BRANDOLINI, Guido

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 14 (1972)

BRANDOLINI, Guido

DDe Caro

Primogenito di Cecco, conte di Valmareno, e di Filippa Trissino, con i quali aveva inizio il ramo veneto - tuttora esistente - dell'antica famiglia romagnola dei Brandolini, nacque presumibilmente nel 1452. Un'illustre, plurisecolare tradizione familiare lo destinava al mestiere delle armi, e dal padre, caduto combattendo in qualità di condottiero al servizio di Venezia nella sfortunata campagna della Morea contro i Turchi, ereditava un rapporto di fedeltà verso la Repubblica veneta che egli stesso avrebbe ulteriormente rinvigorito partecipando con onore alle campagne militari di fine secolo nella Terraferma.

Nel 1464, alla morte di Cecco, il B. assunse, insieme con i fratelli minori Ettore e Gianconte, la signoria di Valmareno. Non si hanno notizie precise sulle sue prime esperienze militari. Nel marzo del 1476 otteneva dal doge di Venezia, insieme al fratello Gianconte, l'autorizzazione, resa necessaria dalla qualità di suddito della Repubblica, a prendere liberamente qualunque condotta militare fuori dello Stato: se ed in che termini il B. ed il fratello approfittassero della concessione non è tuttavia possibile sapere allo stato della documentazione; è probabile che i due Brandolini entrassero al servizio del duca di Milano Galeazzo Sforza. Dovette trattarsi, comunque, di una breve parentesi, perché tutte le successive notizie suIrattività militare del B. e dei suoi fratelli li vedono al servizio veneziano.

Il primo episodio militare per il quale è ricordata la partecipazione del B. è la cosiddetta guerra di Ferrara, che dal 1482 oppose il ducato di Milano e gli Estensi alla Repubblica di Venezia, a causa delle pretese di quest'ultima su Rovigo ed il Polesine. Insieme con il fratello Gianconte, il B. combatté dapprima nel Bresciano contro gli Sforzeschi, quindi nel Ferrarese, sul fronte principale della guerra, contro l'esercito della lega al comando del duca di Urbino. Ma i servizi militari dei signori di Valmareno dovevano rivelarsi preziosi per la Repubblica di Venezia specialmente nella lunga, aspra contesa contro gli Asburgo.

Era la stessa posizione geografica del loro feudo a rendere eminente il contributo militare dei conti Brandolini, poiché la Valmareno costituiva una delle principali vie di accesso alla Marca Trevigiana dai domini meridionali della casa d'Austria, e, d'altra parte, era una base di prima importanza nelle operazioni militari di Venezia per il dominio del Friuli, come si sarebbe visto soprattutto nelle fortunate campagne di Bartolomeo d'Alviano. Da questa stessa condizione di feudatari di confine, continuamente esposti non soltanto alle incursioni ed alle rappresaglie dei potenti vicini tirolesi, ma minacciati nella stessa sopravvivenza della loro signoria dalle esplicite pretese degli Asburgo al dominio della valle, i signori di Valmareno erano soprattutto indotti al loro assiduo rapporto di fedeltà verso la Repubblica veneta, da cui soltanto potevano attendersi protezione: questo spiega perché nei loro impegni verso Venezia essi non conobbero mai esitazioni e ripensamenti, nemmeno quando le sfortunate vicende della Terraferma veneziana moltiplicarono gli episodi di defezione tra i sudditi periferici della Repubblica. Aggiungeva importanza ai servizi dei conti Brandolini il fatto che essi potessero agevolmente reclutare forti contingenti militari tra i loro stessi valligiani, che in effetti in più occasioni, anche per la loro conoscenza dei luoghi in quella difficile zona prealpina, si rivelarono preziosi nelle campagne contro gli Asburgo.

Per quanto riguarda il B., il suo contributo fu particolarmente rilevante nella campagna del 1487 contro il duca del Tirolo Sigismondo d'Austria. Insieme con i fratelli egli prese parte alla difesa del Trentino nell'esercito veneto dapprima agli ordini di Giulio da Varano e poi, dopo l'esonero di questo, a quelli di Roberto da Sanseverino, vivendo le alterne vicende della perdita e della riconquista di Rovereto e distinguendosi allo sfortunato scontro di Rapacione, il 4 luglio, e poi a quello presso il castello di Petra, sull'Adige, il 10 agosto, dove il Sanseverino fu sconfitto ed ucciso dai cavalieri tedeschi di Federico Kappler e dove soprattutto si segnalò per coraggio ed abilità Gianconte Brandolini, che diresse la ritirata dei Veneziani attraverso un ponte di barche sull'Adige dopo la morte del Sanseverino. Quindi i fratelli Brandolini si rinchiusero con le milizie superstiti nella piazzaforte di Serravalle, di dove con i loro valligiani ebbero un ruolo notevole nelle scorrerie e nelle sanguinose azioni di disturbo sulle vie di comunicazione con il Tirolo, costituendo le premesse favorevoli alle buone condizioni di pace ottenute da Venezia nelle trattative con Sigismondo d'Austria del 14 novembre di quello stesso anno.

Il B. riprese il servizio attivo nell'esercito veneziano nel 1495, quando Venezia decise di partecipare alla lega contro Carlo VIII in precipitosa ritirata da Napoli: insieme al fratello Ettore egli ebbe infatti il comando di 160 cavalli, con i quali partecipò il 6 luglio alla battaglia di Fornovo, contribuendo al parziale successo dell'offensiva dei Veneti al comando del marchese di Mantova, che non riuscì tuttavia ad impedire al grosso dell'esercito francese il passaggio del Taro. Dopo questo episodio il B. rimase acquartierato con il grosso dell'esercito veneto nel Bergamasco, mentre i suoi fratelli prendevano parte alle operazioni nel Regno di Napoli contro le milizie lasciatevi da Carlo VIII.

Una nuova condotta militare fu affidata al B. dalla Signoria veneta nel 1498, quando la Repubblica decise di dare nuovo impulso alla condotta della guerra pisana contro Firenze sferrando un'offensiva nell'Appennino tosco-romagnolo. Le operazioni furono condotte con successo nell'autunno dal B., dal fratello Gianconte e da altri due condottieri al servizio di Venezia, Antonio Pio e Guido Vallaresso: essi si assicurarono il controllo della valle del Lamone e quindi attaccarono vittoriosamente, nel novembre, le milizie fiorentine presso Bibbiena. La cattiva stagione impedì che i condottieri veneti approfittassero sino in fondo della vittoria: tuttavia il B. e il Pio nel dicembre riportarono un importante successo occupando la rocca di Caresto e mettendo in fuga un migliaio di Fiorentini.

Fu questa l'ultima azione importante del B. in tale campagna: nei mesi invernali egli rimase infatti con le sue truppe negli acquartieramenti di Ravenna, donde elevava alla Signoria veneta pressanti proteste per il prolungato ritardo delle paghe. Del resto nell'aprile del 1499, quando il B. era ancora a Ravenna, la Repubblica decideva con tardiva saggezza di ritirarsi definitivamente dalla estenuante e dispendiosissima guerra di Pisa, stipulando finalmente la pace con Firenze.

Subito dopo il B. fu chiamato al comando di 450 stradiotti, i temutissimi cavalieri albanesi e dalmati, a rinforzare le difese venete contro una nuova minaccia dei Turchi sul Friuli. In questa occasione il B. - e con lui i fratelli Ettore e Gianconte, al comando di minori contingenti di cavalleria - ebbe l'occasione di dimostrare la propria abilità nelle rapide incursioni e nei fulminei colpi di mano cui si ridusse la difesa dei Veneziani contro le forze preponderanti degli avversari, i quali disponevano di ben settemila cavalli. Tale inferiorità costrinse il B. e gli altri condottieri veneti a limitarsi al controllo dei più importanti centri abitati e dei principali nodi viari, rinunziando ad impedire con scontri in campo aperto le infiltrazioni dei Turchi, che infatti riuscirono a spingersi sino al Piave. Ma la tattica delle rapide, micidiali incursioni fuori delle piazzeforti, e degli improvvisi ripiegamenti, con la quale i condottieri veneti non diedero un istante di tregua agli invasori, si rivelò infine risolutiva perché i Turchi non riuscirono mai a consolidare le loro infiltrazioni e finirono per rinunziare all'offensiva, ritornando alle loro basi balcaniche.

Negli anni seguenti il B. continuò ininterrottamente la sua milizia, al servizio veneto sebbene non sembra che partecipasse ad altri fatti d'arme; la Repubblica infatti manteneva costantemente i suoi armamenti, in vista dell'evoluzione sempre più minacciosa della politica internazionale. Allo stato di guerra permanente con la Turchia ed alla tensione mai sopita con l'imperatore Massimiliano I si aggiungeva infatti ora, divenendo sempre più preoccupante, l'aggressiva politica del re di Francia Luigi XII e dei sovrani spagnoli, che coronavano le loro pretese espansionistiche nei riguardi della penisola italiana con la conquista del ducato di Milano e del Regno di Napoli.

Nell'attesa di un imminente intervento veneziano sulla scena militare, al B. era affidato nel 1502, assieme al fratello Gianconte, il comando di 320 cavalli. Non ebbe modo, tuttavia, di ritornare sul campo di battaglia: morì infatti al principio del 1503, probabilmente a Lovadina, nel Trevigiano, dove erano acquartierate le sue milizie. La sua condotta militare fu attribuita dal Consiglio dei savi ai suoi fratelli Gianconte ed Ettore.

Il B. aveva sposato Samaritana Zabarelli, appartenente ad una famiglia del patriziato veneziano. Non ebbe figli.

Fonti e Bibl.: M. Sanuto, Diarii, I-V, Venezia 1879-1881, ad Indices; A. Brandolini d'Adda, I Brandolini di Bagnacavallo, Venezia 1945, pp. 135-140.

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