Gusto

Universo del Corpo (1999)

Gusto

Francesco Figura e Stefano Zecchi

In fisiologia, il gusto è il senso specifico mediante il quale sono riconosciuti e controllati i sapori delle sostanze introdotte nel cavo orale. Le sensazioni destate dagli stimoli gustativi sono riconducibili a quattro qualità primarie (dolce, amaro, salato e acido), alla cui evocazione sono preposti recettori specializzati situati in zone diverse della lingua. Per estensione, il termine gusto indica il modo personale e soggettivo di vedere, giudicare e apprezzare le cose; nella critica d'arte e nella riflessione filosofica il concetto di gusto si afferma quando entra in crisi l'idea di bellezza oggettiva.

Caratteristiche fisiologiche

di Francesco Figura

I.

Note generali

Il gusto è una forma di sensibilità specifica, preposta al rilevamento della presenza nella cavità orale di alcune sostanze chimiche solubili. I recettori al servizio di questo tipo di sensibilità vengono inclusi tra i chemocettori, ovvero recettori che vengono stimolati dalla presenza e dalle variazioni di concentrazione di sostanze chimiche in soluzione con le quali vengono in contatto nell'ambiente interno oppure esterno. I recettori gustativi, al pari dei recettori olfattivi, possono essere classificati come chemocettori addetti all'esplorazione dell'ambiente esterno; essi vengono stimolati da molecole in soluzione nella saliva per il gusto e nel muco nasale per l'olfatto. La sensazione gustativa consiste in un quadro sensoriale complesso, del quale fanno parte non soltanto le sensazioni provocate dall'eccitamento dei recettori specifici del gusto, ma anche quelle evocate dai recettori buccali del tatto, del caldo e del freddo e, soprattutto, le sensazioni olfattive. La fragranza dei vari alimenti è, in gran parte, il risultato di una combinazione fra sapore e odore; se la sensazione olfattiva viene soppressa, la capacità di discriminazione gustativa risulta considerevolmente ridotta. Il ruolo fisiologico del gusto, essenziale per la percezione dei sapori, deve essere inquadrato nel più generale problema della ricerca e scelta degli alimenti. In tale funzione il gusto viene accomunato all'olfatto. Nell'uomo queste forme di sensibilità sono molto meno importanti della vista o dell'udito, al contrario di quanto avviene per la maggior parte degli animali. Le molteplici sensazioni gustative possono essere ricondotte alla combinazione di quattro sensazioni primarie: dolce, amaro, salato, acido.

2.

Recettori gustativi

Gli organi recettori specializzati per il gusto sono i corpuscoli o boccioli gustativi, localizzati soprattutto sulla superficie superiore della lingua. Essi si trovano anche a livello dell'epiglottide, della faringe e della laringe. Nell'uomo i boccioli gustativi sono circa 10.000; questo numero rimane pressoché costante fino all'età di 45 anni, e successivamente si riduce: prima scompaiono quelli della parte media e del dorso della lingua e poi quelli della punta (v. il capitolo Testa, Cavità orale). I boccioli gustativi della lingua sono incastonati in sporgenze epiteliali, le papille, distinguibili in tre differenti tipi: fungiformi, foliate e vallate. Le papille fungiformi, circa 200 nell'uomo, sono situate nei due terzi anteriori della lingua e ognuna di esse contiene mediamente 10 boccioli gustativi. Le papille foliate sono localizzate nella parte posteriore e laterale della lingua; ognuna di queste è costituita da diversi lembi (foliae) contenenti numerosi boccioli gustativi. Le papille vallate, circa 10, si trovano tra la porzione orale e quella faringea della lingua. Altre papille linguali non hanno funzione gustativa. Il bocciolo gustativo è un aggregato ovalare di cellule epiteliali caliciformi modificate, munito di una piccola apertura a forma di poro verso la superficie della mucosa. Nell'uomo, esso ha una lunghezza di circa 70 μm e un diametro di circa 40 μm. Ciascun bocciolo gustativo è costituito da quattro tipi di cellule, di forma semilunare, che si estendono dalla base del bocciolo fino al suo apice, detto poro gustativo. Le cellule di tipo I (chiamate anche cellule scure a causa del loro aspetto al microscopio elettronico) hanno funzione di supporto e di secrezione; le cellule di tipo II e III (meno dense al microscopio elettronico e quindi dette cellule chiare) svolgono la funzione recettiva e contraggono sinapsi con le sottili fibre nervose sensitive che costituiscono i nervi gustativi; sul bordo libero di ciascuna di queste cellule è presente un prolungamento piliforme, che si affaccia al poro gustativo. Le cellule di tipo IV, non implicate nella ricezione dello stimolo gustativo, sono precursori delle cellule sopra indicate, le quali hanno una durata di vita limitata e devono essere rimpiazzate all'incirca ogni 10-15 giorni. Sul fondo della depressione che circonda ciascuna papilla si riversa, attraverso dotti, una secrezione sierosa prodotta dalle ghiandole di Ebner, situate profondamente nella struttura della lingua. Le sostanze contenute in soluzione in questo liquido e nelle secrezioni delle ghiandole salivari penetrano attraverso il poro del bocciolo per stimolare le cellule gustative e avviare il processo sensoriale. Se la superficie della lingua è completamente asciutta, non è possibile suscitare alcuna sensazione di gusto. Il secreto delle ghiandole di Ebner assicura, inoltre, il lavaggio dei recettori, ponendoli in condizione di ricevere un altro stimolo. Malgrado la loro somiglianza morfologica, i boccioli gustativi sono distinti in quattro tipi diversi, ciascuno rispondente prevalentemente a uno dei quattro stimoli gustativi fondamentali, pur potendo tutti reagire a più di uno di tali stimoli. A tale riguardo, le differenti zone della lingua sembrano specializzate: la sensazione di dolce e quella di salato vengono evocate principalmente sulla punta della lingua; la sensazione di amaro sulla porzione posteriore; quella di acido lungo i margini laterali. Una considerevole area della lingua contribuisce assai poco alla sensazione gustativa.

3.

Meccanismi di trasduzione delle cellule gustative

I microvilli apicali dei recettori gustativi rappresentano il sito di trasduzione dello stimolo. Questo genera potenziali di recettore che migrano in direzione della porzione basale della cellula gustativa; si determina così la secrezione di un neurotrasmettitore che eccita le fibre nervose sensitive in contatto sinaptico con le cellule recettrici. Le interazioni delle sostanze stimolanti con le cellule gustative assomigliano all'azione dei neurotrasmettitori sui neuroni. Esse agiscono direttamente o indirettamente sui canali ionici della membrana plasmatica. Nella porzione apicale della membrana cellulare, le cellule recettrici prevalentemente sensibili al salato sono munite di canali ionici permeabili agli ioni Na+ ma non agli ioni H+. Un aumento della concentrazione di NaCl sulla lingua determina un afflusso di ioni Na+ all'interno della cellula e una concomitante insorgenza del potenziale di recettore. Nei recettori sensibili all'acido, un comune meccanismo di trasduzione è rappresentato dal blocco dei canali del K+. L'applicazione di H+ sulla porzione apicale di queste cellule recettrici riduce l'efflusso di K+, causando l'insorgenza del potenziale recettoriale e la concomitante liberazione di neurotrasmettitore. Nelle cellule gustative sensibili al dolce e in quelle sensibili all'amaro, la trasduzione avviene in via indiretta, in quanto le sostanze stimolanti reagiscono primariamente con specifici siti proteici che sono localizzati all'estremità apicale di esse. A seguito di questa interazione si formano secondi messaggeri i quali, nei recettori sensibili al dolce, bloccano i canali del K+ presenti nella porzione basolaterale della cellula, mentre, nei recettori per l'amaro, inducono la liberazione di Ca2+ intracellulare e determinano la conseguente liberazione di neurotrasmettitore. Sorprendentemente, quindi, il meccanismo di trasduzione dei recettori per l'amaro non richiede l'insorgenza del potenziale generatore. Nell'uomo la soglia di sensibilità (intensità minima dello stimolo atta a evocare la sensazione) varia alquanto per le differenti sostanze, e la capacità di discriminare differenze d'intensità di sapore è relativamente grossolana. La differenza deve essere almeno del 30% per poter essere apprezzata. La sensazione di dolce presenta la soglia più elevata (bassa sensibilità), mentre quella per l'amaro ha la soglia più bassa (elevata sensibilità). Salato e acido si situano nel mezzo. La soglia gustativa varia con la temperatura della soluzione impiegata come stimolo. Il valore della soglia è minimo per temperature comprese tra 20 °C e 30 °C e aumenta per temperature inferiori o superiori a queste.

4.

Vie e centri nervosi del gusto

Le vie nervose afferenti della sensibilità gustativa sono costituite da fibre del nervo glossofaringeo (IX nervo cranico), per il terzo posteriore della lingua, e da fibre della chorda tympani, ramo del nervo facciale (VII nervo cranico), per i due terzi anteriori. I corpuscoli gustativi dell'epiglottide e della faringe sono innervati da fibre del nervo vago che originano dal ganglio nodoso. Ciascuna fibra nervosa innerva più di un bocciolo gustativo; inoltre, nell'ambito dello stesso bocciolo gustativo ogni fibra può innervare più cellule recettrici. Tutte le fibre nervose gustative raggiungono il bulbo per confluire nel nucleo del tratto solitario. Le fibre gustative del facciale e quelle del glossofaringeo terminano nella parte superiore di questo nucleo; le fibre gustative del vago nella parte inferiore. Il nucleo del tratto solitario rappresenta il primo importante centro di integrazione della sensibilità gustativa. Nell'uomo, la maggior parte dei neuroni gustativi del nucleo del tratto solitario si pone in connessione tanto con il nucleo posteromediale del talamo quanto con il giro postcentrale della corteccia cerebrale. Queste connessioni sono determinanti per la percezione gustativa e il riconoscimento dei sapori. Ulteriori proiezioni riguardano l'amigdala e altre parti del sistema limbico, dove contribuiscono a determinare alcuni aspetti affettivi della sensazione gustativa (piacere, disgusto) e della sensazione di fame oppure, al contrario, di sazietà. Inoltre, la stimolazione gustativa, attraverso circuiti riflessi a carattere neurovegetativo, provoca secrezione della saliva, del succo gastrico e di altri succhi digestivi, attivando anche la motilità intestinale. In tal modo il gusto svolge una funzione importante, quantunque non indispensabile, nella digestione.

5.

Anomalie

Non considerando il deficit gustativo dovuto agli effetti dell'età, le anomalie della sensibilità gustativa sono relativamente rare e riguardano prevalentemente modificazioni della soglia di percezione. Le differenze di sensibilità esistenti tra un individuo e l'altro risultano considerevoli, ed esistono persone che non sono in grado di avvertire alcun sapore: questa condizione è nota con il nome di ageusia. La condizione in cui la soglia di percezione gustativa è innalzata rispetto ai valori normali, e si ha quindi una diminuzione del senso del gusto, viene definita ipogeusia; l'ipereccitabilità gustativa per la quale il soggetto percepisce sapori anche con soluzioni molto diluite di sostanze saporose è chiamata ipergeusia. Il termine disgeusia viene utilizzato per indicare una sensibilità gustativa che non è corrispondente allo stimolo o la comparsa di sensazione gustativa in assenza di stimolo.

Fondamenti del giudizio estetico

di Stefano Zecchi

I.

Dal bello al sentimento del bello

Il gusto esprime un sentimento personale che trae la sua origine dai modi di pensare, dai principi morali, dalle mode di una determinata epoca. Esso è dunque un fenomeno storico, e i giudizi che vengono emessi sulla base del gusto dipendono dalla realtà sociale e culturale esistente, di cui essi sono elementi essenziali. Il giudizio di gusto si afferma quando entra in crisi l'idea di bellezza, intesa nel suo significato oggettivo e nel suo valore metafisico, e diviene una tra le altre categorie dell'esperienza estetica. Ciò accade nella cultura europea tra il 17° e il 18° secolo, coinvolgendo, oltre al bello, anche fondamentali problemi filosofici come il vero e il giusto. Il bello e il bene diventano questioni legate al sentimento, dunque non definibili mediante norme e principi intellettuali, ma attraverso una proprietà soggettiva dell'essere umano: il gusto, appunto. Nel campo della critica d'arte, la valutazione di un'opera, espressa utilizzando il criterio del gusto, segna il tramonto della bellezza sia come presupposto della creatività estetica, sia come categoria del giudizio estetico. Già Cartesio, in una lettera a M. Mersenne del 18 marzo 1630, identificava semplicemente il bello con il piacere, segnalando un radicale mutamento nell'idea tradizionale della bellezza come norma razionale, oggettiva e necessaria per la comprensione della qualità dell'opera d'arte. Non ci si chiese più che cosa fosse il bello, ma che cosa piacesse agli uomini e quale fosse il loro personale sentimento del bello.

Verso la fine del 17° secolo ebbero luogo le prime discussioni che segnarono il lento ma progressivo distacco dalla concezione oggettivistica del bello. L'architetto C. Perrault, autore del celebre colonnato del Louvre, nella sua opera Les dix livres d'architecture de Vitruve … (1673) sottopone a critica il concetto di proporzione, generalmente considerato un fondamento essenziale della bellezza oggettiva. Nessuna proporzione, egli dice, è per sua natura bella o brutta o migliore delle altre: eppure, alcune proporzioni sembrano belle e altre brutte. Questo accade, spiega Perrault, perché nelle valutazioni entrano in gioco le convenzioni, le consuetudini, i condizionamenti storici e psicologici. Il giudizio che si esprime sulla qualità delle proporzioni non ha nessuna necessità: a una consuetudine vecchia subentra una nuova del tutto casualmente, semplicemente introdotta dal gusto dell'epoca.

Nel nascente 18° secolo questi problemi, che avevano sollevato molte e accese discussioni, uscirono dai confini dell'architettura e del dibattito sul significato della proporzione per divenire una questione propriamente filosofica. Soggettivo e legato al gusto personale non fu ritenuto soltanto il bello della proporzione, ma qualsiasi espressione del bello. Da ciò si trasse la conclusione che una teoria del bello potesse essere solo una teoria del gusto, cioè un'analisi dell'esperienza dei comportamenti, dei condizionamenti psicologici che generano il gusto.

La filosofia dell'empirismo inglese sviluppò con la maggiore profondità l'indagine sulle caratteristiche di questa 'nuova' facoltà - il gusto -, destinata a riconoscere il bello (ma anche il vero e il bene). Nel 1712, J. Addison pubblica sul giornale The spectator una serie di articoli sul piacere e sull'immaginazione, che verranno raccolti sotto il titolo Pleasures of the imagination. La prosa è limpida, accattivante, non possiede alcuna delle astrusità linguistiche dei tradizionali testi metafisici: diviene facile, così, alle riflessioni di Addison oltrepassare i ristretti ambiti accademici, riscuotendo un vasto interesse. In quegli articoli il filosofo sostiene che il gusto non è fondato su esigenze morali, religiose, politiche, ma sul piacere destato dall'immaginazione. Piacere e immaginazione sono le due nozioni essenziali per comprendere come la filosofia dell'empirismo inglese affronti, pur con significative variazioni, l'indagine sulla questione del gusto. Il successo popolare delle idee di Addison è il segno più importante ed evidente del cambiamento dei modelli culturali che investe l'Europa, e l'Inghilterra in particolare, agli inizi del Settecento. La favorevole accoglienza nei riguardi dell'opera di Addison trova infatti una spiegazione nella sempre più diffusa consapevolezza che l'arte disponga di una propria autonomia e che la critica d'arte e le opinioni del pubblico possiedano una loro legittimità, anche se non utilizzano o non fanno riferimento ad alcuna tradizionale teoria generale, necessaria e universale, della bellezza. Il gusto diventa in tal modo il centro dell'autonomia dell'arte e della libertà di giudizio del pubblico e della critica.

Alla riflessione filosofica, tuttavia, non sfuggiva il fatto che la soggettività stessa del giudizio poneva questioni di definizione che andavano affrontate affinché il gusto non fosse confinato in un semplicistico ed elementare arbitrio personale. Per es., se appare evidente che il gusto è un modo di guardare, non di ragionare, in cui intervengono i sensi, è comunque fondamentale, anche, comprendere che esso non è circoscrivibile alle pure sensazioni. Oppure, non sfuggiva il fatto che il gusto, pur essendo individuale, ha, nella sua stessa formulazione linguistica consistente nell'espressione di un giudizio, una pretesa universale. In questa ricerca, che vede impegnata in particolare la filosofia dell'empirismo e quella che ne assumerà criticamente l'eredità, il gusto apparirà un problema teorico chiamato a dare convincenti risposte a una sempre più diffusa opinione pubblica che in esso vedeva testimoniata e confermata l'espressione della propria autonomia di giudizio su un'opera d'arte, ma anche, più in generale, sulla qualità dell'esistenza.

Addison sostiene che le idee di gusto si organizzano nell'immaginazione: dunque, attraverso una facoltà che non può disporre delle regole dell'intelletto, ma che non ha neppure il carattere semplice ed elementare proprio della percezione sensoriale. Nell'immaginazione noi proviamo piacere per qualcosa di visto o percepito o di cui si rievoca l'idea senza indagarne la causa. I piaceri dell'immaginazione dettano le regole del gusto, che possono essere comprese e definite mediante le particolari sollecitazioni provocate dall'immaginazione stessa. Per es., dice Addison, tutto ciò che è nuovo e singolare dà piacere all'immaginazione, in quanto riempie l'animo di sorpresa e di curiosità, sottraendolo in tal modo alla noia per le cose che si ripetono meccanicamente senza cambiamento alcuno. L'immaginazione provoca il gusto, costringendolo a pronunciare il suo assenso per ciò che è piacevole o il suo dissenso per ciò che risulta noioso e indifferente all'immaginazione.

Anche E. Burke, nell'opera Philosophical inquiry into the origin of our ideas of the sublime and beautiful (1757), stabilisce un'esplicita relazione tra i piaceri dell'immaginazione e il piacere estetico: il gusto è la facoltà che si sviluppa dall'incontro di queste due forme di piacere. Ma per cercare di determinare con più precisione il modo in cui opera la facoltà del gusto, Burke si trova a dover introdurre una distinzione tra i piaceri stessi. Sostiene infatti che vi sono piaceri procurati dagli oggetti naturali e quelli che nascono dall'imitazione della natura; tuttavia, entrambi sono in grado di sollecitare positivamente il nostro gusto, qualora gli oggetti o le immagini che provocano piacere siano goduti indipendentemente dai loro effetti e dalle loro funzioni. Per es., l'armonia della natura induce il piacere del gusto se ci poniamo di fronte a essa con un atteggiamento contemplativo, non quando ne facciamo oggetto di interrogazione per conoscere le cause che originano la sua armonia. Ciò comporta, per Burke come per Addison, un impegno nell'educare il piacere estetico, un'educazione, cioè, che sia in grado di migliorare, elevare, raffinare i gusti. Un uomo colto, infatti, si distingue immediatamente da uno volgare proprio per i suoi gusti, che sono, appunto, il frutto di piaceri educati con lo studio delle condizioni storiche e sociali in cui egli vive. Il gusto non può essere un semplice arbitrio personale, perché esso esprime la realtà e la qualità della formazione soggettiva. Ecco dunque il compito pedagogico che deriva dalla ricerca filosofica: ravvivare, affinare, educare, allenare il gusto a una pratica percettiva attraverso l'analisi e lo studio attento di ciò che per tradizione rappresenta la forma della bellezza, cioè l'opera d'arte. Il gusto, infatti, non può di per sé commettere errori, non può essere 'sbagliato', come invece può esserlo un giudizio logico. Esso procede per via comparativa e, quindi, quanto più è frutto di esperienza e di lungo esercizio a contatto con la bellezza dell'arte, tanto più sicure e convincenti saranno le sue valutazioni.

2.

Soggettività e universalità del gusto

Alla convinzione, propria tanto di Burke quanto di Addison, che il gusto possa essere educato perviene anche il filosofo empirista che ha indagato con maggior profondità il modo in cui si forma e si esercita il gusto: D. Hume. La conoscenza umana, egli sostiene, viene generata dalle impressioni, dalla loro diversa vivacità e intensità, che suscitano immaginazioni e passioni. Esse non hanno bisogno né di chiarimento né di giustificazione: si danno, e la natura umana non può che registrarle. È dunque illusorio cercare la verità oggettiva e universale di un evento: ogni credenza nasce dall'abitudine o da un sentimento, non dalla ragione. Questo scetticismo non solo esclude che la ragione possa accedere alla verità metafisica o a quella dei principi a priori della matematica, ma anche che le valutazioni del sentimento siano in antitesi alla pretesa universalità delle valutazioni razionali.

Su tali presupposti si sviluppa l'indagine di Hume sulle questioni di estetica. Egli non ricerca l'essenza ideale del bello, ma studia i fondamenti psicologici del giudizio estetico, senza affrontare, perciò, le questioni specifiche del fenomeno artistico, ma quelle proprie del gusto artistico. Cosa c'è alla base del piacere o del dispiacere provocati da un'opera d'arte? Per Hume la bellezza è un piacere che si gusta, ma non come si può gustare un bicchiere di vino o una bella giornata di sole; la differenza sta nel fatto che il gusto estetico ha una sua particolare aderenza alla vita spirituale che non lo rende né un principio edonistico dell'esistenza, né un'espressione del giudizio logico. Nel saggio Of the standard of taste (1757) Hume sostiene che il piacere e il dispiacere provocano una reazione immediata del sentimento che approva o disapprova ciò che lo ha 'impressionato'. Proprio da questa realtà empirica, dall'immediatezza di queste 'cose di fatto' deve muovere l'analisi del gusto. La prima considerazione riguarda il modo in cui, nonostante la grande varietà e variabilità dei gusti, si possa comunque cogliere in essi un'apparente concordanza. Il gusto è soggettivo e noi non disponiamo di regole a priori per definire i principi oggettivi dei giudizi estetici basati sul gusto; disponiamo soltanto di criteri empirici, a posteriori, cui possiamo ricorrere per comprendere come si forma il gusto. E tuttavia, se prendiamo in considerazione le espressioni linguistiche con cui dichiariamo la nostra approvazione o disapprovazione, se ci riferiamo al sentimento comune con cui giudichiamo la qualità delle cose, ci accorgiamo che anche le soggettive e personali valutazioni di gusto posseggono una loro universalità. Hume non ha dubbi sul fatto che vi sia un'universalità del gusto: per es., a nessuno può sfuggire la differenza tra un'opera letteraria di un grande scrittore e il testo di un qualsiasi dilettante. La questione essenziale - posta da Hume e cruciale per tutta l'estetica moderna, in particolare per quella del 20° secolo - sarà trovare un fondamento alle regole del gusto in grado di spiegarci come sia compatibile la soggettività del giudizio di gusto con la sua universalità riscontrabile in molte, importanti circostanze della nostra esperienza quotidiana. I principi universali del gusto, sostiene Hume, sono uniformi nella natura umana, perché si basano sulla stessa struttura originale della nostra interiorità. È proprio questo aspetto che consente la formazione di 'modelli' del gusto utilizzati dal giudizio estetico, modelli cioè che presentano in ogni soggetto una relativa, ma significativa, uniformità. Lo scetticismo teorico, che considerava illusoria l'idea metafisica e scientifica della verità, condiziona anche il carattere empirico del gusto, che si forma sulla base dell'esperienza, della 'normalità' percettiva e della generale condivisione dei sentimenti suscitati dalle qualità dell'oggetto estetico. Esiste dunque, secondo Hume, un fondamento empirico dell'universalità del gusto, la quale perciò non deve essere cercata in un'idea platonica o in un'idea innata di tipo cartesiano, ma nelle analogie che sono proprie della struttura psichica degli uomini. C'è, insomma, una 'normalità' psichica del gusto che è analoga alla normalità biologica ('sanità'), verificabile tramite l'esperienza e il senso comune: a questi ci si deve riferire ogni volta che vogliamo comprendere il valore universale di un giudizio soggettivo di gusto. Per tale motivo ne diventa essenziale l'educazione attraverso l'attenta e ragionata osservazione dei fenomeni e mediante lo studio della realtà e del suo sviluppo storico.

Le tesi sostenute da Hume costituiscono le premesse per l'affermazione moderna sia dell'autonomia sia dell'universalità del gusto estetico, in cui giocano un loro ruolo fondamentale il sentimento del piacere e le sue fonti psicologiche originarie. Tuttavia, queste analisi empiriche che attribuivano grande importanza al senso comune, all'abitudine, all'osservazione dei fatti, e la stessa convinzione che tutti gli individui siano uguali nella loro struttura anatomica, fisiologica e psicologica, tendono ad ampliare la definizione e la funzione del gusto. Così, esso viene inserito in una problematicità più complessa che mette in gioco la sfera dell'eticità, istituendo un'essenziale relazione tra giudizio estetico e giudizio morale, la quale trova la sua origine in un identico sentimento estetico-morale. Già A.A.C. Shaftesbury, nell'opera Characteristics of men, manners, opinions, times (1711) aveva sostenuto l'identità originaria di estetica e morale, che si basava sulla presenza in esse di un analogo sentimento assiologico e valutativo. Nel suo saggio Shaftesbury ipotizzava una particolare facoltà destinata alla percezione e al riconoscimento del bello - che egli chiamava sense of beauty - ritenendo che un tale senso fosse dato a tutti. E anche F. Hutcheson, in An inquiry into the original of our ideas of beauty and virtue (1725), individuando essenziali correlazioni tra il senso del bello e il senso morale, s'interrogava sulla possibilità di distinguerli per determinare l'autonomia dell'estetica dall'etica. Arte, moralità, gusto definivano le coordinate della cultura del 18° secolo. Era questo il tempo in cui il barocco lasciava spazio allo sviluppo del rococò, accentuando la libertà immaginativa della creazione artistica, suscitando sconcerto o entusiastiche adesioni. L'arte e il gusto erano sempre più soggettivi, ma rimanevano tuttavia fermamente ancorati, quasi a garanzia del valore della tradizione occidentale, a stretti vincoli morali. Così l'arte non si dissolveva nell'anarchia dei gusti personali, ma diveniva un momento essenziale della stessa educazione morale e civile, raffinando i costumi, lo stile, il comportamento quotidiano. Gli ideali estetici, testimoniati dal giudizio di gusto, si fondevano con l'eticità della nuova raffinata borghesia settecentesca inglese (di cui Addison era stato un primo autorevole portavoce), che avrebbe trovato la sua più adeguata espressione filosofica nell'empirismo e la sua rappresentanza politica nei whigs. Il declino della ricerca metafisica - platonica e cartesiana - sull'idea di bellezza avviava tanto l'estetica quanto l'arte verso la nostra contemporaneità. Tuttavia rimaneva ancora aperta e irrisolta la questione relativa al fondamento del giudizio estetico di gusto, che Hume, soprattutto, aveva risolto empiricamente, rifiutandosi di riconoscere a esso qualsiasi caratteristica metafisica e aprioristica, affidandosi invece all'osservazione, al sentimento, all'abitudine.

Sarà I. Kant a risolvere il problema lasciato aperto da Hume e dagli altri filosofi dell'empirismo inglese. Il giudizio di gusto, osserva Kant, non è un giudizio conoscitivo, ossia logico: ciò significa che se il suo fondamento non può essere che soggettivo, esso è comunque qualcosa di più di una semplice esperienza personale piacevole. Infatti, il giudizio di gusto richiede, secondo Kant, una legislazione, una definizione di regole e principi che siano in grado di caratterizzarne la peculiare universalità. In questo modo il filosofo tedesco elabora, nella Kritik der Urteilskraft (1790), una teoria estetica che trova nel gusto il suo fondamento essenziale, non più condizionato dalla variabilità delle percezioni soggettive e sottratto a quella visione scettica che era una conseguenza della ricerca di Hume. Il gusto raggiunge così una sua necessità indipendente dalla singolarità empirica e da qualsiasi componente psicologica, mentre il piacere estetico, che è alla base del giudizio di gusto, si pensa originato dal libero gioco dell'immaginazione con l'intelletto. Il piacere non si riferisce né a una qualità dell'oggetto né a un capriccio arbitrario del soggetto, è una caratteristica universale propria di qualsiasi soggetto dotato di capacità d'immaginazione. Per questo il giudizio di gusto non ha contenuti conoscitivi, ma si costruisce liberamente attraverso il piacere prodotto dal gioco dell'immaginazione e dell'intelletto. Il gusto si esprimerà allora su ciò che è bello, come se il suo giudizio ritenesse la bellezza una qualità intrinseca all'oggetto, mentre tale giudizio è soltanto un modo in cui il soggetto si rappresenta l'oggetto. Kant, come i filosofi dell'empirismo inglese, restringe alla soggettività i confini del gusto, ma a esso attribuisce una sua particolare 'razionalità' estetica (quella determinata dal libero gioco di immaginazione e intelletto), che possiede una propria necessità e universalità. La nostra contemporaneità assimilerà le tesi kantiane, semplificandone il significato, considerando il gusto come il presupposto della valutazione personale di un'opera, di una cosa, di un avvenimento, di una situazione, ma cercando al contempo di esprimerlo con un giudizio nel quale gli elementi soggettivi appaiano con il minor peso possibile, così da poter esibire il gusto soggettivo con le caratteristiche dell'universalità e della necessità, per nulla dipendente dall'arbitrio individuale oppure condizionato dalla sfera privata dell'esistenza. Perché possa realizzarsi e diffondersi questa concezione del gusto, diviene non solo essenziale la conoscenza storica della 'cosa' su cui il gusto si pronuncia, ma anche la permanenza di un rapporto comprensibile o condivisibile tra buon senso e gusto. Proprio la crisi di tale rapporto ha introdotto nei nostri attuali giudizi estetici la nozione di Kitsch, "di cattivo gusto" (termine tedesco che in realtà significa "robaccia, scarto"), usata per testimoniare quella diffusa degradazione del gusto pubblico, prodotta dal pervasivo dominio del consumismo della nostra società, che non trova argini nella cultura, nella tradizione, nella conoscenza dei fenomeni, nell'educazione alla visione e alla percezione delle cose create dalla natura e dall'uomo.

Bibliografia

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