GUIDI, Guido

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 61 (2004)

GUIDI, Guido

Marco Bicchierai

Unico figlio maschio del conte Simone - figlio minore del conte Guido detto il Vecchio - e di sua moglie, della quale non conosciamo il nome né il casato. La nascita del G., probabilmente il primo a intitolarsi conte di Battifolle, dovrebbe collocarsi fra 1255 e 1260: non sembra infatti che nel 1273 il padre l'avesse associato a sé nei patti di riconciliazione con la città di Firenze, mentre l'anno successivo insieme col padre anche il G. aderì all'alleanza stipulata con il Comune di Firenze e la Parte guelfa.

A tale scelta di parte, che il padre aveva compiuto piuttosto tardi e forse sull'onda anche di motivi personali, il G. rimase sostanzialmente fedele, divenendo uno fra i principali esponenti dei conti Guidi di fede guelfa. Con la morte piuttosto precoce del padre fu il G. a giurare nel febbraio 1281 di osservare, in quanto esponente dei Guidi aderente alla Parte guelfa, la pace fra le fazioni fiorentine promossa dal cardinale Latino Malebranca, legato del papa. Pochi mesi prima, nell'ambito del processo di pacificazione, si era anche esposto come garante per un prestito contratto con i Cerchi dal cugino Manfredi figlio di Guido Novello.

Proprio la sua posizione politica dovette procurargli la nomina a podestà a Città di Castello dalla primavera del 1281 all'inizio del 1282. Grazie all'educazione militare tipicamente riservata ai giovani dei conti Guidi e alla fedeltà dimostrata da lui e dal padre alla Parte guelfa, gli fu quindi affidato nel giugno 1282 l'incarico di guidare il contingente inviato dal Comune di Firenze in aiuto di Carlo d'Angiò re di Sicilia che muoveva contro la Sicilia in rivolta. Un contingente cospicuo, 600 cavalieri, e prestigioso, in quanto ne facevano parte 50 cavalieri fra i più insigni della città e 50 giovani delle principali famiglie di Firenze che partecipavano all'impresa nella speranza di ottenere il titolo cavalleresco.

Probabilmente la gioventù e l'ambizione del G. e di molti dei fiorentini portarono il contingente a distinguersi nell'assedio di Messina per ricchezza (spiccava nel campo la tenda di seta con l'emblema del Comune) ma soprattutto per valore, ottenendo appunto molti titoli di cavaliere. La guerra, tuttavia, si risolse rapidamente in un insuccesso e quindi i cavalieri fiorentini tornarono subito in Toscana.

Nei primi mesi del 1283 il G., come proprietario di un quarto del castello di Modigliana, dava a Bernardo di Languisel, legato pontificio in Romagna, il suo consenso per la demolizione del castello, iniziativa rivolta sostanzialmente contro il cugino Manfredi Guidi e i parenti del ramo di Modigliana e che, tuttavia, non fu attuata per l'opposizione del papa.

Nel primo semestre del 1285 il G. venne chiamato alla carica podestarile di Siena, ma continuò a mostrarsi legato ai vertici guelfi fiorentini: infatti, durante il mandato, ottenne dal Consiglio del Comune senese di andare a Firenze a trattare in segreto l'invio di un contingente senese a Pisa, che avrebbe fatto comodo alla parte guelfa, ma tradito nella sostanza l'alleanza in corso fra Firenze e Genova.

Il suo ufficio a Siena si segnalò altresì per l'acquisto del castello di Campagnatico, i cui diritti furono comprati dalla famiglia Gallerani, e per l'inizio dell'assedio al castello di Poggio Santa Cecilia che si era ribellato al Comune ed era divenuto luogo di raccolta di esponenti di famiglie ghibelline bandite da Siena e da altre città - fra cui la stessa Firenze -, sostenute da Guglielmino degli Ubertini vescovo di Arezzo. A tale assedio, divenuto politicamente significativo, il G. continuò probabilmente a partecipare, come alleato di Siena al pari di altri esponenti guelfi dei Guidi, anche dopo la fine del mandato, fino alla sua presa nell'aprile 1286.

Nel febbraio 1287 il G. riuscì a ottenere da papa Onorio IV una bolla che scagionava e riabilitava il padre dall'accusa di aver favorito vent'anni prima gli assassini di Roberto García vescovo di Silves e, avendo ottenuto anche analoghe assoluzioni dai giudici fiorentini, poté anche ricostruire le fortificazioni del castello valdarnese di Ganghereto che erano state smantellate a seguito di tale episodio.

Quindi, probabilmente, continuò con propri contingenti a prendere parte alle campagne fiorentine contro Arezzo nel 1288: poiché a lui fu affidato di stabilire il riscatto per i prigionieri fatti dal ghibellino Uberto dei Pazzi poi arresosi, se ne dovrebbe dedurre che fosse presente nell'esercito protagonista delle scorrerie nel Valdarno superiore. Non sappiamo invece se partecipò, l'anno seguente, alla campagna che doveva portare alla vittoria guelfa nella battaglia di Campaldino: se infatti si ha, da un lato, il suo continuo impegno in armi per la parte guelfa, dall'altro risulta strano che - qualora fosse stato presente - le cronache non vi abbiano fatto cenno.

Con ogni probabilità il G. non fu presente invece nella campagna del 1290 contro i castelli del conte Guido Novello in Valdarno e in Casentino, molti dei quali erano in quota parte anche suoi; anzi tentò inutilmente di evitare nel giugno, con una lettera al podestà Rosso Gabrielli, che le milizie fiorentine smantellassero le fortificazioni del castello di Poppi. Ottenne peraltro nel dicembre 3000 fiorini d'oro come risarcimento del danno subito. Probabilmente, negli anni successivi, investì tale somma proprio nel castello e nel palazzo di Poppi - formalmente ancora diviso in quote parte fra vari rami della famiglia - quando poté assumerne il controllo, dopo che per alcuni mesi sembra vi avessero posto base altri due conti Guidi guelfi, Guido Salvatico e Tancredi di Modigliana. Al G. si deve quindi l'aver fatto completare il castello-palazzo di Poppi nella forma attuale.

Forse impegnato a Poppi e a prendere il controllo dei castelli ereditati dal padre, il G. non sembra aver partecipato alla guerra contro Pisa, mentre rafforzò i legami politici con i guelfi più intransigenti: nell'aprile 1295 lo vediamo pertanto, nonostante le ingenti spese che doveva sostenere per i suoi castelli, concedere un prestito di 3000 fiorini ai guelfi di Arezzo che non erano voluti rientrare in città. Egli stesso, tuttavia, fu in seguito costretto a indebitarsi in modo cospicuo presso i banchieri fiorentini; in particolare aveva accumulato con il banco degli Scali un debito che non poteva più sperare di saldare. Perciò nell'aprile 1300 ottenne dai Consigli cittadini la licenza di cedere ai propri creditori, per sanare il debito, il castello di Vespignano in Mugello con tutti i suoi diritti e fedeli.

Probabilmente anche la non florida situazione finanziaria ebbe il suo peso proprio in quell'inizio Trecento nel portare il G. ad appoggiare il tentativo di un colpo di mano in Firenze da parte dei sostenitori dei Donati: il suo creditore principale Manetto Scali era infatti uno dei cerchieschi che potevano essere banditi e inoltre al G. era stata offerta una consistente somma in fiorini. Ma sicuramente giocarono anche altri fattori: da un lato l'azione di papa Bonifacio VIII che, proprio pensando di servirsi del G. per un'azione dei guelfi neri a Firenze, aveva fatto in modo che a uno dei suoi figli venisse concesso un canonicato nella chiesa fiorentina di S. Apollinare; dall'altro il legame di parentela che si era stretto fra il G. e Giovanni Paolo, detto Musciatto, Franzesi - potente consigliere di Carlo di Valois - che aveva sposato una figlia del G., Francesca. In ogni caso il G. e un suo figlio (probabilmente Carlo) si accordarono con Simone dei Bardi che era venuto appositamente in Casentino: al momento opportuno, nel giugno 1301, padre e figlio con una schiera di loro armati sarebbero giunti in città e avrebbero dato peso decisivo a un tumulto fatto scoppiare all'interno dai Donati e dai loro seguaci. Tuttavia la trama fu scoperta e il G., con suo figlio e con Simone dei Bardi, fu condannato al bando. Ma, poiché nel novembre 1301 i neri presero ugualmente il potere, tali bandi non ebbero alcun effetto. Anzi nel giugno 1302 il Comune di Firenze chiese l'aiuto militare del G. per andare in guerra contro Pistoia e questi vi inviò sollecitamente propri armati sotto il comando del figlio Carlo.

Non sappiamo quindi se il G. sia stato poi impegnato negli scontri contro i fuorusciti bianchi. Nel giugno-luglio 1310, comunque, al G. dovettero giungere ambasciatori di Enrico VII di Lussemburgo, che preparava la sua discesa in Italia, per richiederne la fedeltà ed egli sembrerebbe aver dimostrato la sua disponibilità.

Al periodo fra l'estate 1310 e la primavera 1311 si fa tradizionalmente risalire anche un soggiorno di Dante in Casentino, ospite in primo luogo proprio del G. a Poppi. Qui Dante avrebbe scritto, per conto della contessa Gherardesca - più probabilmente figlia di Ugolino che non di Gherardo Della Gherardesca - moglie del G., tre epistole latine indirizzate a Margherita di Brabante moglie di Enrico VII (D. Alighieri, Epistole, VIII, IX, X) e forse anche le due lettere, queste a nome proprio, dirette una all'imperatore e l'altra ai Fiorentini (ibid., VI, VII, per le quali si è ipotizzata però anche una possibile residenza a Pratovecchio o a Porciano, sempre in Casentino). L'atteggiamento politico del G. in questo caso non appare chiaro: è possibile che fosse effettivamente favorevole a un imperatore che riacquistasse potere in Italia, poiché poteva portare vantaggi alla casata, o che sentisse ancora vigente il legame feudale con l'Impero, o ancora che come altri conti Guidi guelfi prendesse tempo per valutare la situazione. Sicuramente la linea di aperta ostilità di Firenze a Enrico VII dovette complicare le cose e non è da escludere anche che alcuni esponenti della classe dirigente guelfa entrati in rapporto con il G. avessero fatto pressioni su di lui (egli, quindi, proprio per sfuggirle, potrebbe aver fatto sollecitare Enrico VII da Dante).

Comunque sia, quando nella primavera del 1312 Enrico VII giunse a Pisa, il G. aveva già deciso di tornare alla sua tradizionale alleanza con Firenze. Così oltre a inviare uomini a Firenze assediata, quando Bernardino da Polenta, che combatteva per i Fiorentini, prese in ottobre il castello di Ganghereto, da lì, il G. e Ruggero dei conti Guidi di Dovadola, con uomini loro fedeli, si misero a ostacolare le comunicazioni e i possibili rinforzi provenienti al campo imperiale da Arezzo.

Per questa ragione, agli inizi del 1313, sia il G. sia Guido Salvatico Guidi vennero da Enrico condannati per fellonia e teoricamente privati di tutti i loro feudi imperiali. Ma l'alleanza con Firenze tornò subito utile, visto che il governo cittadino si impegnò nello stesso anno a far desistere il vicario di re Roberto di Napoli dal molestare i beni e gli uomini del G. in Romagna e specificamente nel castello di Modigliana. Nel 1315 il G., avendone avuta richiesta, inviò nuovamente un contingente di suoi uomini a rinforzare l'esercito fiorentino che muoveva contro Uguccione Della Faggiuola affidandolo al figlio Carlo. Questi, che già si era distinto in armi e incarichi politici per la parte guelfa, morì appunto combattendo il 29 agosto nella battaglia presso il castello di Montecatini che si risolse in un disastro per i Fiorentini.

Nell'ottobre 1316 al G. fu invece chiesto da Roberto d'Angiò, re di Napoli, che aveva assunto la temporanea signoria su Firenze, di andare in città come suo vicario e con la sua esperienza riprendere in mano la situazione interna che era sfuggita al suo precedente inviato Bertrando Del Balzo (de Baux). Il G., che seppe muoversi bene, tenne l'incarico per un anno mantenendo la tranquillità in città e contenendo il malumore che aveva provocato l'attività del bargello Lando da Gubbio nel periodo del suo predecessore. Terminato l'incarico re Roberto, soddisfatto probabilmente dell'operato del G., lo inviò pochi mesi dopo, sempre come suo vicario, a Genova, dove però il G. era un estraneo e per di più dovette affrontare i tentativi di rientro dei fuorusciti, per cui tale secondo vicariato fu tutt'altro che pacifico.

Tornato in Toscana il G. si ritirò a Poppi e affidò probabilmente ogni attività politica ai figli Simone e Ugo, pur rimanendo formalmente il capofamiglia. Come tale infatti fu nominato erede principale dal conte Guido Novello (II) che ne aveva sposato la figlia Parta e che morì nel 1320 senza figli legittimi.

Il G. morì fra 1322 e 1323 a Poppi, nell'Aretino, e, con ogni probabilità, venne sepolto nell'arca di famiglia nell'abbazia di S. Fedele.

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