IDENTITÀ

Enciclopedia Italiana (1933)

IDENTITÀ (dal lat. identitas, corrispondente al gr. ταὐτότης)

Guido Calogero

Termine filosofico indicante in generale l'eguaglianza di un oggetto rispetto a sé stesso. Ma, nel particolare, esso è stato definito in così diversi modi, che assai complessa ne è la storia. La genesi del concetto d'identità risale nella sostanza all'antitesi che nella filosofia greca si manifesta fra eleatismo ed eraclitismo: mentre quest'ultimo nega che le cose restino identiche a sé (ταὐτά), in forza del loro continuo divenire, l'eleatismo afferma l'assoluta immobilità e quindi identità dell'ente. E se in Parmenide questa identità è extratemporale, in Melisso essa diviene temporale, come identica permanenza di attributi durante l'intera serie del tempo: e l'importanza di questa identità temporale è per lui così grande, che non solo essa costituisce l'essenziale attributo dell'unico ente reale, ma appare anche come condizione sufficiente dell'ipotetica realtà delle cose molteplici, le quali sarebbero vere quando conservassero inalterate nel tempo le loro determinazioni. Nel pluralismo presocratico questo motivo resta alla base della concezione degli elementi fondamentali della realtà, concepiti come invarianti in seno all'eterno variare delle loro sintesi: ed è definitivamente consacrato da Platone, che definisce il carattere di autentica realtà dell'idea essenzialmente con la nota dell'identità temporale (ἀεὶ κατὰ ταὐτὰ μένειν, ὡσαύτως ἔχειν, ecc.). Così l'identità, concepita come eguaglianza rispetto a sé nella serie del tempo, diventa, per il pensiero antico e medievale, la caratteristica fondamentale della sostanzialità: e si comprende quindi come la critica moderna del concetto di sostanza abbia poi dovuto in ultima analisi (si pensi alla fase estrema, humiana, della dissoluzione dell'io come sostanza spirituale) presentarsi nell'aspetto di una critica del suo carattere d'identità.

Se si porta questa concezione sul piano dell'analisi logica del linguaggio, nella sua capacità di riferire un predicato a un soggetto affermando o negando, si vede come essa si rifletta da una parte nella dottrina del cosiddetto giudizio d'identità, o giudizio identico, e dall'altra in quella del principio d'identità. Storicamente, peraltro, la genesi di queste due dottrine non è affatto la stessa. La prima concezione sorge realmente dalle più antiche discussioni sofistiche, socratiche e platoniche circa la natura del giudizio, e, partendo appunto dal presupposto che una cosa, se è, non può essere se non quella che è, nega la possibilità di qualsiasi giudizio in cui il predicato sia diverso dal soggetto, che non sia, cioè, giudizio identico. ("Socrate è Socrate"). Essendo d' altronde tali giudizî perfettamente inutili, s'intende come la dottrina che li considera come i soli legittimi sia essenzialmente negativa e polemica: ed essa è infatti professata da pensatori di scuole le quali, come la cinica e la megarica, si oppongono per varî motivi alla logica platonica, che considerando il giudizio come attribuzione di un predicato ideale a un soggetto sensibile, evita quell'infeconda identità giustificando la diversità tra soggetto e predicato con la stessa diversità ontologica delle due sfere dell'ideale e dell'empirico. E s'intende anche, così, come non possa sorgere con valore positivo, in questo periodo, quel principium identitatis che, nella sua formula "A è A", dà appunto il tipo del tautologico giudizio identico. Di fatto, principio logico riferentesi all'attività del giudizio è in questa età solo l'aristotelico principio di contraddizione, determinante la contraddittorietà reciproca dell'affermazione e della negazione con egual soggetto ed egual predicato (o A è B, o A non è B): mentre il principio che meglio meriterebbe in questo tempo il nome di principio d'identità non si riferisce a quella funzione dianoetica del pensiero onde nasce la sintesi del giudizio, ma solo a quella funzione noetica che determinatamente appercepisce i singoli contenuti di conoscenza. È infatti nelle polemiche (in primo luogo, quella aristotelica del libro IV della Metafisica, anticipata in parte da Platone nel Teeteto) tendenti a far riconoscere la necessità di tale determinazione unitaria dell'oggetto del pensiero che rivive l'originario ideale eleatico dell'identità dell'ente: identità che però, per potersi sostenere anche contro il relativismo soggettivo della sofistica, non è più semplicemente temporale e si realizza anche nell'unico momento della conoscenza, il cui oggetto deve pur essere, in quanto determinaro, identico a sé e diverso da altro. Così i motivi dell'identita (ταὐτότης) e dell'alterità (ἑτερότης) determinano, nel Sofista platonico, il rapporto di ciascuna idea rispetto a sé e rispetto alle altre, senza che perciò si debba dire che ogni idea sia predicato di sé stessa; e la ταὐτότης è sì definita da Aristotele come "una certa unità di essere del molteplice, o di cosa considerata come molteplice, come quando si dice che una cosa è identica a sé stessa" (Metaph., V, 9, 1018 a 7), ma non perciò essa ha che fare con la dualità dianoetica del giudizio.

La contaminazione della noetica "identità" con la dianoetica "contraddizione" si ha invece nel tradizionale principium identitatis et contradiction; della scolastica (A è A; A non è non-A), in cui l'apparente dualità del rapporto onde il noema risulta identic0 a sé stesso prende il luogo della vera e propria dualità attributiva del soggetto e del predicato: principio tanto poco classico, che, se la logica aristotelica l'avesse realmente conosciuto, non avrebbe potuto fare un passo al di là della pura tautologia del giudizi0 d'identità, né costruire uno solo dei suoi sillogismi. Il principium identitatis et contradictionis (che talora però, formulato nella più semplice forma esistenziale "A è o non è", e simili, tendeva a tornare dall'illusuria dualità dianoetica all'unità noetica) assunse d'altronde così saldamente nella tradizione l'aspetto di principi0 fondamentale della logica classica, che anche i sistemi logici i quali, nell'idealismo postkantiano, opposero il motivo dell'antiteticità e della contraddizione dialettica a quello classico dell'identità e non contraddizione, subirono molto spesso, nelle formulazioni del loro principio, l'influsso negativo di quell'enunciazione tradizionale del principio d'identità (si pensi, per un esempio tipico, alla trascrizione fichtiana e schellinghiana dell'"A = A" in "Io = Io"). Distinto dallo scolastico principium identitatis et contradictionis è invece il particolare principium identitatis indiscernibilium, il quale, basandosi sul concetto dell'impossibilità dell'esistenza di più realtà individuali assolutamente eguali tra loro (perché in tal caso esse sarebbero una sola realtà), considera l'asserzione dell'identità come derivata da una semplice incapacità di distinzione delle diversità degli oggetti definiti identici. Principio che, già affermato da alcuni pensatori antichi e più volte richiamato nel Medioevo e nell'età moderna, fu poi sottoposto a severa critica da Kant, che chiarì come la diversa collocazione spaziale fosse sufficiente a determinare la molteplicità degli oggetti, anche nel caso che essi fossero assolutamente identici di natura.

Un ultimo significato tecnico del termine d'identità si ha infine quando, parlando di filosofia dell'identità, si designa con ciò ogni sistema che, presupposta nel reale una fondamentale antititesi di due sfere, consideri poi queste identiche dal punto di vista di una realtà suprema, di cui esse parallelamente manifestino l'essenza o la legge. Che questo concetto dell'identità sia diverso da quello implicito nel principio tradizionale è facile scorgere quando si pensi al più tipico esempio che si possa arrecare di filosofia dell'identità, e cioè al sistema dello Schelling: nel quale l'identità tra la sfera della natura e la sfera dello spirito consiste proprio nel fatto che tanto l'una quanto l'altra obbediscono a quella stessa legge dialettica, che sta d'altronde proprio al polo opposto dello scolastico principio d'identità.

Bibl.: R. Eisler, Wörterbuch d. philosoph. Begriffe, I, 4ª ed., Berlino 1927, pp. 700-713. Si vedano inoltre le voci e le bibliografie concernenti i singoli autori ricordati, e anche contraddizioni; dialettica; giudizio; logica.

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