COZZARELLI, Iacopo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 30 (1984)

COZZARELLI (Cozzarello), Iacopo (Giacomo)

Maria Pedroli

Figlio di Bartolomeo di Marco, nacque a Siena il 20 nov. 1453. Fu pittore, architetto e scultore, attività quest'ultima che lo rese famoso: "opifex nobilis Senensis in arte enim fusoria plurimum excellebat ex argilla quoque simulacra et queque alia fingebat ut viva apparerent item ex ligno...", ricordava (c. 563) il biografo contemporaneo Sigismondo Tizio. Faceva parte di una famiglia di piccoli artigiani e di artisti fra i quali il pittore Guidoccio.

Il periodo della sua formazione, in quanto legato all'attività di botteghe artigiane, è privo di opere documentate.

Al 1468 il Romagnoli data la statua di S. Nicola di Tolentino della chiesa di S. Agostino a Siena, che per la sua ieratica immobilità ed il rude plasticismo appare ancora ignorare le opere del Vecchietta e di Neroccio e la contemporanea scultura di Francesco di Giorgio Martini. A quest'ultimo il C. fu in seguito sempre legato sia come allievo sia come amico; questo rapporto è documentato sin dal 30 nov. 1471 (Bacci, 1932, p. 109) e inoltre, secondo Vasari (1568, III, p. 75), il C. avrebbe fatto un ritratto di Francesco di Giorgio.

I primi documenti noti lo ricordano attivo come pittore dal 1473-74 per opere minori, come cassoni e carri processionali per lo spedale di S. Maria della Scala (Romagnoli, V, c. 24; Bacci, 1932, p. 109). Gli è stata attribuita (Bersano, 1957) un'unica opera pittorica: la figurina, di Dio Padre inserita al centro della bellissima cornice (che pure gli è dubitativamente attribuita: Torriti, 1977) della pala della Natività commissionata a Francesco di Giorgio il 12 apr. 1475, e conservata nella Pinacoteca nazionale di Siena.

Al 1473 il Romagnoli (C. 24) data inoltre le due "loggette situate sulla porta della sagrestia di S. Caterina in Fontebranda e... il busto della Serafica Senese sulla detta porta... opera pregevole".

Nel 1477 il C. si trasferì ad Urbino al seguito di Francesco di Giorgio, che vi era stato chiamato dal duca Federico III di Montefeltro per ultimare i lavori del palazzo ducale lasciati incompiuti dal Laurana. Il C. probabilmente andò in qualità di pittore; infatti in quell'anno, presentando la denunzia patrimoniale al Comune di Siena, si raccomandava alla clemenza degli "alliratori" in quanto "per guadagnare el pane sto a Urbino a dipigniare" (Bacci, 1932, pp. 109 s.). La permanenza ad Urbino durò più di dieci anni; infatti nella denunzia del 1488 egli scrisse: "lo sto a Urbino con Francesco di Giorgio di Martino, e sono istato già anni 10, si che non mi trouvo altro bene" (ibid., p. 111).

Non possediamo alcuna documentazione sulle opere eseguite ad Urbino, ma sulla base di confronti con opere sicuramente sue gli sono stati attribuiti nel palazzo ducale (Bacci, 1932;Rotondi, 1951; Bersano, 1957), icapitelli del loggiato della terrazza del Gallo; il fregio con palmette della cornice della porta della camera da letto del duca; i fregi dei pilastri del camino della sala delle udienze; il fregio ricorrente nella facciata ad ali; alcuni peducci.

Nel 1489 Francesco di Giorgio rientrava definitivamente a Siena ed insieme con lui ritornava anche il C.: in quell'anno infatti l'Opera del duomo affidò al Martini l'esecuzione (1495-97) di due Angioletti portaceri da fondere "in rame" e da collocare davanti all'altare maggiore (E Fumi, Nuovi docum. per gli angeli... del Duomo..., in Prospettiva, 1981, 26, pp. 9-23).

Francesco di Giorgio abbozzò il modello, ma l'anno dopo fu chiamato a Milano per cui la traduzione in gesso, il ritocco delle cere e la fonditura furono affidati al C. (Bacci, 1932, p. 112), ma non sappiamo se di uno o di tutti e due. Bacci ha arguito che il traduttore in metallo dei due Angioletti fosse il C.; essi però sono diversi stilisticamente, ambedue risentono delle forme colme di Benedetto da Maiano, ma quello di sinistra attribuito al C. (Del Bravo, 1970, pp. 98 s.) si caratterizza per lo svolgimento volutamente sintetico dei piani oltre che per una limpida comprensione della più chiara razionalità della scultura fiorentina. Questi caratteri sono presenti anche in alcuni peducci del palazzo ducale di Urbino attribuiti al C. da Rotondi (1951) e soprattutto in quello decorato da teste d'agnello al secondo pianerottolo dello scalone.

Dello stesso periodo sono la Madonna lignea di Villa a Sesta (che nei panneggi quasi rigonfi dipende dalle opere senesi di Benedetto da Maiano: Del Bravo, 1970, p. 99), la statua di S. Caterina della chiesa senese di S. Gerolamo (Fabriczy, 1909, p. 74), la statua di S. Margherita che calpesta il drago per la chiesa di S. Matteo fuori porta Tufi e il S. Cristoforo del Louvre (catal. 1938, nn. 42, 53; Bersano, 1957, p. 130).

Nel 1495 il C. veniva chiamato a Montepulciano dal commissario della Repubblica senese per dirigere le fortificazioni del castello (Borghesi-Banchi, 1898, p. 355) alle quali lavorò per circa un anno e per le quali fuse alcune artiglierie, secondo i documenti riportati dal Romagnoli (V, cc. 215-221) che lo ricordano come "maestro di bombarde" (c. 216).

In quegli anni il C. lavorava anche come architetto all'ampliamento del convento e della chiesa di S. Bernardino all'Osservanza a Siena, uno degli eremi preferiti da Pandolfo Petrucci che in quegli anni si era fatto costruire dal C. un sepolcro per sé e per i suoi consanguinei nella cripta sottostante l'odierna sacrestia, anch'essa opera del Cozzarelli.

La sacrestia, ariosa ed elegante, è coperta da una volta a crociera terminante in peducci che presentano evidenti affinità con i tipi più frequenti nel palazzo ducale di Urbino. La Tomba di Pandolfo Petrucci, morto nel maggio 1512, era costituita da un altare a mensa, non più esistente, che conteneva il corpo del defunto, coronato da una nicchia riccamente decorata con snelli stucchi a candelabre, foglie d'acanto, teste di putti e mascheroni e, dipinto sullo sfondo, il paesaggio del Golgota; resta soltanto il gruppo di sei statue in terracotta policroma raffiguranti la Lamentazione sul corpo del Cristo morto. In quest'opera, che è la più famosa ed importante del C., l'artista è riuscito a risolvere in maniera felice il netto distacco fra le figure che fanno parte del gruppo, facendo del corpo del Cristo morto un perno distensivo intorno al quale ruota un vivace gioco di colori, luci ed ombre, pieni e vuoti (ill. in Cento opere d'arte da salvare nel Senese, Genova 1980, p. 81).

La statua in terracotta raffigurante il S. Giovanni Evangelista inginocchiato, conservata nel Museo dell'Opera del duomo, è stata giustamente ricollocata dal De Nicola (1910)nell'ambito di questo gruppo, in posizione esterna rispetto alla nicchia e di fronte ad una statua della Maddalena, purtroppo dispersa.

Di evidente derivazione dal complesso dell'Osservanza, ma mancante di movimento e animazione, è il più ridotto gruppo della Pietà di Quercegrossa dove probabilmente sono intervenuti, per l'esecuzione, dei collaboratori.

Tra le due citate Lamentazioni si potrebbe porre quella già nel Museo artistico industriale di Roma (ill. in De Nicola, 1910, fig. 2) databile al 1499 c. e quindi in una posizione intermedia fra le due.

Nel 1500 il C., che risulta dimorare in Siena in contrada della Magione con il cugino Guidoccio (Romagnoli, V, cc. 221 s.), eseguiva la statua in terracotta policroma del Beato Sorore per l'atrio dello spedale della Scala: se ne conservano solo pochi frammenti (I RR. Spedali..., 1913).

Nel 1505 il Collegio di balia di Siena deliberava l'esecuzione di dodici statue bronzee raffiguranti gli Apostoli per ornare la navata centrale del duomo su modello di Francesco di Giorgio (Romagnoli, IV, cc. 917 s.). Nell'ottobre dello stesso anno il C. risultava lavorare a quest'opera (ibid., V, cc. 223 s.), che egli però non portò mai a termine e di cui non rimane alcuna traccia. In quello stesso periodo disegnava due mensole che sorreggono gli Angeli bronzei presso l'altare maggiore del duomo, fuse in seguito da Carlo Galletti e da suo figlio Giovanni Andrea, scolari del Cozzarelli.

Il Romagnoli (V, cc. 224 s.) notava come il C. fosse particolarmente apprezzato dal signore di Siena, Pandolfo Petrucci, e come si trovasse con lui in familiarità tanto da essere più di una volta testimone a contratti stipulati alla presenza di questo e da riceverne commissioni.

Nel 1509 il C.terminò un palazzo per il Petrucci, vicino al battistero di S. Giovanni che le fonti contemporanee descrivono come magnifico ma che, dopo la morte del Petrucci nel 1512, fu vandalicamente saccheggiato e oggi è deperitissimo. Uniche testimonianze dell'architettura del C. rimangono le finestre in pietra serena e i bracciali bronzei con campanelle che ornano la facciata (alcuni attualmente collocati nell'atrio del Palazzo pubblico).

Per la morte del Petrucci fu lasciata interrotta anche la chiesa di S. Maria Maddalena fuori porta Tufi, ricordata pure dal Vasari (1568, III, pp. 74 s.), che il C. aveva progettato e iniziato intorno al 1508, ma che sarebbe già stata distrutta nel 1526 durante una sommossa popolare.

È quindi difficile giudicare il C. architetto, che pure intervenne in opere importanti a Siena ed in provincia: avrebbe forse partecipato (Bacci, 1932, p. 101) anche al restauro della cattedrale di Pienza, danneggiata all'inizio, del Cinquecento per lo smottamento della rupe su cui poggiava.

Databile tra il 1506 e il 1507, in base alla lastra tombale terragna murata ai suoi piedi, è la statua di S. Sigismondo, in terracotta policroma, nella cappella Vescovi della chiesa del Carmine. Contemporanea è la tomba, ornata da un bassorilievo, del rettore Iacopo Tondi nell'atrio della chiesa dello spedale, databile fra il 1507 (anno in cui morì il Tondi) ed il 1510.

La tomba ripete i tipi più comuni di lastre tombali eseguite in quel periodo come quella Piccolomini di Neroccio nel duomo e la Felici di Urbano da Cortona in S. Francesco a Siena. Per analogia con la Tomba Tondi si attribuisce al C. (Romagnoli, V, c. 231) anche la Lastra tombale del vescovo Bettini tra il primo ed il secondo altare destro della chiesa di S. Girolamo.

Nel 1508 risultava stipendiato dal Comune di Siena con una paga mensile di 8 fiorini (Romagnoli, V, c. 226). Di poco successive sono le statue lignee di S. Caterina e di S. Vincenzo Ferreri della chiesa di Santo Spirito.

La prima, databile agli anni 1509-11, è opera minore, in cui forse intervenne largamente la bottega, ed oggi ancora più difficilmente giudicabile per la sfacciata ridipintura che la ricopre; la seconda, ordinata nel 1509 e finita solo nel 1512, è animata da una intensa spiritualità, tormentata e quasi enfatica.Il C. morì a Siena, secondo quanto riporta il Tizio, il 25 marzo 1515.

Gli si attribuiscono inoltre: nel palazzo Buonsignori, oggi sede della Pinacoteca nazionale, una Maddalena in terracotta, sull'altare della cappellina del palazzo; le statue lignee di S. Nicolò e S. Lucia, nella chiesa omonima, che, per lo straordinario valore "ritrattistico" dei volti, trovano un precedente soltanto nella scultura dell'emiliano Guido Mazzoni; sull'arcone trionfale della chiesa di S. Maria dei servi un bassorilievo in terracotta rappresentante la Pietà; a Pienza, nel pal. Piccolomini un bassorilievo in alabastro con Busto di donna nella sala delle armi.

La scultura del C. ha un ruolo particolare nell'ambito della produzione plastica toscana del Quattro-Cinquecento: prendendo le mosse da una tendenza naturalistica già individuata dal Tizio e presente in tutta la scultura senese dell'ultimo decennio del Quattrocento, appare come un'alternativa popolare al formalismo rinascimentale, sia per i materiali poveri da lui utilizzati sia per l'espressionismo gridato dei sentimenti, il gestire abrupto delle figure. Nonostante la sua cultura di tradizione popolare, il C. sa però ancora cogliere i suggerimenti venuti dalla frequentazione con Francesco di Giorgio, dalla conoscenza dell'attività giovanile di Michelangelo e di alcune opere del Rustici, tanto da costituire un ponte fra le varie tendenze artistiche vive in Toscana a cavallo dei due secoli.

Il fratello del C., Battista, fu orafo. Il Romagnoli (V, cc. 233 s.), che erroneamente lo indica come padre del pittore Guidoccio (mentre ne era il cugino: cfr. Bacci, 1939, p. 227), ne cita alcune opere, non rintracciate, dandone anche qualche notizia biografica: nel 1472 e nel 1476 è pagato per l'esecuzione di strumenti musicali (trombe) in argento e nel 1508 era stipendiato dal Comune. Abitava nelle case dei Cozzarelli fino dal 1488. Sposò una monna Alessandra, in seconde nozze. Fu anche fonditore di bronzi, e nel 1470 gettò la campana dell'orologio "posta sulla torre da Antonio Federighi". Nel 1473 è nominato, con Francesco del Guasta, in relazione al pittore Francesco di Giorgio (Romagnoli, V, c. 234). Morì a Siena nel 1515, suicida (v. anche I. Machetti, Orafi..., in La Diana, IV [1929], 1, p. 83).

Fonti e Bibl.: Siena, Bibl. degli Intronati: S. Tizio, Historiarum ... ab initio urbis Senarum usque ad annum MDXXVII, VII, c. 563; VIII. C. 5; G. Vasari, Le vite... [1568], a cura di O. Milanesi, II, Firenze 1878, p. 195 n.; III, ibid., pp. 74 s.; V, ibid. 1880, p. 652 n. 2; E. Romagnoli, Biografia cronol. de' bellartisti senesi... [secolo XIX], Firenze 1976 (edizione anastatica), IV, cc. 917 s.; V, cc. 209-232; Documenti per la storia dell'arte senese.... a cura di G. Milanesi, Siena 1854-56, II, pp. 402, 468; III, pp. 27 s., 56, 62, 68, 184; S. Borghesi-L. Banchi, Nuovi doc. per la st. d. arte senese, Siena 1898, pp. 355 ss.; V. Lusini, D'un gruppo della Pietà di G. C. e di un S. Giovanni che non ci hache fare, in Rass. d'arte senese, I (1905), pp. 79-86; P. Misciatelli, Per il gruppo cozzarelliano dell'Osservanza e per l'antica scultura senese, ibid., II (1906), pp. 31-34; V. Lusini, Per il gruppo cozzarell. dell'Osserv. e per l'antica scultura senese, ibid., pp. 53-59; Id., Due gruppi in terracotta nella chiesa dell'Osservanza presso Siena, ibid., III (1907), pp. 11-14; A. Venturi, Storia d. arte ital., VI, Milano 1908, pp. 479, 749 ss.; C. Fabriczy, Kritisches Verzeichnis toskanischer Holz-und Tonstatuen bis zum Beginn des Cinauecento, in Jahrb. d. Königl. Preuss. Kuntsamml., XXX (1909), p. 74; P. Misciatelli, Il bozzetto di una Lamentazione sconosciuta, in Rass. d'arte senese, VI (1910), pp. 3 ss.; G. De Nicola, La Pietà del C. all'Osservanza, ibid., pp. 6-14; V. Lusini, Per chi studia il C. (un'altra nota critica), ibid., pp. 43-59; G. De Nicola, La Pietà di Quercegrossa, ibid., pp. 60-64; I RR. Spedali di S. Maria della Scala, Milano 1913, p. 5; W. Bode, Die Sammlung der sienesischen Bildwerke des Quattrocento im Kaiser Friedrich Museum, in Amtliche Berichte aus den preuss. Kunstsamml., XXXVII(1915-16), pp. 173-212; L. Dami, Siena…, Firenze 1915, pp. 23, 25, 30, 35, 37, 40, 49, 53, 57, 108; A. Kingsely Porter, G. C. and the Winthrop statuette, in Art in America, IX (1921), pp. 95-101; P. Bacci, Comm. dell'arte senese, I, Il pittore, scultore ed arch. G. C. e la sua permanenza in Urbino, in Bull. senese di storia patria, n. s., III (1932), pp. 97-112; Catal. d. mostra di scultura d'arte senese del XV sec., Siena 1938. nn. 37, 41-45, 53, 59; W. Milliken, A Renaissance bronze from Siena, in The Bull. of the Cleveland Museum of Art, XXXV (1948), pp. 207 ss.; Catal. d. mostra bernardiniana nel V centenario della canonizzazione di s. Bernardino, Siena 1950, p. 59; P. Rotondi, Il palazzo ducale di Urbino, Urbino 1951, I, pp. 269 s., 287; II, tavv. 84, 145, 146, 227. 228; E. Carli, La scultura lignea senese, Milano 1951, pp. 89 s.,115 s.; L. Bersano, L'arte di G. C., in Bullettino senese di storia patria, s. 3, XVI (1957), pp. 109-42; M. Salmi, Il palazzo e la coll. Chigi-Saracini, Siena 1967, p. 77; C. Del Bravo, Scultura senese del Quattrocento, Firenze 1970, ad Indicem; P.Torriti, La Pinacoteca nazionale di Siena ... (catal.), I, Genova 1977, p. 402; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlex., VIII, pp. 37s.; Encicl. Ital., XI, p. 768.

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