HEINE, Heinrich

Enciclopedia Italiana (1933)

HEINE, Heinrich

Rodolfo Bottacchiari

Poeta tedesco, nato a Düsseldorf, da genitori ebrei, il 13 dicembre 1797. Compiuti nella città natale gli studî medî, passò alcuni mesi a Francoforte presso un banchiere e nel 1816 si recò ad Amburgo, dove, con la protezione e l'aiuto d'un ricco zio, Salomone Heine, fu avviato al commercio, senza però raggiungere, in tre anni, alcun risultato concreto. Aiutato ancora dallo zio, riprese gli studî e fino al 1824 frequentò i corsi di giurisprudenza a Bonn, a Gottinga, a Berlino e di nuovo a Gottinga, dove si addottorò nel 1825. Nello stesso anno, senza convinzione, ma spinto soprattutto dalla difficile condizione fatta in Germania agli ebrei che intendessero esercitare una libera professione o ottenere un impiego statale, si convertì al cristianesimo.

Tornato ad Amburgo, lasciò di nuovo questa città, deluso e amareggiato, rinunciando a ogni proposito di seguire l'avvocatura. Dopo un viaggio in Inghilterra, si trasferì a Monaco, dove tenne per qualche mese la redazione dei Politische Annalen e sperò invano di ottenere una cattedra universitaria; viaggiò poi in Italia, soggiornando più a lungo a Firenze e a Bagni di Lucca senza spingersi fino a Roma, finché, dopo aver passato altri due anni ad Amburgo, nel 1831, disperando ormai di formarsi una posizione in Germania, dove alcuni suoi scritti gli avevano creato anche un ambiente diffidente e ostile, e attratto, d'altra parte, dalla rivoluzione di luglio e da un vago miraggio di fortuna e di gloria, abbandonò la patria per stabilirsi a Parigi.

H. aveva condiviso il giubilo francese. "Sono tutto gioia e canto, tutto spada e fiamme", scrisse allora; e sperò che le giornate di luglio preludessero alla realizzazione anche delle speranze del liberalismo tedesco. Vagheggiò altresì il proposito di farsi intermediario per una stretta intesa ideale e politica fra Germania e Francia. Ma a Parigi l'esule volontario, il demolitore di troni, il fantasioso banditore d'una nuova cultura superiore che dovrà risultare dalla fusione della cultura dei due popoli, del sentimento tedesco col pensiero francese, comincia con l'attaccare il Guizot e il Thiers e rinuncia poi a ogni attacco, quando ottiene una segreta pensione annua. Toma a scrivere all'amico Moser, da cui si è bruscamente separato da cinque anni, per chiedergli denaro; si disinteressa quasi del tutto dei numerosi profughi politici tedeschi, preferendo gli eleganti salotti francesi; pensa sia prudente rimanere estraneo alla lotta che conduce la Giovane Germania e consiglia a H. Laube la neutralità; dopo la condanna e l'interdizione delle sue opere, pubblicate e da pubblicare, da parte della Dieta di Francoforte che lo accusa di francesismo e d'immoralità, si proclama "il rappresentante dell'ultimo lembo della libertà spirituale della Germania", ma nega di aver mai appartenuto al movimento dei junge Deutsche e rivolge una supplica ai membri della Dieta stessa, attacca con estrema violenza il Menzel, già suo amico, il denunciatore delle mene rivoluzionarie della Giovane Germania, ma rompe anche col Börne, l'idolo dei liberali, ch'egli più tardi ingenerosamente insulterà nella tomba; e mentre si vanta di avere la considerazione e la benevolenza del Metternich, prega K. A. Varnhagen di farlo riconciliare col governo prussiano. Certamente Parigi serve dunque a mettere in evidenza le peggiori qualità di H. Spinto alla politica dalla brama di soddisfare esigenze proprie, dello spirito e dei sensi, non governate da nessun principio di coerenza ideale e morale, egli diventa fervente seguace del sansimonismo, di cui trascura però i postulati sociali ed economici, per intenderne, a suo modo, soprattutto il lato mistico-religioso. Cosicché nell'idealista, banditore e difensore della libertà dei popoli, è facile riconoscere piuttosto l'uomo che obbedisce a oscuri impulsi istintivi; come nel fanatico, che si dichiara pronto alla lotta e al sacrificio per l'idea, l'egoista; nel democratico pugnace l'aristocratico più raffinato; nel liberale l'anarchico.

E Parigi, almeno nel primo periodo, non aggiunge nulla alla gloria poetica di H., il quale, mentre la Musa per molti anni quasi del tutto tace, accanto a deliziose novelle, in cui la corrente dell'ispirazione fondamentale, sensuale e umoristica, scorre entro gli aerei margini d'una cornice romantica, come le Florentinische Nächte e i Memoiren des Hernv. Schnabelewopski, pubblica scritti di filosofia, di critica, d'arte e di letteratura, e soprattutto di politica in libelli e innumerevoli articoli per giornali e riviste tedeschi. Notevoli, fra i primi, specialmente Die Romantische Schule (1836), eccezionale storia politica del romanticismo tedesco, con profili briosi, originali e spesso paradossali dei suoi rappresentanti più significativi; Die Geschichte der Religion und Philosophie, esposizione viva e scintillante, ricca e mobilissima, ma senza alcun nesso logico, della storia del pensiero filosofico tedesco da Lutero a Schelling; i saggi critici Shakespeares Mädchen und Frauen e Französische Maler, i "pamphlets" Über Börne e Schwabenspiegel. La migliore produzione politico-giomalistica di H. fu raccolta nei volumi dal titolo: Französische Zustände e Lutetia, prose anch'esse fra le più vive e seducenti del giomalismo politico del tempo. Due volte H. tornò, per brevi soggiorni, in Germania: nell'autunno del 1843 e nell'estate del 1844; nel 1846 egli desiderò ancora di tornare in patria, per rivedere la vecchia madre e la sorella dilettissime, ma, nello stesso anno, fulmineo e già disperato si manifestò il primo attacco del male che egli indubbiamente portava fin dalla nascita; cosicché negli ultimi dieci anni egli assistette allo sfacelo progressivo della propria vita fisica, finché, quasi del tutto immobilizzato nella sua "tomba di materassi" e pressoché cieco, ebbe lunga agonia, resa più tremenda da una costante lucidità di spirito. Quasi dimenticato dalla maggior parte degli amici, assistito da Eugenia Mirat (Matilde), la donna futile, incolta e insignificante, che egli amò solo sensualmente e alla quale aveva dal 1844 legato il suo nome e la sua vita, "il suo angelo e il suo demonio"; e confortato negli ultimi mesi dalla giovanissima amica Camille Selden (la "Mouche"), il poeta morì il 17 febbraio 1856 e fu sepolto nel cimitero del Père Lachaise di Parigi.

H. è veramente grande solo nella lirica e nella prosa dei Reisebilder. Dopo le prime esercitazioni poetiche, retoriche, declamatorie, spesso funeree ed elegiache, nelle quali si sente l'influsso del Bürger, dell'Uhland, del Hoffmann e del Byron, sola e grande eccezione la famosa ballata Die Grenadiere, il poeta si afferma con la collana lirica dell'Intermezzo nella sua piena originalità. L' Intermezzo è la storia idealizzata dell'amore infelice per la cugina Amalia, figlia di Salomone; lirica estremamente soggettiva che fluisce limpida e spontanea da un'interiore e calma ricordanza. Ispirate da questo stesso amore sono le due tragedie Almansor e Ratcliff, di minore valore artistico; una favola orientale, la prima, in cui domina l'amore tenero, implorante, voluttuoso; una ballata nordica, la seconda, cupa e spettrale, dominata dall'odio implacabile e beffardo. Dalla passione, anch'essa delusa, per la cugina Teresa, sorella di Amalia, sorgono invece i canti della Heimkehr, un ciclo che non ha l'organicità ideale del primo, ma che dal mondo poetico dell'Intermezzo non si distacca assolutamente, esprimendo piuttosto un accresciuto dominio sulla realtà da cui quel mondo è sorto, con l'evidente prevalere dell'elemento pittorico-descrittivo su quello psicologico. I Lieder della Harzreise, i Berglieder, scritti intorno allo stesso tempo, pieni di profumo romantico, pervasi d'un sensualismo sottile, percettibile appena nel tono infantile delle scene della Bergidylle, delicatamente nostalgico nell'evocazione della bella principessa della leggenda, rappresentano il libero volo della fantasia, portato solo dal commosso entusiasmo di fronte a spettacoli della natura. Perciò a questi canti direttamente si riattaccano i due cicli lirici della Nordsee che segnano, nello stesso tempo, un'integrazione e un successivo sviluppo dell'arte della Heimkehr. Il mare è per H. la rivelazione dell'infinito e dell'eterno, in conflitto con il limitato e il transitorio; dinnanzi allo spettacolo del mare si compie la riconciliazione fra l'uomo e la natura. Essa, anzi, crea un legame di amore e di dedizione, e l'anima del poeta si solleva sul dolore con canti di liberazione e di giubilo. Anche il secondo ciclo si apre con un'esaltata volontà di vivere e di gioire, espressa nel trionfale saluto al mare. Il poeta pare ora staccato dal mondo reale; affina l'udito per ascoltare l'innumerevole sinfonia delle acque marine, insegue un lontano sogno che la stessa musica del mare gli risuscita, e, sul punto di raggiungerlo, lo demolisce con una celia o un sorriso incredulo. In realtà però egli non può né sa staccarsi da quel mondo; ché il demolitore di sogni ha sempre il suo disperato sogno nel cuore, e la smorfia non riesce mai a vincere del tutto il pianto nascosto. Certo, ora i contrasti s'attenuano fino quasi a scomparire e anche il tormento spirituale accenna già a sciogliersi in quell'umorismo giocondo che si ritrova dominante nella prosa dei Reisebilder, alla quale appunto preludono, anche artisticamente, l'andatura spigliata dei versi e i liberi ritmi dei canti della Nordsee.

I cicli del Buch der Lieder - sotto questo titolo furono per la prima volta raccolte e pubblicate, nel 1827, le liriche dei Junge Leiden, Lyrisches Intermezzo, Heimkehr, Nordsee, apparse prima separatamente - rivelano in H. la consapevolezza dell'impossibilità di appagare le sue esigenze ideali e metafisiche, ma non mostrano quell'aspirazione ansiosa e quello sforzo chiaro e tormentato che tendono all'armonia. Offrono piuttosto un risultato di dissonanze, di contrasti con conciliati. Il massimo sforzo per reagire al tormento interiore e dare, nello stesso tempo, unità e armonia alla sua arte, H. lo compie nei Reisebilder. Questi "quadri di viaggio" furono la prima volta pubblicati separatamente; poi alla prima raccolta, in due volumi (1826-27), si aggiunse la seconda, pure in due volumi (1830-31). Due elementi principali gli servono a questo scopo: sensualismo e ironia. Già nella Harzreise, pagine fresche e luminose, scritte subito dopo il viaggio, di getto, in uno "stile vivo ed entusiastico, del tutto soggettivo", si sente questa immediatezza di contatto con la natura. Fuggendo la pesantezza plumbea e asfissiante dell'ambiente professorale, studentesco e cittadino, il giovane H. esulta nel sentirsi a poco a poco lo spirito leggiero e sereno e illuminato d'un tratto dall'incanto della natura. Più deciso si afferma e più chiaro si manifesta nei Reisebilder quel sensualismo erotico, che nascosto nell'Intermezzo sotto gli ideali intrecci del simbolo, contenuto nella Bergidylle e nella rievocazione della leggenda della principessa Ilse nella Harzreise, prorompe negli episodî della bella filatrice e della piccola arpista nella Reise von München nach Genua. Quanto poi all'ironia heiniana, essa non va confusa né con l'ironia romantica, mirabile giuoco dialettico che sorge dalla coscienza del poeta di un continuo superamento e dal disingannato desiderio di soddisfare ogni esigenza ideale, né con la facezia o l'humour, pure così frequenti e ricchi in H. La facezia, lo scherzo spiritoso, il Witz è in lui nient'altro che un espediente cerebrale, mentre l'umorismo sorge da uno stato d'animo reattivo e lo esprime: reazione per lo più leggiera, sottile, senza dolore e senz'odio, che si esercita di preferenza sulla vita d'ogni giorno, su tipi e idee comuni, e delizia quasi ogni pagina dei Reisebilder. L'ironia invece consiste in quella mirabile fusione di reale e d'irreale, di verità e di leggenda, di sensualità e di sentimentalità, di pianto segreto e di riso contenuto e sempre un po' velato di tristezza, ma in cui si riconosce un equilibrio interiore del poeta attraverso un'espressione artistica perfettamente adeguata. Qui l'arte di H. raggiunge la sua più alta originalità, e la sua umanità l'espressione più profonda, come, specialmente, in alcune pagine del Buch Le Grand. Più frammentaria, meno soggettiva, e anche intorbidata da violenti odî personali, la poesia narrativa dei Bäder von Lucca e della Stadt Lucca è di molto inferiore a quella delle precedenti parti dei Reisebilder.

Nel poemetto satirico Atta Troll (1847) H. intende staffilare i liberali e i cosiddetti poeti di tendenza; da questa duplice reazione sorge la figura dell'eroe del poemetto, simbolo del pópolo rozzo e incosciente che ripete quello che i demagoghi gli vanno insegnando, e del Tendenz-Dichter il quale, senza poesia, si atteggia a grande poeta, alla stessa maniera che Atta Troll, l'orso sgraziato e goffo, crede di essere maestro nell'arte della danza. Creazione sommamente originale soprattutto per il duplice atteggiamento del poeta di fronte al suo eroe ch'egli odia per quello che simboleggia e contemporaneamente ama per quello che è. Assai minor valore artistico ha l'altro poemetto heiniano Deutschland, ein Wintermärchen (1844), satira sferzante contro la politica, i costumi, la vita della Germania, opera senza amore e senz'odio, senza passione quindi e senza ispirazione, quasi del tutto cerebrale. Lo stesso H. giudicò questa favola d'inverno "politica e cattiva", aggiungendo: "possano le Muse perdonarmela". E se è spiegabile, non è tuttavia meno ingiusto dedurre, specie dalle pungenti strofe del Deutschland, che H. non sentì amore per la sua patria ch'egli invece, di lontano, ricorda, ama e sospira. Il suo disprezzo non si appunta contro la Germania, la terra dove nacquero i suoi canti più dolci, ma piuttosto contro i suoi nemici, contro i teutomani, contro i tiranni, i filistei e i censori, alla stessa maniera che in lui lo scherno, al pari della celia, è piuttosto uno spontaneo, irresistibile e più spesso innocente bisogno della sua natura.

Fin dall'inizio della sua lunghissima agonia H. ha la sensazione paurosa che il mondo gli si chiuda intorno; l'isolamento accresce la sua disperazione e gli suscita una specie di horror vacui. È in questa tragica situazione ch'egli si ripiega su sé stesso e si raccoglie nella solitudine dello spirito; e mentre scrive le pagine autobiografiche dei Geständnisse e continua quelle dei Memoiren, in gran parte perdute, dall'animo esacerbato e oppresso gli sgorgano i canti del Romanzero (1851). A proposito dei quali si è spesso parlato d'un pessimismo di H. come, negli ultimi suoi anni, d'una riconciliazione con Dio. Ma H. non ha il sentimento tragico del mondo e della vita; egli ha piuttosto la coscienza tragica del suo mondo e della sua vita, la quale non si allarga già come in quella leopardiana della vanità del tutto in una nota universale di ribellione o di disperazione. Né H. ha mai la fede o il sentimento della rassegnazione del credente; ha solo precisa e tormentosa la coscienza dell'impotenza dell'uomo di fronte alla tirannica inaccessibile ed invisibile potenza che a capriccio o con arbitrio governa la vita. Ed è appunto tale coscienza che gli ricrea il suo Dio, il terribile antagonista nella spaventevole tragedia d'un uomo che ama ardentissimamente la vita e non può goderla, che sa di dover morire e non vuol morire, e che perciò si fa umile e ribelle, prega e bestemmia, chiede misericordia e minaccia, supplica e schernisce. È la tragedia personale che si riflette negli ultimi canti del poeta.

Agevolmente si può rintraceiare in ciascuna delle tre parti in cui è diviso il Romanzero un pensiero dominante. Nelle Historien è la rappresentazione d'un mondo caotico e ingiusto, in cui più spesso il buono perisce e il cattivo trionfa; un'analoga visione domina le Lamentationen: per convincersi dell'atroce commedia che rappresenta la vita, il poeta non ha bisogno di interrogare la storia o la leggenda: gli basta guardarsi intorno, guardare sé stesso, e paragonare la fugacità delle gioie passate con l'eternità del presente dolore. E c'è in questi canti non soltanto la voce angosciata d'un morente; c'è soprattutto lo spirito d'un poeta che, incapace di superare o vincere l'amarezza che l'opprime, la inacerbisce fino allo spasimo, dandole una nota acutissima. Un fiotto d'amore, intenso come una nostalgia, caldo come un'invocazione, anima e illumina le Hebräische Melodien. La visione degli Ebrei dispersi per il mondo, incamminati in lunghe carovane dalle terre d'esilio verso la città della fede e dell'amore, guidati dal canto soave d'un poeta, è l'ultima visione di pace di H.

H. ha affidato la sua gloria e la sua fama soprattutto ai canti del Buch der Lieder. Alcuni Lieder sono stati moltissime volte musicati anche da grandi compositori. Poeta in versi e in prosa originalissimo, egli ha avuto numerosi imitatori in Germania e fuori e innumerevoli traduttori. Sull'influsso da lui esercitato sulla lirica italiana della seconda metà dell'Ottocento (specialmente sull'Aleardi, Prati, Betteloni, Chiarini e Carducci) si è senza dubbio esagerato, soprattutto a proposito del Carducci, la cui lirica satirico-politica sempre calda, sincera e appassionata ha ben poco a che fare col freddo riso sarcastico e la satira cerebrale del poeta tedesco.

Opere: Edizioni numerosissime, fra le quali ottime quelle curate da G. Karpeles, da E. Elster, da O. Walzel, e la più recente e integrale: Heines Werke, ed. da G. A. E. Bogeng, Amburgo 1922-26. La migliore raccolta di lettere del poeta: H. Heines Briefwechsel, ed. da F. Hirth, voll. 3, Berlino 1914-20. Di utile consultazione: Gespräche mit H., raccolti e pubbl. da H. H. Houben, Francoforte 1926.

Bibl.: Per una bibliografia completa fino al 1905, v. F. Mayer, Verzeichnis einer H. H.-Bibliothek, Lipsia 1905; A. Strodtmann, H. H.s Leben u. Werke, voll. 2, Amburgo 1884; W. Bölsche, H. H., Versuch einer ästetischen kritischen Analyse seiner Werke und seiner Weltanschauung, Lipsia 1888; J. Legras, H. H. poète, Parigi 1897; H. Lichtenberger, H. H. penseur, Parigi 1905; P. Bayer, Der junge H., in Bonner Forschungen, ed. dal Litzmann, Berlino 1911; B. Croce, Poesia e non poesia, Bari 1923, pp. 172-185; H. Hermann, Studien zu H.s "Romanzero", Berlino 1922; J. Majone, La poesia di H., Firenze 1925; L. Tonelli, La personalità di H., in Rivista d'Italia, IV (1921); B. Ginola, Le donne nella vita e nell'arte di H., Milano 1909; M. J. Wolff, H. H., Monaco 1922; R. Bottacchiari, H., Torino 1927; id., H. e l'Italia, in La Cultura, VII (1929) (vi sono ricordati anche gli studi precedenti di Chiarini, Carducci, Zendrini, Bonardi, ecc., sugl'influssi di H. sulla lett. italiana). Fra le innumerevoli traduzioni italiane delle liriche, quelle del Maffei, del Chiarini, dello Zendrini sono notissimie; meno note, giustamente, quelle del Secco Suardi e del Varese. Anche il Nievo, lo Zanella, il Teza, il Renier, il D'Ancona ci hanno lasciato qualche saggio di versione. Popolari le versioni del Carducci. Giustamente lodata la traduz. della Nordsee dell'Errante. Recenti e buone le versioni dei Reiseilbder del Palazzi, del Trattenero, del Majone.