I cento volumi del Dizionario biografico

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 100 (2020)

I cento volumi del Dizionario biografico

Raffaele Romanelli

Con il centesimo volume giunge a compimento l’elenco alfabetico che era stato fin dall’inizio previsto per la pubblicazione del Dizionario biografico degli Italiani. È un traguardo che la direzione dell’opera è orgogliosa di aver raggiunto ed è una tappa decisiva per ogni altro futuro sviluppo dell’opera.

Merita che si informino i lettori del percorso fin qui seguito, dei risultati raggiunti, del patrimonio di dati che vi si è accumulato e quindi delle prospettive che esso promette. Il primo volume – che comprende le voci Aaron-Albertucci – ha visto la luce nel 1960. Sono dunque trascorsi sessant’anni, durante i quali l’Italia è cambiata, sono cambiate le prospettive della sua sensibilità storica, i punti di vista, i campi di indagine, lo stesso patrimonio delle fonti. Non è dunque cambiato solo il nostro presente, ma è cambiato anche il nostro passato e si sono susseguite le generazioni degli studiosi che lo hanno rappresentato e gli hanno dato vita. Cerchiamo perciò come prima cosa di cogliere qualche segnale di questi mutamenti, che del resto prendono le mosse ancora più indietro nel tempo, perché l’intenzione di realizzare un Dizionario biografico degli Italiani è già dichiarata nell’atto costitutivo dell’Istituto della Enciclopedia Italiana, il 18 febbraio 1925.

Le premesse, il progetto, i primi passi

L’intento iniziale è chiaro, di tipo patriottico. Come tutti i dizionari biografici nazionali, anche quello italiano, e forse quello italiano in modo particolare, nasce per costituire la nazione, per raccontare, e dunque creare, una «storia comune», come scriveva Giovanni Treccani nel 1925.

Le affermazioni in tal senso si ripetono. L’intento patriottico chiede – è ancora Treccani che parla – di classificare e biografare i «nostri uomini migliori, rispecchiare cioè fedelmente il volto della patria». Più tardi, nelle norme del 1933 si parla di dare notizie «di tutti gli italiani comunque memorabili [...] specchio fedele della civiltà italiana», di coloro «[...] che hanno con saldezza del loro intelletto, nella letteratura, nell’arte, nelle scienze, nella politica onorato il nome d’Italia». E ancora, nel 1938, presentando a Mussolini il piano dell’opera, si definisce il Dizionario biografico «il libro d’oro della nostra stirpe».

L’intento celebrativo, memorabile – di per sé comune a tutte le opere consimili in Europa fin dal Settecento – si riallaccia alla lunga tradizione pedagogica degli encomi, dei Ritratti o delle ‘vite degli uomini illustri’ che ha ascendenze nell’umanesimo e alimenta l’età dei lumi fino al primo Ottocento.

Il debito verso quella tradizione, e verso i repertori antichi, si avverte nell’impronta letterario-classicistica del lemmario. Alla quale però se ne affianca un’altra, di tipo risorgimentistico e militare. L’iniziativa del Dizionario biografico va infatti messa in relazione con i dizionari biografici ottocenteschi, più legati all’idea moderna di nazione. Insomma, l’intento civile risolve l’eterna tensione tra biografia e storia che, del resto, la brevità dei testi non consentirebbe di esplicitare, per quanto le dimensioni si siano venute dilatando col tempo: si pensi che all’inizio erano previste quattro voci per pagina; mentre si è arrivati, nel 2002, a pubblicare biografie come quella di Antonio Gramsci, che conta quasi centomila caratteri, un eccesso che ha poi richiesto un riequilibrio.

In quanto opera patriottica, il Dizionario biografico sconta un ritardo, perché nel periodo liberale, quando si enfatizza la retorica monumentale e celebrativa del ‘fare gli Italiani’, non sono nate opere del genere. Non che mancassero repertori, lessici e dizionari biografici, che anzi abbondavano, specie di scrittori, come l’opera I contemporanei italiani. Galleria nazionale del secolo XIX edita a partire dal 1860 dall’Unione Tipografico-Editrice Torinese, o il Dizionario biografico degli scrittori contemporanei (non solo italiani) di Angelo De Gubernatis apparso nel 1879 e basato su notizie richieste direttamente ai biografati mediante un’apposita lettera circolare, metodo comune ad altri ricercatori: lo aveva usato, ad esempio, Leone Carpi nel suo L’Italia vivente (1878).

A un’opera complessiva che raccogliesse tutti gli Italiani nella storia intendeva porre mano Leone Caetani tra il 1900 e il 1907, dunque alla vigilia del famoso cinquantenario del Regno, con l’iniziativa di raccogliere oltre settecentomila schede che servissero per un Dizionario bio-bibliografico italiano. Il primo fascismo non fece che accentuare la componente nazionalistica dell’iniziativa, almeno nelle intenzioni retoriche. Ad attenuarne la portata ideologica e la tendenza agiografica furono, d’altra parte, il carattere altamente erudito, nonché la diffidenza, e più tardi l’indifferenza, per l’età contemporanea, rimasta una caratteristica costante dell’opera fino a tempi recenti.

Irrisolta è rimasta invece la valenza nazionalizzante dell’opera. Proprio perché il Dizionario era la prima rilevante iniziativa del genere nell’Italia unita, i suoi ideatori dovettero affrontare il problema storico del Paese, l’esigenza di ricondurre a unità il suo conclamato pluralismo. Si trattava, disse Treccani, di rivendicare una storia comune in un Paese che non l’aveva mai avuta. È un problema proprio di tutte le istituzioni del genere; si pensi soltanto all’organizzazione della ricerca storica attraverso le Deputazioni di storia patria, o alla Consulta araldica, che invano tentò di unificare le nobiltà italiane. Nel nostro caso, il problema si rifletté nelle lunghe vicende della formazione di un onomastico che, a differenza di quanto accadde con l’Enciclopedia, si prolungarono per più di un decennio e fino alla guerra, che ne sospese l’attuazione.

La base del lavoro fu lo schedario Caetani, recepito dalla redazione del Dizionario biografico degli Italiani. Ma nel 1926 vennero costituite quattordici commissioni regionali al fine di «provvedere alla scelta dei nomi da includere nel Dizionario» raccogliendo «le migliori tradizioni regionali», e quindi tracciare le biografie «sopra tutto degli scrittori, degli scienziati, degli artisti e dei personaggi storici poco noti o mal noti [...]» che erano il più gran numero. Come aveva già scritto Johann Gustav Droysen, il biografo di Alessandro Magno, i soggetti adatti alla biografia sono le figure marginali, non i grandi uomini.

L’attenzione ai minori e l’articolazione locale costituivano dunque lo scheletro del Dizionario. Nel 1941 Fortunato Pintor, il primo direttore, suggeriva di «tornare all’idea di una vasta collaborazione regionale (di regioni storiche) che si era cominciata a tracciare dieci anni addietro». Occorreva «trovare 50 o 60 studiosi che nei diversi centri di studio lavorino o promuovano il lavoro altrui e si tengano in contatto con la redazione». L’idea di fare appello alla ‘società civile’ è stata variamente ripresa ed è in discussione ancora oggi, con la consapevolezza però di quanto avvertì Gentile: affidare l’onomastico direttamente agli studiosi locali minaccerebbe di far cadere l’opera «nel più pacchiano municipalismo»; senza una cernita rigorosa si rischierebbe di fare «il pantheon dei fessi». Perciò erano istituiti appositi corrispondenti, uno per regione, incaricati di tenere i rapporti col centro. Raccolta attorno a un caporedattore forte, una instabile struttura decentrata sembrò dunque la più adatta all’opera, quasi a ricalcare gli ordinamenti amministrativi del Paese, con le loro prefetture, le soprintendenze, le istituzioni d’istruzione superiore ecc. Ma la questione del raccordo tra identità nazionale e articolazione locale dell’italianità storica rimase – e rimane – inevitabilmente aperta. Lo mostra oggi la difficoltà di dare il dovuto risalto ad alcune aree del Paese.

Dopo la guerra del 1940-45 l’intento nazionalistico evaporò, non fu più il motore primo della ricerca storica e divenne esso stesso oggetto di analisi storiografica, come un reperto d’epoca. La struttura prefettizia, mai realmente operante, fu abbandonata. Il Dizionario mantenne lo sguardo nazionale, privo però di motivazioni nazionalistiche. In una nota del 1959 Fortunato Pintor e Arsenio Frugoni – che affiancò Pintor nella direzione – parlavano non più di dare un volto alla stirpe, ma alla «classe dirigente»: il Dizionario doveva comprendere «tutte le vite degli uomini della classe dirigente, in senso largo, nella politica, nella scienza, nella cultura». E Alberto Maria Ghisalberti, lo stesso anno, parlava di «tutti quei personaggi che hanno avuto rilievo nella vita storica, culturale, economica, artistica, scientifica, tecnica [...]».

Spogliato dei suoi tratti più marcatamente nazionalistici, l’onomastico proseguì dunque la sua strada per inerzia, diventando neutra raccolta di dati, miniera di informazioni presto preziosa per gli studiosi in Italia e fuori d’Italia. Ai primi volumi contribuirono alcuni tra i migliori esponenti della storiografia italiana del tempo come Delio Cantimori, Eugenio Garin, Giorgio Levi Della Vida, Walter Maturi, Arnaldo Momigliano, Franco Venturi, cui seguirono, della generazione seguente, Giuseppe Alberigo, Alberto Boscolo, Ovidio Capitani, Renzo De Felice, Giorgio Spini, Rosario Romeo, che fu redattore con Giuseppe Martini, e ancora Raoul Manselli, Claudio Pavone e tanti altri, tutti oggi non più tra noi, e pressoché tutti a loro volta biografati dopo la morte.

Alle inclinazioni personali e di scuola di questi autori – e poi delle migliaia di altri che li affiancarono – rimase affidato il profilo dell’opera, risentendo col passare degli anni dei mutamenti e delle diverse aperture storiografiche. Il Biografico mantenne il carattere di monumento erudito della cultura storica italiana, tanto che agli inizi del XXI secolo, quando se ne ventilò la chiusura, si levarono gravi preoccupazioni nei circoli accademici non solo italiani, così come oggi se ne reclama la prosecuzione. Non per questo vennero allora ridiscusse le fondamenta dell’opera, che dunque rimasero quelle originarie: nel taglio cronologico (a partire dalla dissoluzione dell’Impero romano d’Occidente fino al presente; unico momento di incertezza si ebbe nella fase di impianto, allorché sembrò che il Dizionario dovesse arrestarsi parecchio indietro nel tempo, alla prima guerra mondiale, o addirittura all’anno 1800), nella scelta dei personaggi – a lungo empiricamente derivata dall’antico schedario, via via arricchito – e nella struttura delle voci, che modellano la loro rilevanza pubblica sul ritmo biologico dei singoli (dalla nascita alla morte).

Seguendo questo progetto, nel corso degli anni hanno diretto l’opera dapprima Alberto Maria Ghisalberti, dal 1960 al 1984, quindi Massimiliano Pavan, coadiuvato da Fiorella Bartoccini e Mario Caravale, i quali hanno poi assunto la direzione nel 1991, e infine dal solo Caravale, dal 1992 al 2010.

La fase più recente: elaborazioni, riflessioni

Giunto con il volume 75 a tre quarti del cammino, dopo mezzo secolo di vita, il percorso del Dizionario ha conosciuto una svolta, da collegarsi ai mutamenti avvenuti nella direzione dell’Istituto della Enciclopedia Italiana, assunta da Giuliano Amato, e dello stesso Dizionario. Era arrivato il momento di accelerare il cammino, di rendere anche più alacre e coesa la direzione dell’opera, pur non abbandonando l’antica disposizione a collegarsi con altri centri di studio, che allora furono la Scuola Normale Superiore di Pisa – tramite Adriano Prosperi prima e Michele Ciliberto poi – e la Fondazione per le Scienze Religiose Giovanni XXIII di Bologna, tramite Alberto Melloni. Chi firma questa nota ha poi potuto giovarsi della preparazione, della passione culturale e dell’azione attenta a ogni dettaglio di alcuni direttori incaricati di curare specifici settori disciplinari: Enrico Alleva, poi Pietro Corsi per le scienze, Lorenzo Bianconi per la musica, Francesco Caglioti per le arti, Amedeo Quondam per la letteratura, Gian Maria Varanini per il Medioevo, Maria Antonietta Visceglia per l’età moderna.

Ma fin dall’inizio di questa nuova fase, abbiamo voluto approssimarci alla tappa dei cento volumi programmati con idee più chiare. Già nella fase di transizione la presidenza dell’Istituto ci chiese di fornire un piano di lavoro ragionato per il completamento dell’opera. Avemmo la consulenza di molti studiosi, nonché delle società di settore, dalla Società italiana per lo studio della storia contemporanea (SISSCo) alla Società italiana delle storiche (SIS). Negli anni seguenti, diversi consulenti collaborarono alla redazione in vari campi specialistici. Nel 2010 un simposio discusse chi dovessero essere gli «Italiani» di cui nel titolo e come dovessero essere scelti. La prevalente impronta classicistica e risorgimentale era già stata superata nei fatti, essendosi via via aperto il Dizionario ai mondi dell’economia e dell’impresa, della scienza e della tecnica, e con una certa timidezza anche a quello dei media e del costume, non ancora dello sport, che avrebbe fatto il suo ingresso più tardi. Quanto all’arco cronologico interessato, non parve opportuno ridiscuterlo dalle fondamenta, e tuttavia, accettando la convenzione romantica e nazionalista che datava il primo sorgere delle nazioni alla caduta dell’Impero romano d’Occidente e alle invasioni barbariche, ci si domandò se erano davvero da includersi personaggi che precedevano ogni identità culturale italiana e la stessa formazione della lingua, convenzionalmente intesa come segno di identità nazionale. Si parlò degli arabi in Sicilia, o di Odoacre, re barbaro, che compariva nel lemmario e vi fu mantenuto. E poi, in un Paese d’emigrazione e d’immigrazione come l’Italia, dove tracciare i confini dell’italianità? Si discusse se estenderla ai milioni che hanno popolato le Americhe senza più far ritorno, il che salvo casi particolari fu escluso, mentre furono accolti i tanti venuti da fuori a stabilirsi in Italia, contribuendo alla sua storia.

E dove tracciare i confini di genere? Nel Ciclo degli uomini e donne illustri di Andrea del Castagno gli uomini sono potenti fiorentini, le donne personaggi biblici. Dove sono le fiorentine illustri? Per secoli, e ancora oggi, le donne sono appartate e trascurate. Spesso cedono il passo agli uomini. Sono studiose che sacrificano la carriera, pittrici, o scienziate, che non firmano i loro quadri o le loro ricerche. Se pensiamo, come pensiamo, che il Dizionario biografico debba far spazio e dar voce alle italiane, occorre ancora un altro cambio di scala. Trarre dall’anonimato le figure femminili non è opera semplice, e non solo per il destino che secoli di storia hanno riservato loro – e di conseguenza per la povertà delle fonti che ne parlano –, ma anche perché il loro ruolo, anche assai incisivo, si svolge molto spesso al di fuori della scena pubblica che è oggetto privilegiato dell’attenzione storica. In uno dei seminari dedicati a questa riflessione, una relazione firmata da Angiolina Arru, poi pubblicata sulla rivista della SIS (Genesis, 2016, n. 1), confrontava la percentuale delle presenze femminili nel DBI con quelle del Neue Deutsche Biographie e dell’Oxford Dictionary of national biography. Sia pure con percentuali assai basse, era significativa in tutti la recente tendenza all’aumento della presenza femminile, segno di una maggiore sensibilità culturale, più precoce nel caso inglese (agli inizi degli anni 2000 nell’ODNB le donne erano l’8% del totale, nel NDB erano l’1,3%, nel 1956, il 3,3% del 2003 e il 5% nel 2013, mentre nel DBI sono passate dal 2,7 al 4%). Più significative, nella campionatura di Arru, era la suddivisione per qualifica: se nei primi volumi del DBI dominavano «aristocratiche» (46%) e «donne dello spettacolo» (attrici e cantanti) (29%), negli ultimi pubblicati alle «donne dello spettacolo» (25%) seguivano «studiose e professioniste» (24%), «politiche e patriote» (17%) e «artiste» (poetesse, pittrici; 15%).

Ma è lo stesso genere biografico che richiedeva di essere discusso. Dal lontano 1960 non si può dire che gli storici italiani abbiano mostrato grande attenzione per il tema. La diffidenza per il genere biografico è del resto un’annosa questione tra gli storici, tanto più da quando la modernità ha suggerito che gli occidentali stessero diventando sempre più inclini a una visione ‘collettiva’ della storia. Già Tocqueville connotava come caratteristica degli storici dei secoli democratici la tendenza a non attribuire influenza all’individuo sul destino della specie e a trovare «grandi cause generali» per tutti i «piccoli fatti particolari».

In un’età di azioni e di valori collettivi gli storici avrebbero dunque lasciato il genere biografico a pubblicisti e romanzieri – si ricordi come Arnaldo Momigliano iniziava Lo sviluppo della biografia greca, scrivendo «Quando ero giovane, i dotti scrivevano storia e i gentiluomini biografia» – e privilegiando la storia delle correnti artistiche o di pensiero, dei movimenti politici o d’opinione, oppure, in epoca più recente, alcune strutture di lunga durata. Va da sé che le tendenze collettive hanno individui che le guidano o le incarnano; i grandi personaggi sono allora intesi a rappresentare le tendenze di fondo dell’epoca. Grandi saggi politico-biografici – non propriamente biografie – non hanno allora carattere pedagogico e didascalico-encomiastico, sull’antico modello delle vite dei santi, ma sono chiamati a dare il senso della loro epoca, o costituiscono l’occasione per descriverla. Tipiche, nell’Italia del secondo dopoguerra, le biografie di Cavour e di Mussolini, scritte da due collaboratori del primo Dizionario, Rosario Romeo e Renzo De Felice, non a caso storici lontani da un’impostazione ‘collettivistica’ della scuola marxista.

Ma allorché, sul finire del Novecento, entrati in crisi i grandi paradigmi interpretativi, è scemato l’interesse per i movimenti collettivi ed è stata recuperata la narrazione storica (il noto saggio di Lawrence Stone sull’argomento è del 1980), non è questo tipo di biografia a tornare in auge. In epoca di dittature e di populismi non mancano nel mondo gli uomini eminenti, che anzi si moltiplicano e impongono visibilità, ma difficilmente gli storici hanno trovato nelle loro biografie l’occasione per elaborare delle strategie metodologiche nuove. Del resto, come osservava uno psichiatra agli inizi degli anni Ottanta del Novecento, nemmeno i matti si identificano più con imperatori e dittatori (così A. Lo Cascio in Biografia e storiografia, a cura di A. Riosa, Milano 1983, p. 120).

Scemato l’interesse per i movimenti collettivi, ma anche per i grandi protagonisti, le prospettive analitiche che recuperano interesse per l’individuo sono altre. Gli storici non credono più all’isolata ‘rappresentatività’ di alcuni singoli individui. Semmai la storia sociale – coadiuvata dalla psicostoria, o dall’antropologia storica, con attenzione al ‘privato’, alle emozioni – rilegge i percorsi individuali come segni di una varietà di destini, di strategie, essa sì ‘rappresentativa’. Se lette collettivamente, le biografie danno il segno di una ‘normalità’ che può essere statisticamente rilevata dai percorsi più vicini alla norma ma anche da quelli eccezionali, difformi – si tratti di geni o di criminali – che si impongono all’attenzione proprio per lo scarto rispetto alla regola. Cadono qui le vite di persone che solo il destino ha reso eccezionali/esemplari, come può accadere a una giovane decapitata a vent’anni nel primo Quattrocento come Laura Malatesta, detta la Parisina, o a Domenico Scandella, il mugnaio del Cinquecento che vedeva il mondo come un formaggio, a Edgardo Mortara, un bambino ebreo rapito e convertito a forza ancora in pieno Ottocento, la cui vita di sacerdote, si noti, emerge dall’anonimato solo per la drammaticità dell’evento iniziale. O ancora a Marianna De Crescenzo, detta “Sangiovannara”, camorrista napoletana, garibaldina, capopolo, eroina del 1848 e del 1860, quando a furor di popolo le fu concesso perfino di votare. Sono vite, queste ultime – tutte presenti nel nostro Dizionario –, alle quali più che i percorsi biografici, a dar corpo e rilevanza storica sono la tradizione, la letteratura, la polemica, talché in molti casi si è in dubbio se inserirle nel lemmario. Come, all’opposto, dobbiamo reprimere la tentazione di includere personaggi epocali che non hanno avuto esistenza terrena, siano Don Abbondio o Pinocchio. Il fatto è che la biografia riconduce ai vari contesti storici in cui i singoli agiscono e in cui trovano le occasioni di costruire le proprie individuali strategie o di subire quelle dei tempi. Nella nuova storia, è stato detto, l’individuo diventa «una bussola sensibilissima» della sua epoca.

Fino a che punto questi percorsi possono interessare il Dizionario biografico, opera sincopata di vite ordinate alfabeticamente, il cui formato rimane ancorato alla vocazione originaria, quella che individua a priori le ‘classi dirigenti’, i personaggi per definizione ‘pubblici’, se non ‘illustri’? Chi sfoglia l’opera, e ancor più chi la costruisce giorno dopo giorno, si accorge di quanto sfuggente sia un siffatto decalogo, di quanto sia complesso, flessibile, e del tutto provvisorio il nesso tra le singole biografie e il loro contesto. Lo stesso dato biologico appare del tutto convenzionale e non sempre consono alla dimensione tradizionalmente pubblica del soggetto (e ben lo sanno certi autori forzati controvoglia a cercare notizie dei genitori dei personaggi loro affidati). Infatti la nascita non è che il momento che collega l’individuo a un’ascendenza; il ciclo di vita si inserisce in un contesto più lungo, che richiede notizie sull’ambiente d’origine, a volte risalenti parecchio indietro nel tempo. In senso verticale, la biografia dalla nascita alla morte pone dunque un problema di durata; ha per sua natura la durata generazionale, che è un tempo medio fra il tempo breve e il tempo lungo e sposta l’attenzione sulla genealogia, sulla famiglia. In molti casi, la forza della continuità familiare, o il peso del cognome, fanno sì che anche il Biografico rinunci al lemma individuale per raccontare la famiglia. In senso orizzontale, la biografia pone invece un problema delle reti di relazioni – familiari, sociali – al cui interno è convenzionalmente posto l’individuo. Solo in un caso, il Dizionario ha pubblicato uno schema che aiutasse il lettore a districarsi tra i singoli, spesso omonimi; ci siamo vietati di chiamarlo albero genealogico a causa del rigore e della completezza che sarebbe stata necessaria, ma è pur sempre uno schema, quello dei vari rami dei Savoia, che ha impegnato 29 pagine a stampa.

Col passare degli anni, sono dunque avvenuti cambiamenti di prospettiva che imporrebbero una rilettura, quasi una riscrittura del lemmario. Ma vari altri mutamenti inducono a pensare che i cento volumi finalmente completati debbano costituire la preziosissima base per nuovi edifici. Già nel 1989, trascorsi dunque quasi trent’anni dall’avvìo dell’opera e già pubblicate 14.000 biografie, il numero dei personaggi nel frattempo deceduti – e in questo senso ‘passati alla storia’, giacché la regola vuole che solo i non più viventi trovino spazio nel Dizionario – era ormai tale da suggerire la compilazione di due volumi di Supplemento; uno, pubblicato come volume 34 della serie, aggiornava le lettere A-C, e un secondo, il volume 35, comprendeva un Indice di particolare interesse perché oltre ai personaggi biografati menzionava anche centinaia di personaggi che «privi di un proprio lemma, hanno comunque avuto significativo rilievo sotto altri esponenti», nonché, in una parte seconda, l’elenco dei collaboratori.

Seguì la rivoluzione informatica, che oltre a mutare radicalmente l’intero lavoro redazionale, consentendo un intenso rapporto con gli autori e il lavoro a distanza dei redattori, nel 2009 infine consentì la migrazione in rete dell’intera opera, e da allora in avanti la doppia pubblicazione dei volumi, su carta e in rete. Le prospettive così apertesi furono molteplici. Pur lasciando per il momento a tempi migliori la possibilità di aggiornamento dell’intero lemmario, divenne però possibile aggiornare, colmare lacune o depurare di eventuali imprecisioni le voci pubblicate. Ovviamente la redazione si fece carico di rispettare datazione e firma delle voci pregresse; ma nel costante rapporto con i lettori e gli studiosi, l’opera acquistò nuova vitalità. Non soltanto: a partire dal 2012 il numero delle voci pubblicate in ciascun volume poté essere ampliato aggiungendo nell’edizione cartacea un certo numero di rinvii alla sola edizione digitale, con ciò dilatandone il numero complessivo. Infine, venendo via via a mancare le prime generazioni del dopoguerra che avevano costituito l’età repubblicana, occorreva qualcosa di più di un aggiornamento. Così come il centocinquantenario dell’Unità d’Italia era stata occasione di ripensamenti e celebrazioni alle quali l’Istituto della Enciclopedia Italiana aveva partecipato con le sue pubblicazioni, a chi scrive parve allora il momento di celebrare i padri della Repubblica. Molti di loro erano già biografati nei vari volumi della serie, ma molti altri non lo erano, cosicché nell’attesa che l’Istituto avviasse una nuova iniziativa, il DBI ha attivato una serie di profili, parallela all’opera principale e pubblicata solo in rete, intitolata a gli Italiani della Repubblica, e oggi comprendente oltre 200 biografie che illustrano con maggiore tolleranza di spazio e con un primo accenno di corredo iconografico i personaggi rilevanti dell’ultimo mezzo secolo.

Tanta intensificazione di lavoro è stata possibile nell’ultimo decennio solo grazie a squadre redazionali di prim’ordine e di alta scuola – patrimonio non secondario del quale l’Istituto può menar vanto –, guidate da Serena Andreotti prima e in un secondo tempo da Monica Trecca, che perciò possiamo considerare coautrici dell’opera. Intensificazione di rapporti, contributo di consulenti e passione per un’opera collettiva hanno anche consentito di convocare appositi Seminari del Biografico tematici, a volte originati dalla pubblicazione di singole voci significative. Il primo, svoltosi in occasione del novantesimo anno di fondazione dell’Istituto della Enciclopedia Italiana, a Roma il 18 febbraio 2015 fu dedicato a Le vite degli italiani. La Treccani e la biografia nazionale. Seguirono Roma rinascimentale nelle biografie del DBI, il 15 febbraio 2016, La scuola nell’Italia contemporanea, il 28 febbraio 2017, Creatori di moda italiana del Novecento, l’11 maggio 2017.

Una base di dati per un lavoro futuro

Giunto a completare l’alfabeto, il DBI ha pubblicato, a firma di oltre 28.000 diversi autori, oltre 40.000 profili biografici. Si tratta di una base di dati di grande ricchezza che oggi parla attraverso le tante voci dei singoli; voci che, già digitalizzate, sono pronte a sperimentare ogni sorta di collegamenti e incroci, interni all’opera o ad altre opere del ricco catalogo editoriale, come già avviene nei dizionari biografici di altri Paesi, e dunque a rivelare strategie nascoste, legami, intese e lontananze d’ogni sorta. Collegamenti multimediali potrebbero poi mostrare i volti dei nostri personaggi, le loro opere e i loro scritti, ascoltare musiche o discorsi, consultare corrispondenze e documenti d’archivio. Nuovi e originali percorsi di lettura e nuove ricerche porterebbero così alla luce reti di relazioni, incontri e scontri, tassonomie, dinamiche familiari, di gruppo o di scuola. Sono le reti tessute dagli storici, che animano la vita dei singoli e fanno apparire immagini non viste, come i fili che vanno a formare un tessuto prezioso. O come la vita di ciascuno di noi.

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