I siti della Magna Grecia: un panorama esemplificativo. Le colonie euboiche

Il Mondo dell'Archeologia (2004)

I siti della Magna Grecia: un panorama esemplificativo. Le colonie euboiche

Nazarena Valenza Mele
Laura Buccino

Cuma

di Nazarena Valenza Mele

Colonia euboica (gr. Κύμη; lat. Cumae), fu fondata negli ultimi decenni dell’VIII sec. a.C. nella parte settentrionale di quello che, col decadere di C. e la fondazione di Neapolis, fu chiamato Golfo Neapolitano. A detta degli antichi (Strab., V, 4, 4), fu la prima colonia greca in Italia meridionale, così come Naxos, altra colonia euboica, lo fu in Sicilia. Questo dato sembra oggi invalidato dalle scoperte archeologiche di Lacco Ameno (Ischia), l’antica Pithecusa, altro insediamento euboico di molto anteriore (secondo quarto dell’VIII sec. a.C.).

Una volta insediati, gli Euboici, guidati da Ippocles e Megastene (Vell., I, 4, 1), dovettero immediatamente suddividere lo spazio territoriale. Certamente ben delimitata risulta l’area destinata a necropoli: le tombe più antiche, infatti, dalla fine dell’VIII sino al V sec. a.C., si estendono tutte piuttosto lontano dalla città e tutte all’esterno della futura cinta muraria di VI sec. a.C. Si intravede, dunque, già alle origini, un insediamento su vasta scala, non limitato alla sola acropoli costituita dal Monte di Cuma. La necropoli si estende a nord della città presso il Lago di Licola e le tombe sembrano disporsi ai lati della via Vecchia Licola, strada certamente antica che attraversa in direzione nord-sud la città bassa e continua poi a sud dirigendosi verso l’Averno e il Lucrino. I rituali funerari adottano l’inumazione per i giovani e l’incinerazione per gli adulti e, solo per gli incinerati di classe sociale eminente, particolari sepolture in ricettacoli lapidei e cinerari costituiti da calderoni bronzei con corredo privo di ceramica e denunziano anche in questo l’origine dei coloni trovando stretti confronti a Eretria, ma anche a Calcide.

Tranne la necropoli, molto poco è oggi conosciuto dell’età greca. Sicure tracce di un tempio notevolmente antico si possono recuperare nella parte opposta della città, a sud dell’impianto urbano, a destra della via Vecchia Licola, immediatamente vicino alla cinta muraria. Il tempio doveva essere dedicato a Hera, come testimoniano alcune relativamente numerose dediche votive su ceramica. I due templi dell’acropoli, quello comunemente attribuito a Zeus e recentemente a Demetra (ma questa ipotesi attende maggiori conferme), nella terrazza superiore, e quello di Apollo, nella terrazza inferiore, presentano scarse, ma sicure tracce di una fase greca. Essi sembrano però ai dati attuali certamente più tardi rispetto a quello di Hera. Si ha quindi l’impressione che l’acropoli solo in un secondo momento abbia assunto una connotazione spiccatamente religiosa. Probabilmente all’età della tirannide di Aristodemo (525 - inizi del V sec. a.C.) risale il muro di blocchi isodomi, rintracciato nel 1980 a nord della città, oltre la necropoli. Esso faceva parte della cosiddetta fossa Graeca, un’opera di bonifica del territorio. Un altro muro di grandi blocchi fu ritrovato nel lato meridionale del foro.

L’altra testimonianza arcaica è costituita dal tracciato delle mura, che, almeno nella parte sud, risalgono alla prima metà del VI sec. a.C. Le mura comunque ebbero un sicuro rifacimento da parte dei Campani, che s’impadronirono della città verso la fine del V sec. a.C. In questo momento venne chiusa completamente l’acropoli. A un accorgimento tecnico-militare sempre di età sannita è stata recentemente ricondotta la lunga galleria sotterranea comunemente detta Antro della Sibilla. Cade quindi anche in questo caso l’identificazione, oramai da quasi tutti gli studiosi data per certa, della sede oracolare della Sibilla di cui ci parla Virgilio (Aen., VI, 35 ss.). Di età sannita conosciamo con una certa ampiezza ancora una volta la necropoli. Le sepolture, ora solo a inumazione, con corredi che indicano chiaramente il passaggio dalla consuetudine greca a quella sannita, si dispongono nella zona più vicina alla città, abbandonando le aree precedentemente occupate dalle tombe di età greca. Probabilmente in età sannita ci furono interventi nei templi sull’acropoli, nel cosiddetto “tempio di Zeus” e in quello di Apollo; per quest’ultimo è nota anche una stipe di III-II sec. a.C.

C. nel 338 a.C. divenne civitas sine suffragio e da quel momento la città campana si legò indissolubilmente a Roma. Ma è soprattutto il culto di Giove Flazzus che indica la novità maggiore. Venne infatti eretto in età sannita un tempio nell’area del foro su un alto podio di blocchi isodomi ornato da una modanatura e rivestito da un intonaco dipinto; nella parte posteriore il pavimento di cocciopesto conservava fino a pochi anni fa un’iscrizione musiva in osco che ricordava l’intervento di Minio Heio figlio di Pacio, epigrafe che conferma anche la divinità ivi onorata; di questa fase di III sec. a.C. si conservano anche alcune terrecotte architettoniche. Il tempio fu in seguito dedicato alla triade capitolina per diretto influsso di Roma; in questa fase fu trasformato da periptero in prostilo con aggiunta di un avancorpo. Della fine del III sec. a.C. sono le terme a sud del foro; solo in età imperiale fu invece costruito l’altro edificio termale, la cosiddetta Masseria del Gigante, che deve il suo nome al ritrovamento in loco del busto colossale di Giove Capitolino. Un altro edificio termale di età imperiale, ricco di mosaici, marmi e stucchi dipinti, si apriva sulla via che costeggia il Capitolium (cd. Terme del Foro), con una seconda entrata sulla via perpendicolare a questa.

Tra la fine del II e gli inizi del I sec. a.C. fu costruito l’anfiteatro, fuori dalle mura, nella zona sud della città. Il foro risale nella sua sistemazione attuale a età tardorepubblicana. Già prima però era sorto, sul lato breve occidentale, il tempio di Giove, che non risulta comunque perfettamente in asse. Sui lati lunghi in età sillana furono edificati portici in tufo grigio rivestito da stucco su due ordini, che presentavano un fregio dorico con triglifi e metope; in età triunvirale fu aggiunto un tratto del portico nel lato del Capitolium, sempre a doppio ordine di colonne (corinzie e ioniche), al quale è riferibile anche il fregio continuo con armi. Sempre a età triunvirale sembra risalire la sistemazione dell’ingresso all’acropoli, di cui resta una soglia di marmo. L’età augustea segnò profondamente la città e il territorio a essa più vicino. In quest’ultimo vanno ricordate infatti le opere militari promosse da Agrippa, opera di L. Cocceio, a partire dal Portus Iulius (37 a.C.), che sfruttava il doppio bacino dei laghi Lucrino e d’Averno. Per la maggior funzionalità del nuovo porto, vennero anche aperte grandiose vie sotterranee, una che favoriva i collegamenti tra l’Averno e la città (Grotta di Cocceio: lungh. 1 km, alt. 30 m) e l’altra che dal foro giungeva all’acropoli (Crypta romana: lungh. 180 m, alt. 23 m); entrambe erano fornite di bocche di luce e pozzi per la raccolta dell’acqua piovana.

Certamente vi furono interventi nei due templi sull’acropoli. In particolare l’orientamento del tempio di Apollo, originariamente nordsud, mutò e fu costruito un pronao sul lato orientale. In questo modo esso venne a proiettarsi scenograficamente dall’alto verso la città bassa, accentuando il carattere “poliadico” che assunse il culto apollineo, certamente sotto l’impulso di Augusto. È inoltre in questo momento che la cella fu tripartita, associando ad Apollo anche Artemide e Latona su diretta influenza del tempio augusteo di Apollo Palatino. In età neroniana, tra 65 e 68 d.C., ebbe inizio lo sbancamento di un lungo canale (la Fossa Neronis), progettato da Celer e Severus, che doveva congiungere la foce del Tevere con il Portus Iulius. L’opera non fu mai completata, ma le tracce sono ancora perfettamente distinguibili sul terreno. Un altro grosso intervento imperiale si ebbe con la costruzione della via Domitiana, lastricata nel 95 d.C., che doveva collegare Roma a Puteoli (Pozzuoli), ormai diventata il maggior porto della Campania. Per quanto riguarda l’impianto urbano, non si ha ancora alcuna testimonianza precisa, anche se, almeno in età romana, il reticolo stradale sembra essere stato regolare.

Per quanto concerne il porto, resta tuttora valida l’ipotesi di R.F. Paget che lo pone nel tratto di costa, oggi rettilinea per insabbiamento, a sud dell’acropoli, anche se non ci sono ancora conferme oggettive. Saggi limitati, aperti recentemente nell’area, non hanno dato risultati in questo senso, mentre hanno portato alla luce quello che sembra essere un edificio religioso dedicato molto probabilmente al culto isiaco, come mostra il ritrovamento di tre statuette egiziane. In età cristiana, tra V e VI sec. d.C., i due templi sull’acropoli furono trasformati in basiliche cristiane, aprendovi anche fonti battesimali. In questo momento è il cosiddetto “tempio di Zeus” quello più importante, avendo assunto la funzione di cattedrale, e in esso fu aperta una fonte battesimale di marmo. Molte tombe sono poi poste al di sotto del pavimento di entrambe le nuove chiese. In età bizantina fu anche ristrutturata la cosiddetta Torre Bizantina, che s’innalzava all’ingresso dell’acropoli. Nei pressi dell’anfiteatro furono impiantate fornaci, che producevano ceramica a bande larghe (V-VIII sec. d.C.). Certo è che, in età medievale e fino alla definitiva caduta della città a opera di Goffredo di Montefuscolo e Pietro Cuttone da Lettere (1207), la città si restrinse soprattutto all’acropoli, come indicano anche i numerosi ruderi di muri di abitazione, mentre la parte bassa andò sempre più spopolandosi, preda di acque stagnanti e vegetazioni spontanee.

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Naxos

di Laura Buccino

Collocata presso l’odierna Giardini Naxos (Messina), N. (gr. Νάξος; lat. Naxos) è la più antica colonia della Sicilia, fondata nel 734 a.C. da coloni guidati da Theokles di Calcide, provenienti dall’Eubea e dall’isola cicladica di Nasso, da cui la nuova città prese il nome. Sul luogo stesso dello sbarco, fu dedicato l’altare di Apollo Archegetes.

Le case quadrate, relative al primo stanziamento coloniale, furono impiantate intorno alla baia nella penisola di Capo Schisò, dove rimangono resti di abitati succedutisi sin dall’età neolitica. La necropoli più antica, databile dalla fine dell’VIII a tutto il VI sec. a.C., ma riutilizzata anche in età ellenistica, è stata rinvenuta a nord-est del capo, vicino al mare. Dell’abitato arcaico, risalente alla metà del VII sec. a.C., sono stati riportati in luce due ampi settori, vicino al castello e presso Capo Schisò, che mostrano orientamenti differenti, convergenti verso una zona centrale di cerniera, da collocarsi a nord-ovest del Sacello C. Tra gli edifici disposti lungo uno degli assi principali nord-sud, nella parte nord dell’abitato, si segnala una grande casa a pastàs (VII sec. a.C.). Alla fine del VII sec. a.C. risale il vasto santuario extraurbano in contrada Scalia-Malaprovvido, a ovest del torrente Santa Venera, che godette del periodo di massimo splendore intorno alla metà del VI sec. a.C., ma rimase attivo fino all’avanzato III sec. a.C., quando nell’area si sviluppò una necropoli.

Rimane incerto a quale divinità fosse dedicato il santuario, che ha restituito numerose terrecotte plastiche e architettoniche e depositi votivi arcaici. Vanno segnalate le testimonianze del culto delle dee guerriere Enyò e Atena, provenienti dalla zona ovest. Tra le strutture sono da ricordare un altare bipartito, due sacelli arcaici in antis e due lunghi muri, con funzioni di terrazzamento e forse anche di peribolo. Nella zona nord del complesso sacro era ubicato un quartiere di vasai, databile agli inizi del V sec. a.C. La preminenza nell’area settentrionale del culto di Dioniso, legato alla coltivazione della vite, è attestata dalle rappresentazioni monetali e dalla caratteristica produzione di antefisse a testa silenica (seconda metà del VI-V sec. a.C.). Il  quartiere artigianale cittadino, il Ceramico, occupava le pendici della collina di Larunchi, fuori del tratto nord delle mura. Fornaci erano incluse anche entro il temenos cosiddetto “di Afrodite”, sorto nell’area sud-ovest della città, presso la foce del Santa Venera. I muri di recinzione in opera poligonale (fine del VII-VI sec. a.C.) separano il santuario dal resto dell’abitato. Alla fine del VI sec. a.C. fu costruita la cinta muraria, il cui percorso è ben accertato sui lati ovest, nord e nordest dell’abitato, con varie porte urbiche.

Fra il 498/7 e il 495/4 a.C. Ippocrate di Gela assoggettò N. insieme ad altri centri della Sicilia orientale. La città fu rifondata agli inizi del V sec. a.C., probabilmente a opera di Gerone di Siracusa (476-460 a.C.), che deportò gli abitanti originari a Lentini e inviò a N. coloni peloponnesiaci e siracusani. I Nassi dovettero rimpatriare nel 461/60 a.C., alla caduta dei Dinomenidi di Siracusa, quando fu ristabilito il regime democratico. L’abitato classico fu provvisto di un impianto regolare e unitario, organizzato intorno a tre larghe arterie parallele est-ovest (le plateiai) tagliate ortogonalmente da strade nordsud (gli stenopòi) a intervalli costanti di 39 m. Basi quadrangolari di pietra lavica segnavano ogni incrocio. L’impianto urbano risulta distinto in isolati rettangolari allungati. Sono stati estensivamente scavati gli isolati C4 e D4, entrambi nel settore settentrionale della città, scanditi in blocchi di abitazioni tramite stretti passaggi (ambitus). Le case, di forma quadrangolare, con zoccoli di pietra lavica e alzato in mattoni crudi, presentano superfici disuguali, con più vani articolati attorno a un atrio o a un cortile.

L’agorà è forse da localizzare al margine nord della città, in corrispondenza dell’incrocio tra la plateia C e lo stenopòs 6, il più largo, dove è venuto alla luce un esteso spazio libero da costruzioni, con un battuto terroso consistente e il basamento di un altare quadrangolare, di IV-III sec. a.C. Nei pressi insistono resti murari relativi alle installazioni portuali di età classica. Le necropoli di età classica sono state identificate da scavi recenti a sud-ovest e a nord di N. La città venne distrutta da Dionisio I di Siracusa nel 403 a.C. La vita nel sito riprese comunque già nel corso del IV e soprattutto nel III-II sec. a.C. Il modesto nucleo abitato ellenistico, gravitante nella sfera d’influenza di Taormina, si concentrò ai bordi della baia, in connessione con le attività portuali e produttive. A una ricostruzione del centro abitato si riferisce forse una moneta argentea di N., con la legenda NEOPOLI. Anche la continuità di vita in epoca imperiale risulta concentrata a nord, alle pendici della collina di Larunchi. Le strutture individuate nei pressi dell’antico porto sono verosimilmente relative alla mansio citata nell’Itinerarium Antonini (resti di magazzini doliari e piccolo impianto termale).

Bibliografia

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Reggio

di Laura Buccino

Colonia (gr. Ῥήγιον; lat. Regium; Reggio Calabria) fondata nel 720-715 a.C. sulla costa calabrese dello Stretto di Messina dai Calcidesi, con la partecipazione di esuli Messeni. Furono gli abitanti di Zankle (Messina), fondata intorno al 730-725 a.C. da coloni della stessa madrepatria, che miravano  a controllare il principale accesso di navigazione nel Tirreno, a invitare i Calcidesi a occupare la sponda opposta, in modo da assicurarsi il pieno controllo dello Stretto.

Seguendo le indicazioni dell’oracolo di Delfi, i coloni si stabilirono in un luogo chiamato Pallantion, a nord-est del fiume Apsias (Calopinace), tra il mare e il sistema collinare interno. Dopo un governo di oligarchia moderata, retto dagli egemones (capi politici, religiosi e militari), Anassilao, discendente da un’antica famiglia dell’aristocrazia di Messene, nel 494 a.C. occupò l’acropoli e si fece tiranno di R. (494-476 a.C.). Nel 490 a.C. assunse il controllo dello Stretto impadronendosi di Zankle, da dove espulse i Sami, che vi erano giunti numerosi nel 494/3 a.C. in seguito all’avanzata persiana in Asia Minore. Ripopolata la colonia con i Messeni, le cambiò il nome in Messana, in ricordo della sua antica patria. Anassilao si contrappose alla politica espansionistica dei tiranni sicelioti, appoggiando i Cartaginesi e gli Etruschi, ma fu sconfitto da Gelone di Siracusa e Terone di Agrigento nella battaglia di Imera insieme ai Cartaginesi e al suocero Terillo, tiranno di Imera. Nel tentativo di ampliare il proprio territorio, nel 478 a.C. attaccò Locri, che si difese grazie all’aiuto di Siracusa. La vivacità economica e culturale di R. nella prima metà del V sec. a.C. è attestata dalla famosa scuola di bronzisti. Le fonti ricordano i nomi di Klearchos e del suo celebre allievo Pitagora, uno dei maestri dello stile severo.

Nel 473 a.C. tremila Reggini morirono combattendo al fianco dei Tarantini contro gli Iapigi. Nel 461 a.C. gli abitanti di R. e Zankle cacciarono i figli di Anassilao e posero fine alla tirannide. R. proseguì la sua politica antilocrese e antisiracusana appoggiando Atene nella prima spedizione in Sicilia e aderendo alla Lega italiota. Nel 399 a.C. i Reggini, spinti da esuli siracusani, mossero guerra a Dionisio I che, avendo tentato invano di stringere un’alleanza, nel 393 a.C. attaccò la città, la quale nel 387 a.C. si arrese dopo 11 mesi di assedio. R. riuscì a riconquistare l’indipendenza nel 351, con l’allontanamento della guarnigione imposta da Dionisio II, che nel 358 l’aveva in parte rifondata con il nome di Foibia. Nel 345 a.C. la città si legò a Timoleonte in funzione anticartaginese. Nel 280 a.C. fu occupata da una legione di Campani Mamertini comandata da Decio Vibellio, che era stata inviata da Roma per difendere la città da Pirro. Gli abitanti greci, costretti ad allontanarsi, furono liberati nel 270 a.C. dai Romani dopo la sconfitta del re epirota. Divenuta uno dei socii navales di Roma, nell’89 a.C. fu trasformata in municipio e nell’età di Ottaviano, che l’aveva ripopolata nel 36 a.C. dopo un terremoto, assunse in suo onore il nome di Regium Iulium.

La conoscenza della città antica è gravemente compromessa dalla continuità di vita e dai terremoti che hanno più volte raso al suolo R. La documentazione archeologica nota è pertanto lacunosa e basata per lo più su rinvenimenti fortuiti. Sono stati individuati alcuni tratti della cinta muraria, costruita inizialmente in mattoni crudi (metà del VI-V sec. a.C.) e intorno alla metà del IV sec. a.C. ristrutturata in tecnica isodoma con blocchi di arenaria a doppia cortina, legata da setti trasversali e con riempimento in pietrame. La ricostruzione del tracciato delle fortificazioni ha permesso di stabilire che la città doveva occupare un’ampia area posta tra il torrente Annunziata a nord, il fiume Apsias-Calopinace a sud, il mare a ovest e le colline a est. I limiti di estensione della città sono indicati, inoltre, dalle numerose aree di necropoli rinvenute, distribuite lungo le principali vie di comunicazione, al di là del fiume Calopinace a sud (località piani di Modena e Ravagnese), a nord (piazza De Nava, Santa Lucia, Santa Caterina e Pentimeli). I materiali archeologici rinvenuti forniscono preziose informazioni sulle attività produttive e sugli scambi commerciali della colonia, ma non aiutano a ricostruire l’impianto urbano.

I resti di un edificio di culto di età greca scoperti sotto il palazzo della Prefettura, a piazza Italia, testimoniano la continuità di destinazione di quest’area centrale, identificabile probabilmente con l’agorà greca e il foro romano. Del tempio, posto nel cuore della città, rimangono blocchi di calcare della platea di fondazione e terrecotte architettoniche, databili nella seconda metà del V sec. a.C. Un grosso muro di blocchi di arenaria disposti in accurata opera quadrata, messo in luce nell’area costiera della città, a Reggio Lido, e databile tra il V e il IV sec. a.C., è stato identificato come una struttura di terrazzamento di un grande tempio che secondo la tradizione Oreste aveva dedicato ad Artemide Phakelitis e che Tucidide ricorda fuori delle mura. Altri, invece, preferiscono localizzare il tempio a sud, alla foce del Calopinace, presso Punta Calamizzi. Al problema dell’identificazione del tempio è connesso quello del porto, fondamentale per l’organizzazione urbanistica della città e per la vita economica, che secondo la testimonianza di Tucidide si trovava vicino al santuario, dove si accamparono gli Ateniesi nel 415 a.C. Sono state proposte varie localizzazioni, sia a nord, vicino al porto attuale, che a sud di R.

L’esistenza di altre aree sacre è dedotta dal ritrovamento di materiali votivi e terrecotte architettoniche, come nel caso del santuario del fondo Griso-Labocetta, nel settore nord-ovest della città, che appare frequentato dalla seconda metà del VII sec. a.C. fino all’età romana. L’unica struttura emersa è costituita da un tratto del muro di recinzione del santuario. I frammenti architettonici sono pertinenti a un tempio e a edifici di culto minori. Si è proposto sulla base della tipologia del materiale rinvenuto che nel santuario fosse venerata una divinità femminile, forse Hera, in associazione allo sposo Zeus. Vicino al fondo Griso-Labocetta è stato scoperto un edificio, databile intorno alla metà del IV sec. a.C., variamente interpretato come odeion, con funzioni anche di ekklesiasterion, o come teatro. Un gruppo di materiali votivi di età ellenistica, recuperati nel settore collinare a est della città, è stato riferito a un santuario di Artemide. Le cisterne ellenistiche sulla collina del Salvatore testimoniano la ricca rete idrica di R., in accordo con le notizie delle fonti.

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B. Gentili - A. Pinzone (edd.), Messina e Reggio nell’antichità: storia, società e cultura. Atti del Convegno della Società Italiana per lo Studio dell’Antichità Classica (Messina - Reggio Calabria, 24- 26 maggio 1999), Messina 2002.

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