Europa, idea di

Dizionario di Storia (2010)

Europa, idea di


Nel pensiero greco antico, tra l’età delle guerre persiane e l’età di Alessandro Magno, appare per la prima volta l’idea di E., contrapposta all’Asia sia per i costumi sia, soprattutto, per l’organizzazione politica: l’E. è animata dallo spirito di libertà, l’Asia dal dispotismo. In verità l’E. è, nel pensiero greco antico, ancora assai limitata dal punto di vista geografico: alcuni (come Isocrate) la identificano con la sola Grecia, altri pensano ai popoli e alle regioni permeati della civiltà greca (Italia meridionale, Sicilia, coste mediterranee della Gallia e della Spagna). Ma quando parlano di libertà, i greci che cosa intendono con questa parola? Essi si riferiscono alla libertà politica, intesa come partecipazione di tutti i cittadini alla sfera pubblica, e come vita «secondo le leggi», non secondo l’arbitrio di un despota («i popoli asiatici – dice Aristotele nella Politica, VII, 1327 b – sono intelligenti e industriosi, ma privi d’animo, e perciò vivono abitualmente in sudditanza e in servitù»). Ma il termine «europeo» (europaeus) entra nell’uso dopo molti secoli, e precisamente nel 15° sec., grazie a Enea Silvio Piccolomini. In Piccolomini si trova un alto apprezzamento dei valori «europei», fondati sulla tradizione classica, sul culto del pensiero antico e della civiltà di Roma. La contrapposizione, espressa nell’antico pensiero greco, fra E. (sede della libertà) e Asia (sede della servitù), ritorna con forza nel pensiero moderno. Così Machiavelli dice (nell’Arte della guerra, 1522): «Voi sapete come degli uomini eccellenti in guerra ne sono stati nominati assai in Europa, pochi in Africa e meno in Asia. Questo nasce perché queste due ultime parti del mondo hanno avuto uno principato o due e poche repubbliche, ma l’Europa solamente ha avuto qualche regno e infinite repubbliche». E «il mondo è stato più virtuoso dove sono stati più Stati che abbiano favorita la virtù o per necessità o per altra umana passione». L’idea che l’E. abbia una individualità propria, caratteri propri, incardinati su un certo tipo di organizzazione politica, si conserva e raggiunge la sua massima espressione nel Settecento, nella cultura illuministica. Nel suo primo saggio politico (Considérations sur l’état présent du corps politique de l’Europe, 1738), Federico il Grande, ancora principe ereditario, raffigura l’E. come «un sistema politico, un corpo dove tutto è collegato dalle relazioni e dai diversi interessi delle Nazioni, che abitano questa parte del globo […] da questa famosa idea della bilancia politica e dell’equilibrio dei poteri». A Voltaire l’E. appare come «una specie di grande repubblica divisa in vari Stati, gli uni monarchici, gli altri misti, gli uni aristocratici, gli altri popolari, ma tutti collegati gli uni con gli  altri, tutti con eguale fondamento religioso, anche se divisi in varie sette, tutti con gli stessi principi di diritto pubblico e di politica, sconosciuti nelle altre parti del mondo» (Le siècle de Louis XIV, 1751, cap. II). Motivi analoghi vengono svolti da Montesquieu nelle Lettres persanes (1721). Qui l’autore fa rilevare a Usbek che la maggior parte dei governi europei sono monarchici, ma che in tali monarchie, per quanto grande sia il potere dei re, essi non l’esercitano con tanta estensione quanto i sultani; e proprio perché i governi orientali sono «tirannici», in Asia, per abbattere il governo, è sufficiente colpire il principe, in E., invece, bisogna provocare delle rivolte (CIII). Ma in E., oltre alle monarchie, ci sono anche delle repubbliche. «E tu sai» – scrive Redi a Rica – «che la maggior parte degli asiatici non ha nemmeno l’idea di questa forma di governo, e l’immaginazione non li ha aiutati a comprendere che sulla terra vi possa essere altra cosa che il dispotismo». Il persiano vede nella libertà, sorta in Grecia, il contrassegno essenziale della storia europea. «L’amore della libertà, l’odio dei re, conservò a lungo la Grecia nell’indipendenza, ed estese ampiamente il governo repubblicano». Ma poi la Grecia popolò l’Italia, la Spagna e forse la Gallia. Quelle colonie greche portarono con sé quello spirito di libertà che avevano appreso nella madrepatria: ecco perché in quell’epoca, in Italia, in Spagna e nelle Gallie, «non si vedono monarchie». D’altro canto, anche i popoli nordici e germanici non erano meno liberi, poiché i loro re erano solo dei generali, e quindi la loro autorità era limitata. Ciò avveniva solo in E., in quanto l’Asia e l’Africa «sono state sempre oppresse dal dispotismo» (CXXXI). Nel pensiero dell’Ottocento, in cui tanto rilievo hanno i concetti di nazione e di patria, Giuseppe Mazzini li connette però strettamente all’idea di umanità: ma l’umanità è per lui essenzialmente l’Europa. Come ha osservato Federico Chabod, il pensiero di Mazzini è sempre rivolto all’E., all’E. giovane, all’E. dei popoli che sta per trionfare, succedendo alla vecchia e morente E. dei principi. E infatti alla Giovine Italia Mazzini fa seguire la Giovine Europa. Ogni popolo ha ricevuto da Dio una missione e, dice Mazzini, «l’insieme di tutte quelle missioni compiute in bella e santa armonia pel bene comune, rappresenterà un giorno la patria di tutti, la Patria delle Patrie, l’Umanità» (Ai giovani d’Italia, 1859). Occorre quindi «redimere i popoli colla coscienza d’una missione speciale fidata a ciascuno di essi e il cui compimento, necessario allo sviluppo della grande missione umanitaria, deve costituire la loro individualità e acquistare a essi un diritto di cittadinanza nella Giovine Europa che il secolo fonderà» (Dell’iniziativa rivoluzionaria in Europa, 1834). Nel corso della prima metà del Novecento si è andato affermando il pensiero europeista (➔ ) tendente a promuovere un progressivo avvicinamento tra i vari Stati nazionali fino alla costituzione di un’E. spiritualmente e politicamente unita.

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