CAVOUR, Gustavo Benso marchese di

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 23 (1979)

CAVOUR, Gustavo Benso marchese di

Francesco Traniello

Nacque a Torino il 27 giugno 1806 da Michele e Adele de Sellon. Si formò sotto la guida della nonna Filippina de Sales, della madre e dei precettori di famiglia, l'abate Ferrero, il boemo Joseph Marschall, professore di tedesco e di botanica, e, dal 1822, l'abate Giovanni Frézet. A differenza del fratello minore Camillo, dimostrò fin dall'adolescenza indole studiosa e riflessiva, ma pure instabilità di carattere.

Anche per assicurare al primogenito una solida ed equilibrata formazione spirituale, la madre si convertì nel 1811 dal calvinismo al cattolicesimo, con l'assistenza religiosa dell'abate Tardì di tendenze blandamente gianseniste che ben si adattavano, del resto, all'austera vita dell'intera cerchia dei Cavour, dov'era mantenuta viva la devozione a s. Francesco di Sales, il gran santo di famiglia. Per parte sua, il padre del C., Michele, risentì dell'influenza del movimento di restaurazione cattolica capeggiato dagli oblati di Pio Brunone Lanteri e, in genere, del clima religioso del Piemonte della Restaurazione, nel quale si riflettevano ben note motivazioni e istanze politico-sociali. La lettura del Du Pape di J. de Maistre, che Michele giudicava "veramente sublime", fu dunque per il giovane C. una sorta di passaggio obbligato, affrontato, a quanto sembra, con gusto e interesse.

Diversi stimoli culturali e ideologici sopravvennero tuttavia a orientare il C. in senso liberale moderato (o, come diceva, "dottrinario") in campo politico, e in senso vagamente razionalista in campo religioso. È difficile datare con assoluta precisione tali nuovi orientamenti politico-religiosi; ma è lecito affermare che si trattò di un processo svoltosi nell'arco di tempo compreso tra la fine degli studi universitari (si laureò in giurisprudenza a Torino "cum laude" nel 1826) e il 1833. A tale processo contribuirono in modo preponderante sia i frequenti viaggi in Francia (del primo dei quali, avvenuto nel 1820, è conservato un diario inedito) e in Svizzera, sia i rapporti diretti ed epistolari con i parenti ginevrini, i Sellon e De la Rive, sia i suoi studi di economia politica e di filosofia.

Abbandonata quasi subito la carriera diplomatica iniziata presso il ministero degli Esteri dopo la laurea, il C. aveva trovato piena soddisfazione nello studio, al quale si era dato con accanimento; esso non escludeva un interesse vivo per le vicende politiche e sociali del tempo, seguite anzi con larghezza d'informazione e di visuale, ma già con un atteggiamento di relativo distacco, più da osservatore che da protagonista. In campo economico divenne cofivinto seguace della scuola classica, acquisendo una buona conoscenza di Smith, Ricardo e Malthus; in ambito filosofico, dove sempre più lo spingeva la sua indole, predilesse dapprima V. Cousin (ben presente nel complesso della cultura piemontese e veicolo di liberalismo moderato), accogliendone i principî eclettici, ma respingendone (come scriveva ad A. De la Rive) il "misticismo". Il prevalente interesse per la filosofia morale, che resterà il tratto dominante della sua vita, lo portòa Kant, da lui giudicato il "radicale riformatore" della filosofia, allo studio della scuola scozzese (Stewart) e, soprattutto, di T. Jouffroy, del cui saggio Du problème de la destinée humaine si ha un'eco anche nel titolo della successiva opera inedita del C.(Essai sur la destination de l'homme).

Quanto ai rapporti con i parenti ginevrini (particolarmente affettuosi e intimi furono quelli con il cugino Auguste De la Rive), essi si sostanziarono di un dialogo pressoché ininterrotto sui grandi temi politici e sociali, culturali e religiosi: i progetti di pace universale cari al de Sellon, il "risveglio" e i rapporti tra protestantesimo e cattolicesimo, la situazione politica della Svizzera e dei principali paesi europei, la possibilità d'affermazione, di un liberalismo "juste milieu" visto come contrapposto all'estremismo reazionario (ultraïsme)e a quello radicale (tanto più se tinto di socialismo), gli eventi "colossali", della rivoluzione del 1830, giudicati, dal C. con un misto di ammirazione e, di preoccupazione. A completare il quadro della sua personalità giovanile va detto dell'affiorare in lui di più specifici interessi per le questioni pedagogiche e, soprattutto, per il tema del pauperismo e della cosiddetta pubblica carità o "carità legale": in proposito il C. venne progettando e preparando un'opera di vasto respiro, per la quale aveva incominciato a raccogliere il materiale documentario, pensando di associarvi anche il fratello. Di fatto, gli anni intorno al '30 sono anche quelli in cui i legami tra il C. e Camillo si consolidarono, in una felice quanto breve consonanza di idee e d'intenti che permise loro un fecondo scambio d'esperienze, tanto più importante per il più giovane dei Cavour in quanto appartenente a un periodo di burrascosi rapporti con gli altri familiari e con l'ambiente politico piemontese (Romeo, I, pp. 238 ss.).

Servendoci delle sue stesse parole possiamo definire la figura del C. intorno al 1830 come quella di un "filantropo cosmopolita" (lettera del 6 marzo 1829 a J.-J. de Sellon, pubblicata da Schazmann, p. 212), fautore del costituzionalismo, convinto di una futura, ma non prossima, vittoria delle idee liberali in Europa, timoroso dei sussulti rivoluzionari dal basso come provocatori delle reazioni assolutiste ovvero occasione dell'avanzata del "partito livellatore, anarchista e distruttivo"; un filantropo interessato alle tematiche morali e ai dibattiti sulla religione presenti nel panorama culturale europeo e riflessi nel pensiero dei filosofi fino allora prediletti, nel quadro di una persistente religiosità aconfessionale, di tipo morale e sociale o, secondo una più tarda: definizione dello stesso C., di tipo deista (lettera inedita ad A. De la Rive del 2 sett. 1854: "J'aime bien mieux vous voir agité et tourmenté au suiet des idées chrétiennes que de vous voir tel que nous étions tous deux il y a vingt ans, froids Déistes, ne saisissant rien au dela de la nature, et même affirmant dans un orgueil insensé et coupable, que l'homme ne pouvait rien savoir au dela de ce que lui apprend l'expérience sensible et le raisonnement appliqué à cette expérience").

Nel 1826 il C. aveva sposato Adele Lascaris di Ventimiglia, la cui cospicua dote era venuta a impinguare ulteriormente i beni di famiglia; dal matrimonio, alquanto infelice, erano nati due figli, Augusto e Ainardo, e una figlia, Giuseppina. La prematura morte di Adele, il 31 dic. 1833, produsse da un lato una crisi che portò gradualmente il C. a un ritorno alla religione avita, dall'altro una notevole incrinatura dei suoi rapporti con Camillo, il quale, legato alla cognata da particolare affetto, fece colpa al C. della cattiva riuscita del suo matrimonio e dei dissapori che l'avevano diviso dalla moglie fino alla fine. Camillo non condivise inoltre i successivi orientamenti religiosi e politici del fratello.

In realtà la "conversione" del C. aveva lontane radici: vi confluivano motivazioni sentimentali e psicologiche insieme con il bisogno di un più sicuro ubi consistam di tipo filosofico e, diciamo pure, ideologico. Persisteva, infatti, al fondo della sua scelta il bisogno di una spiegazione globale e coerente del destino umano: egli cercò nel cattolicesimo e nelle sue dottrine la sicurezza di una visione del mondo che lo riequilibrasse di fronte alle rapide trasformazioni e all'impetuoso corso della storia contemporanea, verso cui provava un senso marcato di progressiva estraneità e quasi di timore. Nella religione cattolica egli ritrovava il principio d'autorità e, nello stesso tempo, il soddisfacimento del suo naturale bisogno di un "rationabile obsequium". In questo senso il punto culminante e decisivo della sua vicenda religiosa e culturale fu la conoscenza di A. Rosmini, avvenuta a Domodossola nel 1836.

Il pensiero rosminiano offrì al C. il compimento della sua aspirazione verso uncristianesimo filosofico, che gli si presentò come il completamento delle dottrine fino allora professate, il segno della riconciliazione tra fede e ragione. Dedicandosi con fervore allo studio e alla diffusione della filosofia rosminiana ne intraprese l'esposizione e l'apologia. Sotto lo stimolo del rosminianesimo compì nel 1837-38 la stesura dell'ampio Essai sur la destination de l'homme.

Rimasto inedito, l'Essai contiene molti spunti sviluppati nei successivi scritti filosofici e morali. Si tratta di un'opera somigliante, per taglio e interessi, alle Osservazioni sulla morale cattolica del Manzoni; ne risulta una visione del cristianesimo amico del progresso giudizioso e la convinzione di una prossima rinascita cattolica dell'Europa come conseguenza della diffusione del, liberalismo moderato a sfondo religioso, dell'adeguamento della Chiesa alla realtà moderna e di un naturale confluire verso la dottrina cattolica dell'economia politica di stampo liberale. Lo scritto è importante come documento dell'etica cattolico-borghese del secolo scorso.

Nello stesso periodo iniziò la collaborazione del C. alla Bibliothèque universelle de Genève, in cui pubblicò una recensione al Saggio sulbuon governo della mendicità di I. Petitti di Roreto (1837, IX, pp. 225-35) e tre articoli dedicati alla filosofia rosminiana (Des ouvrages philosophiques de M. l'abbé Rosmini, 1837, XI, pp. 5-32 e 1838, XIV, pp. 5-15; De l'état actuel de la philosophie morale. Philosophie de la morale par A. Rosmini, 1838, XV, pp. 2, 1736), rifusi poi nel volume Fragmens philosophiques, Torino 1841.

Nei Fragmens i precedentistudi su Kant, Cousin e Jouffroy venivano ampiamente messi a frutto, in una cornice rosminiana, allo scopo di dimostrare come la "vera filosofia" moderna tendesse ad aprirsi alla "possibilità della fede", a rappresentare, in certa misura, una nuova forma di preambula fidei, in conseguenza dell'avvenuto superamento del sensismo e del razionalismo settecenteschi. A giudizio del C. la crisi del razionalismo offriva uno spazio aperto alle verità della fede, che pur definite, con termine vinetiano, "non evidenti", riguadagnavano un loro valore razionale come risposta ai grandi interrogativi dell'esistenza, soprattutto nel campo morale. Sempre nella Bibliothèque universelle de Genève il C.pubblicò nel 1845 (LVII, pp. 5-23)una recensione all'Histoire des rèvolutions de la philosophie en France del duca Charles de Caraman.

L'ammirazione per Rosmini e per il suo "cristianesimo razionale" (che il C. considerava per esempio agli antipodi del pensiero di Lamennais) fece sorgere in lui la segreta speranza che una conoscenza diretta del prete di Rovereto potesse riportare anche, Camillo all'ortodossia cattolica. Di tutt'altro avviso si mostrò quest'ultimo, il quale si limitò a entrare con Rosmini in rapporti d'affari contraendo con lui un cospicuo prestito nel 1842, tramite il C. (che, a sua volta, già aveva venduto una tenuta al Roveretano).

Il rosminianesimo del C., che agli occhi di Camillo aveva assunto l'aspetto di un vero fanatismo, contribuì addirittura ad allontanare maggiormente i due fratelli, come risultò in occasione della polemica tra la "scuola" rosminiana e V. Gioberti.

Questi aveva mostrato inizialmente di apprezzare i Fragmens, pur deprecando che fossero scritti in francese. Ma all'inizio del 1843 la pubblicazione sull'Univers di un articolo sulla filosofia italiana (anonimo, ma scritto da un amico del Gioberti, il diplomatico inglese A. Craven) offrì al C. l'occasione per un violento attacco antigiobertiano, seguito dall'inevitabile risposta dello stesso abate piemontese. L'episodio s'inseriva nella velenosa polemica ormai in atto tra i rosimmani e Gioberti. Va peraltro notato che tale attacco per molti versi ingeneroso trovava la sua vera motivazione nel timore che le critiche giobertiane alla filosofia di Rosmini, affiancandosi a quelle di parte gesuitica, ostacolassero la penetrazione del rosminianesimo in Francia, cui il C. si mostrava personalmente interessato: a lui risale il finariziamento della traduzione in francese del Nuovo saggio sull'origine delle idee (come risulta da una lettera inedita al C. dell'abate H. de Valroger, del 26 nov. 1844).Alla traduzione pubblicata a Parigi nel 1844 e accolta in genere con positivi apprezzamenti da parte della stampa cattolica, come l'Ami de la religion, il C. premise un'ampia introduzione; vi confermava il proprio convincimento che il pensiero rosminiano segnasse l'avvio della ricostruzione di una filosofia cristiana capace di presentare all'uomo moderno, fornito di sottili strumenti dialettici e abituato a muovere costantemente dal dubbio cartesiano, un corpo di dottrine annoniose e coerenti, in cui i dati della rivelazione venivano a porsi come logico corollario e necessario compimento dei dati razionali e naturali.

Nello scontro tra il C. e Gioberti, verificatosi durante un soggiorno parigino dei due fratelli Cavour, intervenne Pietro De Rossi di Santarosa, amico dei due contendenti, il quale tentò, imitilmente d'indurre il C. a una ritrattazione, premendoanche su Camillo perché agisse sul fratello in questo senso. Camillo rispose con la famosa lettera del 3 febbr. 1841, in cui confessava che l'avvenuto passaggio del C. dalle posizioni di "filosofo liberale" a quelle di "teologo filosofo" aveva ormai spezzato tutti i legami tra le loro due intelligenze.

Un'importante testimonianza delle nuove idee del C. e, insieme, degli appassionati dibattiti ginevrini in materia religiosa è data dall'opuscolo, Théophile. Dialogue sur quelques points controversés entre les catholiques et les protestants (Genève 1845), scritto su richiesta di madame Blanche Naville. Oggetto del libro: la dottrina dei sacramenti, come elemento qualificante del cattolicesimo, il rapporto tra autorità della Scrittura e autorità della Chiesa, la previsione di una futura dissoluzione del protestantesimo, destinato a cadere nel razionalismo o a riconoscersi nel cattolicesimo.

All'inizio del 1846 apparve nella Bibliothèque universelle de Genéve lo scritto più noto del C., Des idées communistes et des moyens d'en combattre le développement (n. s., I, pp. 5-39), che fu erroneamente ripubblicato nel 1855 tra gli Ouvrages politiques-économiques del fratello Camillo (Flori).

Si trattava di un'intepretazione dei collegamenti tra la diffusione delle idee del socialismo utopistico (Saint-Simon, Owen, Fourier) e i contemporanei movimenti di rivolta e di lotta sociale, come il luddisino, i canuts di Lione, il cartismo e così via. Ricercando i motivi di principio della diffusione del "comunismo" il C. li riportava allo stato dello sviluppo intellettuale della società europea e li riassumeva, in primo luogo, nella tendenza a considerare prevalente, a livello collettivo, il diritto naturale alla sopravvivenza rispetto a quello sociale della proprietà (considerati come antinomici in senso kantiano), e, in secondo luogo, nella tendenziale identificazione del fatto con il diritto per opera della più recente filosofia germanica (Hegel), tale da condurre alla legittimazione della forza materiale e della potenza fisica, dell'interesse delle masse rispetto ai diritti individuali. Ciò posto, la contrapposizione al comunismo doveva svolgersi, a parere del C., non sul piano della repressione ma piuttosto sul piano ideale, morale e culturale, mediante la diffusione di sani principi, attinenti l'ordine metafisico, tra le classi dirigenti, e attinenti l'economia politica (le cui idee sono i in armonia con il senso comune") tra le masse popolari: gli uni e gli altri principi permettono di svelare il carattere utopico e l'impraticabilità del comunismo e ne sono la più radicale confutazione.

La propensione del C. a considerare gli eventi dall'alto di un atteggiamento metafisico e la sua radicata incapacità all'azione vennero accentuandosi con il '48 e gli anni successivi. La morte del primogenito Augusto nella battaglia di Goito contribuì a rinchiudere ancora di più il C. nella sua solitaria meditazione, a farne un uomo sospettoso, non privo di manie e di inquietanti sbalzi di umore. Nell'insieme, egli guardò con un atteggiamento misto di ammirazione, di critica e di preoccupazione alla vorticosa attività politica del fratello, di cui spesso gli sfuggiva la logica.

Egli divenne sempre più isolato, pur partecipando, con indiscusso prestigio, ad alcune significative battaglie politico-culturali dell'epoca.

Nel 1848 fu tra i fondatori e i direttori dell'Armonia della religione colla civiltà, il noto giornale torinese partito da posizioni clerico-conservatrici, ma costituzionali, per finire su posizioni di spinto intransigentismo cattolico. La funzione del C. nella redazione dell'Armonia fu nettamente moderatrice e ispirata a principi di cauto separatismo e di moderato liberalismo. Ciò mostrano i suoi interventi sulla libertà di coscienza (27 giugno 1849), la difesa del fratello in occasione del caso Santarosa (23 ag. 1850: ma Camillo mostrò di non gradire affatto le argomentazioni del fratello, assai critico verso il comportamento del governo nei riguardi del vescovo Franzoni), i quattro articoli Sulla separazione della Chiesa dallo Stato (2, 6, 11, 13 nov. 1850), di sostanziale, anche se non acritico, appoggio alle tesi del Melegari, giudicato "schiettamente religioso e sicuro cattolico", e, infine, i due articoli Del matrimonio civile (5 e 7 febbr. 1851), fondati sulla contrapposizione del sistema liberale anglosassone, sancito dalle leggi Peel in materia matrimoniale, al "sistema francese" che gli pareva ispirare i progetti governativi piemontesi.

Il cauto separatismo del C. in quegli anni cruciali per la politica ecclesiastica piemontese finirono per renderlo sospetto ai clericali e a farne un pesce fuor d'acqua nelle file dell'Armonia. Lo stesso Rosmini, occasionale collaboratore del giornale, tendeva ad attenuare la portata delle idee del C. (vedi la lettera del 18 nov. 1850, in Epistolario di A. Rosmini, XI, p. 142, e l'appendice dello stesso C. agli articoli sulla separazione, pubblicata il 9 dic. 1850 sull'Armonia), e intervenne a correggerne le tesi in campo matrimoniale.

Le inevitabili dimissioni del C. dalla direzione dell'Armonia furono motivate con una lettera pubblicata dal Risorgimento del 4 maggio 1851 e dall'Armonia del 5 maggio: l'autore si richiamava all'impronta anticostituzionale assunta dal giornale e all'inurbana sua polemica con gli scrittori del Risorgimento (vedianche la lettera al Rosmini del 13 maggio 1851, in Rivista rosminiana, LIV [1960], pp. 291-92).

Eletto alla Camera dei deputati per la IV legislatura (fu poi rieletto fino all'VIII, legislatura) il C. ebbe modo di ripresentare le proprie critiche al disegno di legge sul matrimonio civile intervenendo nella discussione parlamentare il 2 luglio 1852, e con l'articolo Del matrimonio in relazione col diritto pubblico dei popoli liberi, pubblicato sul Cimento del 1852 (I, pp. 591-603).

Alla fondazione del nuovo periodico, forse il più significativo nel Panorama culturale del Piemonte, egli aveva direttamente partecipato nel 1852, cercando di dargli un indirizzo cattolico-liberale (lettera relativa alla Civiltà cattolica, frutto della collaborazione del C. con Minghetti, in Il Cimento, I[1852], pp. 336 ss.) e di conservargli poi tale impronta nei riguardi di altre affioranti tendenze, in specie quella neohegeliana dello Spaventa. Nel Cimento il C. pubblicò anche il Saggio sui principii della morale (ibid., pp. 3-22, 129-52) poi in opuscolo (Torino 1852): conteneva tra l'altro una garbata polemica con il filosofo G. M. Bertini a proposito della filosofia rosminiana. Sempre in difesa del Rosmini il C. intervenne alla pubblicazione dell'opera di V. d'Ondes Reggio, Introduzione ai principii delle umane società, con due lettere aperte pubblicate nel giornale La Patria del 15 marzo e del 22 apr. 1856 (poi riprodotte in appendice all'opera citata) e quindi con due altre lettere al Reggio, da lui rese pubbliche in una nota del suo scritto Sulla necessità della instaurazione de' principii filosofici in generale, e de' morali e politici in particolare (prolusione al corso di diritto costituz. dell'anno acc. 1857-58, ripubbl. in Saggi di filosofia civile tolti dagli Atti dell'Accademia di filosofia it., Genova 1861, III, pp. 153-260). Il dissenso tra i due autori, concordi nel sostenere una concezione dello Stato custode dei diritti naturali, e in specie di quelli individuali, verteva sulla teoria dell'"utilità onnicomprensiva" del Reggio, che pareva al C. eccessivamente impregnata di utilitarismo e di economicismo; all'opposto, la dottrina etico-politica di matrice rosminiana sembrava al Reggio impregnata d'ontologismo e incapace di produrre una concreta determinazione dei doveri etici in norme giuridiche.

Nonostante le sporadiche e occasionali "distrazioni" politiche, anche il decennio '50-60 fu per il C. periodo di studi filosofici e teologici. Egli trovò piena rispondenza ai propri più profondi interessi nei frequenti soggiorni a Stresa, ospite del Rosmini, fino, alla morte di quest'ultimo (1855). Di quelle appassionate discussioni del cenacolo rosminiano ha lasciato ampia testimonianza R. Bonghi nelle sue Stresiane. Anche negli scambi epistolari con A. De la Rive, fattisi in quel tempo più fitti, il C. ebbe modo di sviluppare gli argomenti che gli erano più congeniali: il separatismo, i destini religiosi dell'Europa, la libertà di coscienza, oltre a temi di carattere scientifico (l'elettricità, il magnetismo) di cui era cultore lo stesso De la Rive.

Nel 1855 partecipò all'opposizione contro la legge sullo scioglimento degli Ordini religiosi contemplativi, pur scorgendo in quel provvedimento una sorta di "necessità fisica" e riconoscendo al ministero presieduto dal fratello un atteggiamento di moderazione e di coerenza. Allo stesso modo si dichiarò contrario all'intervento piemontese in Crimea. Nel 1858 gli venne affidato lo studio di un disegno di legge per la trasformazione in proprietà dei diritti d'uso sul beni feudali in Sardegna. Nel medesimo anno pose mano alla stesura di un trattato morale, Elementi di etica, rimasto incompiuto e inedito.

Neppure di fronte agli eventi dell'unificazione nazionale rinunciò al proprio consueto distacco, né al proprio moralismo: intravvide tuttavia con acutezza le conseguenze dell'unità nazionale sul potere temporale dei papi e in genere sulle condizioni religiose dell'Italia. Sfavorevole alla guerra contro l'Austria per motivi umanitari e per timore di più ampi sommovimenti, ritenne giustificato il comportamento di Napoleone III a Villafranca, accolse come "pillola amara", la successiva cessione della Savoia, ma abbracciò poi le tesi unitarie, convinto che ne avrebbero tratto maggior forza le idee liberali in Europa. Preoccupato della situazione di Pio IX, che giudicava animo candido ma debole, ebbe parte notevole nelle trattative Pantaleoni-Passaglia, collaborando con il fratello nel tenere i contatti con il Passaglia (N. Bianchi, VIII, pp. 446-47 e documenti pp. 704-706) nella prospettiva di una volontaria rinuncia del pontefice, al potere temporale.

Nel 1861 venne aggregato alla facoltà di lettere e filosofia dell'università di Torino. Nel 1862 fu presidente del comitato italiano e poi commissario generale del Regno d'Italia presso l'esposizione internazionale di Londra, di cui preparò una relazione al ministero d'Agricoltura, Industria e Commercio, con la collaborazione di G. De Vincenzi (Londra 1862). Nel 1863 fu vicepresidente della Società italiana d'economia politica.

Morì il 26 febbr. 1864 a Torino. Postuma vide la luce, a cura della figlia, la prima parte di un'opera filosofico-pedagogica, Instructions familières d'un père à ses enfants sur la religion et la morale (Paris 1865); la seconda parte, inedita, è conservata manoscritta nell'archivio di Santena.

Fonti e Bibl.: I due fondi più consistenti di carte relative al C. sono costituiti dal suo archivio, molto incompleto e non ordinato, conservato a Santena, e dalla raccolta delle sue lettere ai De la Rive, in Bibliothèque publ. et univen. de Genève, Ms. Fr. 2322 (vedi in proesito P. Guichonnet, Veus nouvelles sur la famille Cavour d'arès les papiers de la Rive, in Bull. de la Société d'hist. et d'arch. de Genève, X (1951-55), p. 401). Hanno pubblicato lettere del C. a J.-J. de Sellon: P.E. Schazmann, Un carteggio inedito di G. di C., in Arch. stor. della Svizzera ital., XVI (1194), pp. 203-23, ed E. Passerin d'Entrèves, J.-J. de Sellon (1782-1839) e i fratelli G. e Camillo di Cavour di fronte alla crisi politica europea del 1830, nel volume Ginevra e l'Italia, Firenze 1959, pp. 671-99; lettere inviate ad A. De la Rive: P. Guichonnet, G. di C. a la question italienne en 1859-61, in Cahiers d'histoire, V(1960), pp. 369-82; lettere a Rosmini: G. Gaddo (poi A. Valle), Lettere ined. del marchese G. di C. al Rosmini, in Riv. rosminiana, XXX (1936), pp. 59 ss, 147 ss., 252 ss.; XXXI (1937), pp. 67 ss., 131 es., 211 ss.; XXXIII (1939), pp. 117 ss.; XXXIV (1940), pp. 127 ss.; XXXVI (1942), pp. 84 ss., 131 ss.; XL (1946), pp. 28 ss.; XLI (1947), pp. 70 ss.; XLIII (1949), pp. 39 ss.; XLIV (1950), pp. 203 ss.; LI (1957), pp. 269 ss.; LII (1958), pp. 56 ss., 114 ss., 283 ss.; LIII (1959), pp. 187 ss.; LIV (1960), pp. 291 ss.; LV (1961), pp. 53 ss., 202 ss., 313 ss.; lettere al fratello Camillo: C. Cavour, Epistolario, I, a cura di M. Avetta, II-III, a cura di C. Pischedda, Bologna 1962-68 e Firenze 1974, ad Indices, e F. Traniello, Cattolicesimo conciliatorista, Milano1970, pp. 246 s.; lettere a C. Passaglia: N. Bianchi, Storia documentata della diplom. europea in Italia dall'anno 1814 all'anno 1861, VIII, Torino 1872, pp. 704-706; lettere a vari: [G. Berti], Quattro lettere ined. di G. di C., in Società, IV(1948), pp. 239-46. N. inoltre: C. Cavour, Lettere edite ed inedite, a cura di L. Chiala, I-VII, Torino 1883-87, ad Indices (per gli anni non ancora compresi nell'ediz. dell'Epistolario cit.); C. Cavour, Diario inedito, con note autobiografiche, a cura di D. Berti, Roma 1888, passim; R. Bonghi, Le Stresiane, in Per A. Rosmini nel I centenario della sua nascita, II, Milano 1897; E. Solmi, La controversia di Vincenzo Gioberti con il rosminiano G. B. di C., in Boll . stor-bibl. subalpino, XV(1911), pp. 331-353; L. C. Bollea, Briciole cavouriane. C. Cavour e le dispute fra V. Gioberti e i rosminiani, ibid., pp. 354-372; A. Colombo, Nuovi documenti sulla controversia rosminiana tra V. Gioberti e G. di C., in Rass. stor. del Risorg., V(1918), pp. 513-394; E. Flori, Il marchese G. B. di C. e le sue idee sul comunismo, in Emporium, LV (1922), pp. 211 ss. (poi nel volume Influssi e fortune d'uomini e di idee, Milano 1926, pp. 331 ss.); G. Balsamo Crivelli, Nuovi documenti sulla polemica di V. Gioberti con G. 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Mastellone, Victor Cousin e il Risorgimento ital., Firenze 1955, pp. 155-157 e passim; E. Passerin d'Entrèves, G. di C. e le idee separatiste nel dibattito politico-religioso del 1850-52, in Rass. stor. del Risorg., XLVIII(1961), pp. 645-62; Id., Tradizioni regalistiche e tendenze alla separazione tra Chiesa e Stato in Piemonte fra il 1850 e il 1852, nel vol. I cattolici e il Risorgimento, Roma 1963, pp. 65-78; C. Bergamaschi, Bibliografia degli scritti editi di Antonio Rosmini, I-II, Milano 1970, ad Indicem (nel vol. II sono elencate tutte le lettere del Rosmini al C. pubbl. in A. Rosmini, Epistolario completo, I-XIII, Casale 1887-94); A Saitta, Sinistra hegeliana e Problema ital. negli scritti di A. L. Mazzini, Roma 1968, pp. 285 ss.; R. Romeo, Cavour e il suo tempo I, 1810-1842, Bari 1969, ad Indicem; II,12, 1842-1854, ibid. 1977, ad Indicem; F. Traniello, Cattolicesimo conciliatorista. Religione e cultura nella tradizione rosminiana lombardo-piemontesi, (1825-60), Milano 1970, ad Indicem; Diz. dei Risorg. naz., II, p. 646; Enc. Ital., IX,p. 585; Enc. Catt., III, coll. 1121-22; Enc. filosof., I, coll.1323-24.

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