HELIOPOLIS. - 2

Enciclopedia dell' Arte Antica (1960)

HELIOPOLIS (῾Ηλιόπολις, Heliopolis)

F. Castagnoli

2°. - Città della Siria, nella valle tra il Libano e l'Antilibano, a 1170 m s. m., oggi Baalbek.

Il nome attuale (documentato solo dal 400 d. C.) è forse quello originario, che sarebbe localmente sopravvissuto in età ellenistica e romana; esso è chiaramente in rapporto col nome di Ba‛al; sembra però che il culto originario principale della città fosse quello di Hadad, che in epoca ellenistica sarebbe stato identificato col Sole (e da allora dovette affermarsi il nome di H.), e avrebbe, con ardito sincretismo, assunto il nome di Zeus; il culto di Giove Heliopolitano, le cui testimonianze esplicite datano dall'età romana, è da ritenersi dunque una trasposizione di un antico culto locale. H. è ricordata da Flavio Giuseppe (Ant. Iud., xiv, 3, 2) a proposito della spedizione di Pompeo nel 64 a. C., e da Strabone (xvi, 2, 10) che la colloca vicino ad Apamea. Divenne colonia romana sotto un imperatore della casa giulia (forse Augusto), e fu detta colonia Iulia Augusta Felix Heliopolitana (monete, miliarî). Fu sede di una guarnigione militare; ebbe, forse sin dalla fondazione della colonia, immunità, in considerazione della sua importanza religiosa, riconosciuta e favorita dai Romani nel quadro della loro politica di amicizia verso le regioni circonvicine. La città non era infatti, per la sua posizione, un centro di traffico, né sappiamo avesse una particolare importanza politica od economica. La fama del santuario di Giove Heliopolitano (alla cui costruzione si lavorò per più secoli) è testimoniata dalla diffusione del culto in varie parti dell'Impero (un tempio era anche a Roma, sul Gianicolo); la prima documentazione letteraria dell'importanza del santuario è la notizia (Macrob., Sat., i, 23, 14 s.) che Traiano prima della spedizione parthica del 115 avrebbe richiesto, da Roma, un responso a Giove Heliopolitano. Con Settimio Severo la colonia ebbe lo ius italicum (Ulp., Dig., l, 15, i, 2) dopo la guerra contro Pescennio Nigro del 194, quando vi fu un nuovo ordinamento della Siria. Al più tardi sotto Caracalla furono istituiti giochi in onore di Giove Heliopolitano, equiparato a Giove Capitolino (detti nelle monete sacra capitolina oecumenica iselastica). L'importanza della città nella prima metà del iii sec. è documentata dalle iscrizioni e dalle monete (che terminano con Gallieno); la prima comunità cristiana sorse probabilmente con Costantino che edificò una chiesa (probabilmente distrutta da Giuliano l'Apostata); verso i culti pagani Costantino fu tuttavia tollerante, limitandosi a proibire la prostituzione sacra (Euseb., Vita Const., III, 56): la notizia della distruzione di un tempio di Afrodite non è ritenuta degna di fede. Teodosio, nel santuario già gravemente danneggiato da un terremoto, edificò una chiesa (Malalas, Chonogr., p. 344, 22; Chron. Pasch., i, 561). H. fu anche sede vescovile, ma il paganesimo continuò ad avervi posizione dominante sino alla repressione del 579 ordinata dall'imperatore bizantino Tiberio. Nel 637 fu conquistata dagli Arabi (l'ultimo documento di H. bizantina è una iscrizione del 635 che ricorda la costruzione di una fortezza). Nel 1175 H. fu conquistata da Saladino; e nel 1260 fu distrutta dal mongolo Hulagū. Baalbek odierna, che dal 1920 fa parte del Libano, occupa solo la parte orientale della città antica.

La prima segnalazione delle rovine di H. è dovuta a Martin Baumgarten, che visitò il luogo nel 1508. La prima pubblicazione è dovuta a R. Pococke (1743-45). Nel XIX sec. le rovine furono mèta di letterati e di studiosi (Lamartine, Renan); nel 1870 iniziarono gli invocati lavori di restauro. Dopo la sua visita nel 1898 l'imperatore Guglielmo II dette incarico di precise ricerche a R. Koldewey, che intraprese una breve campagna di scavo, con l'autorizzazione dell'impero ottomano. Scavi di più vasta portata furono compiuti dal 1900 al 1905 per opera di una missione tedesca, sotto la direzione di O. Puchstein, ma la pubblicazione avvenne solo assai più tardi (1921-23) a cura di Th. Wiegand. Importanti lavori di restauro e di ripristino sono stati in seguito compiuti (dal 1927 in poi) dal Service des Antiquités en Syrie, sotto la direzione di H. Seyrig.

Del periodo fenicio e di quello ellenistico non restano tracce sicure. Della colonia romana è riconoscibile il circuito delle mura, mantenuto in gran parte dalla cinta posteriore; le mura romane sono in opera quadrata, con torri quadrate a intervalli di m 31,50; le porte sono circondate da torri rotonde. Benché la topografia generale della città non sia nota, è stato osservato che congiungendo idealmente quattro delle porte della città si ottengono due assi quasi perfettamente ortogonali che s'incrociano nel centro, dove oggi è un minareto. Questo impianto non perfettamente regolare è probabilmente dovuto alla conservazione di elementi preesistenti alla città romana. La parte occidentale della città è in gran parte occupata dal grande santuario della triade heliopolitana che, per le sue dimensioni (m 270 × 120) e per la sua altezza (m 46 il tempio), dominava la città benché eretto in pianura, superato solo dal vicino colle dell'acropoli. Il complesso monumentale, volto ad oriente, è costituito da quattro parti, disposte lungo un asse oriente-occidente; propileo, vestibolo esagonale, cortile quadrato con altare, tempio. I propilei, largo portico frontale (m 6o × 12), avevano nella fronte 12 colonne. Il vestibolo esagonale (larghezza massima m 60), circondato da colonne, con le pareti ornate di nicchie, forma un elemento intermedio, chiuso e raccolto, di passaggio alla grande corte (m 135 × 113) antistante al tempio: essa è limitata su tre lati da portici (le colonne monolitiche di granito rosa sono ora conservate in parte nella moschea di Baalbek) decorati con profonde esedre semicircolari e rettangolari. Al centro, fiancheggiato da due lunghi bacini rettangolari, si innalza un grande altare (ora parzialmente ripristinato) a forma di torre a quattro piani, alto m 17,80, la cui terrazza era accessibile da una scala interna (il tipo si ricollega con tradizioni di culto delle antiche religioni orientali); tra questo e il tempio era un altare minore di forma simile. Nel centro del cortile fu eretta da Teodosio una basilica a tre navate (demolita dagli scavatori francesi per il ripristino degli altari): essa si appoggiava con l'abside ai gradini del tempio. Il tempio, lungo m 90 e largo m 54, pseudodiptero (10 × 19 colonne) corinzio, si eleva su un colossale podio alto oltre m 14, nel quale sono tra l'altro inserite tre pietre lunghe ben 19 m (donde probabilmente il nome trilithon che troviamo sulle monete); rimangono ancora in posto 6 colonne del lato meridionale con la trabeazione e molte basi delle altre colonne; scarsi gli avanzi della cella; intorno al tempio giacciono le gigantesche rovine delle colonne e delle trabeazioni. I resti del santuario sono le più grandiose rovine romane dell'Oriente. Rigidamente simmetrica la composizione di tutto il complesso. Logica la sintassi architettonica delle singole parti varie e coordinate nell'insieme (absidi, con o senza colonne; edicole con 2, 4, 6 colonne, con o senza frontone; i timpani talvolta con arco al posto dell'architrave). La scultura architettonica del tempio è di un modellato plastico vicino allo stile decorativo di Roma. Quella del portico, del vestibolo esagonale e dei propilei, invece, copre al massimo le superfici con disegni carichi di varî motivi, il largo uso del trapano produce contrasti pittorici di luci e ombre.

La costruzione del santuario dovette protrarsi per più secoli. In base a una notizia di Malalas (Chronogr., p. 280, 12) si era ritenuto che il santuario fosse stato costruito da Antonino Pio. Si è potuto invece stabilire che la grande terrazza del tempio (che risulta concepita per un edificio di pianta leggermente diversa) risale all'inizio del I sec. d. C., o anche (von Gerkan) all'ultima età seleucidica. La parte superiore del tempio stesso fu innalzata intorno alla metà del I sec. d. C. (su un rocchio di colonna è graffita la data del 60 d. C.); il cortile rettangolare è databile all'età di Antonino Pio; i propilei a quella di Settimio Severo (come risulta da una iscrizione); il cortile esagonale alla metà del III secolo. L'attribuzione del santuario a Giove Heliopolitano è assicurata anche dalle numerose monete (che riproducono un tempio a otto o dieci colonne con la scritta I. O. M. H.): il culto si estendeva alla triade Giove, Venere, Mercurio (non chiare le testimonianze per un presunto dio Ghennaios).

A S del grande tempio, e ugualmente orientato (e in assai migliore stato di conservazione) è il "piccolo tempio", detto anche di Bacco. È un tempio periptero (8 × 15 colonne) corinzio, di pianta piuttosto allungata (m 33,50 × 65,30), con podio alto m 4,76, preceduto da una scala di 34 gradini. La cella è composta da un vano coperto con vòlta a botte e da un àdyton a tre navate, raggiungibile da una gradinata di 9 scalini. L'edificio è ornato da nicchie di varie forme; la scultura architettonica, ricca particolarmente nella porta (con motivi di viti, edera, satiri e baccanti) e nel tetto dello pteròn, è di uno stile simile a quello del cortile rettangolare del grande santuario. Sono stati trovati anche rilievi figurati (scena di sacrificio, thìasoi). L'edificio è datato, in base allo stile, intorno alla metà del II sec. d. C. L'attribuzione a Bacco fu ispirata dai rilievi; si pensa ora invece che anche questo tempio fosse dedicato alla triade heliopolitana e particolarmente a Mercurio; quello maggiore sarebbe stato destinato al culto ufficiale, il minore al culto misterico.

In una zona più centrale della città, forse sul decumano, è il tempio rotondo, detto di Venere. La cella circolare (diametro interno m 8,92) ha una parete rettilinea frontale, preceduta da un pronao tetrastilo; la parte posteriore della cella è circondata da quattro colonne poggianti su un podio a tratti concavi che si contrappongono alla opposta curva della cella. La pianta della peristasi assume così la singolare forma di un ferro di cavallo. Le pareti della cella sono decorate con nicchie (a due piani nell'interno). Lo stile è simìle a quello dei propilei del grande tempio. Probabile la datazione all'età dei Severi (o, secondo altri, di Filippo l'Arabo). È stata proposta l'identificazione con un tempio di Tyche rappresentato in una moneta di Filippo l'Arabo.

Fuori della città rimangono scarse rovine di un teatro, sull'acropoli (Sheikh ‛Abdallah) elementi di un tempio, probabilmente di Mercurio (rappresentato in monete di Filippo l'Arabo). Avanzi di un tempio, forse di Afrodite, sono presso Haret bet Sulch; rimangono anche tracce di un acquedotto (con un'edicola circolare periptera, dove sono stati trovati, oltre a un cippo di Giove Heliopolitano, numerose statuette votive di piombo) e alcune camere sepolcrali (spesso con dròmos) di età imperiale.

Bibl.: O. Puchstein, Führer durch die Ruinen von Ba‛albek, Berlino 1905; E. Weigand, Baalbek und Rom, die römische Reichskunst in ihrer Entwickelung und Differenzierung, in Jahrbuch, XXIX, 1914, pp. 37-91; Baalbek, Ergebnisse der Ausgrabungen und Untersuchungen in den Jahren 1898 bis 1905, hrsg. von Th. Wiegand, I-III, Berlino-Lipsia 1921-1925; E. Honigmann, Heliupopolis, in Pauly-Wissowa, Suppl. IV, 1924, cc. 715-728; H. Seyrig, La triade Héliopolitaine et les temples de Baalbek, in Syria, X, 1929, p. 314-356; D. Krencker, in Arch. Anz., XLIX, 1934, pp. 265-286; P. Coupel, Travaux de restauration à Baalbek en 1933 et 1934, in Syria, XVII, 1936, pp. 321-344; A. von Gerkan, Die Entwicklung des grossen Tempels von Baalbek, in Corolla L. Curtius, Stoccarda 1937, pp. 55-59; R. Dussaud, Temples et cultes de la triade héliopolitaine à Balbek, in Syria, XXIII-XXIV, 1942-43, pp. 33-77; P. Collart - P. Coupel, L'autel monumental de Baalbek, Parigi 1951; H. Seyrig, Question héliopolitaines, in Syria, XXXI, 1954, pp. 80-98.