SADOLETO, Iacopo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 89 (2017)

SADOLETO, Iacopo

Francesco Lucioli

– Nacque a Modena il 12 luglio 1477 dal giurista Giovanni e da Francesca Machiavelli; ebbe una sorella, Margherita (moglie di Giambattista Sacrati), e tre fratelli, Alfonso (che curò l’editio princeps dei suoi carmi nel 1532), Giulio (che fu al servizio del cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena) e Ludovico (che sposò Margherita degli Erri, la quale, una volta rimasta vedova, si unì in seconde nozze all’eretico Filippo Valentini). Intorno al 1488 la famiglia si trasferì a Ferrara, dove il padre era stato chiamato come professore di diritto civile. Avviato proprio dal padre agli studi giuridici, si volse ben presto allo studio delle humanae litterae e in particolare della filosofia aristotelica, sotto la guida di Niccolò da Lonigo. Dopo il 1498 si trasferì a Roma, dove perfezionò lo studio del greco con Scipione Forteguerri (Carteromaco). Entrò quindi al servizio del cardinale napoletano Oliviero Carafa, che gli procurò nel 1503 il canonicato di San Lorenzo in Damaso (poi lasciato al fratello Giulio nel 1517) e gli assicurò protezione fino alla morte nel 1511 (l’orazione In funere Oliverii Carafae fu da Iacopo Sadoleto recitata a Santa Maria sopra Minerva il 5 dicembre 1511). In quegli anni si distinse soprattutto per la composizione dei poemetti latini Curtius e De Laocoontis statua.

All’indomani della morte del protettore napoletano fu accolto nell’abitazione romana di Federico Fregoso, a cui più tardi dedicò la sua In psalmum XCIII interpretatio, stampata a Lione nel 1530. Presso Fregoso, dedicatario di un’epistola metrica composta in quello stesso periodo, Sadoleto ebbe modo di incontrare e frequentare artisti come Raffaello (che poi forse lo ritrasse nel Parnaso), nonché Pietro Bembo, al quale fu legato da vincoli amicali fin dagli anni ferraresi e che lo scelse come interlocutore del suo De Guido Ubaldo Feretrio deque Elisabetha Gonzagia Urbini Ducibus (alla morte di Bembo, Sadoleto compose un epitaffio in suo onore). La protezione del nuovo mecenate ebbe tuttavia breve durata: l’elezione al soglio pontificio di Leone X nel 1513 allontanò Fregoso da Roma e offrì a Sadoleto la possibilità di entrare ufficialmente in Curia come segretario dei brevi pontifici.

Gli anni del pontificato leonino procurarono a Sadoleto, insieme al collega Bembo, la fama di massimo rappresentante del ciceronianismo, fama subito confermata da umanisti come Erasmo da Rotterdam e Christophe de Longueil, nonché dalla dedica del terzo volume delle Orazioni ciceroniane stampate da Aldo Manuzio nel 1519. Fu in contatto diretto con numerosi altri letterati (tra cui Ludovico Ariosto, Niccolò Machiavelli, Lilio Gregorio Giraldi, Pierio Valeriano, Paolo Giovio, Vittoria Colonna), che spesso ricorsero al suo aiuto o al suo giudizio (Baldassarre Castiglione gli inviò copia di una prima redazione del Cortegiano; Blosio Palladio lo volle come suo esecutore testamentario), ed ebbe un ruolo di primo piano nella vita accademica del tempo: partecipò, ad esempio, all’antologia Coryciana (1524) con un epigramma composto probabilmente fra il 1512 e il 1516, e mise a disposizione le proprie vigne sul Quirinale (acquistate nel 1518 e quindi cedute al fratello Alfonso), in cui ambientò il Commentario all’epistola di s. Paolo ai Romani (Lione 1535).

L’ascesa al soglio pontificio di Adriano VI allontanò Sadoleto dagli impegni in Curia e gli permise di raggiungere la diocesi di Carpentras, di cui era stato nominato vescovo il 24 aprile 1517 (il 20 marzo 1520 fu invece consacrato a Roma per mano del cardinale Nicolò Fieschi). Tale scelta fu forse stimolata dal dibattito interno al V Concilio Lateranense, cui Sadoleto presenziò personalmente: fu lui stesso a trascrivere e a inviare a Bembo il testo dell’orazione inaugurale tenuta il 3 maggio 1512 da Egidio da Viterbo. Il primo soggiorno a Carpentras nel 1523 fu, tuttavia, di breve durata: già l’anno successivo fu richiamato a Roma da Clemente VII come segretario dei brevi, ruolo che mantenne fino al 1527, e in cui fu coadiuvato da Giovanni Francesco Bini.

In questi anni i suoi interessi si orientarono più marcatamente in direzione teologica: entrò a far parte di congregazioni come la Compagnia della Carità, e pubblicò nel 1525 l’Interpretatio in psalmum Miserere mei Deus, prima di cinque opere esegetiche. Già l’anno precedente, tuttavia, il suo interesse per le sacrae litterae aveva fatto di Sadoleto il protagonista dell’eponimo dialogo Sadoletus, sive de precibus (1524) di Niccolò Leonico. L’insofferenza per gli incarichi pubblici, il desiderio di ritrovare l’otium sperimentato a Carpentras e la crescente insicurezza della Roma del tempo (le sue stanze furono messe a soqquadro durante il saccheggio del palazzo apostolico perpetrato dai Colonnesi nel 1526) spinsero Sadoleto ad allontanarsi da Roma e dalla vita curiale per raggiungere nuovamente la diocesi francese pochi giorni prima del sacco del 6 maggio 1527. Sadoleto dimorò costantemente a Carpentras dal 1527 al 1535, anni in cui iniziò o completò le sue opere maggiori.

Nel 1532 terminò il De laudibus philosophiae (Lione 1538), dialogo ambientato nel primo Cinquecento nell’orto romano di Iacopo Galli. Dedicato a Mario Maffei (che nel 1526 aveva voluto che il figlio di una nipote fosse chiamato Giulio-Iacopo, in onore del cardinale Giulio de’ Medici e di Sadoleto), ha come interlocutori lo stesso Sadoleto, Galli, Francesco Cetrario e Tommaso Fedra Inghirami (di cui forse Sadoleto scrisse l’epitaffio), quest’ultimo sostenitore della superiorità della retorica sulla filosofia, a cui Sadoleto contrappone una concezione filosofica tesa a fondere humanae e sacrae litterae, fiducia nella ragione e fede in Dio.

Un medesimo intento di conciliazione anima un’altra opera frutto dell’otium di Carpentras, ossia il trattato pedagogico in forma dialogica De liberis recte instituendis (Lione 1533): il dialogo tra Sadoleto e Paolo, figlio di un cugino e suo segretario, ebbe ampio successo (fu, ad esempio, tradotto in volgare da Fulvio Fortunio nel 1585), ma fu anche criticato dall’amico Reginald Pole, perché la conoscenza teologica risultava subordinata alle humanae litterae e agli studi filosofici. È questa la stessa sorte riservata al commento In Pauli epistolam ad Romanos, iniziato intorno al 1531: l’intento di riesaminare, da un punto di vista filologico prima e più che teologico, concetti come merito, grazia e predestinazione, nonché la ricerca di un’altra via possibile tra Pelagio e Agostino, costarono a Sadoleto un’accusa di pelagianesimo e portarono alla censura del suo volume da parte della Sorbona nel 1535.

Il 22 dicembre 1536 Sadoleto venne nominato cardinale da Paolo III e ricevette il titolo di S. Callisto il 15 gennaio 1537; per l’occasione, il 1° gennaio 1537, il fratello Alfonso organizzò nella natia Modena una giostra con una collana d’oro in premio. Il ritorno in Italia segnò una nuova fase nella vita e nell’impegno ecclesiale di Sadoleto che, fin dall’orazione pronunciata nel novembre del 1536 in occasione dell’apertura dei lavori della commissione incaricata di redigere il Consilium de emendanda ecclesia, si fece portavoce delle istanze riformistiche interne alla Curia romana. Alla ferma condanna della corruzione del clero e alle speranze di un rinnovamento profondo della Chiesa, espresse in opere come il trattato De christiana Ecclesia e l’omelia De Regno Ungariae ab hostibus Turcis oppresso et capto, si associarono tentativi di dialogo con il mondo eterodosso e riformato (come quello con l’accademia modenese in cui militava il cognato Filippo Valentini), che talvolta generarono però imbarazzo nella Curia, giungendo a vere e proprie prese di distanza dalle posizioni assunte dal cardinale: lo testimoniano le reazioni con cui furono accolte le epistole inviate a Filippo Melantone, a Johannes Sturm (quest’ultima inserita nell’Indice nel 1559) e ad senatum populumque Genevensem (cui rispose Giovanni Calvino nel 1539), nonché l’Ad principes populosque Germaniae exhortatio. Tali testi rappresentano il prodotto dell’ultimo prolungato soggiorno nella diocesi francese, tra il 1538 e il 1544, periodo nel quale Sadoleto fu impegnato, come già al tempo del pontificato clementino, in diverse missioni diplomatiche: nell’aprile del 1538 partecipò insieme al papa all’incontro tra l’imperatore Carlo V e il re di Francia Francesco I a Nizza; il 7 aprile 1542 fu inviato come legato presso il re di Francia; il 22 giugno 1543 accompagnò il papa a Busseto per l’incontro con l’imperatore (al quale Sadoleto indirizzò anche un’orazione De pace). In quegli stessi anni, tuttavia, Carpentras aveva già cessato di essere l’hortus conclusus in cui il cardinale modenese poteva trovare rifugio dalla vita negotiosa: nonostante le frequenti visite di religiosi e letterati (nel 1539 ospitò, ad esempio, Pole e Ludovico Beccadelli, che poi scrisse anche un sonetto in morte di Sadoleto), i rapporti tesi con l’arcivescovo di Avignone e legato papale Alessandro Farnese, la distruzione recata dalle truppe francesi nel territorio del Contado Venassino e la dilagante diffusione di forme di eterodossia spinsero Sadoleto a cedere il vescovato al suo coadiutore Paolo Sadoleto nel 1544 e a ritirarsi definitivamente a Roma l’anno successivo. Ottenuto il titolo di S. Balbina l’11 maggio 1545 e quindi quello di S. Pietro in Vincoli il 27 novembre, non poté prendere parte al concistoro a causa delle precarie condizioni di salute.

Morì a Roma il 18 ottobre 1547 nell’appartamento di S. Maria in Trastevere. Fu inizialmente seppellito nella chiesa di S. Lorenzo in Damaso, ma le sue spoglie furono trasferite nel 1646 nella cattedrale di Carpentras.

Opere. Le opere di Sadoleto sono raccolte in due edizioni di Opera omnia, Magonza 1607, e Verona 1737-1738 (rist. anast. Ridgewood 1964). Sono stati editi successivamente: In duo Iohannis loca de Nicodemo et de Magdalena, a cura di A. Mai, in Spicilegium romanum, II, Roma 1839, pp. 179-230; Tractatus de christiana ecclesia, ibid., pp. 101-178; De peccato originali, in appendice a S. Ritter, Un umanista teologo: I.S., Roma 1912, pp. 139-179; l’orazione in morte di Oliviero Carafa in A. Altamura, Il cardinale Oliviero Carafa in un’orazione inedita del S., in Rassegna storica napoletana, n.s., I (1940), 4, pp. 317-328. Le epistole di Sadoleto furono pubblicate per la prima volta nel 1550 dai suoi segretari Paolo Sadoleto e Antonio Fiordibello (I. Sadoleto, Epistolarum libri sexdecim, Lugduni 1550); 15 lettere in volgare apparvero invece nella raccolta Lettere di XIII huomini illustri, Venezia 1561, pp. 179-210; l’epistolario (contenente anche missive indirizzate a Sadoleto, compresa la dedicatoria dell’edizione manuziana delle Orazioni di Cicerone) è quindi stato raccolto da V.A. Costanzi: I. Sadoleto, Epistolae Leonis X, Clementis VII, Pauli III nomine scriptae, Roma 1759; Epistolae quotquot extant proprio nomine scriptae: nunc primum duplo auctiores in lucem editae, Roma 1760-1764; Epistolarum appendix, Roma 1767. Altre lettere e documenti inediti sono segnalati o pubblicati nelle seguenti opere: A. Ronchini, Lettere del card. I. S. e di Paolo suo nipote tratte dagli originali che si conservano a Parma nell’Archivio governativo, Modena 1871; C. Malagola, Una lettera inedita del Bembo e due del S., Torino 1875; G. Battelli, Un grande umanista portoghese, Damiano di Goes, e la sua corrispondenza col S. e col Bembo, in La Bibliofilia, XLII (1940), pp. 366-377; P.O. Kristeller, Iter Italicum, London-Leiden 1967-1992, ad ind.; A. Ferrajoli, Il ruolo della corte di Leone X (1514-1516), a cura di V. De Caprio, Roma 1984, pp. 401-452; Egidio da Viterbo, Lettere familiari, a cura di A.M. Voci Roth, I, Roma 1990, pp. 280-282; L. Felici, Frammenti di un dialogo. Ludovico Castelvetro e i suoi rapporti con gli accademici modenesi, in Ludovico Castelvetro. Letterati e grammatici nella crisi religiosa del Cinquecento, Atti... 2006, a cura di M. Firpo - G. Mongini, Firenze 2008, pp. 315-355 (in partic. pp. 324 s.). Il dibattito epistolare tra Sadoleto e Calvino è stato riproposto in A reformation debate: S.’s letter to the Genevans and Calvin’s reply, a cura di J.C. Olin, New York 1966, e in Aggiornamento o riforma della Chiesa?, a cura di G. Tourn, Torino 1976; quello con Sturm è stato edito e analizzato da W. Friedensburg, Das Consilium de emendanda ecclesia, Kardinal Sadolet und Johannes Sturm von Strassburg, in Archiv für Reformationsgeschichte, XXXIII (1936), pp. 1-69. Di alcune opere sono disponibili edizioni moderne e traduzioni: il De liberis recte instituendis è stato tradotto in italiano con il titolo Sulla educazione dei figliuoli, Pesaro 1833; in tedesco con il titolo Über die richtige Erziehung der Kinder, a cura di K. Alois Kopp, in Ägidius Romanus de Colonna, Johannes Gersons, Dionys des Kartäusers und Jakob Sadolets pädagogische Schriften, a cura di M. Kaufmann, Freiburg im Breisgau 1904, pp. 337-435; in inglese con il titolo S. on education. A translation of the De pueris recte instituendis, note e introduzione di E.T. Campagnac - K.B.D. Forbes, Oxford 1916; un’antologia di passi è raccolta in Il pensiero pedagogico del Rinascimento, a cura di F. Battaglia, Firenze 1960, pp. 442-469. Il De laudibus philosophiae è stato tradotto come Elogio della sapienza, a cura di A. Altamura, Napoli 1950. L’orazione De emendandis vitiis curiae Romanae, stampata per la prima volta a Cracovia nel 1561, è pubblicata in V. Schweitzer, Concilii Tridentini tractatuum pars prior, in Concilium Tridentinum: diariorum, actorum, epistularum, tractatuum, XII, Friburgi Brisgoviae 1930, pp. 108-119. Un sonetto attribuito a Sadoleto è pubblicato da A. Ferrajoli, Il ruolo della corte di Leone X, cit., p. 377; il poemetto Laocoon è stato edito criticamente da G. Maurach, Sadoletos ‘Laocoon’. Text, Übersetzung, Kommentar, in Würzburger Jahrbücher für die Altertumswissenschaft, n.s., XVIII (1992), pp. 245-265; il carme coriciano è stato pubblicato in Coryciana, a cura di I. Ijsewijn, Roma 1997, p. 53; tutti i carmi latini sono quindi editi e tradotti in appendice a F. Lucioli, Jacopo Sadoleto umanista e poeta, Roma 2014, pp. 107-145.

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