IACOPO di Porta Ravennate

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 62 (2004)

IACOPO di Porta Ravennate

Luca Loschiavo

Figlio di "Ildebrandus Alberti de Ugo de Boni" (Sarti - Fattorini, p. 52) nacque, secondo Kantorowicz (1969, pp. 86, 103; cfr. anche Fried, p. 108), nei primi anni del XII secolo a Bologna.

Glossatore della scuola di Bologna, I. fu probabilmente il più giovane dei "quattro dottori" allievi di Irnerio. L'origine bolognese sembra provata, oltre che dal nome (la porta Ravennate o Ravegnana individuava infatti un quartiere dell'antica Bologna), dal fatto che i suoi avi sono menzionati in vari documenti della città emiliana.

I. dovette seguire le lezioni di Irnerio in giovanissima età. Può anche darsi che dopo la morte del maestro, avvenuta posteriormente al 1125, abbia continuato ancora per qualche tempo a frequentare le scuole dei più anziani Bulgaro e Martino Gosia.

Un'antica leggenda, ricordata da un'aggiunta alla cronaca di Ottone Morena, vuole che Irnerio, sul letto di morte, fosse invitato dai suoi allievi a scegliere colui che gli sarebbe succeduto a capo della scuola. A una simile richiesta, Irnerio avrebbe risposto con il lapidario distico: "Bulgarus os aureum, Martinus copia legum, mens legum Ugo, Iacopus id quod ego". Con ciò egli avrebbe appunto inteso designare proprio I. quale suo successore. Sulla base di questo racconto, De Vergottini avanzò l'ipotesi che I. avesse sostituito Irnerio nell'insegnamento durante il periodo in cui quest'ultimo fu scomunicato (1119-22). Il medesimo aneddoto era parso invece a Tamassia destituito di ogni fondamento in quanto esemplato sul racconto di Aulo Gellio in relazione alla morte di Aristotele (Noctes Atticae, XIII, 5). La storiella potrebbe pur tuttavia nascondere qualche elemento di verità. Se da un lato, infatti, non sono del tutto trascurabili le differenze col racconto di Aulo Gellio, dall'altro va pure sottolineato come il medesimo episodio ci venga riferito anche da altre fonti, le quali, benché più tarde, ce lo ripropongono con toni senz'altro più prosaici e arricchito di varianti significative: Irnerio non appare più in punto di morte, ma solamente desideroso di far ritorno in patria o costretto, "per nimiam senectutem", a non proseguire oltre nell'insegnamento (Pace, pp. 124-132). Con i famosi versi, lungi dall'indicare un unico successore, Irnerio avrebbe piuttosto voluto invitare i suoi quattro migliori allievi a percorrere ciascuno la propria strada. L'"id quod ego" riferito a I. potrebbe allora semplicemente indicare che Irnerio considerava il più giovane dei quattro doctores come quello che con maggiore fedeltà rispecchiava il suo insegnamento. Letto in questi termini, il favoloso episodio assume forse maggiore credibilità e non sarebbe oltretutto smentito nemmeno da quel poco che ci è dato di sapere circa la produzione di Iacopo.

Le testimonianze documentarie che ne attestano l'attività coprono un periodo compreso tra il 1151 e il 1169 e sono tutte relative ad ambienti bolognesi. I. vi compare in qualità di iudex, causidicus, legislator, legis o legum doctor e finalmente come vir prudentissimus et admirabilis orator.

Non è sicura - ma nemmeno improbabile - l'identità con quel "dominus Jacobus" che compare in due documenti modenesi, rispettivamente del 1160 e 1161; nel secondo di questi documenti figura anche il giurista Aldrico (Fried, p. 188).

I. fu apprezzato negli ambienti ecclesiastici e presso le più alte autorità civili: Guido da Sesso ne richiese i servigi quando era stato da poco nominato podestà di Bologna (10 maggio 1151) e anche in seguito, più volte, unitamente agli altri doctores Bulgaro, Martino e Ugo. Sempre in compagnia di questi ultimi, I. accettò poi l'invito di Federico I Barbarossa a recarsi a Roncaglia (1155) per risolvere, con l'ausilio e l'autorità delle leges giustinianee, la famosa questione degli iura regalia spettanti all'imperatore.

Da una sua glossa alla parola "provinciales" di C. 1.3.3 (ed. Pescatore, 1888, p. 91) parrebbe anzi che si debba concludere che proprio I. dovesse meritare, assai più che non Bulgaro e Martino, l'accusa sarcasticamente amara che Piacentino lanciò contro i "miseri Bononienses" che avrebbero assecondato il Barbarossa nel suo disegno di recupero delle regalie fornendo gli argomenti giuridici in base ai quali rendere tributaria anche l'Italia (Loschiavo, pp. 128-130).

Nelle Dissensiones dominorum la presenza di I. è di poco minore rispetto a quella di Martino Gosia. Le opinioni di I. vengono nella maggior parte dei casi poste a confronto con quelle dei più anziani Bulgaro e Martino. Mentre nei confronti di Bulgaro, però, I. appare essere in accordo o in disaccordo più o meno nella stessa misura, rispetto a Martino sono molto più numerosi i casi di contrasto che non le occasioni di convergenza.

Un'antica tradizione bolognese vuole che I. abbia collaborato alla stesura del Decretum di Graziano per quanto riguarda la scelta e l'inserimento dei "pezzi" romanistici (Kantorowicz, 1969, p. 79; 1970, pp. 281, 283). Pur non potendo escludere a priori una simile collaborazione (cfr. Pescatore, 1888, p. 87), non vi è tuttavia alcun elemento sicuro che possa comprovarla.

I decretisti attribuivano a I. la paternità della summula sulle prescrizioni inserita nel Decretum come pars 8 di C. XVI. q. 3. Oggi si ritiene però che questo inserto sia opera di un giurista più tardo, il quale può aver utilizzato un analogo lavoro di I. (Villain).

Nel 1169 I. fu chiamato a difendere l'abate di Pomposa di fronte al vescovo di Bologna, giudice delegato del papa.

La morte lo colse l'11 ott. 1178. Di lui si ricorda una figlia di nome Zugiana.

Opere: a I. appartengono con sicurezza una Summula de in integrum restitutionibus maiorum la quale, oltre che nel manoscritto Parigi, Bibliothèque nationale, Fonds lat. 4603, cc. 79vb-80r, su cui è basata l'edizione di Pescatore (cfr. Miscellen, in Beiträge zur mittelalterlichen Rechtsgeschichte, II, 5, Berlin 1889, pp. 43-46), è presente anche nei codici Bologna, Coll. Spagna, 73 (cc. 141-142) e Grenoble, Biblioteca municipale, 391.2 (c. 179). Sempre a I. appartengono una Summula de legibus (cfr. Dolezalek, p. 166) e una Summula de aequitate (ed. Loschiavo, pp. 235 s.).

Quest'ultima è chiaramente costruita con la tecnica delle composizioni "a mosaico", caratteristica dei più antichi glossatori. Il confronto con analoghi lavori di Bulgaro ci consente anzi di riconoscere in I. un impiego già meno rigido e più evoluto di quel particolare metodo compositivo.

Redatto in questo modo è pure il Tractatus criminum che Kantorowicz (1969, pp. 106, 166; 1970, pp. 281 s.), dopo averne riconosciuti l'autonomia e il titolo (nelle edizioni cinquecentesche questa trattazione sul diritto penale giustinianeo compare inserita come il VI libro della Summa de actionum varietate di Piacentino), ipotizzò potesse essere anch'esso opera di Iacopo. La critica più recente (Fowler-Magerl, Gouron, Lange, Minnucci) sembra tuttavia respingere tale attribuzione. Uno speciale interesse di I. per il diritto penale trova peraltro conferma in alcune sue glosse incentrate sulla punibilità della voluntas pur in mancanza di effectus (Glöckner, pp. 68-70).

I. fu anche autore di quaestiones (alcune sono edite, per es., in U. Palmieri, Quaestiones dominorum Bononiensium, in Bibliotheca iuridica Medii Aevi, a cura di A. Gaudenzi, I, Bononiae 1914, pp. 235-266) e di diverse distinctiones (cfr. Pescatore, 1912, p. 502; Seckel, pp. 348 s., 352 s.; Bellomo, pp. 115, 121 s.).

La parte più considerevole della sua produzione è però senza dubbio quella costituita dalle glosse ai libri legales. Alcune di queste sono state edite sparsamente in tempi più o meno lontani e con criteri non sempre accettabili. Notevoli, tuttavia, i saggi di edizione che dobbiamo a Pescatore (1888) e a Dolezalek, per ciò che riguarda l'esegesi di I. sui primi nove libri del codice, e a Torelli relativamente ai suoi insegnamenti sulle istituzioni. Dolezalek, in particolare, dopo una ricognizione completa dei manoscritti preaccursiani del Codex, ha creduto di individuare in un codice berlinese (Berlino, Staatsbibliothek, Lat. folio, 275) qualcosa di molto vicino al liber magistri dello stesso Iacopo.

Nonostante questi pregevoli esempi, le glosse di I. continuano a rimanere inedite per la grandissima parte. Chi sia interessato ai suoi insegnamenti dovrà quindi necessariamente ricercare sui margini dei manoscritti preaccursiani le glosse che ne riproducono il pensiero e che sono appunto riconoscibili per essere contrassegnate dalle sigle "Ia.", "Ja.", "Jac." o, più semplicemente, "I". Relativamente a quest'ultima sigla occorre peraltro ricordare come a lungo essa sia stata piuttosto riferita a Irnerio.

I manoscritti preaccursiani giunti sino a noi dimostrano come I. abbia glossato ogni parte del Corpus iuris giustinianeo compresi gli ultimi tre libri del Codice (Tres libri) e le Novelle dell'Authenticum. Sino a ora, in verità, non ci è stata restituita alcuna glossa di I. all'Infortiatum; occorre tuttavia precisare come uno studio completo e analitico sui manoscritti preaccursiani del Digesto sia ancora da fare. Volendo offrire un elenco solamente orientativo, glosse recanti la sua sigla si rinvengono in particolare nei seguenti manoscritti: Troyes, Bibliothèque municipale, 135 (Digestum vetus); Olomouc, Archivio di Stato, CO.273 (Digestumnovum); Berlino, Staatsbibliothek, Lat. folio, 275, 408; Bruxelles, Bibliothèque royale, 125; Lipsia, Universitätsbibliothek, 884; Padova, Biblioteca universitaria, 688; Parigi, Bibliothèque nationale, Fonds lat., 4527, 4536; Vienna, Österreichische Nationalbibliothek, 2267 (Codex); Stoccarda, Württembergische Landesbibliothek, Jur. folio, 71 (Tres libri); Bamberga, Staatsbibliothek, Jur., 4; Stoccolma, Biblioteca reale, B.683 (Institutiones); El Escorial, Biblioteca del Real Monasterio de San Lorenzo, S.I.9; Lipsia, Staatliche Bibliothek, Haenel, 5; Monaco di Baviera, Bayer. Staatsbibliothek, Clm, 3509; Parigi, Bibliothèque nationale, Fonds lat., 4429; San Pietroburgo, Biblioteca universitaria, Lat., 5 (Authenticum).

Difficile dare una valutazione della produzione di I. che, come si è appena detto, giace ancora per la maggior parte inedita. Una prima notazione può però senz'altro riguardare i legami di I. col mondo delle arti liberali. Si tratta di un ulteriore elemento che avvicina I. al maestro Irnerio e che si manifesta, fra l'altro, nel vezzo di comporre versi (cfr. Pescatore, 1888, p. 659). Una personalità vivace e curiosa - e soprattutto estremamente sensibile ai problemi posti dall'attualità - è invece rivelata dal precoce interesse che I. mostra, assai più che non gli altri maestri suoi contemporanei, in relazione agli ultimi tre libri del codice.

In maniera particolare, I. sembra essersi interessato alla materia fiscale. Alcune riflessioni elaborate nella sua scuola proprio in margine ai Tres libri potrebbero avere addirittura costituito un precedente per quei giuristi che successivamente contribuirono alla formazione dell'innovativo concetto di dominium utile (cfr. Conte).

Parimenti suggestivi parrebbero anche gli spunti del suo pensiero circa gli scottanti problemi costituiti dai rapporti tra diritto romano (ius civile) e diritto divino da un lato e tra leges e canones dall'altro.

Quanto ai primi, una glossa edita da Torelli (p. 173) riconduce a I. - e non a Martino come ci si aspetterebbe - la tesi secondo cui a comprovare la validità dei testamenti sarebbero stati sufficienti i "due o tre" testimoni di cui parlano le Scritture (Deut., XIX, 15; Matteo, XVIII, 16), anziché i sette richiesti da Giustiniano (C. 6.23.21). Tale attribuzione trova conferma in un passo della collezione di Dissensiones dominorum edita da Scialoja (pp. 347 s.; cfr. Cortese, 1962, pp. 111-113). Sempre a dar credito alle collezioni di Dissensiones (cfr. Hänel, pp. 52 s., 98 s.), anche nell'altrettanto famosa controversia suscitata dall'interpretazione di un rescritto di Alessandro Severo (C. 2.27 [28].1) e relativa all'eventuale efficacia sanante del giuramento in ambito contrattuale, I. - e non Martino - si sarebbe nuovamente attestato sulle posizioni più estreme sottolineando la forza vincolante dell'intervenuto giuramento e subordinando a questa l'efficacia del negozio (cfr. Cortese, 1962, pp. 2-5).

Se però, in entrambi questi frangenti, I. apparirebbe pronto a mostrarsi incondizionatamente fedele ai principî etico-religiosi dello ius divinum sì da farli senz'altro prevalere sullo ius civile (Cortese, 1995, II, p. 89), egli non sembra viceversa altrettanto disposto a simili arretramenti di fronte alle norme enunciate nei canones - quelle cioè non riferibili direttamente all'auctoritas ultraterrena - quando queste appaiano in contrasto con le leges romane.

Una glossa siglata "Ja." in un codice pietroburghese dell'Authenticum (ed. Loschiavo, pp. 232 s.), nel commentare le parole "sacras regulas pro legibus valere" di Nov. 6.1.8, pare in effetti volersi appositamente dirigere a contestare la giustificazione teorica della deroga sistematica delle leges da parte dei canoni tipica del sistema cosiddetto dell'utraque lex. Un insegnamento approvato dagli ecclesiastici e sanzionato dal Decretum di Graziano (Distinctio X), ma nato probabilmente nel mondo culturale delle artes e ampiamente e lungamente diffuso tra i "giurisperiti" preirneriani, che prendeva spunto da un passo dell'Epitome Iuliani (119.1) per giungere alla convinzione che proprio Giustiniano avesse autorizzato il principio per cui "si canones sunt contrarii legibus, canones, non leges, tenendi sunt" (cfr. Cortese, 1989, pp. 97-99, 105 s.; 1995, pp. 385-388). Fondandosi sul nuovo e più "autorevole" testo delle Novelle giustinianee, I. si oppone recisamente a una simile conclusione escludendo che la frase in questione potesse essere intesa con valenza generale dal momento che "in secularibus […] iudiciis disceptandis nihil eis contrarium vim legis obtinere oportet" (Loschiavo, pp. 232 s.). Piuttosto, a giudizio del glossatore, il senso di tali parole interesserebbe unicamente quelle regole "que legibus contrarie non sunt" (ibid.) e in particolare quelle formulate nei quattro concili ecumenici espressamente recepiti dal medesimo Giustiniano (C. 1.1.8.19).

Fonti e Bibl.: O. Morena, Historia Frederici I, a cura di F. Güterbok, in Mon. Germ. Hist., Script. rer. Germ. in usum scholarum, n.s., Berolini 1930, p. 59; M. Sarti - M. Fattorini, De claris Archigymnasii Bononiensis professoribus, I, Bononiae 1769, pp. 52-55; Dissensiones dominorumsive Controversiae veterum iuris Romani interpretum, a cura di G. Hänel, Lipsiae 1834, ad ind.; F.C. von Savigny, Geschichte des römischen Rechts im Mittelalter, IV, Heidelberg 1850, pp. 141-154; G. Pescatore, Die Glossen des Irnerius, Greifswald 1888, pp. 45 s., 83 s., 87, 91, 659; E. Seckel, Distinctiones glossatorum, Berlin 1911, pp. 348 s., 352 s.; G. Pescatore, Verzeichnis legistischer Distinktionen mit Angabe des Verfassers, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte, Romanistische Abt., XXXIII (1912), pp. 493-510; V. Scialoja, Di una nuova collezione delle Dissensiones dominorum con l'edizione della collezione stessa, in Id., Studi giuridici, II, Roma 1934, pp. 327-413; N. Villain, Prescription et bonne foi du décret de Gratien (1140) à Jean d'André († 1348), in Traditio, XIV (1958), pp. 181-185; P. Torelli, Glosse preaccursiane alle Istituzioni. Nota terza: Iacobo e Ugo, in Id., Scritti di storia del diritto italiano, Milano 1959, pp. 167-214; E. Cortese, La norma giuridica, I-II, Milano 1962-64, ad ind.; M. Bellomo, A proposito della rappresentanza. Due inedite "distinctiones" di I. e Martino, in Annali di storia del diritto, VII (1963), pp. 115-124; V. Colorni, Le tre leggi perdute di Roncallia (1158) ritrovate in un ms. parigino (Bibl. nat. Cod. lat. 4677), in Scritti in memoria di Antonino Giuffrè, I, Milano 1967, pp. 111-170; N. Tamassia, Note per la storia del diritto romano nel Medio Evo. Un antico proemio de' libri giuridici in Oriente e in Occidente - La leggenda d'Irnerio, in Id., Scritti di storia giuridica, II, Padova 1967, pp. 313-321; H. Kantorowicz, Studies on the glossators of the Roman law, Aalen 1969, ad ind.; Id., Il "Tractatus criminum", in Id., Rechtshistorische Schriften, Karlsruhe 1970, pp. 273-285; J. Fried, Die Entstehung des Juristenstandes im 12. Jahrhundert. Zur sozialen Stellung und politischen Bedeutung gelehrter Juristen in Bologna und Modena, Köln 1974, ad ind.; G. De Vergottini, Lo Studio di Bologna, l'Impero, il Papato, in Id., Scritti di storia del diritto italiano, II, Milano 1977, pp. 695-792; L. Fowler-Magerl, Ordo iudiciorum vel Ordo iudiciarius. Begriff und Literaturgattung, Frankfurt a.M. 1984, ad ind.; G. Dolezalek, Repertorium manuscriptorum veterum Codicis Iustiniani, I-II, Frankfurt a.M. 1985, ad ind.; A. Gouron, Zu den Ursprüngen des Strafrechts: die ersten Strafrechtstraktate, in Id., Études sur la diffusion des doctrines juridiques médiévales, London 1987, ad ind., s.v. Iacobus; E. Cortese, Lex, aequitas, utrumque ius nella prima civilistica, in "Lex et iustitia" nell'utrumque ius: radici antiche e prospettive attuali, Città del Vaticano 1989, pp. 95-119; H.P. Glöckner, Cogitationis poenam nemo patitur (D. 48.19.18). Zu den Anfängen einer Versuchslehre in der Jurisprudenz der Glossatoren, Frankfurt a.M. 1989, ad ind.; E. Conte, Tres libri codicis: la ricomparsa del testo e l'esegesi scolastica prima di Accursio, Frankfurt a.M. 1990, pp. 10-13, 48-50, 107-113; G. Pace, "Garnerius Theutonicus". Nuove fonti su Irnerio e i "quattro dottori", in Riv. internazionale di diritto comune, II (1991), pp. 123-133; E. Cortese, Il diritto nella storia medievale, I-II, Roma 1995, ad ind.; L. Loschiavo, Summa codicis Berolinensis. Studio ed edizione di una composizione "a mosaico", Frankfurt a.M. 1996, ad ind.; H. Lange, Römisches Recht im Mittelalter, I, Die Glossatoren, München 1997, ad ind.; G. Minnucci, Tractatus criminum saeculi XII, Bologna 1997, pp. LXXIX s.

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