Suso, Heinrich

Dizionario di filosofia (2009)

Suso, Heinrich  Forma latinizz. del cognome del mistico H. Seuse (n. forse Costanza o Überlingen 1295 ca


m. Ulma 1366). Unica e non sempre sicura fonte di notizie sulla sua vita è l’autobiografia. Destinato al sacerdozio, a 13 anni entrò nel convento dei domenicani a Costanza. A 18 anni ebbe una prima esperienza estatica; s’inizia allora lo «sposalizio spirituale con l’Eterna Sapienza», che improntò di sé tutta la sua vita. Dopo aver studiato per otto anni teologia e filosofia, fu mandato all’univ. di Colonia dove fu allievo di Eckhart, le cui dottrine modellarono profondamente il suo pensiero; per difenderne la memoria dalle accuse di eresia e di spirito «begardico» (cioè affine alla spiri tualità degli ordini religiosi mendicanti) scrisse il Büchlein der Wahrheit (1327 ca.) – l’unica sua opera di contenuto puramente teorico – dove si sforza di conciliare l’insegnamento di Eckhart con la scolastica ortodossa. Richiamato a Costanza in sospetto di eresia, combatté, con le sue prediche e i suoi scritti, il disgregamento della vita religiosa e della disciplina monastica, conseguenza delle lotte tra Lodovico di Baviera e la Curia, e dell’interdetto papale onde la città fu colpita, e fu perciò fatto segno a persecuzioni e calunnie. Sui quarant’anni S. rinunciò al tirocinio ascetico, dedicandosi al proselitismo religioso; confessore nei conventi femminili, ebbe tra le sue ‘figlie spirituali’ E. Stagel. Durante l’esilio dei domenicani, rimasti fedeli al papa, S. fu eletto priore del convento, ma dopo il ritorno dell’ordine a Costanza fu destituito e, malgrado la sua assoluzione, trasferito a Ulma (1348 ca.), dove continuò la sua opera di predicazione, e curò la redazione di un Esemplare normativo delle sue opere (in dialetto alemanno) che circolavano in copie inesatte. Il culto di cui era oggetto fra i domenicani fu confermato da Gregorio XVI (1831). L’Esemplare si apre con un’autobiografia tutta centrata sulla sua esperienza mistica (redatta da Stagel sugli insegnamenti del maestro): in quest’opera la sua allieva aveva raccolte, narrate da S., le esperienze personali di questo (dalle mortificazioni che si imponeva alle grazie di cui si sentiva fatto segno); ritoccando il testo, S. vi aggiunse una seconda parte che costituisce un breve trattato didattico di spiritualità, fino all’unione con Dio. Importanza maggiore – sotto il profilo della pratica e della teoria mistica di S. – hanno altre due opere: il Büchlein der Wahrheit e il Büchlein der ewigen Weisheit, scritti che cadono negli anni 1329-36. Il «Libro della verità», dialogo tra il discepolo e la verità sull’educazione alla vita interiore, svolge un’ampia polemica contro le correnti dei begardi eterodossi e i fratelli del libero spirito, soprattutto per negare la validità del loro richiamo a Eckhart. Si tratta quindi sostanzialmente di una difesa delle dottrine di Eckhart (delle tesi condannate nel 1329) interpretate in senso ortodosso e spesso riportandole agli insegnamenti di Tommaso d’Aquino. Appare tuttavia chiara, svolgendo i tempi della creazione, dell’incarnazione, dell’unione dell’anima con Dio, la traccia profondamente platonica della teologia e della mistica di S., influenzato, oltre che da Eckhart, dallo pseudo-Dionigi e da Giovanni Scoto Eriugena: l’Uno-Dio come «nulla eterno», la processione del molteplice dall’Uno e il suo ritorno all’Uno, il rapimento dell’anima che muore a sé e nasce al divino «nulla» come termine dell’ascesa mistica. Il «Libro dell’eterna sapienza» è articolato come un dialogo tra il servo (S.) e la Sapienza eterna: la prima parte tratta delle sofferenze di Cristo e della Vergine a causa dei peccati degli uomini, per svolgere poi il tema del severo giudizio di Dio e dell’espiazione; la seconda parte indica la vita di chi si deve apprestare a morire e trova consolazione soprattutto nella frequente pratica dell’eucarestia; la terza parte presenta «cento considerazioni e cento domande che si debbono fare tutti i giorni con devozione». Nelle pagine dell’opera pervase di tenerezza, e soprattutto in quelle dedicate ai dolori della Vergine, ha trovato ispirazione il tipo iconografico della Vergine addolorata. Di quest’opera S. fece un’adattamento in latino con il titolo Horologium sapientiae (1335-38).

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