I METALLI LEGGERI

XXI Secolo (2010)

I metalli leggeri

Franco Bonollo
Gian Paolo Cammarota

L’appellativo leggero, riferito a un metallo o a una lega, è vincolato a un valore di densità ben inferiore rispetto a quello delle leghe ferrose (acciai e ghise). Si può pertanto parlare di metalli leggeri e di leghe leggere a proposito del magnesio e delle sue leghe (densità pari al 25% di quella dell’acciaio); dell’alluminio e delle sue leghe (35%); del titanio e delle sue leghe (60%).

In effetti, occorre sottolineare come sia stata proprio la leggerezza a costituire la principale forza motrice per lo sviluppo applicativo di magnesio, alluminio e titanio e delle loro leghe. Agli inizi del 21° sec., anche in virtù di questa caratteristica, si continuano ad avere importanti applicazioni di tali materiali soprattutto nel settore dei trasporti e dell’elettronica. In particolare, nel campo automobilistico, lo sviluppo di nuove leghe di magnesio ha contribuito a migliorare le diverse fasi di produzione e a ottimizzare la progettazione, mentre l’alluminio garantisce un minor peso dei veicoli e conseguentemente una ridotta emissione di gas inquinanti; nel campo aeronautico e spaziale, la costruzione dei motori e delle parti strutturali dei velivoli si avvale delle caratteristiche fisiche del titanio al fine di ottenere una riduzione dei costi e l’estensione dello spazio di progettazione.

Le leghe di alluminio e, in seguito, quelle di titanio, sono nate industrialmente e si sono sviluppate lungo tutto il 20° sec. in perfetta simbiosi con il settore aeronautico e aerospaziale, per i quali la bassa densità è un aspetto essenziale al fine di progettare e impiegare componenti caratterizzati da elevati valori del rapporto resistenza/peso. La validità di questo concetto è confermata dal fatto che gli aerei di linea di ultima generazione arrivano ad avere fino al 15% in peso di leghe di titanio (Boeing 787) e al 65% in peso di leghe di alluminio (Airbus A380).

La leggerezza ha assunto un ruolo sempre più strategico anche nel trasporto su strada. A partire dagli anni Novanta, la ricerca in campo automobilistico si è focalizzata su tre aspetti fortemente interconnessi, mantenendo e, se possibile, incrementando prestazioni, sicurezza e comfort: riduzione del peso delle vetture, risparmio di carburante, minimizzazione delle emissioni inquinanti. Si stima che ridurre di 100 kg il peso di una vettura consenta di risparmiare circa 0,5 l di carburante ogni 100 km percorsi: è evidente che tutte le case automobilistiche sono vincolate alla produzione di veicoli sempre più leggeri. Questo ha favorito, e continuerà a favorire, lo sviluppo e l’impiego di leghe di alluminio e di magnesio per componenti automobilistici di peso sempre più contenuto.

La leggerezza, da sola, non basta però a giustificare l’impiego delle leghe con questa peculiarità. Il successo applicativo di un materiale è frutto della ricerca del migliore compromesso possibile tra numerosi parametri tecnico-economici: costo, caratteristiche meccaniche, estetiche e di resistenza a corrosione, reperibilità, disponibilità di adeguati processi di fabbricazione e di trasformazione, possibilità di recupero e riciclo. Il magnesio, l’alluminio, il titanio (dei quali la tabella 1 riporta le principali caratteristiche) e le loro leghe presentano vantaggi che, aggiunti alla comune leggerezza, hanno condotto ad applicazioni in numerosissimi settori industriali, contrassegnando lo sviluppo tecnologico del 20° sec. e alimentando la prospettiva di accompagnare l’evoluzione della tecnica e dell’ingegneria nel 21° secolo.

Il magnesio e le sue leghe

Il magnesio (Mg) è il più leggero dei materiali metallici strutturali ed è l’ottavo elemento più abbondante sulla crosta terrestre (ne costituisce circa il 2,5%). La sua elevata reattività chimica impedisce di trovarlo allo stato metallico puro: in natura è presente soltanto sotto forma di ossidi, carbonati, silicati, spesso in combinazione con il calcio. I principali minerali contenenti magnesio sono la dolomite, MgCa (CO3)2, la magnesite, MgCO3, la carnallite, KMgCl3•(6H2O), e alcuni asbestoidi (silicati idrati di magnesio). Il magnesio è presente anche nell’acqua di mare, in misura dello 0,13%: si tratta di un deposito pressoché inesauribile (ogni chilometro cubo di acqua marina contiene circa 1,3 milioni di t di magnesio). Con i livelli attuali di consumo, il solo Mar Morto è in grado di coprire il fabbisogno mondiale per i prossimi 22.000 anni.

Il magnesio è stato riconosciuto come elemento chimico da Joseph Black nel 1755 e isolato da Sir Humphry Davy nel 1808, tramite elettrolisi. Attualmente la produzione industriale del magnesio avviene mediante il processo di riduzione metallo-termica, introdotto da Lloyd Montgomery Pidgeon nel 1940, o attraverso il processo elettrolitico, introdotto dalla Dow chemical company nel 1941.

Il primo processo utilizza dolomite e magnesite, che vengono ridotte mediante ferro-silicio (processo silicotermico). In forni sotto vuoto, a temperature comprese tra 1100 e 1200 °C, la dolomite, preventivamente calcinata, subisce la reazione di riduzione

2(CaO + MgO) + Si → Ca2SiO4 + 2Mg

La reazione viene continuamente spostata a destra mediante un costante allontanamento del magnesio il quale, alle temperature di processo, è allo stato di vapore e viene fatto cristallizzare nella parte terminale del forno, al di sopra di una superficie raffreddata ad acqua. Il magnesio prodotto con questa procedura ha una purezza del 99,95%.

Il secondo processo prevede dapprima la produzione del cloruro anidro di magnesio (che deriva dall’acqua di mare, ma si può ottenere anche dalla magnesite, mediante riscaldamento seguito da reazione con acido cloridrico), utilizzato per alimentare la cella di elettrolisi e quindi l’elettrolisi stessa. Le temperature di lavoro sono intorno a 700 °C; il magnesio prodotto è puro al 99,9%. Il consumo totale di energia necessaria per produrre il magnesio con il metodo elettrolitico è di circa 63 kWh/dm3.

Il processo elettrolitico, alla fine del 20° sec., pareva avviarsi a divenire l’unico metodo economicamente sostenibile per la produzione del magnesio. L’ingresso sul mercato mondiale di Paesi con elevatissimi tassi di sviluppo metallurgico, come la Cina e l’India, e i sempre maggiori costi dell’energia hanno in parte mutato tale scenario, e i processi di tipo termico stanno riacquisendo quote di mercato prevalenti.

Il magnesio

La struttura cristallina del magnesio è esagonale compatta; il suo diametro atomico (0,320 nm) consente di formare soluzioni solide con svariati elementi, quali alluminio, zinco, litio, cerio, argento, zirconio e torio. Altre caratteristiche fisiche significative sono la temperatura di fusione relativamente bassa (650 °C), l’amagneticità, l’elevata fluidità allo stato liquido (e quindi la buona colabilità), il basso calore specifico, l’alta conducibilità termica ed elettrica, l’eccellente capacità di assorbire vibrazioni. L’elevata reattività chimica del magnesio viene sfruttata in diversi campi: nella produzione, mediante riduzione termica, di metalli quali berillio, titanio, uranio e zirconio; nella catalisi di numerose reazioni organiche; nella realizzazione di fuochi d’artificio (il magnesio polverizzato s’infiamma e brucia facilmente in aria producendo una fiamma brillante e intensa e un grande sviluppo di energia); nella protezione anodica di strutture sotterranee, sottomarine o a contatto con acqua; nella desolforazione e sferoidizzazione per ottenere la ghisa; nella produzione di carburanti ad alta energia, mescolato a idrocarburi e propellenti solidi.

Il magnesio presenta forte propensione all’infiammabilità, sia allo stato liquido sia sotto forma di polvere e trucioli; infiammato, reagisce violentemente anche con acqua e acido nitrico. Lo spegnimento può avvenire mediante una miscela di aria, anidride carbonica ed esafluoruro di zolfo.

Il contatto con metalli o leghe termodinamicamente più nobili innesca molto facilmente fenomeni di corrosione galvanica. Il comportamento a corrosione del magnesio è peraltro influenzato negativamente dalla presenza, anche in tracce, di elementi quali ferro, rame, nichel e cobalto. Soltanto un elevato grado di purezza garantisce un buon comportamento a corrosione. Come la maggior parte dei metalli puri, il magnesio non è adatto ad applicazioni di tipo strutturale, ma tale limite è facilmente superabile mediante la costituzione in leghe.

Le leghe di magnesio

I principali alliganti aggiunti al magnesio sono alluminio, zinco, manganese, zirconio, silicio, terre rare. Le leghe sono classificate in base alle normative UNI EN (Ente Nazionale italiano di UNIficazione) e ASTM (American Society for Testing and Materials). Quest’ultimo sistema di classificazione è il più diffuso e prevede un codice di denominazione alfanumerico, con due lettere (a indicare i due principali elementi in lega: A = alluminio; E = terre rare; K = zirconio; L = litio; M = manganese; S = silicio; W = ittrio; Z = zinco), seguite da due numeri (a indicare i valori percentuali dei due principali alliganti); infine, un’ulteriore lettera (da A a E) può essere aggiunta per definire il grado di purezza della lega, fondamentale al fine di garantire una buona resistenza a corrosione. Lo stato metallurgico della lega può essere identificato da un ulteriore gruppo alfanumerico (per es., F = stato di produzione; O = stato ricotto; T4 = stato solubilizzato).

Un’altra fondamentale classificazione tiene conto del processo tecnologico applicabile alla lega: si distingue tra leghe adatte ai processi di fonderia e leghe adatte ai processi di deformazione plastica (estrusione, laminazione, forgiatura). Le linee di sviluppo attuali e future delle leghe di magnesio sono illustrate schematicamente nella figura 1. Le leghe più diffuse sono quelle basate sui seguenti sistemi: magnesio-alluminio-zinco (AZ), adatte sia alla fonderia sia alla deformazione plastica, caratterizzate da buona colabilità, limitata tendenza alla criccatura a caldo, buon comportamento meccanico, costi relativamente contenuti; magnesio-alluminio-manganese (AM), molto adatte ai processi di fonderia (pressocolata), in grado di garantire buone duttilità e tenacità; magnesio-alluminio-silicio (AS), caratterizzate da un buon comportamento a caldo.

A causa dei costi eccessivi, sono invece ancora limitate le applicazioni delle leghe del sistema magnesio-alluminio-terre rare (AE), che presentano un ottimo comportamento allo scorrimento viscoso (creep) a temperatura relativamente elevata. La tabella 2 sintetizza le principali caratteristiche delle due leghe più impiegate nel settore dei trasporti, la AM50 e la AZ91.

In generale, le leghe di magnesio sono associate ai seguenti vantaggi: elevata resistenza meccanica specifica; ottima colabilità (è possibile ottenere getti pressocolati di spessore inferiore al millimetro); buona lavorabilità alla macchina utensile; saldabilità in atmosfera controllata. I limiti più significativi si possono invece individuare in termini di: basso modulo elastico; valori ridotti della tenacità; scarsa resistenza meccanica, a elevata temperatura, delle leghe più comuni (la soglia di utilizzo può essere fissata, allo stato attuale, a 120÷150 °C).

Applicazioni, mercati e prospettive future

Le prime applicazioni significative delle leghe di magnesio risalgono al periodo corrispondente e immediatamente successivo alla Seconda guerra mondiale (industria nucleare, militare, aeronautica). L’utilizzo nel settore automobilistico iniziò negli anni Cinquanta. La scarsa durabilità e lo scadente comportamento a corrosione delle leghe allora impiegate, ne causarono rapidamente il declino e il rallentamento delle attività di ricerca e sviluppo.

Soltanto a partire dagli anni Novanta, la necessità di ridurre il peso degli autoveicoli ha rinnovato l’interesse per il magnesio, stimolando la ricerca per migliorarne le proprietà nelle condizioni più critiche di impiego (aggressività ambientale, resistenza a caldo) e valorizzando le già note caratteristiche positive. Nel 1998 il magnesio ha raggiunto, a livello mondiale, una produzione di 360.000 t, incrementata fino a 468.000 t nel 2002 e a 670.000 t nel 2005, con un tasso medio di crescita annuo pari a circa il 7%, che sale a circa l’11% nel caso della Cina (dati elaborati in base alle statistiche dell’IMA, International Magnesium Association).

Va precisato che la maggior parte del magnesio prodotto viene utilizzato come alligante nelle leghe di alluminio e negli impieghi citati in precedenza. Soltanto il 34% del magnesio prodotto trova applicazione come lega, quasi sempre sotto forma di getto (33,5% del totale) e molto più raramente come prodotto di deformazione plastica (0,5% del totale). Le previsioni più autorevoli concordano nel ritenere ancora il settore automobilistico come trainante per lo sviluppo del mercato delle leghe di magnesio: da 3 kg di magnesio medi per auto del 2005, si prevede di passare a 20 kg e 50 kg rispettivamente nel 2010 e nel 2015. Altri settori in cui le leghe di magnesio vanno acquisendo crescente rilevanza sono quelli dei componenti ferroviari, aeronautici e, soprattutto, dell’elettronica (strutture di computer portatili, videocamere e fotocamere, telefoni cellulari).

Le prospettive di evoluzione di mercato del magnesio e delle sue leghe sono riconducibili ad aspetti sia economici sia tecnologici. In termini economici, il costo del magnesio come materia prima rispetto al principale metallo concorrente, l’alluminio, era, nel 2000, nettamente superiore (+20%). La competitività del magnesio poteva dipendere soltanto da una maggiore efficienza (componenti più leggeri, quindi risparmio di carburante e riduzione delle emissioni di CO2). La variabilità del costo delle materie prime (innescata da numerosi fattori, quali l’ingresso di nuovi produttori, e da fenomeni speculativi e di accaparramento) ha radicalmente mutato tale scenario, tanto che nel 2004 i prezzi di alluminio e magnesio si eguagliavano. Una simile variabilità non consente però di effettuare previsioni affidabili per il futuro.

Molto più chiari sono invece i termini tecnologici. La ricerca nel campo del magnesio è mirata a diversi obiettivi: sviluppo di nuove leghe (fig. 1), di cui un esempio si­gnificativo è una lega Mg-Al-Sr che nel 2007 ha permesso di realizzare un motore a 6 cilindri di 3000 cm3 con una riduzione in peso pari al 25%, rispetto alle versioni tradizionali; miglioramento dei gas di copertura per la protezione del magnesio liquido dall’infiammabilità; miglioramento delle metodologie per il riciclo delle leghe; messa a punto di tecnologie innovative, in particolare di fonderia, tra le quali si possono citare il blocco motore bimateriale (alluminio + magnesio) e le metodologie di colata con le leghe di magnesio allo stato semisolido (rheocasting, Thi­xomolding®); introduzione di appropriate metodologie di ricoprimento, sia organico sia inorganico, per garantire migliori caratteristiche superficiali, incrementando resistenza a corrosione, durezza, caratteristiche tribologiche; sviluppo e applicazione di metodologie di giunzione più affidabili quali, per es., la saldatura laser e la saldatura per attrito; sviluppo e applicazione di nuovi metodi di progettazione che, in particolare nel settore automobilistico, permettano d’integrare in un unico componente (parti di motore e di telaio) più funzioni, prima ottenute assemblando più parti (l’esempio più significativo è la traversa sottoplancia realizzata in un singolo getto pressocolato).

Il successo industriale delle leghe di magnesio sarà certamente connesso, nei prossimi anni, alle attività di ricerca condotte relativamente alle tematiche indicate, insieme alla capacità, da parte di chi opera nel settore, di fornire tutte le informazioni (tecniche, operative, scientifiche, economiche) che siano in grado di garantirne l’utilizzo ottimale.

L’alluminio e le sue leghe

L’alluminio, a causa della sua reattività chimica, non si trova in natura allo stato metallico, ma sotto forma di diverse centinaia di composti, costituenti una parte considerevole della crosta terrestre (circa il 7,5%). La sua esistenza venne dimostrata sperimentalmente nel 1807 da Davy, che fu il primo a isolare il metallo dal suo ossido. Proprio a causa della forte affinità dell’alluminio per l’ossigeno, e della conseguente difficoltà di ottenere industrialmente il metallo per estrazione carbotermica dagli ossidi, le prime significative produzioni di alluminio risalgono a poco più di 120 anni fa. Nel 1886, Charles M. Hall negli Stati Uniti e Paul L.-T. Héroult in Francia brevettarono, pressoché contemporaneamente, il processo di fabbricazione che da loro ha preso il nome, basato sull’elettrolisi dell’ossido di alluminio (allumina, Al2O3), disciolto fino al 15% nella criolite fusa (Na3AlF6), alla temperatura di circa 950 °C.

Per giungere però a un ciclo di produzione dell’alluminio con un procedimento industriale affidabile fu fondamentale lo sviluppo, nel 1892 da parte dell’austriaco Karl J. Bayer, di un processo basato sull’impiego della soda caustica per estrarre l’allumina dalla bauxite. La bauxite è un minerale a elevato contenuto di allumina (le principali impurezze sono ossidi di ferro e di silicio), che deve il suo nome alla località di Les Baux, nella Francia meridionale, ove fu individuata per la prima volta nel 1821.

Il processo produttivo a due stadi (ciclo Bayer e ciclo Hall-Héroult) fu la chiave di volta per arrivare alla produzione su scala industriale dell’alluminio cosiddetto primario (o di prima fusione, cioè prodotto utilizzando come materia prima il minerale). Tale processo è rimasto sostanzialmente invariato sino a oggi. La produzione di 1 t di alluminio richiede 2 t di allumina, ricavate da circa 4 t di bauxite. Le riserve stimate di bauxite sono superiori a 140 miliardi di tonnellate. I giacimenti più importanti sono distribuiti in Australia, Giamaica, Guinea, India, Indonesia, Brasile, Cina e Russia; da questi Paesi proviene oltre l’80% della bauxite utilizzata per l’industria dell’alluminio. Il processo per ottenere l’alluminio primario si caratterizza per l’elevato assorbimento di energia, peraltro sostanzialmente ridotto negli ultimi decenni (i valori attuali sono nell’ordine di 13 kWh/kg).

A partire dalla metà del 20° sec., un fondamentale contributo per soddisfare il crescente fabbisogno di alluminio è arrivato dalla produzione dell’alluminio cosiddetto secondario, derivante cioè da recupero e riciclo del rottame e degli scarti di lavorazione. L’alluminio secondario si caratterizza in termini di: pochissima energia richiesta per la produzione (circa il 5% di quella necessaria per produrre il primario); impianti di rifusione realizzabili con investimenti modesti rispetto alla produzione primaria; sostenibilità economica ed ecologica di raccolta e selezione del rottame. Il termine secondario non implica un concetto di qualità, ma soltanto di origine: in realtà il metallo grezzo di rifusione è rappresentato da composizioni con tolleranze molto ampie e con la possibile presenza di elementi che possono deprimere alcune delle caratteristiche tecnologiche di impiego.

L’alluminio prodotto con il metodo primario o secondario viene utilizzato, dopo l’eventuale trattamento di alligazione, per la preparazione di leghe da fonderia, billette da estrusione, placche da laminazione. Un terzo di tutto l’alluminio primario entrato nel mercato nel 20° sec. è stato prodotto nel decennio 1990-2000. Attualmente, la produzione dell’alluminio (che nel 2005, nel mondo, ha superato 60 milioni di t, quasi equamente ripartite tra primario e secondario) supera in volume quella di tutti gli altri metalli non ferrosi messi insieme. Il tasso di crescita della produzione mondiale si mantiene ovunque positivo, anche se con notevoli differenze. Nel 2007 gli Stati Uniti e il Giappone hanno avuto un progresso dell’1-2%; l’Europa ha presentato una crescita del 3,5%, mentre è continuato il tumultuoso sviluppo nell’Asia (crescita complessiva pari a quasi il 14%), con la Cina che ha sfiorato una crescita del 20% (dati elaborati in base alle statistiche dell’IAI, International Aluminium Institute e dell’EAA, European Aluminium Association).

L’alluminio

L’alluminio puro ha densità pari a 2,7 g/cm3, colore argenteo, fonde a una temperatura di 660 °C ed evapora a 2467 °C. Dal punto di vista chimico, si segnala per la sua elevata reattività, essendo un forte agente riducente. A contatto con l’aria, tende a formare rapidamente uno strato di ossido superficiale, trasparente e molto resistente, che conferisce un’ottima resistenza alla corrosione. La struttura cristallina dell’alluminio è cubica a facce centrate, assicurando in tal modo duttilità ed elevata deformabilità. Sono ottimi anche i valori di conducibilità termica, oltre 200 W/(m·K), ed elettrica, circa il 60% rispetto al rame puro.

Nelle applicazioni reali, l’impiego di alluminio puro (o meglio di alluminio commercialmente puro, AlCP, data la presenza di piccoli quantitativi di silicio e ferro come principali impurezze) è piuttosto limitato: nel settore metallurgico, dove la sua affinità per l’ossigeno viene utilizzata nei trattamenti di disossidazione dell’acciaio; nella produzione di motori elettrici, dove si sfruttano le ottime caratteristiche di conducibilità per la realizzazione di rotori; nel settore alimentare e, più in generale, dell’imballaggio, ove si utilizzano fogli o contenitori grazie alle buone caratteristiche di resistenza a corrosione; nello stoccaggio di prodotti chimici.

Dal punto di vista del comportamento meccanico, l’alluminio commercialmente puro presenta una resistenza piuttosto limitata (carico di snervamento molto inferiore a 100 MPa), che può però essere significativamente incrementata mediante l’aggiunta intenzionale di elementi alliganti, tra cui rame, manganese, magnesio, silicio, zinco.

Le leghe di alluminio

L’alluminio può vedere incrementate le sue caratteristiche meccaniche essenzialmente mediante deformazione plastica a freddo (incrudimento) oppure per mezzo di alligazione, grazie allo stabilirsi di una soluzione solida e/o alla formazione di precipitati rafforzanti, per effetto di opportuni trattamenti termici (solubilizzazione, tempra e invecchiamento).

Ciò premesso, la classificazione convenzionalmente riportata per le leghe di alluminio (la cui evoluzione è illustrata nella fig. 2) è quella che le raggruppa a seconda della composizione e delle tecnologie di trasformazione cui vengono sottoposte (processi di deformazione plastica e processi di fonderia). Un ulteriore elemento di suddivisione è la possibilità di subire trattamenti termici di solubilizzazione, tempra e invecchiamento (naturale o artificiale), finalizzati alla precipitazione di una fase indurente.

Le leghe da deformazione plastica vengono identificate con una sigla di 4 cifre, delle quali la prima serve a identificare la famiglia (in termini di composizione): 1000 (alluminio commercialmente puro), 2000 (alluminio-rame), 3000 (alluminio-manganese), 4000 (alluminio-silicio), 5000 (alluminio-magnesio), 6000 (alluminio-magnesio-silicio), 7000 (alluminio-zinco). Le altre tre cifre, con riferimento alle normative statunitensi ed europee, consentono l’identificazione esatta della composizione che, oltre al principale alligante, può comprendere la presenza di altri elementi. Le leghe 2000, 6000 e 7000 sono trattabili termicamente in modo da ottenere un rafforzamento per precipitazione (rispettivamente di composti intermetallici Al-Cu, Mg-Si e Al-Zn).

Per quanto concerne le leghe da fonderia, a livello europeo si seguono le norme UNI EN 1706/1999 e 1780-1,-2,-3/2003, che prevedono una codifica alfanumerica: due lettere iniziali servono per identificare la tipologia di prodotto (AB, pane o lingotto; AC, getto; AM, lega madre), mentre cinque numeri successivi consentono di definire la composizione esatta. In particolare, il primo numero identifica la famiglia: 20000 (alluminio-rame), 40000 (alluminio-silicio), 50000 (alluminio-magnesio), 70000 (alluminio-zinco).

Va evidenziato che, circa nel 90% dei casi, le leghe da fonderia appartengono al sistema alluminio-silicio: tale alligante conferisce infatti ottime caratteristiche di colabilità e minimizza la contrazione volumetrica nel corso della solidificazione. Le proprietà meccaniche e tecnologiche delle leghe di alluminio variano considerevolmente a seconda della loro tipologia e degli alliganti utilizzati. La tabella 3 sintetizza le principali caratteristiche di alcune delle leghe più diffuse.

In maniera del tutto generale, si può dire che per le leghe da deformazione plastica le caratteristiche meccaniche ottimali sono fornite dalle famiglie 2000 e 7000: una volta sottoposte al trattamento d’invecchiamento, presentano carichi di rottura che, rispettivamente, arrivano fino a 485 e a 570 MPa. In termini di deformabilità (e quindi anche di attitudine a processi di estrusione e di stampaggio), le migliori prestazioni sono fornite dalle leghe 1000, 3000 e 6000. Dal punto di vista della resistenza a corrosione, un ottimo comportamento è assicurato dalle leghe 1000, 3000 e 5000. Per quanto concerne la saldabilità, questa è in genere buona per le leghe 1000, 5000, 6000, ma piuttosto difficile per le 2000 e per le 7000. Le leghe 1000, 3000, 5000 e 6000 presentano inoltre un’ottima attitudine ai trattamenti della superficie (anodizzazione, verniciatura), di tipo sia estetico sia funzionale.

Una simile variabilità si ha anche per le leghe da fonderia nelle quali, fatti salvi i requisiti di colabilità e di minimizzazione dei ritiri di solidificazione, assicurati dalla presenza del silicio, i differenti alliganti conferiscono caratteristiche specifiche: il rame massimizza le proprietà meccaniche, grazie alla possibilità del trattamento di invecchiamento, ma risulta critico per il comportamento a corrosione; il magnesio permette il rafforzamento per invecchiamento, assicura buon comportamento a corrosione e al trattamento superficiale, ma può essere critico per la colabilità; il ferro è in genere negativo per il comportamento meccanico (fragilità), ma può favorire il distacco del getto dallo stampo; il manganese controlla l’effetto negativo del ferro, e ugualmente favorisce il distacco dallo stampo; lo zinco incrementa il comportamento meccanico, ma può indurre problemi in termini di colabilità e di corrosione.

La definizione e la scelta della composizione sono comunque funzione degli effetti che ciascun elemento è in grado di indurre sul comportamento tecnologico della lega (variazioni di intervallo di solidificazione, viscosità e fluidità, contrazione volumetrica, interazioni con i materiali costituenti lo stampo o la forma ecc.), sulla microstruttura e sulle caratteristiche meccaniche finali del getto.

Applicazioni, mercati e prospettive future

La variabilità delle caratteristiche dell’alluminio e delle sue leghe si ripercuote sulle potenzialità di impiego e sulle tecnologie di trasformazione. Va innanzi tutto precisato che nessun altro materiale metallico possiede la medesima flessibilità tecnologica delle leghe di alluminio, che possono essere laminate, estruse, forgiate, colate (sia in gravità sia sotto pressione). Non esiste, in assoluto, una lega migliore delle altre: esistono piuttosto, in funzione dell’applicazione finale, leghe che assicurano un compromesso ottimale rispetto ai requisiti richiesti.

Con riferimento alle leghe da deformazione plastica, si possono tracciare alcune linee riassuntive. Le leghe 1000 e 3000 sono quelle che assicurano tanto una buo­na resistenza a corrosione quanto una notevole defor­­mabilità: è di conseguenza piuttosto evidente il loro esteso impiego nel campo del packaging, vale a dire nella fabbricazione dei fogli e dei contenitori per alimenti (si pensi, per es., alle lattine), farmaci e cosmetici. Se invece i requisiti cercati sono la conducibilità termica ed elettrica (dispositivi per lo scambio elettrico, componenti di motori elettrici), caratteristiche associate al grado di purezza della lega, vengono utilizzate leghe della serie 1000.

Le leghe 2000 e 7000 assicurano un ottimale comportamento a trazione: il loro impiego è prevalentemente nel settore aeronautico, in cui il rapporto resistenza/peso è essenziale, posto che siano assicurate condizioni ambientali non aggressive dal punto di vista della corrosione. Le leghe 5000, con la loro buona resistenza a corrosione, l’eccellente saldabilità, le discrete caratteristiche meccaniche (carichi di rottura fino a circa 350 MPa, a seconda anche del grado di incrudimento) sono ideali per gli impieghi in ambito marino e navale.

Le leghe 6000 rappresentano indubbiamente il miglior compromesso rispetto a una numerosa serie di caratteristiche: ottima attitudine all’estrusione, alla saldatura, ai trattamenti superficiali; buon comportamento meccanico (carichi di rottura fino a circa 350 MPa, dopo trattamento di invecchiamento artificiale); buona resistenza a corrosione. Questo spiega la loro ampia diffusione per applicazioni che vanno dall’edilizia (infissi, telai, strutture di ponti leggeri, pannelli per esterno), al settore ferroviario (la struttura delle vetture, per treni e metropolitane, è realizzata saldando profili estrusi a doppia parete), a quello automobilistico (componenti estrusi per il telaio) e navale.

Interessante è poi lo sviluppo, a partire dalla fine del 20° sec., di un nuovo ambito applicativo: gli stampi per l’iniezione delle materie plastiche, dapprima soltanto a livello di produzione-pilota, e poi per produzioni industriali di massa (fino cioè ad alcune centinaia di migliaia di pezzi). Si sono utilizzate e sviluppate leghe dalle prestazioni (resistenza meccanica a temperatura ambiente e a caldo, resistenza all’usura) via via crescenti: 5000, 6000 e, attualmente, 2000 e 7000.

Passando, invece, alle leghe da fonderia, le applicazioni sono riconducibili, quasi nella metà dei casi, al settore automobilistico, seguito da quelli meccanico ed elettromeccanico, dell’arredamento, degli elettrodomestici e dell’elettronica. Le leghe sono scelte in funzione sia dei requisiti applicativi (e in questo senso è già stato precisato il ruolo dei diversi alliganti), sia dello specifico processo di fonderia individuato (che a sua volta viene scelto in base alla produzione annua e alle qualità richieste).

In termini quantitativi, il mercato mondiale dell’alluminio può essere così descritto (anno di riferimento, 2005): l’alluminio complessivamente in uso si può stimare pari a circa 560 milioni di t; la quantità di alluminio ‘nuovo’ immesso annualmente è valutabile intorno a 38 milioni di t, quasi equamente suddivisi tra produzione primaria e secondaria; l’alluminio che ‘esce’ dall’impiego corrente è pari a circa 15 milioni di t, per la metà riciclate nella produzione del secondario (si trascurano tutti i ricicli interni, derivanti dagli scarti dei processi di produzione, che vengono agevolmente recuperati); il valore occupazionale dell’industria europea dell’alluminio è stimabile in circa 255.000 addetti.

A livello europeo, va sottolineato che l’utilizzo pro capite dell’alluminio è aumentato da 14 kg/abitante del 1980 a 22 kg/abitante del 2005. Ugualmente, si è accresciuta in maniera significativa la capacità di riciclare l’alluminio: il recupero è pari a quasi il 95% nel settore automobilistico e nell’edilizia, ed è dell’ordine del 50% per quello che riguarda le lattine.

Le applicazioni sono prevalentemente sotto forma di laminati (quasi il 40% del totale), di estrusi (25%) e di getti (25%). I principali settori di impiego possono essere raggruppati in tre macrocategorie: costruzioni (3 milioni di t nel 1980; 3,5 milioni nel 1995; 4,7 milioni previste per il 2010); packaging (2,3 milioni di t nel 1980; 3,3 milioni nel 1995; 4,3 milioni previste per il 2010); trasporti (2,9 milioni di t nel 1980; 5 milioni nel 1995; 8,5 milioni previsti per il 2010).

Appare piuttosto evidente che la principale spinta allo sviluppo è data dal settore dei trasporti, che conferma così il suo ruolo di storica forza motrice per l’alluminio. È interessante però osservare il contesto complessivo di questo settore, con particolare riguardo all’ambito automobilistico. Per ridurre le emissioni inquinanti, l’azione più efficace è quella di alleggerire l’auto: 100 kg in meno equivalgono a ridurre di 9 g/km la quantità di CO2 emessa. Mediamente, un’auto europea di fascia media contiene poco meno di 150 kg di alluminio, suddivisi tra diversi componenti. È previsto che per il 2015 si possa giungere a un contenuto medio di alluminio di quasi 200 kg che, sostituendo metalli e leghe più pesanti, porterà a un alleggerimento di almeno 40 kg. A più lungo termine, è ipotizzabile, grazie a interventi sulle tecnologie di progettazione e di produzione, una riduzione in peso pari a circa il 20÷25%. In questo specifico settore, si possono menzionare alcuni progetti di ricerca, finanziati dall’Unione Europea, che raggruppano case automobilistiche, fornitori, università e centri di ricerca e che sono volti a sviluppare modelli fisico-matematici dell’intero ciclo produttivo dell’alluminio; ottimizzare l’impiego delle leghe da deformazione plastica nell’auto (progetto SLC, SuperLight-Car, 2005); integrare metodologie di progettazione, leghe leggere e processi di fonderia per realizzare componenti automobilistici ottimizzati (progetto NADIA, New Automotive components Designed for and manufactured by Intelligent processing of light Alloys, 2006).

L’European aluminium association ha inoltre individuato le linee di sviluppo fino al 2030, identificando come fondamentali la competitività e la sostenibilità ambientale e puntando a: ridurre l’incidenza dei costi energetici di produzione dell’alluminio primario (passando dai livelli attuali di consumo energetico, 13 kWh/kg, a meno di 11 kWh/kg entro il 2030); ridurre le emissioni inquinanti nei vari stadi della filiera produttiva; introdurre direttive in grado di disciplinare la gestione dei rottami e dei veicoli alla fine del loro ciclo di vita; migliorare i processi di trasformazione (mediante l’introduzione di nuove tecnologie e l’ottimizzazione di quelle esistenti); individuare nuove applicazioni, in particolare nel settore dei trasporti, per valorizzare le potenzialità di leghe e metodologie innovative di progettazione e produzione.

Il titanio e le sue leghe

L’inglese William Gregor nel 1791 e il berlinese Martin H. Klaproth nel 1795 individuarono l’elemento titanio durante gli esami, rispettivamente, dell’ilmenite (FeTiO3) e del rutilo (TiO2). La produzione del titanio con basso contenuto di ossigeno iniziò soltanto nel 1938 a opera di William J. Kroll, mediante riduzione del TiCl4 con magnesio, per ottenere la spugna metallica di titanio. La spugna, dopo l’eliminazione completa delle impurezze per mezzo di lisciviazione con soluzione debolmente acida per acido cloridrico e fusione sotto vuoto, viene fusa in forni ad arco sottovuoto e colata, dopo eventuale alligazione, per realizzare lingotti.

Il titanio ha un’elevata reattività nei confronti di ossigeno, idrogeno, azoto e anidride carbonica, normalmente presenti all’interno dei forni per trattamenti termici. La contaminazione da parte dell’ossigeno avviene a temperatura superiore a 550 °C e provoca la formazione di uno strato superficiale di fase α arricchita di ossigeno (alpha case), duro e fragile, che è necessario asportare meccanicamente o chimicamente per evitare la formazione di inneschi a rottura. Per ovviare a questo problema, nei processi produttivi e di trattamento termico, si devono utilizzare forni con atmosfere controllate o inerti oppure forni a vuoto. Molto insidiosa è poi la presenza dell’idrogeno (che non deve superare valori di 125÷200 ppm, a seconda del tipo di lega), perché provoca una forte caduta della resilienza e un infragilimento. Particolare attenzione va quindi posta al decapaggio chimico del titanio con soluzioni acide nitrico fluoridriche, per il notevole sviluppo di idrogeno che, se si superano i valori di solubilità limite, viene assorbito dal metallo con formazione di idruro. Oltre agli effetti di decadimento delle proprietà meccaniche del materiale, l’assorbimento dell’idrogeno determina un aumento a temperatura ambiente della percentuale di fase β stabile e la formazione di una struttura β lamellare durante la formatura plastica del metallo.

La produzione del titanio è divenuta industrialmente significativa negli anni Cinquanta del secolo scorso, soprattutto negli Stati Uniti, nell’allora Unione Sovietica, in Gran Bretagna e in Giappone. Vari studi tecnico-economici indicano che il titanio avrà, nel 21° sec., un mercato crescente, con tassi di sviluppo inferiori soltanto ad acciaio e alluminio, grazie ad alcuni specifici vantaggi: elevata resistenza alla corrosione (in sostituzione di acciai bassolegati e acciai inossidabili); diminuzione del peso (in sostituzione dell’acciaio e di materiali a base di nichel); buona resistenza a caldo fino a circa 500 °C; buona saldabilità.

Il titanio

Il titanio ha proprietà generali interessanti (tab. 1), che nel loro insieme nessun altro materiale di uso industriale può vantare; alla bassa densità si abbinano infatti caratteristiche fisiche simili a quelle dell’acciaio inossidabile. Si tratta di un metallo polimorfo che a bassa temperatura cristallizza secondo il reticolo esagonale compatto (fase α); a circa 882 °C avviene una trasformazione allotropica e il titanio assume struttura cubica a corpo centrato (fase β).

Si definisce titanio commercialmente puro (CP) quello contenente soltanto piccoli tenori di elementi interstiziali o sostituzionali derivati dalle materie prime impiegate. Mentre le leghe seguono una denominazione simile a quella di altri materiali, il titanio non legato viene indicato in base alla sua purezza, mediante un grado che cresce all’aumentare del contenuto di impurezze: titanio commercialmente puro con contenuto massimo di ossigeno pari a 0,18%, buona duttilità, utilizzato per lo stampaggio profondo e idoneo alla deformazione a freddo (grado 1); titanio con un più elevato tenore ammissibile di ossigeno (0,25%) e una maggiore resistenza rispetto al grado 1, piuttosto diffuso, poiché offre il miglior compromesso di resistenza, saldabilità e formabilità (grado 2); titanio con contenuto massimo di ossigeno pari a 0,35% e quindi maggiore resistenza e minore duttilità, facilmente saldabile e utilizzato per la costruzione di recipienti in pressione (grado 3); titanio con tenore massimo di ossigeno pari a 0,40% e con caratteristiche di resistenza più elevate, impiegato per organi di trasmissione e nell’industria aeronautica (grado 4).

Il titanio è duttile e tenace a temperatura ambiente e ha una resistenza meccanica non trascurabile, che aumenta con la presenza di soluti interstiziali come carbonio, azoto, ossigeno oppure sostituzionali come alluminio e stagno. La sua resistenza alla corrosione è dovuta alla formazione di uno strato superficiale di ossido più stabile, in ambienti acidi e basici, di quello che si forma sugli acciai inossidabili; l’aggiunta di palladio (circa 0,2%) può ulteriormente migliorare tale resistenza. Il titanio CP ha una maggiore resistenza alla corrosione rispetto alla leghe di titanio che, in condizioni ambientali particolarmente severe, possono subire un attacco per corrosione sotto tensione. A basse temperature, inferiori anche a −200 °C , è bene impiegare titanio o le sue leghe di tipo ELI (Extra Low Interstitials, a bassa concentrazione di elementi interstiziali), per la tenacità e duttilità a temperature criogeniche.

Oltre agli impieghi diretti sopra menzionati, il titanio si utilizza in siderurgia sotto forma di ferro-lega associato ad alluminio e silicio, come fissatore dei gas presenti nel bagno e come affinante del grano cristallino. Negli acciai inossidabili 18/8 è aggiunto per limitare la corrosione intergranulare. Viene addizionato anche agli acciai bassolegati da costruzione ad alto limite di snervamento, agli acciai rapidi e a particolari leghe non ferrose (a base di rame e nichel) induribili per invecchiamento. Insieme al tungsteno e al tantalio, il suo carburo viene impiegato nella sinterizzazione di utensili. Tra i derivati, il biossido di titanio (TiO2, rutilo) è impiegato come pigmento nella fabbricazione delle vernici.

Le leghe di titanio

La temperatura di transizione da α a β è fortemente influenzata dagli elementi di lega sostituzionali o interstiziali, in funzione del numero degli elettroni di valenza dell’elemento di lega (se il rapporto elettroni/atomo è minore di 4, si ha stabilizzazione della fase α, se uguale a 4 non si ha alcun effetto, se invece è maggiore di 4 si ha stabilizzazione della fase β). Ogni elemento stabilizza la fase in cui ha maggiore solubilità, conferendo specifiche proprietà (tab. 4).

Sono elementi α-stabilizzanti: alluminio, gallio e germanio (di tipo sostituzionale); ossigeno, azoto carbonio (di tipo interstiziale). Sono elementi β-stabilizzanti: molibdeno, vanadio, tantalio, niobio (di tipo sostituzionale, isomorfi con beta); cromo, nichel, manganese, cobalto, rame, ferro, silicio, tungsteno, palladio (in grado di formare composti eutettoidici a temperature molto inferiori al β-transus); idrogeno (di tipo interstiziale). Elementi neutri solubili sia nella fase α sia in quella β sono zirconio, stagno, afnio.

Gli elementi α stabilizzanti aumentano la resistenza allo scorrimento viscoso e la saldabilità, mentre gli elementi β stabilizzanti incrementano la lavorabilità, la velocità di deformazione, la risposta al trattamento termico e la densità. Gli elementi che sono solubili in campo α come in β aumentano le caratteristiche resistenziali, in particolare la resistenza allo scorrimento viscoso, mentre nichel, molibdeno e palladio migliorano la resistenza a corrosione.

Le leghe di titanio, le cui linee di sviluppo sono illustrate nella figura 3, sono conseguentemente classificate sulla base della struttura cristallina allo stato ricotto e vengono distinte in leghe α, leghe α-β e leghe β. Sono state introdotte altre due classi – near α (o superalfa) e near β – per qualificare i vari tipi di strutture. Nella near α si forma soltanto una limitata frazione di fase β durante il riscaldamento, perché il tenore degli elementi β-stabilizzanti è contenuto entro il 2%, mentre nelle near β precipitano fasi secondarie durante i trattamenti termici.

Nelle leghe di titanio si formano composti intermetallici e, a seconda della composizione, diverse fasi secondarie, tra le quali la ω fortemente infragilente e le α′, α″ e α‴ come prodotti di decomposizione della fase β. In funzione del tipo di lega, della temperatura del trattamento termico e della velocità di raffreddamento, si ottengono strutture metallografiche diverse (equiassica, bimodale, lamellare), alle quali corrispondono proprietà meccaniche e di tenacità differenti. Per questo, nella fase di produzione per fucinatura, stampaggio o estrusione sono previsti specifici trattamenti termici (solubilizzazione e invecchiamento, ricottura, distensione) da scegliere a seconda del tipo di lega e della destinazione del manufatto. I vari trattamenti termici non possono essere effettuati su tutte le leghe e non danno risultati comparabili su leghe diverse, perché si hanno variazioni strutturali a seconda della velocità di raffreddamento dal campo β: per es., si hanno strutture α-aciculari con raffreddamenti veloci e α-equiassiche con raffreddamenti lenti.

Le leghe α, a temperatura ambiente, hanno una struttura costituita soltanto dalla fase α con una resistenza meccanica relativamente modesta, che non si può migliorare con trattamenti termici perché non si riesce a limitare la trasformazione βα; tali leghe subiscono soltanto trattamenti di distensione per ridurre le tensioni residue indotte da lavorazioni meccaniche, stampaggio, fucinatura, saldatura. Per migliorare le caratteristiche tensili si possono aggiungere elementi come lo stagno, e indurire così la matrice α, oppure elementi β-stabilizzanti in piccole quantità (molibdeno, vanadio, niobio, tantalo), che determinano nella matrice α frazioni di fase β non superiori al 2%: queste leghe (near α) presentano migliori caratteristiche tensili. In esse è possibile un trattamento di solubilizzazione e invecchiamento che, accanto alla struttura α, dà luogo alla precipitazione di una struttura fine eutettoide (α+β) con discrete proprietà meccaniche. Il tipo α-ELI (per es., la lega Ti-5Al-2,5Sn) è impiegato per recipienti a pressione per gas liquefatti a temperature criogeniche.

Le leghe superalfa contenenti alluminio, stagno e zirconio presentano buona resistenza meccanica a temperature fino a 450 °C, buona resistenza allo scorrimento viscoso e sono impiegate per applicazioni strutturali, per es. nei compressori dei motori a turbina negli aerei (lega Ti-6Al-2Sn-4Zr-2Mo).

Le leghe α-β, a temperatura ambiente, hanno una struttura costituita sia dalla fase α sia dalla fase β, con proprietà meccaniche più elevate e variabili in funzione della composizione chimica e del trattamento termico o termomeccanico subito. Per avere caratteristiche meccaniche elevate si esegue una tempra dal campo α+β seguita da un invecchiamento a temperatura elevata, in modo che si abbia precipitazione di particelle coerenti di fase α dalla fase β metastabile. Si ottiene così una struttura detta martensitica, per analogia con quella degli acciai, contenente particelle di fase α coerenti.

La lega maggiormente impiegata è la Ti-6Al-4V (nota anche come grado 5), sia nel settore strutturale sia nel settore chimico a temperature fino a 315 °C. Se è del tipo ELI, per la sua tenacità viene impiegata negli impianti criogenici.

Per applicazioni strutturali trova impiego la lega Ti-6Al-6V-2Sn, con particolari accorgimenti riguardo alla saldabilità e ai problemi di fragilità a temperature superiori a 315 °C.

Le leghe β, a temperatura ambiente, hanno una struttura costituita soltanto dalla fase β. La tenacità è superiore a quella delle leghe α-β, per cui trovano applicazione in impieghi strutturali. Richiedono accorgimenti per quanto riguarda i trattamenti termomeccanici. La più resistente è la Ti-8Mo-8V-2Fe-3Al. Una lega near β di particolare rilievo per l’industria aeronautica è la Ti-8Mn, impiegata nella costruzione di fusoliere di aereo ed elementi strutturali. Le leghe β vengono stabilizzate con un trattamento di invecchiamento a temperatura tra 350 e 550 °C, che permette di ottenere proprietà meccaniche ottimali. Inoltre il titanio forma leghe con molti metalli e ciascuna lega ha proprietà specifiche per impieghi particolari. Una sintesi dell’effetto dell’alligazione del titanio sulle applicazioni finali è la seguente: Ti+Ni → leghe a memoria di forma; Ti+Nb → superconduttori; Ti+Al e Fe → materiali biocompatibili; Ti+Fe/Mn → immagazzinamento dell’idrogeno; Ti+Al, V, Cu, Sn, Mo, Zr → materiali da costruzione; Ti+Pd, Ni+Mo → materiali per alta resistenza alla corrosione; Ti+Al → leghe per alte temperature.

Di particolare importanza è la lega nichel-titanio (Nitinol) come lega a memoria di forma, in grado di variare le proprietà in un determinato intervallo di temperatura, in modo da essere utilizzata per attuatori di strutture mobili in ambito spaziale oppure smorzatori attivi di vibrazioni alle basse frequenze. Questa lega è applicata per molteplici finalità, che vanno dalla protezione antincendio (riesce infatti a rilevare un incremento di temperatura e, allo stesso tempo, a reagire producendo un lavoro meccanico che può far scattare un allarme o attivare un sistema di protezione a pioggia), alle montature degli occhiali (la memoria di forma permette il recupero della forma originale della montatura della lente mediante un semplice riscaldamento per forti deformazioni o sfruttando le caratteristiche di superelasticità per deformazioni non rilevanti).

Applicazioni, mercati e prospettive future

Il consumo mondiale di titanio è stato, nel 2007, di circa 85.000 t, con un utilizzo ripartito in numerosi settori: aeronautico e difesa (48.000 t); chimico, petrolchimico (strutture off-shore), energetico ed edile (27.000 t); beni di consumo (10.000 t); biomedico (dati elaborati in base alle statistiche dell’ITA, International Titanium Association). L’industria aerospaziale utilizza in prevalenza leghe ad alta resistenza, mentre l’industria chimica si è rivolta soprattutto al titanio commercialmente puro o alla lega titanio-palladio.

Un’ulteriore diffusione di questo materiale è legata in particolare a due fattori: la riduzione del suo costo e la capacità di valorizzare la sua efficienza. Infatti, progettando correttamente le strutture, si abbattono le spese di manutenzione e si diminuisce la quantità di materiale utilizzato, realizzando un evidente risparmio. A questo proposito, è sufficiente considerare il minor peso delle strutture in titanio, che implica una generale riduzione delle sezioni resistenti con conseguente risparmio di metallo, e l’alta resistenza alla corrosione che permette non soltanto di produrre tubazioni con sovrametalli praticamente nulli, ma anche la riduzione o l’eliminazione degli interventi manutentivi.

Le leghe di titanio rappresentano una soluzione ottimale per molte applicazioni dove falliscono gli acciai inossidabili o per sostituire materiali più costosi (cupro-nichel, monel ecc.), anche se alcune leghe (come la Ti-6Al-4V) possono essere soggette alla corrosione sotto tensione in acqua marina. L’impiego, in questo ambiente, della lega Ti-6Al-4V ELI consente di eliminare il problema.

I campi aeronautico e aerospaziale sono tra le prime applicazioni del titanio. L’80% delle sue leghe è stato progettato per questi settori, sfruttando al meglio le sue proprietà: il titanio costituisce, in media, circa il 10% della massa complessiva degli aerei (ITA). L’elevata resistenza specifica si rivela in questo settore una caratteristica fondamentale, soprattutto per utilizzi a temperature comprese tra 200 e 500 °C (parti di compressori, ugello di scarico, bulloni e palettature delle turbine). Le leghe di titanio, già utilizzate per le navicelle spaziali Mercury e Apollo, continuano a essere largamente impiegate dalla NASA (National Aeronautics and Space Administration) e dall’ESA (European Space Agency) nella costruzione delle casse dei razzi di spinta, nei condotti per il controllo della pressione, negli elementi del motore dei vettori Arianne e dei serbatoi, in una varietà di applicazioni che richiedono basso peso e affidabilità.

A partire dagli anni Sessanta, il titanio CP è stato ampiamente impiegato nell’industria chimica e petrolchimica per la sua resistenza anche a temperature relativamente alte in mezzi acidi ossidanti, soluzioni acquose di cloruri, salamoie, acqua di mare. Si produce in titanio e in lega titanio-palladio una vasta gamma di apparecchiature quali pompe, tubi di condensatori, reattori per raffinerie e centrali di trattamento delle acque, circuiti secondari di reattori nucleari. Leghe di titanio vengono poi impiegate in applicazioni in soluzioni acide, nella perforazione, nel carotaggio e nelle fasi di produzione dell’industria petrolifera. Il titanio è poi ampiamente utilizzato nelle centrali di dissalazione, per la sua resistenza alla corrosione e abrasione dell’acqua di mare; nelle macchine per il confezionamento di prodotti alimentari e farmaceutici; nella costruzione di condensatori per centrali elettriche in virtù della sua alta resistenza a corrosione, erosione e fiamma; nella produzione di scambiatori di calore, pale di turbine a vapore, tubazioni; nelle piattaforme marine e nelle installazioni in mare aperto.

In quest’ultimo caso, la riduzione di peso sulla parte emersa permette di alleggerire sostanzialmente le strutture di sostegno nei fondali. Gli scambiatori di calore in titanio nelle strutture off-shore hanno una durata in acqua di mare superiore a 30 anni e non richiedono pertanto manutenzione. Tale durata fa sì, evidentemente, che il titanio non contamini l’ambiente.

Nel settore automobilistico, il titanio viene impiegato nella produzione di massa soprattutto in automobili ad alte prestazioni: molle, bielle e valvole in titanio permettono di diminuirne le masse inerziali, aumentare le velocità di rotazione con conseguente aumento delle potenze raggiunte e riduzione della rumorosità. Il risparmio in termini di peso e la resistenza alla corrosione (inclusa la corrosione a fatica) sono i motivi determinanti nella scelta del titanio per applicazioni nella nautica da diporto e nei traghetti veloci.

Nell’architettura, il titanio ha trovato vaste applicazioni per la sua immunità alla corrosione atmosferica, la leggerezza e le caratteristiche resistenziali. Le applicazioni architettoniche sono molteplici: il Guggenheim museum di Bilbao è rivestito con lastre di titanio di grado 1, mentre nel Glasgow science centre e nel Van Gogh museum di Amsterdam il titanio è utilizzato per le coperture dei tetti. Per la sua bassa dilatazione termica, il titanio viene impiegato per rinforzare monumenti senza che sbalzi di temperatura causino deformazioni della struttura metallica tali da ripercuotersi sui laterizi o sulla pietra di antiche costruzioni. Rilevante è anche l’applicazione del titanio come intervento di rinforzo conservativo di edifici e monumenti antichi (si possono citare la cerchiatura con barre di titanio interrate delle fondazioni del campanile di San Marco a Venezia e soluzioni analoghe adottate per la facciata della Basilica di San Pietro a Roma).

Il titanio ha trovato inoltre vasta applicazione in ambito biomedicale, grazie all’ottima combinazione di biocompatibilità, resistenza meccanica, modulo di elasticità (molto simile a quello della struttura ossea), bassa densità, immunità dalla corrosione e capacità di osteointegrazione. È quindi un materiale ideale per impianti dentali, viti, placche e protesi ossee, per le quali sono determinanti la resistenza all’usura e alla fatica. La morfologia dello strato superficiale di ossido di titanio può essere modificata e controllata mediante tecniche quali l’anodic spark deposition che, con un appropriato elettrolita, permette di arricchire l’ossido con calcio, fosforo e magnesio, costituendo un’ottima interfaccia per tessuti ossei e favorendo i processi osteointegrativi delle protesi ortopediche e dentali realizzate in titanio. L’ossido di titanio, così modificato, ha anche la proprietà di promuovere la riduzione di agenti inquinanti per effetto della radiazione ultravioletta. Di particolare importanza sono anche gli stents, dispositivi cardiovascolari realizzati in lega Ni-Ti in rapporti atomici uguali e il cui utilizzo si è sviluppato rapidamente grazie alla resistenza ai fluidi corporei e alla compatibilità meccanica.

Per la sua facilità di colorazione con tecniche di ossidazione anodica, il titanio si presta alla realizzazione di oggetti di bigiotteria e montature per occhiali. Anche nello sport, grazie soprattutto al suo elevato rapporto resistenza/peso e alla sua elasticità, il titanio è usato per telai di biciclette, mazze da golf, racchette da tennis.

Tra i materiali dei prossimi decenni, il titanio sarà protagonista in tutti i settori di applicazione, grazie all’eccellente combinazione di caratteristiche che è in grado di offrire e alla riduzione dei costi di produzione. In ambito aeronautico e spaziale, dovrebbe avere un ruolo chiave nella costruzione sia dei motori sia del velivolo, sotto forma di lamiere. Per quanto riguarda i motori, l’interesse principale è rivolto all’impiego di composti intermetallici a base di titanio e di alluminio nella costruzione di dischi e palette di turbine. Relativamente alle parti strutturali del velivolo, si deve tenere presente che il titanio e alcune sue leghe sono idonei al processo di formatura superplastica per la realizzazione di strutture complesse, con vantaggi in termini di riduzione di peso e di costi di assemblaggio uniti a un’elevata affidabilità strutturale e a un’ampia libertà di progetto, rispetto ai processi convenzionali.

La lega Ti-6Al-4V è particolarmente idonea alla formatura superplastica e, grazie anche alla sua attitudine alla saldatura per diffusione, è stata impiegata nella costruzione di velivoli militari, nei quali le sollecitazioni più elevate giustificano un costo maggiore. Le lamiere di titanio vengono in un primo momento unite per diffusione sotto pressione, sino a formare un unico materiale, e successivamente sottoposte alla formatura superplastica per poter realizzare strutture alveolari. Questa tecnologia si sta trasferendo progressivamente anche al settore delle costruzioni di velivoli civili, nel quale viene utilizzata la lega Ti-6Al-4V, nelle zone esposte alle temperature più elevate. Lo sfruttamento su vasta scala del processo superplastico delle leghe di titanio può fornire una risposta a numerose problematiche nel settore dei trasporti e in altri settori tecnologicamente avanzati.

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