IDROCARBURI NON CONVENZIONALI

Enciclopedia Italiana IX Appendice (2015)

IDROCARBURI NON CONVENZIONALI.

Davide Calcagni

– L’avvento dello shale gas americano. Caratteristiche e differenze rispetto agli idrocarburi convenzionali. Shale gas. Shale oil. Oil shale. Tar sands. CBM/CSM. Idrati. Bibliografia

Nel primo decennio del 21° sec. lo sfruttamento di alcune tipologie di questa famiglia di accumuli di idrocarburi ha determinato nel business petrolifero mondiale discontinuità di grado elevato in termini economici e geopolitici. Lo shale gas prima e lo shale oil poi (esclusivamente nord americani) hanno letteralmente modificato equilibri, produzioni e prezzi sia di gas sia di greggio a livello mondiale.

L’avvento dello shale gas americano. – La prima fase di quella che è stata definita da molti, a ragione, la rivoluzione dello shale gas americano, in meno di un decennio ha provocato una caduta dei prezzi del gas negli Stati Uniti dagli 8-9 $/Mbtu (2006-07) a circa 2,75 $/Mbtu nel 2012-13 per poi assestarsi a poco meno di 4 $ nel 2014. Questo in ragione di una produzione che è letteralmente ‘esplosa’ a partire dal 2008 portando gli Stati Uniti a divenire il secondo produttore netto di gas a livello mondiale e il primo Paese per risorse tecnicamente recuperabili (stimate dalla Energy information administration, EIA, in 32,9 Tm3). L’impatto sul business del gas e sull’economia statunitense è stato inimmaginabile fino a quel momento: riduzione della bolletta energetica proprio nel periodo di massima necessità, dopo il tracollo economico del 2008; sospensione di tutti i progetti LNG (Liquefied Natural Gas) tesi a importare gas liquefatto dall’Africa occidentale; progressiva, ma veloce transizione dal carbone al gas per la generazione elettrica (carbone dirottato verso l’Europa che nel 2014 ha generato ancora la maggior parte di energia elettrica in centrali a carbone). Inoltre la disponibilità di gas a basso prezzo ha determinato il rilancio della petrolchimica da GTL (Gas To Liquids) con il rimpatrio degli impianti di produzione (soprattutto per l’etano) dall’America Meridionale. Non ultimo è importante ricordare che il passaggio alla generazione a gas ha permesso agli Stati Uniti per la prima volta di rispettare pienamente il protocollo di Kyoto.

L’impatto più imponente a livello mondiale è stato il disallineamento del mercato del gas (anche legato alla differente geografia della crescita della domanda) che ha portato all’identificazione di tre grandi mercati per fasce di prezzo: Stati Uniti con i prezzi più bassi, Europa e Medio Oriente con prezzi attorno ai 9 $/Mbtu ed Estremo Oriente asiatico dove l’LNG ha toccato punte superiori ai 20 $/Mbtu.

La rivoluzione dello shale gas ha inoltre promosso una gigantesca crescita del mercato dei servizi a supporto dell’industria petrolifera creando addirittura nuovi settori: per es. le aziende specializzate nella fratturazione idraulica o nella produzione di proppant (materiale solido di sostegno e stabilizzazione delle fratture) sia naturale (sabbie classate) sia artificiale (granulati ceramici o sinterizzati). Nel 2014 negli Stati Uniti hanno operato simultaneamente 2000 unità di perforazione e quasi 1000 unità di fratturazione.

Sulla scorta di un mercato dei servizi in grado di massimizzare l’efficienza e minimizzare i costi, gli operatori statunitensi, a partire dal 2010, hanno iniziato a investire anche nello shale oil. È utile considerare, al fine di dare un ordine di grandezza dell’efficienza raggiunta, che i migliori pozzi non convenzionali in termini di prezzo nel 2014 non superano i 4-5 milioni di $ (un loro equivalente in acque ultraprofonde senza particolari problemi può superare i 150 milioni di $).

L’effetto di questo nuovo slancio imprenditoriale ha modificato anche il mercato del greggio: gli Stati Uniti sono diventati nel 2014 i primi produttori al mondo con oltre 10 Mbbl/d di cui quasi 4 da olio non convenzionale e con risorse tecnicamente recuperabili stimate dalla EIA in 48 Gbbl. Gli impatti non hanno tardato a farsi attendere: nel settembre del 2014 è stata invertita per la prima volta la rotta dei carichi di prodotti di raffinazione con l’arrivo in Europa delle prime navi che esportavano dagli Stati Uniti, dopo oltre 40 anni in cui tutto l’eccesso di produzione europea era in larga misura venduto sul mercato statunitense.

Come nel caso del gas, il colpo di maglio sui prezzi, legato al surplus produttivo (come sempre unito a raffreddamenti della domanda) ha innescato un effetto domino con il greggio in caduta libera a partire dal luglio 2014 passando da circa 110 $/bbl a poco meno di 60 $/bbl nel dicembre dello stesso anno. Gli effetti sui consumatori non hanno tardato a farsi sentire con sensibili risparmi sui prezzi alla pompa in tutto il mondo. Gli effetti geopolitici sono stati ancora più importanti, avendo innescato un braccio di ferro fra OPEC (Organization of the Petroleum Exporting Countries) e Paesi non aderenti sul cui esito non è ancora possibile pronunciarsi.

Caratteristiche e differenze rispetto agli idrocarburi convenzionali. – Gli i. n. c. costituiscono una famiglia di idrocarburi che non soggiace alle comuni modalità di accumulo. La distinzione fra gli idrocarburi convenzionali e non convenzionali risiede quindi nelle modalità con cui questi si rinvengono nella crosta terreste e non nelle tecnologie impiegate per la loro produzione. Dal punto di vista chimico e fisico il petrolio e il gas naturale non convenzionali sono completamente confrontabili con il gas e il petrolio estratti dai giacimenti convenzionali.

Nel caso degli accumuli convenzionali di idrocarburi, quali, per es., quelli dei grandi giacimenti situati in Medio Oriente, Siberia, offshore dell’Africa occidentale e Africa orientale, è fondamentale ricordare che petrolio e gas naturale sono contenuti nelle microvacuità di rocce porose. Questa tipologia di accumulo ha un’ulteriore caratteristica: gli idrocarburi sono distribuiti nella roccia in modo ben definito e confinato (trappola) e soprattutto, nella grande maggioranza dei casi, il petrolio e il gas si liberano dalla roccia fluendo spontaneamente attraverso un reticolo naturale di microcanali e sono portati in superficie attraverso pozzi di produzione che intercettano e sfruttano questa rete di comunicazione dei fluidi contenuti nella roccia.

Nel caso degli accumuli non convenzionali parliamo, invece, di modalità per le quali non valgono più le semplici regole appena descritte. Cadono i concetti di trappola e di giacimento. Il petrolio e il gas sono contenuti in rocce a ridotta permeabilità, quali, per es., le shale gas, le oil shales, le shale oil (rocce sedimentarie argillitiche ad alto tenore di materia organica), oppure in livelli di carbone non oggetto di coltivazione estrattiva (CBM, Coal Bed Methane), in rocce e sabbie sature di bitume (tar rocks e tar sands), e infine in depositi di idrati di metano (sotto forma di ‘ghiaccio’ di metano). Gli i. n. c. sono quindi distribuiti in modo diffuso in rocce che non presentano un reticolo naturale di microcana li e che quindi non permettono agli idrocarburi di liberarsi in modo spontaneo. Tali accumuli necessitano di sofisti ca te tecnologie di produzione, quali, per es., la perforazione orizzontale e la fratturazione idraulica (fracking). La fratturazione idraulica non è pertanto l’elemento discriminante che permette l’identificazione di un accumulo non convenzionale di idrocarburi, e ha solo un unico, basilare e imprescindibile scopo: creare un reticolo di piccolissimi canali (fratture) entro cui gli idrocarburi possano fluire fino a raggiungere i pozzi di emungimento e quindi essere portati in superficie.

Ne consegue che le risorse convenzionali sono rinvenute in corpi geologici (trappole) che una volta messi in produzione danno origine ai giacimenti (di gas e/o di petrolio). La produzione può avvenire in quanto questi accumuli sono dotati di una pressione naturale (water drive) che spinge gli idrocarburi verso la superficie. Il movimento degli idrocarburi nel giacimento avviene grazie alla porosità/permeabilità della roccia serbatoio. Le risorse non convenzionali sono invece distribuite in modo pervasivo su grandi orizzonti geologici per lo più impermeabili e con dimensioni areali fino alle migliaia di chilometri quadrati (blanket plays), all’interno dei quali le aree a maggior produttività sono denominate sweet spots. La produzione di questi idrocarburi necessita di tecnologie specifiche (perforazione orizzontale e fratturazione idraulica), e il movimento degli idrocarburi può avvenire soltanto per mezzo della creazione di una permeabilità artificiale e coadiuvando la venuta a giorno in quanto in questi accumuli non vi è quasi pressione naturale.

Un ulteriore elemento di differenza è ben apprezzabile se si considerano le due tipologie di accumulo (convenzionale e non convenzionale) in chiave regionale. Le risorse convenzionali all’interno di un bacino sedimentario si rinvengono concentrate in aree limitate, ben definite dal punto di vista strutturale e stratigrafico, che danno origine ai giacimenti di idrocarburi. Non vi è alcuna coincidenza, quindi, fra l’estensione del bacino sedimentario (decine o centinaia di migliaia di km2) e quella degli accumuli (da decine a centinaia di km2). Nel caso delle risorse non convenzionali, al contrario, le zone di interesse (plays) assumono dimensioni regionali (confrontabili quindi con quelle del bacino in cui sono contenuti) e spesso tendono a drappeggiarsi lungo i contorni delle zone più profonde o più favorevoli senza una relazione diretta con i corpi geologici ‘disegnati’ dall’evoluzione strutturale del bacino. In genere, contesti poco strutturati risultano più favorevoli a queste tipologie di accumuli.

Un ultimo elemento di distinzione è rappresentato dall’ambiente in cui è possibile lo sfruttamento economico: mentre nel caso convenzionale gli accumuli di idrocarburi sono sfruttati sia in mare sia a terra, nel caso non convenzionale attualmente lo sfruttamento avviene esclusivamente a terra in quanto gli elevati costi rendono del tutto antieconomica qualsiasi coltivazione in mare.

Shale gas. – Con questo termine si definiscono rocce sedimentarie, argilliti, nere ad alto contenuto di materia organica (shales) – i tenori oscillano tra il 3 e il 10% di total organic carbon (TOC) – con un contenuto di idrocarburi quasi esclusivamente in forma gassosa.

A livello mondiale le argilliti organiche sono distribuite in modo abbastanza ubiquitario, ma quelle a oggi con le migliori prestazioni produttive ed economiche si rinvengono in maggior numero in America Settentrionale: fra le altre, si ricordano le formazioni Barnett, Marcellus, Fay etteville con estensioni areali di svariate migliaia di km2.

Le formazioni a shale gas si rinvengono a profondità nella crosta terrestre fra i 1000 e i 5000 m, ma le più produttive si trovano fra i 2000 e i 3500 m di profondità. Completamente isolate dalle falde acquifere superficiali non presentano corpi acquiferi interni. A volte agiscono come rocce di copertura dei giacimenti convenzionali. Sono rocce ben note all’industria petrolifera in quanto sono frequentemente le rocce madre dei sistemi petroliferi convenzionali e sono caratterizzate da permeabilità tanto basse da essere considerate di fatto rocce impermeabili (permeabilità nell’ordine dei nanodarcy). Da ciò deriva che la produzione di idrocarburi può avvenire solo a patto di aumentare artificialmente la loro permeabilità per mezzo di tecnologie dedicate quali la perforazione di dreni orizzontali molto lunghi (fino a tre chilometri) e creando un reticolo di fratture indotte mediante fratturazione idraulica.

In generale, il gas prodotto è metano praticamente puro (identico quindi a quello prodotto dai reservoirs convenzionali) ma senza elementi accessori: è quindi un gas dolce (sweet gas).

Shale oil. – La locuzione si attribuisce ai termini mineralizzati a liquidi degli shale plays. Questa denominazione abbraccia le due modalità principali di accumulo: a) livelli di shales in cui gli idrocarburi liquidi sono presenti negli orizzonti un poco più porosi (meno frequenti); b) triplette di due strati di shale interspaziati da un livello non argillitico più poroso, ma con permeabilità molto scarsa (questa è la modalità di accumulo nei plays più prolifici nordamericani).

Anche nel caso delle shales oil geograficamente le argilliti organiche sono distribuite in modo abbastanza ubiquitario. Le migliori prestazioni produttive ed economiche si riscontrano nei ‘lower 48’ statunitensi (i 48 Stati contigui e confinanti), sebbene si stia assistendo a un rapido affermarsi di nuovi plays in Argentina. Tra le formazioni più ricche e produttive si ricordano le formazioni Bakken, Eagle Ford e Bone Spring negli Stati Uniti, cui si aggiunge la formazione Vaca Muerta in Argentina. Anche in questo caso le estensioni areali sono di svariate migliaia di km2. Analogamente alle shales gas si rinvengono a profondità nella crosta terrestre fra i 1000 e i 5000 m, ma le più produttive si trovano fra i 2000 e i 3500 m. Il completo isolamento dalle falde acquifere superficiali, l’assenza di corpi acquiferi interni all’accumulo e l’intrinseca impermeabilità ne completano il quadro generale. Anch’esse a volte agiscono come rocce di copertura dei giacimenti convenzionali. Come nel caso a gas la produzione di questi accumuli può avvenire solo per mez zo di lunghi dreni orizzontali e intensa fratturazione idraulica. La qualità dei greggi prodotti è molto elevata in quan to si tratta di oli leggeri (34-41 °API, American Petroleum Institute), sweet e senza zolfo e minerali pesanti associati.

Oil shale. – Le oil shales sono rocce sedimentarie (in genere marne) che possono arrivare a contenere il 50% di materia organica immatura (kerogene). A condizioni di temperatura e pressione di giacitura non contengono idrocarburi liberi. Geograficamente tendono a essere presenti in modo abbastanza diffuso in varie parti del mondo con i principali depositi concentrati nella porzione nordoccidentale degli Stati Uniti (Green River formation) e in Giordania (Muwaqqar Chalk Marl) dove la loro estensione supera il milione di km2. In genere si rinvengono a una profondità nella crosta terrestre modesta che può raggiungere al massimo il migliaio di metri (un seppellimento maggiore porterebbe al riscaldamento della materia organica nella finestra di maturazione e quindi generazione di idrocarburi). Sono di solito presenti in contesti tettonici poco disturbati e monoclinalici. Queste rocce possono venire direttamente impiegate come combustibile da coltivazioni localizzate e rivolte a un uso a piccola scala o addirittura per scopi domestici (per es., in Lituania). Con finalità di sfruttamento industriale si deve ricorrere a processi termici ex situ, per es., il retorting in cui le rocce, dopo essere state cavate in miniere a cielo aperto, sono avviate a forni in cui il kerogene mediante riscaldamento viene fatto maturare artificialmente e gli idrocarburi generati vengono quindi processati per ottenere greggi medi. In alternativa, vengono impiegate tecnologie di coltivazione in situ in cui, anche in questo caso, la roccia viene portata per un tempo sufficiente a una temperatura superiore ai 150 °C al fine di far maturare il kerogene generando gli idrocarburi in modo artificiale. Una rete di dreni orizzontali progettata allo scopo, di cui vi sono pochissimi progetti nel mondo (Colorado, Giordania), si occupa quindi della captazione e del trasporto in superficie degli idrocarburi (solitamente liquidi). La qualità degli oli prodotti è media a fronte di costi di produzione molto elevati e giustificati per uno sfruttamento economico solo con un costo del barile superiore a 150-160 $.

Tar sands. – Le oil/tar sands sono depositi superficiali o subsuperficiali di sabbie impregnate da bitume o da greggi ultrapesanti (<10 °API). A temperatura ambiente si presentano come vere e proprie rocce. Geograficamente le sabbie bituminose si trovano in varie regioni del mondo, con i depositi più significativi dal punto di vista economico concentrati nella provincia di Alberta (Canada), dove lo sfruttamento industriale prosegue da oltre 50 anni. I depositi si rinvengono su aree molto estese, nell’ordine di centinaia di chilometri quadrati ma corticali. Gli idrocarburi possono venire estratti solo via processi termici o chimici sia direttamente in situ sia tramite cavatura delle rocce e successiva lavorazione. Secondo il processo più diffuso nella regione di Alberta (Canada), i depositi di sabbie bituminose vengono cavati in larga scala, portati a un impianto di macinazione e quindi avviati a un processo chimico di separazione del bitume dalla matrice sabbiosa.

Nel caso della coltivazione in situ il procedimento più diffuso è quello del SAGD (Steam Assisted Gravity Drainage) in cui, tramite dreni orizzontali a canne sovrapposte, viene creata una camera di riscaldamento del bitume per mezzo di iniezione di vapor d’acqua. Il bitume, una volta liquefatto, viene raccolto dal dreno orizzontale più profondo e portato in superficie. La qualità dei liquidi prodotti varia dal bitume ai greggi ultrapesanti frequentemente associati ad alti tenori di zolfo e metalli pesanti. Nell’ambito degli accumuli bituminosi è utile ricordare anche le tar rocks in cui bitumi o greggi ultrapesanti sono contenuti in un fitto reticolo di fratture naturali in rocce lapidee quali, per es., quelle carbonatiche o arenacee. Si tratta di accumuli rinvenibili a profondità variabili, da subsuperficiali a circa 2000 m di profondità nella crosta terrestre. Risultano presenti in svariate aree tra cui l’Africa occidentale, gli Stati Uniti, la Cina, il Venezuela. Le modalità di coltivazione sono esclusivamente in situ con processi termici (SAGD) o termochimici (in cui si impiegano solventi coadiuvati da tecniche di riscaldamento del bitume al fine di ridurne la viscosità e permetterne la defluizione attraverso le fratture verso i pozzi di produzione). Gli idrocarburi producibili sono equiparabili a quelli derivati dalle tar sands.

CBM/CSM. – Con il termine coal bed methane (CBM) o in alternativa coal seam methane (CSM) si definiscono depositi di gas (metano) accumulato in livelli di carbone non oggetto di sfruttamento da parte dell’industria mineraria estrattiva. I depositi di maggiore estensione si rinvengono negli Stati Uniti, in Canada, nell’Europa orientale, in Russia, Cina e Australia. Tra i progetti industriali in corso si ricordano quelli nel bacino del San Juan (USA) e nel Queensland (Australia). Sono inoltre in crescita le produzioni di gas da CBM cinese. I depositi di carbone si rinvengono nella crosta terrestre a profondità piuttosto variabile, quelli con maggiore potenziale per uno sfruttamento industriale si trovano fra i 1000 e i 2500 m. Isolati dalle falde acquifere superficiali sono completamente imbevuti da acque di strato e questa caratteristica ne condiziona le modalità di sfruttamento. Il gas è adsorbito sulla matrice del carbone e può venire prodotto solamente de-pressurizzando i livelli di carbone per ottenere il desorbimento del gas. La depressurizzazione è ottenuta per mezzo di intense campagne di perforazione verticale e orizzontale al fine di emungere l’acqua che impregna i carboni e liberare quindi il gas che tende a concentrarsi nella fratturazione naturale del carbone (cleats). Il metano liberato a questo punto può essere portato in superficie tramite gli stessi pozzi di dewatering che divengono pozzi produttori a tutti gli effetti. Il processo di dewatering può durare fino a oltre 24 mesi. In alcuni casi particolari in realtà non si raggiun ge mai la massimizzazione del rapporto gas/acqua prodotti. Il gas prodotto è sweet gas (metano) con la presenza occasionale di CO2 o azoto.

Idrati. – Questa tipologia di accumuli è la più futuribile e meno accessibile allo stato attuale delle tecnologie di produzione. Si tratta di vastissimi accumuli di vero e proprio ‘ghiaccio’ di metano intrappolato a basse profondità (poche centinaia di metri nella crosta terrestre) lungo i margini continentali di tutto il globo e nelle desolate pianure periartiche di Canada e Siberia. La loro coltivazione costituisce una sfida tecnologica di frontiera legata alle caratteristiche stesse di questi depositi in quanto la produzione del gas passa attraverso la dissoluzione/rigassificazione dell’idrato di metano con la conseguente instabilità dei fori per i pozzi di produzione e possibili effetti sulle infrastrutture di superficie non prevedibili. Studi e test sono in corso presso vari centri di ricerca di eccellenza tra cui il MIT (Massachussets Institute of Technology) di Boston. I test più recenti sono stati condotti in Canada, ma soprattutto in Giappone, dove nel 2013 è stato eseguito un primo pozzo a scopi di ricerca scientifica. Si ritiene che occorreranno non meno di 10-15 anni prima di ottenere un successo tecnico in grado di generare un progetto industriale, la cui economicità sarà completamente da dimostrare anche in funzione dei prezzi che il gas assumerà nel futuro e della capacità dei futuri operatori di ridurre i costi di produzione a livelli accettabili.

Bibliografia: IEA (International Energy Agency), Golden rules for a golden age of gas, Paris 2012; EIA (Energy Information Administration), Annual energy outlook 2014 with projections to 2040, Washington (D.C.) 2014; OPEC (Organization of the Petroleum Exporting Countries), World oil outlook 2014, Wien 2014.

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