I Popoli del Mare e il collasso dell’Oriente mediterraneo

Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco (2014)

I Popoli del Mare e il collasso dell'Oriente mediterraneo

Giancarlo Lacerenza

Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, Antichità, edizione in 75 ebook

I secoli che seguono la fine del II millennio a.C. vedono mutare in maniera radicale il quadro politico e sociale del Vicino Oriente antico. Ai vecchi imperi che crollano o che si avviano a più o meno profonde trasformazioni, si accompagna l’apparizione di nuove genti e popolazioni, che alterano sensibilmente i confini e la fisionomia degli imperi residui: Egitto, Assiria e Babilonia. I Popoli del Mare, migranti di origine egeo-anatolica, fra i quali troviamo i Filistei, concorrono alla caduta degli Ittiti e s’insediano fra la Palestina e l’Egitto.

Un’età di cambiamenti

Da molto tempo la storiografia vicino-orientale antica ha individuato negli ultimi due secoli del II millennio a.C., e segnatamente dal 1150 a.C. ca., l’inizio di una fase nuova nella storia del Vicino Oriente antico. Questa svolta, coincidente con la fine del Tardo Bronzo e l’Età del Ferro (Ferro I nella prima fase), è determinata dalla confluenza di diversi elementi, parzialmente esito di una vasta crisi economica oltre che di tensioni accumulatesi nei due secoli precedenti, ma in parte anche a causa di elementi nuovi. Fra questi troviamo, dall’interno, l’aumento del nomadismo e la fuga dai centri più direttamente sottoposti al controllo e allo sfruttamento palatino, come in Khatti e Babilonia. Dall’esterno abbiamo, invece, l’approdo sulla scena vicino-orientale di genti messe in moto da movimenti migratori che avvengono in tutto il Mediterraneo orientale, e soprattutto dall’area egeo-anatolica. Con il decisivo contributo di queste ultime forze, vengono a ridisegnarsi, quasi completamente e in un tempo relativamente breve, gli scenari politici e sociali che avevano caratterizzato il Vicino Oriente per un lungo periodo. La crisi economica e demografica già diffusa nel Tardo Bronzo mina la stabilità e il ruolo di grandi potenze tra cui l’Egitto e l’Assiria, che ne escono fortemente ridimensionate, e favorisce lo sgretolarsi di altre, come l’Impero ittita, insieme a varie realtà quali i regni di Mittani, Emar e Ugarit. Nascono nuovi stati, di dimensioni e ambizioni più modeste, ed entrano sulla scena della storia, con documentazione epigrafica e archeologica proprie, genti quali Filistei, Aramei, Israeliti e tribù nord-arabiche, la cui affermazione produce un cambiamento significativo nelle prospettive storiche e culturali del Vicino Oriente.

I profondi cambiamenti nella vita delle singole popolazioni e nei loro rapporti con le nazioni circostanti, o con cui si è in contatto economico e commerciale, impongono anche nuovi metodi di comunicazione: non casualmente, dunque, nello stesso periodo si osserva un sensibile offuscamento del prestigio della lingua accadica e della scrittura cuneiforme come veicoli della comunicazione internazionale. Le scuole scribali dell’intera area siro-cananaica decadono e i vari tentativi di adattamento della scrittura cuneiforme alle parlate locali, compiuti prevalentemente nei centri urbani del litorale siro-cananaico, cedono il posto, nel giro di poche generazioni, all’affermazione di scritture lineari inizialmente sillabiche (come nelle iscrizioni pseudogeroglifiche di Byblos) e infine monoconsonantiche: sistema che, sotto l’impulso fornito principalmente dalla diffusione degli Aramei in tutto il Vicino Oriente antico, imporrà un nuovo modo di comunicare, registrare informazioni e trasmettere cultura.

I Popoli del Mare

Protagonisti della prima ora di tutti questi cambiamenti sono i Popoli del Mare, insieme eterogeneo di genti e popoli diversi – “stranieri provenienti dal mare” (n3 ḫ3tw n p3 ym) secondo la definizione egiziana – le cui origini e spostamenti sono in parte ancora incerti e controversi, nonostante i dettagli spesso presenti nella documentazione. Attualmente nessuno più segue la vecchia tesi secondo cui la crisi di fine II millennio a.C., dall’Egitto all’Anatolia, sarebbe quasi per intero dipesa principalmente dal sopraggiungere di questi gruppi, almeno parzialmente confederati, la cui consistenza numerica è stata notevole, anche se talvolta forse sovrastimata. Se si eccettuano i precoci contrasti presso il Delta del Nilo fra le genti chiamate Sherden e Ramesse II – allora nel suo secondo anno di regno – che si concludono con la sconfitta degli stranieri e il loro arruolamento come mercenari destinati alla frontiera con l’Impero ittita (gli stessi Sherden appaiono richiamati anche nella relazione sulla battaglia di Qadesh), i primi nuclei organizzati di migranti registrati dalle fonti egiziane che attaccano l’Egitto nel quinto anno del faraone Merenptah, verso il 1220 a.C., sono cinque unità provenienti dalla Libia e in effetti a sostegno di tre unità di Libici, probabilmente i principali interessati alla spedizione e a capo di una confederazione di piccole entità statali o parastatali chiamata i “Nove Archi”. Nell’iscrizione di Karnak, testo in cui si parla della risposta egiziana all’aggressione, i popoli chiamati in causa sono gli Sherden/Sherdana, Sheklesh, Ekwesh (o Akawasha), Lukka e Teresh (o Turush/Tursha), alcuni dei quali già noti anche da fonti anteriori, in particolare dalle Lettere di El Amarna; l’eterogeneità nell’ortografia degli etnonimi riflette varianti sia all’interno degli stessi testi egiziani sia rispetto alle fonti accadiche (oltre ai diversi criteri impiegati dagli studiosi per vocalizzare nomi di pronuncia incerta o ignota).

Malgrado la completa vittoria che Merenptah afferma di aver compiuto a Perire, ove il faraone fa evirare i nemici morti incirconcisi e tagliare le mani a tutti gli altri, gli attacchi continuano e, apparentemente, su vasta scala; operazioni militari di proporzioni certo non piccole sono infatti registrate in due iscrizioni dell’anno quinto e ottavo di Ramesse III, in cui di nuovo appaiono cinque gruppi fra i quali, oltre ai già noti Sheklesh, sono menzionati Peleset, Theker/Tjeker, Denyen e Weshesh, che si dichiarano essere stati già vincitori degli Ittiti e dei Mittani: “Gli stranieri concepirono una cospirazione nelle loro isole, finché tutti insieme si mossero e iniziarono a combattere. Nessun paese poteva resistergli: Khatti, Qade, Karkemish, Arzawa e Alashiya finirono distrutti. Un accampamento fu stabilito in Amurru. Essi ne annientarono le popolazioni, e la terra fu come non era mai stata. Quindi si spinsero verso l’Egitto, preceduti da fuoco e fiamme. […] Misero le mani sull’intero Paese, annunciando con arroganza: ’Ce la faremo!’” (dall’iscrizione nel tempio funerario di Medinet Habu).

Ancora gli Sheklesh (menzionati come Shikalayu) “che vivono sulle navi” appaiono alla vigilia della distruzione di Ugarit, nella corrispondenza con inascoltate richieste di aiuto dell’ultimo sovrano della città, Hammurapi.

L’identificazione di questi gruppi che, come mostrano i bassorilievi egiziani, si muovevano in massa con famiglie e animali, evidentemente in cerca di terre in cui stabilirsi o da sfruttare, non è univoca. Mentre pressoché tutti gli studiosi accettano l’identificazione dei Peleset (Prst) con i Filistei e dei Denyen con i Danai (Danaoi nelle fonti greche, Danuna in quelle accadiche), ancora si discute sulle validità delle altre identificazioni, quali Ekwesh/Achei, Lukka/Lici, Sherden/Sardi, Sheklesh/Siculi, Theker/Teucri, Teresh/Tirreni (o Etruschi).

I Filistei

Di quella parte di Popoli del Mare che in seguito si stabilisce nell’area palestinese meridionale (ossia Sherden, Theker e Peleset), probabilmente non senza il consenso o almeno la tolleranza dell’Egitto, il gruppo meglio noto – e non solo grazie alla duratura fama di guerrieri loro assicurata dalla Bibbia – è sicuramente quello dei Peleset/Filistei, cui sono state attribuite varie origini (Cipro, la Cappadocia, Micene).

Costoro s’insediano in luoghi già a lungo sotto dominio egiziano ed entro una pentapoli comprendente, dal nord, Eqron, Ashdod, Gath, Ashkalon e Gaza, città che con i nuovi venuti aumentano non solo in termini demografici, ma anche economici e di spazio urbano. In questi siti è tuttora in corso (con l’eccezione di Gaza) un’intensa esplorazione archeologica che sta rivelando molti aspetti della cultura materiale filistea in cui confluiscono elementi cananaici, egiziani ed egei, che alla fine del X secolo a.C. erano pressoché scomparsi. Per via di assimilazione culturale e certo in parte anche sociale, i Filistei finiscono dunque almeno parzialmente per semitizzarsi, abbandonando la propria lingua e scrittura per assumere gli stessi mezzi espressivi dei loro vicini.

Il cambiamento culturale che interessò la cultura filistea fra l’XI e il X secolo a.C. appare ora particolarmente ben documentato dallo scavo archeologico di Gath (Tell el-Safi), ove fra l’altro è stato rinvenuto un ostrakon, datato per stratigrafia al 950 a.C. ca., su cui sono leggibili due nomi filistei (entrambi simili a quelli del biblico Golia) scritti però in scrittura lineare protocananaica, mostrando un certo attardamento rispetto alla scrittura già in uso presso Fenici e Aramei.

L’ultimo monumento epigrafico noto dei Filistei è un’iscrizione votiva su pietra rinvenuta a Eqron (Tel Mikne), in cui è riportata la genealogia dell’ultimo re della città, alla vigilia della distruzione babilonese del 604 a.C.: “Tempio costruito da Akish figlio di Pady, figlio di Yasid, figlio di Ada, figlio di Ya’ir, signore di Eqron, per ptnyh (?) sua signora. Che essa lo benedica e lo custodisca, prolunghi la sua vita e benedica la sua terra.”

Appare evidente che, con una documentazione diretta così incerta o sporadica, la fisionomia culturale dei Filistei oggi in gran parte sfugga; né, a questo proposito, i dati forniti dalla Bibbia possono essere considerati sempre utili, essendo caratterizzati da una forte coloritura polemica che ne invalida oggettivamente l’obiettività. Oltre all’episodio, dagli accenti epici sin nei particolari – si veda la minuta indicazione del peso in bronzo nelle armature – del duello fra David e Golia, gli altri riferimenti ai Filistei contenuti nel testo biblico non sono mai particolarmente lusinghieri: alle manovre dei crudeli principi di Gaza adoratori del dio Dagon, è attribuita al tempo dei Giudici la disfatta dell’eroe Sansone (Gdc 16); successivamente, al tempo del giovane Samuele, i Filistei vittoriosi su Israele sono al centro d’imbarazzanti conseguenze per aver osato portare l’Arca dell’alleanza presso le proprie città (1 Sam 4-6); sempre loro infieriscono e oltraggiano i corpi di Saul e Yonathan (1 Sam 31:7-10; 1 Cr 10:7-10), e vengono infine sconfitti e dispersi da David, già unto re, a Ba‘al Perasim (2 Sam 5:17-25). Sempre sul rapporto fra David e i Filistei, nella Bibbia sono riportate varie altre tradizioni, per lo più confuse e talvolta persino contraddittorie (2 Sam 21:12-22). I Filistei ricompaiono sporadicamente, nei secoli successivi, in scontri con re d’Israele e Giuda.

L’ultimo monumento epigrafico che li riguarda è l’iscrizione votiva su pietra rinvenuta a Eqron (Tel Mikne) nel 1996, in cui è riportata la genealogia dell’ultimo re della città, ’Akish, alla vigilia della distruzione babilonese del 604:“Tempio costruito da ’Akish figlio di Pady, figlio di Yasid, figlio di Ada, figlio di Ya’ir, signore di Eqron, per ptnyh (?) sua signora. Che essa lo benedica e lo custodisca, prolunghi la sua vita e benedica il suo paese.”

Il dinasta ’Akish, come già suo padre, è anche noto dagli annali assiri come Ikausu. Il nome della divinità ptnyh (secondo altri, ptgyh) fornisce la prima evidenza diretta ed extrabiblica di una divinità filistea – già era nota la diffusione in ambiente filisteo del culto di dee madri simili a quelle dell’area egea – ma la testimonianza resta isolata e il nome è tuttora poco comprensibile. L’invasione babilonese, come ha confermato l’analisi archeologica del territorio, determina una devastazione da cui la regione si riprende lentamente e con difficoltà, ma che comunque determina la fine dei Filistei come popolo, la cui identità gradualmente si stempera in quella delle nazioni circostanti. Così il profeta Sofonia (2:4-5) sulla fine delle città filistee:“Gaza infatti sarà abbandonata e Àshkalon ridotta a un deserto. Ashdod in pieno giorno sarà deportata ed Eqron distrutta dalle fondamenta. Guai agli abitanti della costa del mare, alla nazione dei Kretei! La parola del Signore è contro di te, Canaan, paese dei Filistei: ’Io ti distruggerò privandoti di ogni abitante’” (versione CEI).

Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, Antichità, Il Vicino Oriente Antico, Storia

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