DELL'ARENA, Iacopo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 37 (1989)

DELL'ARENA (D'Arena), Iacopo

Diego Quaglioni

Nacque con tutta probabilità a Parma, nella prima metà del sec. XII. Se si deve dar credito ad una voce, tramandata dal Fulgosio e raccolta poi dall'Affò e dal Colle, secondo la quale il D. si sarebbe addottorato "non prius quani anno suae aetatis quadragesimo", e se si deve porre fra il 1261 ed il 1264 l'arrivo nello Studio patavino, ne consegue che la sua nascita dovrebbe porsi intorno ai primi anni '20 del secolo.

Sulla sua origine parmigiana si è dubitato, a cominciare da un luogo del perduto trattatello di Baldo De commemoratione famosissimorum doctorum,ricordato dal Dipiovatazio, in cui il D. è detto "de Parma sive de Papia in Lombardia" (e "pavese" tout court l'ha . chiamato recentissimamente il Cavalca). Addirittura "pergameni" è poi l'appellativo che si legge nell'intestazione della cosidetta Lectura super Codice data alle stampe a Lione nel 1541.Come parmensis è ricordato, prima che dal Caccialupi e dagli antichi biografi, da Cino nel suo commento alla I. si pacto, C. de pactis (C. 2, 3, 14),al quale si rifaceva anche il Savigny, propendendo in modo probabilistico per la nascita parmense. Questa è comunque data in forma dubitativa ancora nei rapidi profili del D. tracciati da storici recenti come il Besta e l'Ermini. Come "Jacobus de Arena' de Parma legum doctor" egli si trova effettivamente registrato nella copia del sec. XVI della matricola dei giuristi dello Studio di Padova, risalente al 1302 ed edita dal Gloria, ma dell.'attendibilità della quale dubitava già il Savigny. E ancora sulla fede del Gloria dobbiamo leggere "de Parma" nella pergamena dell'Archivio degli Esposti datata 18. ott. 1284, in cui il D. è ricordato come teste e in cui, sfortunatamente, un guasto materiale consente appena di leggere "Jacobo de Arena de Pa ...". Di maggior momento paiono invece le argomentazioni della Marcello sulle notizie contenute nella cosiddetta Lectura super Codice a stampa. A rafforzare il convincimento di un'origine parmigiana del D. e perfino di un suo dottorato nella città padana, sarebbe infatti non solo il particolare riguardo agli avvocati parmensi ivi contenuto, ma soprattutto il ricordo del magistero di "Prandus rubeus parmensis doctor meus"(f. 50v):notizia che coincide con l'affermazione di Alberico da Rosate, secondo la quale Prandone de Rubeis, docente nello Studio di Parma fino al 1253, fuper l'appunto promotore del Dell'Arena.

L'ipotesi di una sua prima formazione universitaria in Panna, sostenuta dalla Marcello, non sembra comunque del tutto conciliabile con le fonti riportate dal Gloria (per il quale il D. si sarebbe addottorato a Padova). Se è infatti vero che la plausibilità di un dottorato parmigiano riposa sull'impossibilità di escludere che il D. si trovasse a seguire le lezioni di Guido da Suzzara (com'egli stesso ricorda in margine a C. 3, 1, 1)prima della venuta di Guido in Padova, ché "non sappiamo dove Guido abbia insegnato prima di andare a Modena nel 1260" (Marcello, p. 851), è pur vero che i due documenti patavini del 1260 e del 1261 allegati dal Gloria menzionano il D. senza il titolo di dottore. Lo stesso Gloria era incline a credere ad un soggiorno patavino del D. fin dal 1258, in corrispondenza con la podesteria del parmigiano Matteo da Correggio, soggiorno che si sarebbe protratto almeno fino al 1264. In tale data infatti, e fino al 1266, si trovava in Padova Guido da Suzzara, col quale - stando ad una testimonianza di Giovanni d'Andrea ripresa da Domenico da San Gimignano e ricordata dal Diplovatazio, dall'Affò e dal Colle - il D. si sarebbe trovato a giudicare in una causa. Proprio fra il 1262 e il 1264, inoltre, stando a quanto affermato dal Riccoboni e, dopo di lui, dall'Affò, il D. sarebbe intervenuto ad affermare con un parere la piena legittimità dello Studio patavino, ancora mancante del privilegio di approvazione, concesso appunto nel 1264 da papa Urbano IV. Altre testimonianze sul periodo patavino sono contenute nel trattato De hereticis di Zanchino di Ugàno Sena (Tractatus illustrium iuris consultorum, XI, 2, Venetiis 1584, f. 266vb).

Da questa data fino al 1284 le fonti documentarie patavine tacciono su di lui. Il Diplovatazio era in. grado di datare al 1287 la sua quaestio In statuto civitatis Padue cavetur sic,che, per il tema di legislazione statutaria affrontato, e nonostante i dubbi espressi dal Savigny, sembra necessariamente rimandare ad un insegnamento nella città veneta. Ancora del 1288 è il documento riportato dal Gloria ad attestare per quell'anno la presenza del D. in Padova: si tratta di un atto del 1° aprile, nel quale il D. figura come compromissario nella controversia tra il convento di S. Antonio e Patavino del fu lacopo di Gumberzone. Undici giorni dopo, come si ricava da un successivo documento, il D. pronunziava la sua sentenza: entrambi gli atti sono rogati "in domo habitac. infrascripti arbitri", "in contrata S. Urbani super domo habitacionis infrascripti d. Jacobi de Arena" (Gloria, pp. 225 s.). L'indicazione del Panciroli, che vuole che il D. abbia dimorato in Padova ancora nel 1300, sarebbe poi avvalorata da un documento del 31 luglio 1302, "che riferisce avere prestato Ugo figlio del q: Jacopo dall'Arena giuramento di attenersi ai comandi del Podestà di Padova" (Gloria, p. 226). Precedentemente a tale data bisogna dunque porre la morte del D., che avvenne con tutta probabilità in Padova, dove appunto ancora dopo la sua morte soggiornava suo figlio Ugo e dove ancora il 24 genn. 1325 viveva sua figlia Cancelleria, vedova del milanese Iacopo da Concoreggio, come si rileva dal di lei testamento ricordato dal Gloria. Fu nell'ultimo periodo del suo insegnamento patavino che il D. ebbe, con tutta probabilità, come uditore Riccardo Malombra: lo attestano concordemente Bartolo (che ricorda anche il discepolato di Oldrado) e Baldo nei loro rispettivi commenti all'autentica sacramentum, C. quando mulier tutelae officio fungi potest (ad C. 5, 35, 2) e alla l. maioribus, C. communia utriusque iudicii (C. 3, 38, 3); e lo attesta soprattutto Cino nella sua lettura sopra la I. cum quidam, C de fide instrumentorum (C. 4, 21, 21), dove, con curiosa inversione di significato già notata dal Savigny e dal Besta, Riccardo è detto pedagogus del Dell'Arena.

Quanto al ventennio intercorrente tra il 1264 ed il 1284, la mancanza delle testimonianze documentarie ed il carattere vago e impreciso di quelle dovute agli antichi biografio al ricordo dei commentatori trecenteschi non consentono neppure oggi di giungere a conclusioni sicure. Il Diplovatazio, prima ancora di accennare all'insegnamento patavino, pone il D. in Bologna e in Siena, traendo la notizia dell'insegnamento bolognese dal passo di Alberto da Gandino "in suo opere maleficiorum in rubrica de bonis malefactorum" (pp. 156 s.). Ma il luogo del Gandino - allegato poi dal Sarti e dall'Affò e ritenuto ancora dal Colle quale "irrefragabile testimonianza" - originariamente non ricordava il nome del D., come dimostrò per primo il Savigny e come si può vedere nell'edizione del Kantorowicz. Di una certa suggestione sono, invece, le ipotesi della Marcello, fondate su alcuni luoghi delle cosidette Lecturae a stampa: segnatamente la additio del D. in margine alla I. hunc titulum, ff. de postulando (D. 3, 1, 1), dove una sottoscrizione ricorda l'espulsione di"Iacobus de Arena" dallo Studio;nota che potrebbe riferirsi "al famigerato 1279 in cui dopo la cacciata dei Lambertazzi" da Bologna o "furono eliminati anche tutti i professori ghibellineggianti" (Marcello, p. 854). A ciò si aggiunga ancora il richiamo all'amanuense Griffla d'Arezzo (c. 206v), ricordato a Bologna in documenti degli anni 1267 e 1268.

Se la notizia di un insegnamento presso lo Studio senese può essere frutto di un fraintendimento (forse una giustificabile confusione con il maestro di grammatica Iacopo da Parma, presente negli anni 1343-1344: Chartularium Studii Senensis, I,a cura di G. Cecchini - G. Prunai, Siena 1942, pp. 504-506, 508 s.), una qualche attendibilità mostrano i cenni di una presenza reggiana e, in una data successiva alle ultime fonti documentarie patavine, napoletana. Di una pubblica disputatio tenuta "in civitate Regii" è ricordo nel commento di Alberico da Rosate alla l. generali, C. ne qis in sua causa iudicet (C.3, 5, 1), luogo già noto al Sarti, quindi all'Affò, al Colle e al Savigny; la notizia di una presenza nei Registri napoletani, per l'anno 1296, di "Giacorno de Arenis" tra i professori chiamati a leggere il diritto civile da Carlo Il d'Angiò, è nella Istoria dello Studio di Napoli dell'Origlia. Del tutto improbabile, e privo di una qualsiasi prova testimoniale, è un insegnamento in Parma, rivendicato dagli scrittori locali.

Destituita di ogni fondamento è poi la notizia di una sua presenza a Tolosa, dove nel corso di una lettura avrebbe contraddetto, in veste di studente, Francesco d'Accursio e l'opinione sostenuta da lui a difesa dell'interpretazione paterna della l. 1, C. de sententiis quae pro eo quod interest proferuntur (C.7, 47, l.). La notizia, creduta ancora dal Panciroli, dal Papadopoli e dal Facciolati, era già posta fermamente in dubbio dal Diplovatazio, che suggeriva doversi identificare con Jacques de Révigny il contraddittore del giurista bolognese (come del resto si leggeva in Cino, fonte dell'episodio narrato). La supposizione del Diplovatazio, accolta già dal Sarti, dall'Affò e dal Colle, ebbe definitiva approvazione da parte del Savigny. Del resto, anche indipendentemente dalla facilità della confusione delle sigle "la. de Ar." e "la. de Ra.", che spiega agevolmente il caso in questione, non sono pochi i dubbi e i sospetti che continuano a gravare, per motivi di omonimia, sul complesso dei dati riguardanti la vita dei Dell'Arena. Il Gloria medesimo aveva cura di sottolinearlo a conclusione delle sue osservazioni (p. 227) rilevando l'esistenza a Padova di una nobile famiglia Dell'Arena attestata sin dal 1133 e la presenza nella stessa città di un "altro Jacopo dall'Arena parmigiano e figlio di Manfredino ... vicario del podestà di Padova Pietro del Mesa veronese dal 10 novembre 1332 al 10 novembre 1334". Ciò sembra forse all'origine dell'errore del Pasquali Alidosi, il quale prolungava fino al 1320 il fiorire del D. in Padova, ed è sicuramente all'origine dell'errore in cui è incorso il compilatore degli indici del Sarti-Fattorini, identificando col D. il "Jacobus de Arena Parmensis" rammentato in un documento bolognese del 1340.

L'opera del D., sia quella esegetica sia quella che si esprime nella composizione di consilia,di quaestiones e di alcuni "trattatelli monografici", appartiene a quel momento storico, per molti versi ancora largamente inesplorato, che segue l'apparizione della Glossa accursiana e prepara l'avvento dei grandi commentatori trecenteschi. Il carattere di additiones,proprio delle letture esegetiche del D., era gia messo in rilievo dal Diplovatazio. Questi ricordava ancora il Tractatus de executoribus ultimarum voluntatum, il Tractatus de positionibus, il Tractatus expensarum e il Tractatus excussionum,nonché "plures disputationes" e "plura consilia", aggiungeva, come suo solito, a corredo della scarna biografia, i pareri dei più illustri giureconsulti medievali: da Giovanni d'Andrea, a Cino e Alberico da Rosate, a Bartolo, a Baldo, a Coluccio Salutati. Tale fama, consolidata anche per essere stato il D. in Padova, come si è veduto, maestro di giuristi insigni come Riccardo Malombra e Oldrado da Ponte, si tradusse già nei secoli XIV e XV, ma soprattutto ad opera della fervida attività delle tipografie giuridiche del sec. XVI, in una massiccia attribuzione al D. di opere la cui paternità è stata ed è spesso dubbia e discussa. Gli elenchi delle sue opere dati ancora dal Panciroli, dal Sarti, dal Mazzuchelli e dall'Affò, non senza rilievi su probabili interpolazioni e false attribuzioni, furono analizzati criticamente dai Colle, prima, e poi soprattutto dal Savigny. Alla sistemazione della sua Geschichte dobbiamo ancor oggi in buona sostanza ricorrere, se si eccettuano le importanti precisazioni giunte dalle cosiddette Lecturae da parte di E. M. Meijers, dell'allieva del Besta, A. Marcello e, recentemente, di D. Maffei (1968). In mancanza di uno studio sistematico sulla tradizione manoscritta e a stampa dell'intero corpus delle opere del D., non si può tuttavia non considerare del tutto provvisorio e suscettibile di correzioni il quadro oggi delineabile, che si può così riassumere.

Opere esegetiche: Additiones ad Digestum Vetus. Si trovano con la sigla del D. in un buon numero di manoscritti, per i quali si veda il Verzeichnis di G. Dolezalek, sub voce,nell'edizione a stampa, apparsa a Lione nel 1541 a spese di Ugo Della Porta e con il titolo Commentarii in universum ius civile (rist. anast., Bologna 1971), le addizioni del D. si trovano congiunte con altre che portano la sigla di Oldrado. La Marcello ritenne probabile la loro origine bolognese e patavina, anche sulla base della già ricordata glossa a D. 3, I, I.

Additiones ad Digestum Infortiatum. Per i manoscritti cfr. Dolezalek, sub voce;nella citata edizione lionese le addizioni del D. sono frammiste con altre di Dino del Mugello, Riccardo Malombra, Oldrado, Bartolo, Maccagnano degli Azzoguidi e Paolo de' Liazari. La Marcello, basandosi su due richiami a Vicenza e sul ricordo di una questione di fatto presentatasi a Verona, ne deduceva l'origine patavina.

Additiones ad Digestum novum. Ebbero una diffusione manoscritta assai larga, per la quale cfr. Dolezalek, sub voce; sulla base del cennato ricordo della "littera Grifolini" e ad altri richiami alla "respublica bononiensiuni dominorum", la Marcello ne assegnò la composizione al probabile periodo bolognese. Nell'edizione a stampa lionese le addizioni del D. risultano comunque frammiste ed altre siglate da Pierre de Belleperche, Oldrado, Andrea Ciaffi, Bartolo, Lapo da Prato.

Additiones ad Codicem. Sembra abbiano avuto una diffusione manoscritta relativamente modesta: cfr. Dolezalek, sub voce. Dei cenni, presenti nel testo a stampa, a Prandone de Rubeis e agli avvocati parmensi si è già detto. La Marcello ritenne, per vari accenni a Padova, Treviso e Vicenza, che le additiones al Codice fossero riportate in Padova, "tra il 1284 e iI 1301" (p. 852). Accanto alla sigla del D. compaiono anche quelle di Riccardo Malombra, lacopo Bottrigari, Oldrado, Raniero Arsendi, lacopo da Belviso, Maccagnano degli Azzoguidi e Lapo da Prato.

Additiones ad Institutiones. Si conservano manoscritte nei codd. Lat. 4424 della Bibl. nazionale di Parigi e Marciano lat. V,114 della Bibl. Marciana di Venezia. Di chiara origine francese è invece la lettura sopra Inst.IV, 6,sola ad esser compresa nella stampa lionese del 1541. Il Meijers, nel saggio sull'università di Orléans, attribuì il testo a Raoul d'Harcourt, un allievo di Jacques de Révigny. La Marcello, sposata in un primo tempo l'ipotesi di una paternità di Jacques de Révigny (plausibile a causa del possibile scambio delle sigle), sostenne anch'essa in seguito l'idea di un'origine della lectura nell'ambiente degli allievi del maestro orleanese, ma respinse l'attribuzione del Meijers.

Additiones ad Volumen. Si leggono manoscritte nel solo cod. Borgh. 374, presso la Biblioteca apostolica Vaticana, frammiste ad altre di Iacopo da Belviso, Dino, Francesco d'Accursio, Pierre de Belleperche, Odofredo e altri.

Distinctiones e Repetitiones. Tra i manoscritti inventariati dal Dolezalek solo il cod. 80 della Bibl. del Collegio di Spagna in Bologna sembra contenere distinctiones del D.; una repetitio sulla l. in pecuniariis,ff. de edendo (D. 2, 12, 10) è invece contenuta nel cod. Haenel 15 della Universitätsbibliothek di Lipsia. La stampa del 1541 abbonda di distinctiones sive repetitiones: super Codice, super Digesto veteri, super Infortiato e super Disgesto novo. La Marcello era incline a considerarle "se non tutte, quasi tutte" uscite dalla penna del D., così come non vedeva ragione alcuna per contestargli la paternità della lectura super tit. de legatis II (D. 31, 1). Fra questi testi è compresa anche la lettura sopra C. 1, 3, 2, divulgata poi a sé come trattato De commissariis.

Consilia e Quaestiones. Manoscritti contenenti consilia del D. sono ricordati dal Dolezalek a Erfurt, Venezia, Barcellona, Bologna, Ravenna e presso la Bibl. ap. Vaticana. L'incerta linea di demarcazione fra quaestio e consilium fa però si che spesso, nei manoscritti, testi che sono indubbiamente questioni disputate vengano classificati come pareri legali e viceversa. È indubbiamente un consilium dato ad Orvieto alla presenza di "Albertino et Jacobino Vichino (?) de Parma", il testo conservato nel cod. Chigi E, VIII, 245, c. 136ra-va della Bibl. ap. Vaticana. Sembrerebbe un parere legale anche il testo conservato in forma di quaestio nel cod. 363 della Universitätsbibliothek di Graz, C. 201r: "Queritur an dominus Rudolphus Romanorum rex antequam Romain vadit et ibi coronetur per papam possit legitimare illegitime natos" (databile a dopo il 1273 per il ricordo dell'elezione di Rodolfo d'Asburgo). Il Diplovatazio, come si è detto, ricordava l'esistenza di "plura consilia".

Raccolte manoscritte di quaestiones del D. sono segnalate dal Dolezalek a Olomouc, Pistoia e Venezia, ma molti testi sono sparsi in codici miscellanei o in quei Libri magni quaestionum disputatarum a cui attingevano copiosamente i giuristi postaccursiani. Un loro elenco completo è oggi pressoché impossibile: i codici vaticani conservano, ad esempio, le quaestiones: Continetur statuto quod omnes sententiae debeant dari cum consilio sapientum (Vat. lat. 8069, cc. 234r-235r), Habebam debitorem in decem ex causa mutui (Barb. lat. 1396, cc. 37v-38r; Vat. lat. 8069, cc. 115r-116r; Vat. lat. 10726, c. 308rv), Iudex ad petitionem Titii condemnavit Seyum (Vat. lat. 10726, c. 295v), Secundum consuetudinem civitatis Veneciarum (Vat. lat. 2290, cc. 118vb-121rb), Statutum est in civitate Bononie quod si cui jùerit combusta domus (Vat. lat. 8069, c. 229rv), Statutum est in civitate quod quilibet possit accusare ludentes ad taxillos (Vat. lat. 8069, c. 234r). Innumerevoli le citazioni nella letteratura coeva, che utilizzò ampiamente le quaestiones in tema di legislazione statutaria. Esemplare a questo proposito l'Opus statutorum di Alberico da Rosate, dove insieme con la citata quaestio Secundum consuetudinem civitatis Veneciarum (I,46 = Romano, q. 10) sono allegate e sunteggiate le quaestiones: Anfideiussor possit opponere compensationem (IV,4 e 92 = Romano, qq. 132 e 177), Cum secundum consuetudinem aut statutum civitatis frater possit sororem repellere (11,107 = Romano, q. 62), In statuto vel consuetudine alicuius civitatis habetur quod non fiat ratio de occisione banniti (IV,36 e 38 = Romano, qq. 145 e 147), Si lata sententia pro bannito (IV, 60 = Romano, q. 160), Statutum est in civitate quod bannito ratio non fiat (IV, 2 e 4 = Romano, qq. 129 e 131), Statutum est in civitate quod bannitus potest impune offendi (IV,29 = Romano, q. 142), Statutum est in civitate quod nullus bannitus possit esse consul (IV, 91 = Romano, q. 174). Il Diplovatazio, come si è già accennato, ricordava la quaestio In statuto civitatis Padue cavetur sic datandola al 1287. La quaestio Habebam debitorem in decem si legge a stampa sia nel c.d. vol. VI dei Consilia di Baldo (Venetiis 1602, pp. 75 s., cons. 42), sia nell'analoga raccolta di Baptista Martianesius (Venetiis 1573, ff. 74vb-75rb, cons. 34), con notevoli varianti. Un altro pezzo del D. si legge nello stesso Marzianese, f. 62vb, cons. 25.

Tractatus. Tractatus an et quando pater teneatur de dote uxoris filii. Il Savigny poté vederne la copia conservata nel cod. Haenel 15 ora alla Universitátsbibliothek. di Lipsia. Altri due manoscritti sono segnalati dal Dolezalek a Strángnás e presso la Bibl. apostolica Vaticana (Vat. lat. 10726).

Tractatus de bannitis. Ricordato già dal Panciroli e dal Mantova, si trova in seguito regolarmente menzionato fra le opere del D. in Fabricius, Papadopoli, Mazzuchelli, Sarti, Affò, Colle e Savigny. Ebbe varie stampe nel sec. XVI, a partire dall'edizione lionese del 1550 in cui si leggeva unito all'opera omonima di Nello da San Gimignano; fu inserito nel tomo XI, i dei Tractatus illustriym iurisconsultorum (Venetiis 1584). Il Dolezalek segnala due soli manoscritti, a Firenze (Bibl. naz., Magl. XXIX, 179) e Augusta (Staatsund Stadtbibl., 2°, 406). Si deve notare che al n. 32 nel testo a stampa sono citati Raniero Arsendi, Oldrado "et quamplures moderni".

Tractatus de causis summariis. Il Dolezalek segnala un manoscritto con questo titolo, attribuito al D., nel cod. 275 della Bibl. Angelica in Roma.

Tractatus de cessione actionum, o de cessionibus, o de cessione iurium et actionum. Silegge a stampa nei Tractatus illustrium iurisconsultorum (111,2, Venetiis 1584) e in altre edizioni cinquecentesche. Il Savigny ne respingeva l'autenticità in base ad una testimonianza di Bartolo (ad C. 4, 35, 22). Già il Sarti, e il Colle dietro di lui, lo ritenevano per lo meno interpolato; l'Affò ne respingeva l'attribuzione al D. indicando un passo nel quale è allegato il D. medesimo in terza persona. Nessun dubbio sull'attribuzione esprimono invece Panciroli, Mantova, Fabricius, Papadopoli e Mazzuchelli. Manoscritti di questo trattatello si conservano a Kiel, Monaco di Baviera e Stoccarda.

Tractatus de commissariis, o commissariorum. A stato identificato dalla Marcello con la lettura del D. sopra C. 1, 3, 2. Il Diplovatazio lo ricorda col titolo de executoribus ultimarum voluntatum,titolo che, in aggiunta al primo, si legge anche nel Panciroli, nel Mantova, nel Fabricius, nel Papadopoli e nel Colle. Ciò trasse probabilmente in inganno il Savigny, che registrò i due titoli come appartenenti a due distinte opere. A stampato nei Tractatus illustrium iurisconsultorum (VIII, 1,Venetiis 1584). Il Dolezalek registra due manoscritti (Klagenfurt e Londra) sotto il titolo de commissariis,uno (Bologna, Bibl. del Collegio di Spagna, cod. 82) sotto il titolo de fideicommissis e ben undici sotto il titolo de fideicommissariis.

Tractatus de consiliis habendis per assessores. È ricordato dal Dolezalek, con attribuzione in forma dubitativa, nella unica copia manoscritta contenuta nel cod. A 5 della Dobrovska Knihovna di Praga. È però noto che il trattatello fu inserito nel corpus bartoliano, e dal Diplovatazio attribuito a Lambertino Ramponi. Sempre il Diplovatazio ricorda in una additio a Bartolo due manoscritti della sua raccolta, l'uno dei quali assegnava il testo al Ramponi, l'altro al D. (per un'ulteriore attribuzione ad Alberto da Pavia cfr. F. Calasso, Bartolo da Sassoferrato,in Diz. biogr. d. Ital., VI,Roma 1964, p. 654, con un elenco di manoscritti).

Tractatus de dilationibus. Al Savigny era noto unicamente attraverso il titolo. Il Fabricius lo ricorda col duplice titolo de excusationibus ac dilationibus,mentre il Colle con de executionibus et dilationibus si riferisce a due distinte opere. L'assegnazione di questo titolo al D. sembra dovuta ad un equivoco.

Tractatus de exceptionibus. Il Savigny lo conobbe unicamente attraverso il titolo, colto nel Gesner. Un frammento di un trattato de exceptione criminis è segnalato nell'indice del Guizard nel cod. Urb. lat. 156 della Bibl. ap. Vaticana.

Tractatus de excusationibus. Il Savigny espresse il dubbio che potesse trattarsi di una pura duplicazione del titolo de excussionibus. Un titolo de excusationibus ac dilationibus,come si è visto, è ricordato dal Fabricius.

Tractatus de excussionibus bonorum. È uno dei quattro trattati del D. ricordati dal Diplovatazio. È menzionato anche dal Panciroli, dal Mantova, dal Fabricius, dal Papadopoli (unitamente al titolo de sequestrationibus),dal Mazzuchelli e dall'Affò, senza alcun rilievo critico. Al contrario, il Sarti e il Colle lo ritengono per lo meno interpolato, ed effettivamente al n. 11 del testo a stampa si legge un'allegazione di Bartolo, ricordato ancora al n. 16 insieme con Baldo, Angelo e Guglielmo Durante. II Savigny, inoltre, ricorda che nella intestazione del cod. Haenel 15 insieme col nome del D. compare quello di Martino Sillimani. Il trattatello si legge stampato nei Tractatus illustrium iurisconsultorum (III,2, Venetiis 1584) e ancora nella raccolta De cessione bonorum,Coloniae Agrippinae 1591. Il Dolezalek elenca una quindicjna di manoscritti con questo titolo, e altri sette sotto il titolo de excussionibus pignorum:quest'ultimo è il trattato bartoliano la cui attribuzione al D. e al Bottrigari era già stata respinta dal Diplovatazio (cfr. Calasso, Bartolo, cit., p. 655).

Tractatus de expensis in iudicio factis, o expensarum. È anch'esso menzionato dal Diplovatazio. Si tratta di una delle due opere del D. che circolarono a stampa sul finire del sec. XV: Milano, Ulrich Schinzenzeller, 1495, unitamente al De oppositione compromissi et eius forma di Iacopone Bottrigari (L. Hain, Repertorium, *1556 = Gesamtkatalog der Wiegendrucke, 2319 = Indicegenerale degli incunaboli,781); fu poi compresa nei Tractatus illustrium iurisconsultorum (III, 2,Venetiis 1584). Il trattatello è elencato fra le opere del D. in Panciroli, Mantova, Fabricius, Papadopoli (unitamente al titolo de positionibus),Mazzuchelli, Sarti, Affò, Colle e Savigny, ed è uno dei più diffusi nella tradizione manoscritta: si conservano almeno 19 esemplari (elencati dal Dolezalek), qualcuno dei quali assegna l'opera a Bartolo (cfr. Calasso, Bartolo, p. 655).Sembrano del tutto ingiustificati in questo caso i dubbi della Marcello sulla sua autenticità.

Tractatus de fratribus simul viventibus, o habitantibus, o de duobus fratribus, o de collatione bonorum inter fratres simul habitantes.Segnalato dal Mazzuchelli in un non meglio precisato codice vaticano, è ricordato anche dal Colle e dall'Affò, che cita il cod. Vat. lat. 2618, seguito dal Savigny. Altri manoscritti vaticani sono i codd. Barb. lat. 1396, Ross. 1058 e Vat. lat. 10726. IlDolezalek dà notizia di manoscritti a Lubiana, Strängnäs, Stoccarda, Tubinga e Würzburg.

Tractatus de oppositione compromissi. Èregistrato come opera del D. dall'Affò, quindi dal Colle e dal Savigny, sulla base della stampa compresa nei Singulares tractatus clarissimorumdoctorum, Parisiis, per Jacobum Pouchin, 1516. L'attribuzione al D. sembra originata dalla presenza del De oppositione compromissi et eius forma del Bottrigari nell'edizione milanese del 1495, sopra ricordata, del Tractatus de expensis.

Tractatus de positionibus, o positionum. È menzionato dal Diplovatazio e registrato fra le opere del D. in Panciroli, Mantova (con una curiosa deformazione, che gli fu rimproverata, che sembra fondere in un solo titolo due opere distinte: Decommissar. depositionibus), Fabricius, Papadopoli (unitamente al titolo deexpensis), Mazzuchelli, Sarti, Affò, Colle e Savigny. Quest'ultimo ne affermava l'autenticità richiamandosi ad un'esplicita testimonianza di Giovanni d'Andrea, mentre l'Affò esprimeva qualche dubbio. La Marcello ha confermato tali dubbi, rilevando che la composizione del trattatello deve esser posta a Bologna dopo il 1298, giacché vi è allegato il LiberSextus. Si noterà ancora che il testo (che a tratti sembrerebbe una sorta di Mosaikarbeit) al n. 44 par dare come proprio autore Odofredo. Il trattato fu dato alle stampe in Milano da Ulrich Schinzenzeller verso il 1495, con la falsa indicazione di Siena come luogo di stampa. Si legge anche nei Tractatus illustrium iurisconsultorum (IV, Venetiis 1584).

Tractatus de praeceptis iudicum, o depraecepto, o praeceptorum. È registrato fra le opere del D. dal Mazzuchelli, dall'Affò, dal Colle e dal Savigny. La Marcello ne ha respinto l'autenticità perché vi si trovano allegati "autori del secolo decimoquarto" (segnatamente Cino). Fu stampato nei Tractatus illustriumiurisconsultorum (III, 2, Venetiis 1584). Manoscritti a Firenze, Dilligen, Praga, Kaliningrad e Vat. lat. 2638, 2556 e 8468 (ma quest'ultimo riproduce semplicemente'il testo a stampa, indici compresi).

Tractatusdequaestionibus. Si legge a stampa nei Tractatusdiversorumsupermaleficiis (Venetiis 1560) e nei Tractatusillustriumiurisconsultorum (XI, 1, Venetiis 1584). È ricordato dal Panciroli (che sembra unirlo al titolo decessione actionum), dal Mantova, dal Fabricius, dal Mazzuchelli, dal Sarti, dall'Affò, dal Colle e dal Savigny. Dubbi sulla sua autenticità ha espresso la Marcello. Il Dolezalek registra un solo manoscritto con questo titolo (Madrid, Bibl. nacional. cod. 920).

Tractatus de sequestrationibus. Ricordato fra le opere del D. da Panciroli, Mantova, Fabricius, Papadopoli (unitamente al titolo de excussionibusbonorum), Mazzuchelli, Sarti, Affò, Colle e Savigny, si legge a stampa nei Selecti tractatusassicuratzoniset cautionis (Venetiis 1570) e nei Tractatus illustriumiurisconsultorum (III, 2, Venetiis 1584). La Marcello ha avanzato dubbi sulla sua autenticità. Manoscritti a Bruxelles, Monaco, Praga, Stoccarda e nel Vat. lat. 11605. Omonimo titolo, di discussa paternità, è in Bartolo.

Tractatusde successionibus ab intestato. Un manoscritto con questo titolo e con attribuzione al D. è ricordato dal Dolezalek a Cambridge, Mass. Per l'omonimo trattato bartoliano, dall'attribuzione estremamente controversa, cfr. Calasso, Bartolo, p. 659.

Fra le "operette monografiche" può infine rientrare anche il Devariis modis arguendi tani iuris canonici quam civilis, conservato nel ms. Ye fol. 68 della Universitátsbibliothek di Halle con la duplice intestazione a Giovanni d'Andrea e al D.: il Caprioli ne ha dato recentemente l'edizione.

Un giudizio complessivo sull'opera del D., che non si limiti a ripetere uno schema consueto e che poggi su un esame critico dell'intero corpus dei suoi scritti, è ancora di là da venire. Troppo ha pesato, nella considerazione della sua opera, il severo giudizio del Savigny, sia in generale sull'età dei postglossatori, sia in particolare sul Dell'Arena. Lo storico tedesco dichiarò infatti degne di attenzione le sole opere esegetiche del D., ritenute pregevoli non tanto per se stesse, quanto come fonte per la conoscenza di tutta una stagione della storia letteraria del diritto, mentre stimò di poco conto gli scritti di tenore pratico, vuoi per la loro incerta paternità vuoi per una loro supposta "ateoreticità". L'opera del D. si trovò così coinvolta in un giudizio che, amplificato dalla critica tardottocentesca, divenne poi schema e luogo comune, assegnando un deteriore carattere "praticistico" alla produzione dei postglossatori. Tale quadro convenzionale, in tempi piuttosto recenti e almeno per quel che attiene al giudizio complessivo su quella stagione del pensiero giuridico, ha lasciato il posto a nuove considerazioni. Non solo infatti l'uso delle quaestiones è stato posto alla base del processo di assunzione delle norme comunali entro la scienza romanistica, ma è stata fortemente sottolineata l'importanza che "trattazioni monografiche" come quelle del D. - pur nella permanenza di gravi problemi di attribuzione - ebbero nella costruzione di un nuovo sistema del diritto. In questo senso, nel D. così come nei migliori esponenti dell'età postaccursiana, l'attenzione a tutti i problemi che la vita offriva quotidianamente al giurista - dal diritto processuale e penale ai rapporti patrimoniali e commerciali - si accompagna a spunti teorici sulla produzione e l'interpretazione della norma giuridica, che costituiranno il punto d'avvio della grande stagione dei commentatori trecenteschi.

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