del petrolio dall'acqua. Il gas esce dalla parte alta del separatore attraverso la tubazione U, nella quale è inserito un misuratore-registratore automatico I, per conoscere il regime di erogazione ad ogni istante e la complessiva portata ; R è una valvola di non ritorno. Il gas che esce dal tubo B passa in altro separatore non segnato in figura. La pressione dei fluidi è misurata con i manometri D ed E.

Gas-lift. - Quando in un orizzonte petrolifero il quantitativo di i. che sale spontaneamente a giorno (eruzione) è troppo modesto o manca completamente, si può aumentarlo utilizzando il metodo d'estrazione con gas-lift, il quale consiste nell'alleggerire il fluido che deve salire a giorno entro il tubing mescolandolo con gas introdotto a pressione nell'intercapedine casing-tubing.

Un impianto di gas-lift comprende essenzialmente: una centrale di compressione; una rete di distribuzione di gas compresso verso i pozzi; separatori di gas dal petrolio; rete di tubazioni per il ritorno del gas alla centrale di compressione. È consigliabile contenere la distanza, dalla centrale ai pozzi, al disotto di 1,5 ÷ 2 km. I compressori hanno capacità moderata (5 ÷ 20 m3 minuto di gas aspirato) per avere maggiore elasticità nell'impianto. Il gas è compresso a 10 ÷ 20 atm. Le quantità di gas variano da 100 a 400 m3 per m3 di petrolio estratto. Il rendimento energetico è dell'ordine del 5 ÷ 20% ed è quindi basso, però accettabile se si considera che è superiore a quello che si ottiene con il pompamento meccanico. Talvolta in prossimità dei pozzi si riscalda il gas; più alta è la temperatura del gas, maggiore è il volume e quindi più efficace è la sua azione di alleggerimento della colonna liquida nel tubing; con l'aumento della temperatura diminuisce inoltre la viscosità del petrolio. Per contro il riscaldamento del gas può avere l'inconveniente di provocare l'evaporazione dei termini più leggeri contenuti nel petrolio.

I pozzi sono provvisti di apparecchiature per regolare la pressione ed il volume del gas da iniettare; la regolazione può essere manuale o automatica. Fra i dispositivi automatici, alcuni assicurano una portata costante anche se la pressione varia; altri riducono automaticamente la pressione o il volume del gas se necessario. Generalmente si impiegano i dispositivi manuali se varia la pressione nella rete di distribuzione ed i dispositivi automatici se tale variazione avviene nei pozzi.

Per diminuire la pressione del gas iniettato al fondo del pozzo, necessaria per la messa in marcia di un gaslift, la quale pressione può ostacolare l'afflusso del petrolio, si possono collocare nel tubing, a qualche decina di metri una dall'altra, valvole ad apertura automatica, che mettono in comunicazione l'intercapedine casing-tubing, dove passa il gas compresso, con il tubing. Queste valvole si aprono se la pressione nel tubing è inferiore a quella che regna, allo stesso livello, in detta intercapedine, e permettono di introdurre gas nel tubing, non al fondo, ma a varî livelli. La prima valvola che si apre è la più alta; il gas entra nel tubing, rende la colonna fluida sovrastante più leggera e permette in tal modo alla valvola sottostante di aprirsi. Il gas alleggerisce allora la colonna liquida compresa fra la seconda valvola e la superficie e permette alla terza di aprirsi e così di seguito fino a che il gas entra alla base del tubing ed il dispositivo può cominciare a funzionare.

Produzione secondaria di idrocarburi. - La produzione primaria è ottenuta: con l'espansione dei fluidi compressi, con pompamento o con l'impiego del gas-lift. La produzione secondaria si consegue iniettando nei giacimenti altri fluidi che spingono quelli contenuti nelle rocce-magazzino verso la base dei pozzi, dalla quale possono risalire a giorno con espansione di fluidi, con pompamento o con l'impiego del gas-lift. Nella produzione primaria il petrolio può essere spostato dal giacimento verso i pozzi facendo agire l'espansione del gas cap o del gas disciolto (dissoult gas drive) o la pressione delle acque laterali contenute nello stesso orizzonte (water drive). Per ottenere una produzione secondaria si può iniettare gas o acqua; i relativi procedimenti prendono il nome di gas drive e water flooding.

Condizioni favorevoli per l'applicazione del gas drive sono: debole permeabilità verticale del giacimento, assenza di gas libero sopra il petrolio, uniformità nella porosità e nella permeabilità della roccia-magazzino e strutture poco inclinate. Generalmente è sufficiente predisporre un pozzo per iniettare gas ogni 4÷8 pozzi produttivi, distanti dal primo di 45÷90 m. I pozzi adibiti ad iniezione di gas devono avere il casing ben cementato per evitare dispersioni di gas. La pressione d'iniezione varia da 10 a 40 atmosfere secondo la permeabilità e la potenza delle rocce-magazzino.

Per applicare il water flooding si introduce con apposite pompe, negli orizzonti mineralizzati, acqua in pressione, la quale sposta gli i. in misura maggiore di quanto non si ottenga con il gas drive. Quando nei pozzi l'erogazione degli i. è superiore all'invasione naturale dell'acqua che ne prende il posto, la pressione nel giacimento declina. Per rallentare od impedire questo declino, si inietta acqua nei giacimenti. I pozzi di iniezione possono essere pozzi sterili o esauriti.

La fig. 16 dà uno schema di organizzazione di un cantiere in cui è applicato il water flooding in un giacimento pianeggiante che comprende 5 strati A, B, C, D, E di natura ed impregnazioni diverse. Nel pozzo X sono stati introdotti: una tubazione di superficie G, un casing U, arrestato a tetto della formazione attraversata completamente dal pozzo il quale si è addentrato 5 ÷ 10 m nelle rocce di letto. Ultimato il pozzo si allarga con esplosivo, in corrispondenza della formazione; si introduce il tubing L perforato nel tratto più basso e si cementa in O il casing per una lunghezza di 30 ÷ 80 m. Quando il cemento ha fatto presa, si ricupera generalmente il casing tagliandolo alla profondità Y. Il packer P impedisce all'acqua in pressione di disperdersi nelle rocce di tetto. All'esterno, sulla colonna di superficie G, si monta un'inflangiatura N, con derivazione 9 per captare gas eventualmente presente nel pozzo. Il tubing è raccordato con la tubazione M, proveniente dalle pompe; su questa tubazione sono montati: un filtro F per l'acqua ed un contatore-registratore V. Le pompe utilizzate per iniettare acqua (20 ÷ 30 m3 per m3 di petrolio ricuperato) sono generalmente a cilindri orizzontali a doppio effetto, azionate con motori a gas, diesel o elettrici. L'acqua iniettata spinge il petrolio verso adiacenti pozzi di produzione; uno di questi è rappresentato nella fig. 16. Con la pompa T, azionata con il bilanciere R, il petrolio è sollevato a giorno, esce da S ed è avviato al separatore. Il fronte dell'acqua immessa si sposta con velocità diversa da un punto ad un altro, anche nello stesso strato omogeneo. Tale velocità dipende: dalla permeabilità relativa ai fluidi presenti nei varî strati e dalla viscosità dei fluidi stessi. Nel caso della fig. 16, ad esempio, si suppone che negli strati acquiferi 5 e 2 l'avanzata del liquido immesso sia più progredita rispetto a quanto si verifica negli strati 1 e 4 che contengono idrocarburi liquidi. Nello strato intermedio 3, quasi impermeabile all'acqua, l'avanzata del liquido immesso è assai limitata.

La percentuale di ricupero degli i. in posto, applicando il water flooding, può ritenersi del 40÷80%; questo metodo trova favorevole applicazione se la permeabilità delle rocce-magazzino è elevata, la viscosità del petrolio è debole, i giacimenti sono regolari in quanto a natura e struttura, e la percentuale di idrocarburi in posto è piuttosto elevata.

Bibl.: G. Macovei, Les gisements de pétrole, Parigi 1938; L. C. Uren, Petroleum production engineering: Oil field development, New York, 1946; G. D. Hobson, Petroleum geology, Oxford 1954; M. Amico, Petrolio e gas naturale, Milano 1955; J. Flandrin, La géologie du pétrole, Institut Français du pétrole, Parigi 1955; J. E. Walstrom, Symposium sur les mesures effectuées dans les forages, Institut Français du pétrole, Parigi 1955; L. Gerbella, Arte mineraria, Milano 1956-60; A. Houpeurt, Cours de production, Institut Français du pétrole, Parigi 1956-1959; M. Leca, Cours de forage, ivi 1955-56.

Diritto.

Tutti i paesi petroliferi hanno una propria legislazione, la quale stabilisce il regime giuridico del sottosuolo e i requisiti per ottenere la concessione, l'estensione della concessione e le royalties (quotadella produzione lorda) dovute allo Stato, cui appartiene il giacimento.

Circa il regime giuridico del sottosuolo può dirsi che l'appartenenza delle risorse petrolifere allo Stato è la regola cui si ispira la maggioranza delle legislazioni. Un istituto frequente negli ordinamenti giuridici stranieri - che manca nella legislazione italiana - è quello dell'esplorazione geologica e geofisica preliminare senza riserva di esclusiva (Israele, Pakistan, Bolivia, Perù, Siria, Australia Occidentale). L'istituto della ricerca, invece, è sempre previsto e rappresenta normalmente la condizione per l'ottenimento della concessione di sfruttamento, anche quando, come in talune legislazioni dell'America Meridionale la titolarità della ricerca e della coltivazione viene attribuita con unico atto amministrativo. Espressa determinazione trovano, nella maggioranza delle legislazioni, l'estensione massima o minima dell'area accordata in ricerca; la durata del permesso (che non oltrepassa di regola i 3 anni) e delle relative proroghe; la forma dell'area di ricerca, abitualmente geometrica, con i lati in reciproco rapporto proporzionale (solitamente di 2 a 1); i divieti di cumulo, per evitare accaparramenti; gli obblighi inerenti alla condotta delle operazioni; gli oneri finanziarî, consistenti in canoni superficiarî, proporzionali all'estensione dell'area del permesso o progressivi in relazione alla sua durata.

Nel campo della disciplina della coltivazione, può dirsi che nella quasi totalità delle legislazioni (Venezuela, Perù, Pakistan, Tangeri, Australia Occidentale, Canada, India, Argentina, Turchia) il permissionario scopritore ha diritto alla concessione di sfruttamento, mentre nega espressamente tale diritto la legislazione libica e il problema non sorge in talune legislazioni dell'America Meridionale (Colombia, Ecuador, Bolivia) che riuniscono in un unico atto amministrativo il permesso di ricerca e la concessione di sfruttamento. La riduzione dell'area di ricerca all'atto dell'attribuzione della concessione di sfruttamento è prevista da molte legislazioni (Canada, stato dell'Alberta, Perù, Turchia, Australia Occidentale, Argentina, Bolivia, Venezuela) in ragione del 50%. La legislazione di Israele la fissa in 5/8. Le aree così residuate vengono generalmente assegnate a nuovi ricercatori o concessionarî, mediante pubblici incanti. Anche la forma della concessione è normalmente geometrica, con lunghezze minime e massime predeterminate e in reciproco rapporto proporzionale, così come sono quasi sempre vigenti i limiti di cumulo nello stesso titolare di più aree concesse (Bolivia, India, Turchia, Israele). La durata della concessione è variamente stabilita: 21 anni in Australia Occidentale e Canada; 30 anni in Pakistan, Israele, Colombia; 40 anni in Venezuela, Turchia, Bolivia; 50 anni in Perù e in Libia. Le proroghe sono consuete e spesso accordate con criterî di larghezza.

Quanto agli oneri finanziarî imposti al concessionario, molte legislazioni attribuiscono l'onere di un canone superficiario ed insieme quello della corresponsione di una partecipazione ai risultati economici dello sfruttamento del giacimento; a proposito della quale, giova distinguere il sistema del prelievo sulla produzione lorda (royalty), ovvero quello del prelievo sugli utili netti dell'impresa di coltivazione, ovvero ancora quello cosiddetto misto. La maggioranza dei paesi che adotta il prelievo sul lordo lo commisura in modo proporzionale, o anche progressivo, rispetto al prodotto estratto dalla concessione, dal campo, dal pozzo. Altri paesi, come la Bolivia, pur prefissando la royalty entro un dato limite (11%), applicano anche, seguendo un sistema misto, un'imposta fissa sugli utili risultati dai bilanci annuali (30%). Una soluzione alternativa adotta l'India, nel senso che impone una percentuale sul grezzo o un canone fisso progressivo o commisurato all'estensione della concessione stabilendo, però, che sarà corrisposto solo quello dei due oneri che risulterà maggiore. Sempre in tema di prelievo in natura del grezzo taluni paesi del Sud-America (Colombia, Ecuador) stabiliscono la royalty in misura decrescente con la distanza del centro di raccolta dal più vicino porto d'imbarco, criterio giustamente applicabile in zone di grande estensione territoriale, in cui il costo dei trasporti incide notevolmente sul costo della produzione del grezzo. La Turchia, pur riscuotendo una royalty sul grezzo (121/2%), completa il prelievo mediante applicazione di un'imposta speciale di conguaglio, calcolata in modo che il totale degli oneri (cioè canoni superficiarî, royalty ed imposte) assorba il 50% dei profitti misurati al netto delle imposte generali sul reddito (alle quali anche le aziende petrolifere sono soggette) e delle speciali detrazioni ammesse. Una precisa regolamentazione del sistema di accertamento assicura l'esatto adempimento di tali obblighi fiscali. Taluni ordinamenti impongono una percentuale fissa in danaro sugli utili netti (Perù), altri (Libia) assegnano al coltivatore un onere complessivo (comprensivo di diritti, canoni, imposta sul reddito, altre tasse e imposte) che non deve superare il 50% degli utili, al netto di spese e perdite, ammortamenti, ecc., ma che, nel caso risulti inferiore, deve essere integrato dalla corresponsione di un'addizionale mineraria di misura tale che faccia raggiungere agli oneri complessivi il 50% degli utili netti. È raro il caso che la determinazione della Percentuale sia fissata nell'atto di concessione. In questa ipotesi però la legge ne stabilisce il limite inferiore (usualmente non meno della metà degli utili netti, come nella legislazione siriana). Diamo qui di seguito alcuni particolari sulla legislazione degli Stati Uniti d'America e del Canada (stato di Alberta), che sono notevoli anche in relazione alla legislazione italiana.

Stati Uniti d'America. - Negli S. U. A., in base al diritto comune, il proprietario del suolo è anche proprietario dei giacimenti minerari esistenti nel sottosuolo: le compagnie petrolifere si assicurano dai privati la coltivazione del giacimento di i. liquidi o gassosi mediante contratti di affitto (ingl. lease): il compenso è normalmente proporzionato al prodotto estratto. Le stesse compagnie si assicurano un diritto di opzione per i terreni privati indiziati, assicurandosi una priorità nella coltivazione dei giacimenti. L'attività di estrazione venne dominata dalla cosiddetta rule of capture (regola dell'impossessamento), in base alla quale molti giacimenti vennero coltivati con metodi irrazionali. Soltanto dopo il 1929 alcune legislazioni statali intervennero per regolare il diritto di estrazione al fine della conservazione dei giacimenti e della stabilità del prezzo.

Per i giacimenti in terre di proprietà statale o federale essi sono dati in concessione (la legislazione statunitense ha abolito il permesso di ricerca e fissa in una le due fasi, quella della ricerca e della concessione) mediante asta pubblica per i terreni indiziati e trattative private per i terreni non appartenenti a strutture geologiche note: oltre un diritto fisso proporzionato all'estensione della concessione sono dovute le royalties. Con il Submerged Lands Act del 1953 venne risolta la disputa tra il Governo federale e gli Stati per la rispettiva appartenenza delle terre sottomarine, stabilendosi che appartengono agli Stati le terre sommerse fino a 3 miglia marine dalla costa o ad una maggiore distanza quando lo Stato aveva un confine storico marino oltre le 3 miglia (Texas).

Particolarità della legislazione statunitense sono le agevolazioni fiscali di cui gode l'industria petrolifera, quali la detraibilità delle spese per la esplorazione geologica e geofisica e la deplation allowance (detraibilità del 27,5 del reddito lordo fino al cinquanta per cento del reddito netto) per compensare il progressivo esaurirsi del giacimento. Il particolare regime fiscale consente all'industria petrolifera di autofinanziarsi senza rinunziare alla distribuzione di larghi profitti agli azionisti.

Canada. - Una legislazione di particolare importanza è quella dell'Alberta nel Canada, Mines and Minerals Act 1949 and Regulations governing the reservations of petroleum and gas rights, che mira ad assicurare allo stato, nel cui territorio si trovano giacimenti di vasta portata, il massimo dell'entrata. In base alla detta legge i permessi di ricerca devono avere una determinata estensione (max 100.000 acri = 40.500 ettari: 1 acro = 0,405 ettari) e forma geometrica determinata. Perforato un pozzo e accertata la presenza di petrolio in quantità commerciale, il permissionario deve chiedere la concessione entro tre mesi, che è data su un'area geometrica regolare per parte del giacimento non inferiore a 5.760 acri (2.332 ettari) per la forma quadrata e a 5.120 acri (2.073 ettari) per la rettangolare: il resto ritorna allo Stato ed è messo all'asta. Fino a quando non sia stata presentata la domanda di concessione non può essere effettuata alcuna perforazione. Si attua così un sistema a scacchiera. Mentre per le concessioni attuate sono dovute le royalties proporzionate alla produzione, per quelle concesse all'asta è dovuto anche il prezzo dell'asta.

Italia. - In Italia la ricerca e coltivazione degli idrocarburi, meno per le regioni a statuto speciale aventi competenza in materia mineraria, per le quali vige la legislazione regionale (Sicilia, legge regionale 20 marzo 1950, n. 30; Trentino-Alto Adige, legge regionale 21 novembre 1958, n. 28; Sardegna, legge regionale 19 dicembre 1959, n. 20), è disciplinata dalla legge 11 gennaio 1957, n. 6. Detta legge non si applica però alle zone delimitate dalla tabella A allegata alla legge 10 febbraio 1953, n. 136 (Val Padana), che sono assegnate in esclusiva all'Ente Nazionale Idrocarburi (ENI): nelle dette zone è ancora vigente la legge mineraria 29 luglio 1927, n. 1443 per i permessi e le concessioni vigenti all'entrata in vigore della legge del 1957. Con la legge 8 marzo 1958, n. 231, anche per le zone del quaternario nelle province di Rovigo e Ferrara situate a profondità non superiore ai 1.200 m e per quelle di cui all'art. 28 delle legge 10 febbraio 1953, n. 136, si applica la legge del 1927.

L'Ente Nazionale Idrocarburi è un ente pubblico, che opera a mezzo di società (holding di diritto pubblico): ha lo scopo istituzionale di promuovere ed attuare iniziative d'interesse nazionale nel settore degli idrocarburi; ad esso è assegnata una zona di esclusiva (concessione per legge) su circa cinque milioni di ettari in terraferma e 500.000 ettari nel mare: esso può inoltre operare anche fuori della zona di esclusiva, ma in tal caso, ai sensi dell'art. 34, solo direttamente o a mezzo di società il cui capitale sia interamente dello Stato o di enti pubblici. L'ENI svolge attività anche fuori del territorio nazionale: l'attività dell'Ente nel settore degli idrocarburi è intesa nel senso che la stessa sia estesa a tutta l'attività economica che rientri nell'utilizzazione degli idrocarburi. Quando le società costituite dall'ENI operano fuori della zona di esclusiva, l'attività di questo è parificata a ogni effetto a quella degli altri soggetti giuridici.

La legge del 1957, ispirata a quella dell'Alberta, mira ad impedire che il territorio nazionale sia assegnato a un unico o a pochi gruppi (a tal fine non solo è definita l'estensione dei permessi e delle concessioni per ciascun soggetto, ma, ai fini dei limiti, particolari disposizioni consentono di considerare anche i permessi e le concessioni date a società, nelle quali per la partecipazione azionaria il richiedente abbia un interesse sostanziale); stabilisce che i permessi non possono avere un'area superiore a 50 mila ettari e che l'area di ricerca deve avere forma quadrata o rettangolare, ed iu quest'ultima ipotesi il lato minore non può essere inferiore ad un quarto. Il richiedente il permesso deve possedere la capacità economica e finanziaria e deve presentare un piano tecnico di coltivazione. Il permesso di ricerca è accordato per tre anni e può essere rinnovato per due volte ed ogni volta per due anni. Nel caso di prima proroga l'area del permesso è ridotta del 25% e così per la seconda proroga. La concessione di coltivazione è data al permissionario che, mediante la perforazione di un pozzo, abbia rinvenuto idrocarburi in quantità commerciale. L'istanza di concessione deve essere, a pena di decadenza, presentata entro 120 giorni dal ritrovamento. L'area per la coltivazione non può eccedere i 3.000 ettari e deve essere di forma geometrica, quadrata o rettangolare. Intorno all'area di concessione è distaccata una fascia larga da 500 a 1.000 metri ed adiacente al perimetro della concessione. Tale area è messa all'asta. La durata della concessione è di venti anni: al concessionario può concedersi una proroga di dieci anni. Il concessionario è tenuto ad effettuare la coltivazione del giacimento a regola d'arte e secondo le prescrizioni del disciplinare tipo. Lo stesso deve, in proporzione al quantitativo di idrocarburi ricavati, le royalties calcolate sulla media di produzione di ciascun pozzo. Le royalties sono proporzionali e fissate dalla legge in misura variabile dal 2,50 al 77%: le royalties sono corrisposte in natura, ma con decreto ministeriale può essere stabilito che le royalties siano liquidate nel valore corrispondente.

L'autorità competente per il settore degli idrocarburi è il ministero dell'Industria e Commercio. Presso la Direzione generale delle miniere è costituito l'Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi, con tre sezioni. Organo consultivo dell'Amministrazione, il cui parere è obbligatorio, è il Comitato tecnico degli idrocarburi. Un particolare regime di pubblicità di tutti i provvedimenti in materia d'idrocarburi è assicurato dal Bollettino ufficiale degli idrocarburi.

Con d. P. R. 9 aprile 1959, n. 128 (titolo III), sono state stabilite le norme di sicurezza per l'estrazione degli idrocarburi.

Il r. decr. legge 2 novembre 1933, n. 1741, stabilisce il regime della concessione amministrativa per i depositi di prodotti petroliferi e per gli impianti di raffinazione: con r. decr. legge 8 ottobre 1936, n. 2018, gl'impianti fino a 5.000 tonnellate sono stati assoggettati al regime di autorizzazione.

Con legge 23 febbraio 1950, n. 170, è stata attribuita ai prefetti la competenza per il rilascio delle autorizzazioni per l'impianto e l'esercizio di distribuzione automatica di carburanti.

Le suddette leggi hanno consentito che l'Italia avesse una delle più sviluppate industrie di raffinazione in Europa, che provvede non soltanto al mercato nazionale ma a quello di molti paesi stranieri, ed inoltre una delle più attrezzate reti di distribuzione.

Bibl.: H. O' Connor, Empire of oil, New York 1955; G. Guglielmi e I. Visone, La disciplina legislativa della ricerca e coltivazione degli idrocarburi, Milano 1956; G. Guarino e P. Sylos Labini, Aspetti dell'industria petrolifera negli Stati Uniti, nel Canada e nel Messico, Milano 1956; F. Squarzina, Le ricerche di petrolio in Italia, Roma 1958; Alfred E. Kohn, La regolamentazione della produzione del petrolio greggio negli Stati Uniti, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 1956.

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