DORIA, Iacopo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 41 (1992)

DORIA, Iacopo (Giacomo)

Giovanni Nuti

Nacque verso il 1233 a Genova da Pietro e Mabilia Casiccia.

Nelle pagine conclusive dei suoi Annali, redatte nel 1293, il D. afferma di aver compiuto sessant'anni. tuttavia, la data di nascita può essere anticipata perché già nel 1246 il D. aveva nominato un procuratore presso la Curia pontificia (Les registres d'Innocent IV, a cura di E. Berger, in Bibliothèque des Ecoles françaises d'Athènes et de Rome, I, Paris 1884, n. 1749). Inoltre, già a partire dal 1253, se è lui lo "Iacobinus Auria" ricordato in vari documenti, era in grado di agire da solo in commercio e doveva quindi aver compiuto la maggiore età, secondo le norme statutarie. Per i dati biografici relativi alla sua giovinezza, tuttavia, non sempre è possibile distinguerlo dall'omonimo personaggio, figlio di Nicolò e di lui più vecchio, che morì il 1º dic. 1275 e fu sepolto nella tomba di famiglia presso il monastero di S. Fruttuoso di Capodimonte, nel promontorio di Portofino.

Come i suoi fratelli (Oberto, Nicolò e Lamba), il D. operò nella grande ditta commerciale su scala mediterranea, che il padre gestiva, senza, tuttavia, rivestirvi un ruolo di primo piano, riservato al fratello maggiore Oberto. Nel 1253 un Giacomo Doria si impegnò a trafficare una commenda a Safi, sulla costa marocchina, dove giungevano le strade carovaniere con l'oro africano. trasportato poi nel porto ligure (28 aprile); sempre in quest'anno, egli risulta in società con altri mercanti genovesi (13 maggio). Tuttavia, è poco probabile che si tratti del D., dato che quest'ultimo risulta indicato preferibilmente nei documenti di quegli anni col diminutivo "Iacobinus"), proprio per distinguerlo dall'omonimo più anziano. Così è chiamato in un atto dello stesso anno (17 maggio), quando il padre Pietro e il suo socio d'affari Poncio Riccio gli diedero facoltà di affittare due magazzini che essi possedevano a Sestri Ponente. Sempre per motivi cronologici, non è probabilmente lui il personaggio che venne eletto procuratore da un gruppo di mercanti astigiani ed albesi, travolti nel 1256 dal fallimento del banco di Gregorio Negrobono, e che fu chiamato tra gli Anziani della Repubblica nel 1261. Ancora nel 1256 un Giacomo Doria ottenne da Contessina, moglie di Simone Doria, sui beni del marito, una commenda da trafficare a Tunisi.

Nulla sappiamo sulla formazione culturale del D.: si è ipotizzato che egli abbia frequentato il convento cittadino di S. Domenico (fondato dall'avo paterno Nicolò agli inizi del secolo e dove studiò il futuro arcivescovo di Genova Iacopo da Varagine) o il convento di S. Francesco di Castelletto (in cui risiedette nel 1248 e nel 1249 Salimbene [Ognibene] de Adam). A probabile, inoltre, che la sua famiglia abbia posseduto una biblioteca, dato l'interesse che già il nonno Oberto aveva dimostrato per la storia e le antichità cittadine.

Se le sue letture non differiscono da quelle usuali nel Medioevo (da Isidoro di Siviglia a Solino a Gregorio Magno a Paolo Diacono) e non dimostrano gusti particolari, l'orizzonte culturale del D., tuttavia, non fu certamente limitato al sapere libresco, ma si formò a contatto col complesso e variopinto mondo commerciale genovese, da cui egli derivò sia l'interesse per i fatti economici, sia una sensibilità acuta per gli umori del populus cittadino, sia una approfondita conoscenza degli schieramenti politici mediterranei. Per questi motivi, il confronto spesso tentato tra il primo annalista della storia genovese (Caffaro, che fu anche il primo annalista laico del Medioevo) e l'ultimo, il D., se rivela in Caffaro una personalità più forte, grazie al ruolo da protagonista da lui svolto, si risolve a favore del D. per complessità di interessi, spirito critico e desiderio di obiettività documentaria.

Nel 1264 il D. è ricordato come uno degli armatori che contribuirono alla flotta dell'ammiraglio Simone Grillo; quattro anni dopo, pagò una penale inflitta in Messina ad un cittadino genovese, colpito, come altri, dalle misure repressive di Carlo I d'Angiò (26 gennaio). Secondo l'Imperiale, nel 1270 potrebbe essersi imbarcato sulla flotta crociata di Luigi IX, accompagnando lo zio Ansaldo, capo del contingente genovese, ed altri membri della famiglia; dirottata su Tunisi la spedizione, che si concluse con un fallimento, il D. forse seguì quei crociati che si misero al servizio del principe Edoardo d'Inghilterra, generosamente intenzionato a liberare i Luoghi Santi. Benché egli riveli vivo interesse per un episodio non strettamente collegato con le vicende cittadine, su cui dimostra profonda conoscenza, mancano documenti sulla sua diretta partecipazione all'impresa. A certo però, che nel 1271 si trovava a Laiazzo, nella Piccola Armenia, dove fu teste in un documento (7 ottobre) e dove ebbe l'incarico dal Comune di Genova (28 marzo 1272) di anticipare la somma dovuta agli uomini d'affari genovesi che si erano impegnati personalmente a risarcire i danni patiti da alcuni mercanti armeni, le cui merci erano state illegalmente saccheggiate dall'ammiraglio Luchetto Grimaldi nel 1267. Durante questo soggiorno conobbe Filippo di Montfort, signore di Tiro. Infatti, in una nota scritta dal D. in margine al Liber iurium, egli ricorda la scomparsa di un privilegio concesso ai mercanti liguri dal signore della città, ma sottratto e distrutto da un console genovese, di cui il Montfort non volle rivelare al D. l'identità.

Ritornato a Genova, nel 1273 prese in appalto l'introito dell'imposta gravante sul commercio della carne e del formaggio da Capo Corvo a Monaco (18 marzo). Quando suo fratello Oberto divenne capitano del Popolo, il D. (come altri membri della famiglia, chiamati a posti di responsabilità dalla grave situazione politica) rivestì cariche pubbliche, venendo eletto nel 1273 podestà di Voltri. Sottoposto il giovane governo ghibellino all'attacco massiccio dell'esercito di Carlo d'Angiò, la Riviera di Ponente fu invasa dal siniscalco di Provenza. A Savona, per impedirne l'occupazione, fu subito inviato il D. con un contingente di 500 soldati, cui si aggiunsero in città altri uomini, per un totale di 3.000 armati. Questo intervento tempestivo scoraggiò i guelfi dall'attaccare Savona, cosicché, dopo tre giorni, il D. poté lasciare la città. Le operazioni militari coinvolsero in seguito la stessa podesteria di Voltri, assalita dal marchese Corrado del Bosco, alleato degli Angiomi. e dall'esercito alessandrino. Come vicario dell'Oltregiogo venne eletto Egidio Di Negro, che concertò col D. un'azione comune contro il castello di Tagliolo, roccaforte del marchese. L'operazione riuscì: il castello si arrese al D., che poté occupare una vasta parte dei possessi del ribelle. Uscito di carica, mentre si allentava la pressione guelfa su Genova, egli dovette riprendere i suoi traffici, forse dirigendosi ancora una volta nella Piccola Armenia, perché nel 1276 (7 ottobre) ottenne una commenda, per trafficare in quella regione, da Giacomo Boccanegra, tutore dei figli di Guglielmo, suo fratello, già capitano del Popolo e morto in quegli anni. Nel 1278, a nome degli eredi dei fratello Nicolò, insieme con Lamba, riscosse gli introiti provenienti dalla ferriera di Quiliano, gestita dalla famiglia (15 luglio); nello stesso anno commerciava grano, comperato a Chiavari (16 luglio). Nel 1280 acquistò la metà di un locum nelle Compere del sale (12 aprile) e, l'anno dopo, divenne procuratore degli eredi di Rosso Della Volta (17 novembre).

In questo periodo il D. fu chiamato dai capitani del Popolo a rivestire due importanti incarichi culturali: quello di membro della commissione deputata a redigere gli annali cittadini e quello di custos dell'Archivio comunale. Proseguendo una prassi iniziata nel 1264, che affidava la redazione della storia "ufficiale" della città non più a singoli annalisti, ma a una commissione di quattro saggi, i capitani incaricarono il D., Oberto Stancono, Marchesino da Cassino e Bertolino di Bonifacio di narrare gli avvenimenti a partire dal 1270, anno in cui salì al potere la diarchia. Non risulta in quale data l'incarico sia stato loro affidato; certamente, come si intuisce dal proemio, alcuni anni dopo la creazione del capitanato, quando la narrazione annalistica fu interrotta per il cambiamento di regime e a lungo sospesa per i drammatici pericoli che il nuovo governo dovette fronteggiare. Alla commissione fu affidato un compito di estrema delicatezza: rendere "ufficiale" il punto di vista del gruppo di forze che si era impadronito del potere, giustificandone le scelte sia negli avvenimenti che portarono al colpo di Stato, sia nella lotta contro Carlo d'Angiò. La narrazione rivela grande abilità "propagandistica", perché il nuovo governo è presentato come necessario e consono agli interessi economici e politici della città (il clima in cui maturò il cambiamento di regime è segnato, secondo il racconto, dalla delusione per il fallimento della crociata di Luigi IX, "dirottata" da Carlo contro Tunisi, città tradizionalmente legata da buoni rapporti con Genova; dal disordine sociale che favorì il banditismo e provocò insicurezza nelle Riviere; dagli atti illegali commessi dai guelfi nell'occupare cariche pubbliche). Anche la lotta contro il partito guelfo è abilmente presentata come imposta dall'avversario e non voluta, come una sfida lanciata non ai soli capitani, ma all'intera città.

Nel 1279 la commissione fu sciolta, per cui il D. continuò da solo. ma a titolo privato, a raccogliere notizie e materiale sugli avvenimenti successivi. Nel frattempo, forse nel 1280, egli fu chiamato a rivestire la carica di custos dell'Archivio comunale, ospitato nella sacrestia di S. Lorenzo: era la prima volta che a Genova questo incarico veniva affidato ad un laico che non fosse notaio o scriba. Nell'Archivio erano stati depositati alla rinfusa atti pubblici (trattati, privilegi, leggi) o anche atti di ordinaria amministrazione. A partire dal 1229 alcuni podestà avevano tentato di mettere ordine almeno nei documenti ufficiali del Comune, ma facendoli trascrivere su un registro senza un criterio preciso. Nel 1253 il podestà Enrico Confalonierì riprese il progetto, estendendo la trascrizione anche agli atti di ordinaria amministrazione, rintracciati in vari volumi. Nel 1267 fu iniziata una ricopiatura del registro; fu il D. a preoccuparsi di facilitare la consultazione dell'opera, fornendola di una rubrica, concernente, però, solo gli atti copiati prima della sua nomina a custode, sino al 1275. Nei margini inferiori del codice, per facilitare la consultazione dei documenti, egli abbozzò anche gli alberi genealogici di alcune famiglie marchionali, con cui la Repubblica genovese aveva avuto stretti rapporti. Contemporaneamente, egli revisionò la copia degli Annali conservata nell'Archivio, correggendo od integrando le notizie fornite dai suoi predecessori (ad esempio, assai interessanti sono le postille in cui egli contribuisce a chiarire la complessa genealogia dei giudici sardi; molto precise anche le integrazioni relative alla sfortunata campagna navale dell'ammiraglio Rosso Della Turca a San Giovanni d'Acri, nel 1258, tanto da far supporre una partecipazione diretta dei D. all'impresa). Questa opera di revisione (non ancora sufficientemente studiata) costituisce il più importante lavoro di "critica storica" medievale (Arnaldi).

Nella sua funzione di custode, il D. ebbe modo di intervenire con efficacia in alcuni episodi. Nel 1278 i guelfi, banditi dalla città, si rivolsero a papa Niccolò III, perché non era stato rispettato l'accordo tra i due partiti in lotta, sottoscritto con la mediazione di Innocenzo V nel 1276. Il papa incaricò il vescovo di Forlì di giudicare la causa; a Piacenza il delegato papale convocò il Comune di Genova, che rifiutò di comparire, allegando un privilegio concesso alla città da Alessandro IV, in base al quale il Comune o un singolo cittadino non potevano essere convocati in giudizio fuori dal distretto genovese. Il vescovo, favorevole ai guelfi, rifiutò tale giustificazione, lanciò l'interdizione contro la città e scomunicò i capitani del Popolo e gli altri magistrati cittadini. Nel 1281, il 2 aprile (martedi santo, come nota il D.), egli ritrovò nella sacrestia di S. Lorenzo un privilegio di Innocenzo IV, secondo cui la città non poteva essere sottoposta ad interdetto da alcun delegato pontificio, se non per espressa licenza del papa. Il giorno dopo vennero convocati il clero della città ed il Collegio dei giudici, che si pronunciarono per la non osservanza dell'interdetto; gli uffici divini vennero, pertanto, ripresi, senza attendere la sentenza papale.

Nel 1284, dopo la battaglia della Meloria (6 agosto), grazie al suo ruolo di custode, il D. ottenne in consegna il cartularium della Cancelleria pisana (col modello delle lettere per diffondere la notizia della vittoria, data per certa), che era stato preso sulla flotta nemica; gli altri trofei furono collocati, invece, nella chiesa doriana di S. Matteo.Cresciuto il suo prestigio personale, il D. fu chiamato ad alcuni incarichi diplomatici. Nel 1284 fu uno degli ambasciatori che accompagnarono a Costantinopoli Iolanda, figlia del marchese di Monferrato, che andava sposa all'imperatore Andronico; l'anno successivo o nel 1286 tornò a Costantinopoli per rinsaldare l'amicizia tra le due potenze e per ottenere il risarcimento dei danni patiti dai Genovesi per opera dei pirati; nel 1287 fu mandato a Tunisi, per stipulare un accordo, firmato il 9 giugno. Entrato a far parte del Consiglio della Repubblica, nel 1289 egli intervenne personalmente nell'infuocato dibattito che divise l'assemblea circa l'atteggiamento da assumere davanti alle offerte di pace avanzate dalla sconfitta Pisa. Come lo stesso D. narra nei suoi Annali, in cambio di Cagliari, che Genova reclamava, ma che Pisa rifiutava di consegnare, in quanto formalmente non in suo potere, la città toscana propose varie contropartite vantaggiose per Genova. Il D. fu del parere che si accettasse l'offerta pisana, conscio che Cagliari non sarebbe stata mai ottenuta; tuttavia prevalse la tesi di chi volle insistere nella richiesta. Nello stesso anno egli fu testimone all'atto in cui Brancaleone Doria vendette a Genova le sue proprietà a Quiliano (4 marzo). Nel frattempo, come si è già detto, il D. continuò a raccogliere materiale documentario, se non già a comporre il testo privatamente, per proseguire la cronaca genovese, interrotta col 1279. La sua posizione era ideale al riguardo: fratello del capitano del Popolo Oberto e zio del suo successore, Corrado; a contatto coi documenti ufficiali della Repubblica, come custode dell'Archivio; membro del Consiglio maggiore; esponente di una famiglia coinvolta in prima fila nella lotta contro Pisa per il controllo della Sardegna, da tempo interessata anche all'espansione in Corsica (dove lo stesso D., col fratello Oberto, vantava diritti su Calvi) e pronta a concorrere con molti giovani all'avventura pionieristica che la città stava vivendo nei nuovi mercati della "Gazaria": il D. era obiettivamente la persona più indicata, per narrare gli avvenimenti genovesi a lui contemporanei. A ciò si devono aggiungere il gusto "critico" per le antichità cittadine; la lucidità politica dimostrata nei vari incarichi pubblici cui venne chiamato; la scrupolosità con cui ascoltò e verificò i racconti di testimoni oculari e degli stessi protagonisti delle imprese più rilevanti.

Non è possibile stabilire con esattezza quando il D. abbia iniziato la sua attività privata di cronista; forse, dopo il "provvidenziale" esito della battaglia della Meloria. A questa attività poté essere incoraggiato dal fratello Oberto, almeno finché egli non si ritirò clamorosamente dalla scena politica (settembre 1285). A probabile anche che abbia steso compiutamente l'opera nel 1290 o addirittura nel 1293. Solo il 16 luglio dell'anno seguente, quando il D., vecchio e ammalato, aveva ormai deciso di porre termine alla narrazione, la sua cronaca venne ufficialmente accolta nel codice autentico che conteneva la storia cittadina da Caffaro in poi. Gli Annali (abbraccianti gli anni 1280-1293) furono inseriti (o meglio, "vincolati", cioè non trascritti, ma giustapposti e concatenati) nell'esemplare del codice (attualmente conservato alla Biblioteca nazionale di Parigi); esso, tuttavia, subì la dispersione dell'ultimo quaternione contenente ilracconto dalla fine del 1287 al 1293 (sulla tradizione manoscritta degli Annali e sui problemi critici ancora aperti si veda la bibliografia citata).

Nel proemio, dopo aver chiarito i limiti cronologici dell'opera, il D. espone l'obiettivo del suo lavoro secondo i topoi medievali; segue poi un lungo excursus sull'antichità di Genova, sulla presenza della città negli autori classici e medievali e sulla etimologia del toponimo. La narrazione abbraccia non solo l'apogeo politico e militare della Repubblica (che almeno per alcuni decenni continuerà a conoscere eguale splendore), ma soprattutto il momento di più stretto "consenso" tra il populus e il governo cittadino, destinato a restare parentesi irripetibile di pace interna (e come tale profeticamente colta dal D.) nella storia genovese per almeno due secoli. Non a caso, gli Annali furono interrotti quando al D. apparve chiaro che era fallito il progetto politico di cui il fratello Oberto era stato promotore. Inoltre il racconto, pur presentando il punto di vista ufficiale e "doriano" sugli avvenimenti, diventa più personale e soggettivo nelle valutazioni (in ciò differenziandosi dagli annalisti precedenti) soprattutto per le vicende relative agli ultimi anni, quando il D. manifestò il suo dissenso e la sua delusione per il corso degli avvenimenti interni.

Particolarmente accurata è la descrizione della rivolta siciliana dei Vespri (definita dall'Amari come la cronaca più precisa dell'episodio: cfr. La guerra del Vespro siciliano, Milano 1886, ad Ind.); la narrazione della guerra contro Pisa, voluta fortemente dai Doria, interessati a bloccare l'espansione della città rivale in Sardegna, ma presentata come punizione divina per la "felix Pisanorum superbia"; il resoconto della campagna militare in Corsica guidata dai cugini del D. Luchetto ed Ingo. Momento centrale degli Annali è la vittoriosa battaglia della Meloria (6 ag. 1284). Con l'improvviso ritiro dalla scena politica di Oberto, l'identificazione totale tra il D. ed il governo cittadino si incrina: egli non cela le sue perplessità sulla spedizione voluta da Oberto Spinola, collega di suo fratello, contro Porto Pisano e conclusasi con un parziale insuccesso (1285); manifesta la sua diffidenza nei confronti delle città toscane alleate, le cui reali intenzioni di distruggere Pisa erano tutte da verificare; condanna fermamente le iniziative personali di Benedetto Zaccaria in Oriente, imitato da quei giovani esponenti dei Doria che si rendevano protagonisti di iniziative personali in contrasto col loro governo; saluta con entusiasmo la partenza della spedizione guidata dai fratelli Vivaldi, finanziata da suo nipote Tedisio; assiste con amarezza al tramonto della diarchia Doria-Spinola. L'opera si conclude con un esame della prosperità economica raggiunta da Genova (il D. fornisce al riguardo interessanti dati statistici) e con l'ammonimento ai concittadini a porre termine alle lotte interne. La profonda religiosità che anima il racconto dello scontro con Pisa; la scioltezza narrativa, che spinge il D. a inserire nel testo latino vocaboli marinareschi, espressioni proverbiali e termini in volgare; l'ampiezza di orizzonte che comprende anche le vicende delle grandi potenze europee, rendono l'opera interessante e godibile, oltreché documento fondamentale per la conoscenza di questo periodo storico.

Il D., come custos dell'Archivio comunale, si adoperò anche perché fossero riportate nel codice "autentico" degli Annali alcune operette monografiche: le due brevi narrazioni stese da Caffaro nella prima metà del sec. XII (la Historia captionis Almerie et Tortuose e il De liberatione civitatum Orientis), che trovò nelle carte del nonno Oberto; la Brevis historia Regni Hierosolimitani, iniziata sempre da Caffaro e completata o da Oberto o dallo stesso Doria. Egli dovette raccogliere (o ricevere in eredità dal nonno) documenti riguardanti la sua famiglia, forse componendo un'opera al riguardo. Questo trattatello è ricordato dall'erudito genovese P. P. M. Oliva nel secolo XVIII, ma, ammesso che sia stato scritto dal D., dovette scomparire già nel secolo scorso, perché il marchese Iacopo Doria, appassionato storico della sua famiglia, non riuscì a consultarlo. Il D. è anche autore di una Practica equorum, che lo Spotorno per primo gli attribuì. L'operetta (conservata nella Biblioteca naz. Marciana di Venezia: cfr. Spotorno) è composta di 59 capitoli e contiene una serie di ricette per la cura dei cavalli, suggerimenti e formule di scongiuri scritti in volgare.

Negli ultimi anni della sua vita il D. compare assai poco nei documenti notarili o in quelli ufficiali: nel 1294 diede il suo assenso al fratello Oberto perché fossero ceduti alla Repubblica i diritti vantati dai due su Calvi, in Corsica (2 febbraio); in un atto del 1305 (3 settembre) risulta morto. Per il Battilana, che non ricorda il nome della moglie, ebbe tre figli (Nicolò, Andreolo e Martino), ma non esistono sicuri riscontri archivistici al riguardo.

Fonti e Bibl.: Per le vicende biogr. del D. punto di partenza sono: C. Imperiale di S. Angelo, Introduz. a Annales Genuenses, V, Roma 1929, in Fonti per la storia d'Italia, XIV, pp. XXIX-LXI; Id., I. D. ed i suoi Annali, Venezia 1930; G. Monleone, I. D., in Annali genovesi di Caffaro e dei suoi continuatori, IX, Genova 1930, pp. 250-6. Altri dati od approfondimenti in: Genova, Biblioteca civica Berio, m. r. III, 4, 7-9: Foliatium notariorum, (ms. sec. XVIII), I, cc. 269r, 501r, 502v; II, cc. 108r, 139v, 214v, 254v; III, 2, c. 348r (si citano solo i docc. utilizzati nella biografia); Liber iurium Reipublicae Genuensis, a cura di E. Ricotti, in Monumenta historiae patriae, IX, Augustae Taurinorum 1857, docc. XXXVII col. 57, LII col. 96, LXVII col. 194, LXVIII col. 196, CXIX coll. 306 s.; Codex diplomaticus Sardiniae, a cura di P. Tola, ibid., X, ibid. 1861, doc. CXXI, pp. 402-405; Codice diplomatico delle relazioni tra Genova, la Toscana e la Lunigiana ai tempi di Dante, a cura di A. Ferretto, in Atti della Soc. ligure di storia patria, XXXI (1901-1903), ad Indicem; Annali storici di Sestri Ponente, a cura di A. Ferretto, ibid., XXXIV (1904), ad Indicem; Documenti sulle relazioni tra Voghera e Genova (960-1325), a cura di G. Gorrini, in Bibl. della Soc. storica subalpina, XLVIII, Pinerolo 1908, ad Indicem; Annali genovesi, cit., VII, Genova 1929; VIII-IX, ibid. 1930, ad Indices; Trattati e negoziazioni politiche della Repubblica di Genova (958-1797). Regesti, a cura di T. Lisciandrelli, in Atti della Soc. ligure di storia patria, n. s., I (1960), ad Indicem; N. Battilana, Genealogie delle famiglie nobili di Genova, I, I Doria, Genova 1825, p. 3; J. Doria, La chiesa di S. Matteo in Genova, Genova 1860, pp. 121-125; C. Desimoni, Actes passés à L'Aïas (Petite Arménie) et à Beyrouth par-devant les notaires génoises, Gênes 1881, p. 12; Id., Spigolature genovesi in Oriente, in Giornale ligustico, XI (1884), pp. 345, 350; C. Manfroni, Le relazioni tra Genova, l'Impero bizantino e i Turchi, in Atti della Soc. ligure di storia patria, XXVIII (1898), ad Indicem; R. Ciasca, Un centro marocchino del traffico genovese nel Medioevo, in Riv. internaz. di scienze sociali, XLIII (1935), pp. 448-452; R. Lopez, La prima crisi della banca di Genova (1250-56), Milano 1956, ad Indicem; A. Boldorini, Da Tunisi a Trapani con i Genovesi alla seconda crociata di Luigi IX, Genova 1967, p. 7; G. Pistarino, Genova medievale tra Oriente ed Occidente, in Riv. stor. ital., LXXXI (1969), pp. 64, 72; C. Fusero, IDoria, Milano 1973, pp. 184, 191 s., 195, 209-218, 238; G. Caro, Genova e la supremazia del Mediterraneo, in Atti della Società ligure di storia patria, n. s., XIV-V (1974-75), ad Indicem; F. Surdich, Gli esploratori genovesi nel periodo medievale, in Miscellanea di storia delle esplorazioni, I (1975), pp. 36 s.; M. Balard, La Romanie génoise (XIIe-début du XVe siècle), in Atti della Soc. ligure di storia patria, n. s., XVIII (1978), ad Indicem.

Sulla attività di custos dell'Archivio genovese: Alberi genealogici compilati dall'annalista J. D. e trascritti da C. Desimoni, in Atti della Soc. ligure di storia patria, XXVIII (1896), pp. 299-310; C. Imperiale di S. Angelo, Il codice diplomatico della Repubblica di Genova, in Bullett. dell'Ist. stor. ital. per il Medioevo, L (1935), pp. 17 s., 27, 29-33, 40; G. Arnaldi, Gli Annali di I. D., il cronista della Meloria, in Genova, Pisa ed il Mediterraneo tra Due e Trecento (per il VII centenario della battaglia della Meloria), in Atti della Soc. ligure di storia patria, n. s., XXIV (1984), p. 590.

Sulla tradizione manoscritta degli Annales Genuenses la più recente puntualizzazione è: G. Arnaldi, Gli Annali di I. D., Cit., pp. 585-620; Utili anche: C. Imperiale di S. Angelo, Avvertenza, ad Annales Genuenses, cit., V, Roma 1929, pp. VII-XXV; D. Punculi, Caffaro e le cronache cittadine: per una rilettura degli Annali, in Atti della Soc. ligure di storia patria, n. s., XXII (1981), pp. 72 s.; l'elenco delle edizioni e delle traduzioni in italiano si trova in Repertorium fontium historiae Medii Aevi, II, Romae 1967, p. 292 (con bibliografia critica).

L'opera del D. come cronista ed i problemi critici ancora aperti (in modo particolare sulla doppia redazione della spedizione genovese in Corsica del 1289) sono studiati da: U. Balzani, Le cronache italiane nel Medioevo, Milano 1900, pp. 292 s.; A. Beltrami, Gli scrittori latini della Liguria medievale, in IlComune di Genova, III (1923), p. 652; L. Valle, Per una nuova edizione veramente critica degli Annali di I. D., Genova 1933; D. Scano, Serie cronologica dei giudici sardi, in Arch. stor. sardo, XXI (1939), pp. 68 s., 73; A. Giusti, Lingua e letteratura latina in Liguria, in Storia di Genova, II, Milano 1941, pp. 342 ss.; G. Arnaldi, Uno sguardo agli Annali genovesi, in Studi sui cronisti della Marca Trevigiana nell'età di Ezzelino da Romano, Roma 1963, ad Indicem; V. Polonio, Le maggiori fonti storiche del Medioevo ligure, in Studi genuensi, V (1964-1965), p. 26; V. Vitale, Una aristocrazia dugentesca ed il suo annalista, in Bollettino ligustico per la storia e la cultura regionale, XVII (1965), p. 85 s.; G. Petti Balbi, La storiografia genovese fino al secolo XV, in Studi sul Medioevo cristiano offerti a R. Morghen, Roma 1974, II, ad Indicem; B. Z. Kedar, Mercanti in crisi a Genova ed a Venezia nel '300, Roma 1981, ad Indicem; G. Petti Balbi, Caffaro e la cronachistica genovese, Genova 1982, ad Indicem; G. Airaldi, Genova e la "quarta dimensione", in Atti del Convegno di studi sui ceti dirigenti nelle istituzioni della Repubblica di Genova, III, Genova 1983, pp. 96, 99 s.; G. Arnaldi, Gli Annali di I. D., cit., pp. 585-620; G. Petti Balbi, Società e cultura a Genova tra Due e Trecento, in Genova, Pisa ed il Mediterraneo, cit:, pp. 124 s., 133, 139 s.; G. Airaldi, Genova e la Liguria nel Medioevo, in A. M. Nada Patrone-G. Airaldi, Comuni e signorie nell'Italia settentrionale, in Storia d'Italia (UTET), V, Torino 1986, ad Indicem. Circa l'appendice agli Annali sulla storia della famiglia, attribuita al D., ma scomparsa: Genova, Società ligure di storia patria, P. P. M. Oliva, Ascendenza paterna e materna di Francesco Maria Doria (ms. Sec. XVIII), c. 129v; J. Doria, La chiesa di S. Matteo, cit., p. 121. La Practica equorum èanalizzata da G. B. Spotorno, Storia letteraria della Liguria, I, Genova 1824, pp. 141-145, 230; L. T. Belgrano, Della vita privata dei Genovesi, Genova 1875, pp. 282 s.; C. Imperiale di S. Angelo, Avvertenza, ad Annales Genuenses, cit., pp. XVIII ss.; Id., I. D. e i suoi Annali, cit., p. 227; G. Petti Balbi, Società e cultura a Genova, cit., p. 133.

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