DE VRIES, Hugo

Enciclopedia Italiana (1931)

DE VRIES, Hugo

Enrico Carano

Celebre botanico, nato a Haarlem il 16 febbraio 1848, vivente. Appassionato fin da fanciullo allo studio delle piante, s'iscrisse nel 1866 all'università di Leida e nel 1870 si laureò, presentando come dissertazione un pregevole lavoro sull'influenza della temperatura nei fenomeni vitali delle piante. Si perfezionò in Germania alla scuola dei Hofmeister e del Sachs; nel 1877 conseguì la libera docenza in Halle e nel 1878 assunse la cattedra di botanica ad Amsterdam, dove rimase fino al 1918.

Nel primo periodo della sua fervida atiività scientifica si occupò specialmente di meccanica cellulare, eseguendo numerose ricerche sulla permeabilità del protoplasma, sul turgore, sulla plasmolisi, con risultati brillanti -non soltanto nei riguardi della biologia ma anche della fisico-chimica. Sono notissime le sue esperienze col metodo plasmolitico per misurare indirettamente la pressione osmotica nell'interno delle cellule; in seguito ad esse egli giunge alla dimostrazione che le soluzioni isotoniche sono equimolecolari; legge di considerevole importanza, applicabile al controllo dei pesi molecolari, come provò il De Vries stesso, definendo la controversa formula chimica del raffinosio in una seduta della Società di scienze mediche e naturali di Amsterdam. Proseguendo nelle ricerche, quando si avvide che le soluzioni diluite degli elettroliti per la presenza di ioni liberi facevano eccezione alla sua legge, introdusse il concetto di coefficiente isotonico. Le ricerche del De Vries, insieme con quelle di un altro illustre botanico, il Pfeffer, servirono di fondamento alla teoria del Van 't Hoff sulla pressione osmotica delle soluzioni diluite e a quella dell'Arrhenius sulla dissociazione elettrolitica. Di numerosi altri argomenti trattò il De vries, sempre con la massima competenza. Ma già nel 1889 egli inizia la serie dei suoi lavori di genetica con la pubblicazione della Pangenesi intracellulare, in cui difende la teoria omonima del Darwin contro quella del plasma germinale del Weismann. Secondo il De Vries, i pangeni o portatori di caratteri ereditarî risiedono nel nucleo e vi si moltiplicano, per passare nel citoplasma quando diventano attivi. Anche il De Vries dunque ammette come il Darwin un trasporto dei pangeni, ma lo limita all'ambito della cellula, laddove il Darwin ritiene che le sue gemmule siano trasportate dalle cellule vegetative, attraverso il corpo, fin nelle cellule germinali. La differenza fra le due concezioni è sostanziale. in quanto per l'ipotesi devriesiana non è necessario ammettere che i pangeni dal citoplasma ritornino nel nucleo, mentre tale condizione diventa indispensabile per l'ipotesi del Darwin, altrimenti le gemmule, giunte dalle cellule vegetative in quelle germinali, non potrebbero essere trasmesse ai discendenti. La pangenesi devriesiana non soltanto non è stata contraddetta dal tempo, ma ha ricevuto numerose conferme nei fatti messi in luce dalle moderne ricerche citologiche. In conseguenza della pangenesi il De Vries era condotto a concludere che se ogni specie è dotata di un determinato corredo di pangeni, essa dev'essere costante e non potrà modificarsi né per lenta azione dell'ambiente, come ammette il Lamarck, né per selezione naturale, come ritiene il Darwin, ma soltanto per variazioni brusche, in seguito a modificata condizione dei pangeni (passaggio dallo stato attivo allo stato latente e viceversa) o a comparsa di nuovi pangeni. È questa la teoria delle mutazioni, cui specialmente è legato il nome del grande botanico olandese. Prima di lui si ammetteva che la produzione di nuove specie fosse un fenomeno così lento da sfuggire alla vita di un uomo; il De Vries, invece, con una lunga e accurata serie di esperienze colturali dimostra che le nuove specie sorgono sotto i nostri occhi e che perciò questo processo può seguirsi come qualsiasi altro processo fisiologico. Meritamente dunque egli è ritenuto come il fondatore della genetica sperimentale, scienza del tutto moderna, che tanti splendidi risultati ha dati sia nel campo teorico, sia in quello pratico. Le specie sorte per mutazione differiscono fra loro e dalla specie genitrice quanto le specie cosiddette elementari e quanto le specie molto affini stabilite dai sistematici. A sostegno della mutazione il De Vries ha pubblicato pregevolissimi lavori a cominciare dal 1900. Nel luglio di quell'anno in un breve articolo nei rendiconti dell'accademia di Parigi, dal titolo suggestivo Sur l'origine expérimentale d'une nouvelle espèce végétale, egli rendeva nota la comparsa, avvenuta nel 1895 nelle sue colture di Oenothera Lamarckiana, di una nuova forma (mutante), perfettamente distinta dalla specie materna, oltre che per le dimensioni notevolmente maggiori, per un complesso di altri caratteri, la Oenothera gigas, la quale per autofecondazione aveva dato una discendenza costante. Successivamente, in un'altra breve nota pubblicata a pochi mesi di distanza Sur la mutabilité de l'Oenothera Lamarckiana, egli dava notizia di sei altri mutanti prodotti nelle sue colture tra il 1889 e il 1895. Da quell'epoca fino a questi ultimi anni è stata prodigiosa l'attività del De Vries nell'illustrare i risultati di nuove esperienze e nell'accumulare nuove prove a favore della teoria delle mutazioni, oggi quasi universalmente accettata.

Le idee del De Vries sull'origine delle specie e su tutti i problemi inerenti alla genetica, sono raccolte nelle sue tre opere maggiori: Die Mutationstheorie (voll. 2, Lipsia 1901-1903); Species and varieties, their origin by mutation, corso di conferenze lette nell'estate del 1904 presso l'università di Berkeley in California (trad. it. di F. Raffaele, Specie e varietà e loro origine per mutazione, Palermo 1909); Gruppenweise Artbildung (Berlino 1913). Quest'ultima pubblicazione è quella che ha suscitato le maggiori discussioni, perché in essa il De Vries, per difendere il suo concetto di mutazioni in gruppo nell'Oenothera Lamarckiana, ammette una condizione labile dei pangeni, in opposizione a quella stabile ordinaria. Le due condizioni si distinguono nettamente, secondo il De Vries, nel comportamento degl'ibridi, in quanto i pangeni attivi e latenti della condizione stabile, agendo come antagonisti, si scindono regolarmente nella seconda generazione, mentre i pangeni labili in antagonismo coi pangeni latenti si scindono già nella prima generazione. Gli oppositori del De Vries invece sostengono che per spiegare il comportamento di O. Lamarckiana non è necessario ammettere una condizione labile dei pangeni, ma piuttosto ritenere che la pianta in parola sia in uno stato di "permanente eterozigotia". La questione evidentemente è molto complessa. Il D. V. fu nominato socio delle maggiori accademie del mondo e dottore honoris causa presso molte università straniere. Tutti i suoi lavori sparsi nei varî giornali scientifici sono stati raccolti in 7 volumi: Opera e periodicis collata (Utrecht 1918-27).

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