MONTEFELTRO, Guidantonio di

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 76 (2012)

MONTEFELTRO, Guidantonio di

Tommaso di Carpegna Falconieri

MONTEFELTRO, Guidantonio di. – Figlio di Antonio e di Agnesina dei Prefetti di Vico, nacque nel 1378.

Già nel 1398 iniziò a occuparsi del dominio feltresco insieme con la madre, essendo il padre spesso impegnato fuori dai confini dello Stato di Urbino. Dal gennaio 1402 al maggio 1403 assunse il pieno governo, poiché il conte Antonio viveva stabilmente a Pavia presso la corte milanese, e anche quando egli tornò a Urbino, nel suo ultimo anno di vita, spesso delegò il figlio. Appena Antonio morì (29 aprile 1404), Guidantonio lo sostituì nel consiglio di tutela dei figli del duca di Milano Gian Galeazzo Visconti, insieme con la vedova reggente Caterina, Carlo e Pandolfo Malatesta e Alberico da Barbiano. Il 16 maggio dello stesso anno ottenne da Bonifacio IX la conferma dell’investitura del vicariato apostolico, questa volta concessa fino alla terza generazione, dietro una corresponsione dei censi arretrati ammontante a 12.000 fiorini.

Per evitare che si alleasse con il re di Napoli Ladislao di Durazzo, che tentava di impedire il concilio di Pisa, nell’agosto del 1408 papa Gregorio XII concesse a Guidantonio il vicariato della città e del distretto di Assisi. Ciononostante, poco tempo dopo il conte si alleò con il re, con la mediazione di Alberico da Barbiano che era gran conestabile del Regno. Essendo quest’ultimo morto mentre, insieme con Guidantonio, stava recandosi dal sovrano già pronto a muovere per la guerra, nella primavera del 1409 Ladislao nominò gran conestabile in sua vece Guidantonio. La campagna militare si svolse con alterna fortuna, prima tentando di cogliere Siena di sorpresa, quindi muovendo l’esercito alla volta di Arezzo, che resistette, e di Cortona, che cadde il 6 giugno, ma senza riuscire nell’intento primario di impedire il concilio, durante il quale il 26 giugno fu deposto Gregorio XII ed eletto Alessandro V. Questi stipulò immediatamente alleanza con il re deposto Luigi II d’Angiò, con Siena e con Firenze.

Le milizie della Lega, comandate da Braccio da Montone, misero in difficoltà l’esercito regio, ma con un colpo di mano Guidantonio riuscì a spostare la guerra in Romagna, minacciando Bologna e conquistando Forlì e Forlimpopoli. Il re di Napoli non mandò però rinforzi, sia temendo che il conte di Urbino perseguisse suoi disegni particolari (ciò di cui questi si dolse in una lettera), sia non volendo sguarnire Roma e il meridione, cosicché Guidantonio raggiunse nuovamente il sovrano all’Aquila e partecipò attivamente alla campagna militare, fino alla pace conclusa nel 1412 con Giovanni XXIII, successore di Alessandro V. Secondo i capitoli che vi furono stipulati, Guidantonio sarebbe stato assoldato dalla Chiesa: ciò che accadde il 17 luglio 1412. Il 1° agosto il papa lo nominò gonfaloniere della Chiesa.

Scoppiata nuovamente la guerra tra Ladislao e il papa, che aveva al suo fianco Sigismondo di Lussemburgo re dei Romani, la posizione del conte divenne molto incerta, poiché era il gran conestabile di uno schieramento ma aveva anche stipulato una condotta nell’altro. Oltre a ciò, non voleva violare il patto che suo padre aveva contratto nel 1393 con i Malatesta, benché questi fossero sostenitori di Gregorio XII. Ruppe però gli indugi e in agosto rinunziò al titolo di conestabile e passò dalla parte papale, venendo in aiuto di Paolo orsini. Il papa lo ricompensò concedendogli il 10 agosto 1412 l’investitura della città e del contado di Forlì (che però era in altre mani), mentre molti lo considerarono un traditore.

L’elezione a pontefice, con il nome di Martino V, di Oddone Colonna (11 novembre 1417), il quale tra l’altro era stato vescovo di Urbino, fu salutata con soddisfazione da Guidantonio, che mandò ambasciatori a Costanza e accorse a riverire il papa nel suo viaggio di avvicinamento a Roma. Il 7 gennaio 1419 a Mantova, il pontefice lo creò duca, rettore e governatore del ducato di Spoleto, elevandolo al massimo grado tra i suoi vassalli con l’intenzione, condivisa da Guidantonio, di ostacolare con ogni mezzo la tumultuosa avanzata di Braccio da Montone, ormai signore incontrastato di quasi tutta l’Umbria. Braccio riuscì a togliere Assisi al conte di Urbino e Firenze si interpose per spingere i due contendenti a un accordo, ma il papa incitò Guidantonio a riprendere il combattimento. Assisi fu riconquistata per breve tempo e poi definitivamente perduta. Braccio tentò poi di prendere Gubbio insieme con i Gabrielli, ma fu respinto. La pace fu conclusa a Firenze il 14 marzo 1420, a vantaggio di Guidantonio e della Chiesa e con il beneplacito del papa, che il 17 marzo conferì a Montefeltro l’ordine della Rosa d’oro, del quale erano solitamente insigniti i soli sovrani. Subito dopo Guidantonio inviò il suo capitano Bernardino Ubaldini a riconquistare Bologna per la Chiesa e il 25 aprile ebbe confermate dal pontefice tutte le concessioni fatte dai suoi predecessori.

La già solida alleanza con il pontefice si irrobustì ancor più nel corso del 1424, quando Martino V diede in sposa a Guidantonio la nipote Caterina Colonna, figlia di suo fratello Lorenzo (23 gennaio). Nello stesso anno, il conte riuscì a occupare tutta la Val Metauro a spese dei Brancaleoni. La resse come governatore per il pontefice, che gli concesse il rettorato della Massa Trabaria (12 maggio 1424) e che poco dopo lo fece vicario apostolico di Casteldurante e di Torre della Badia (10 gennaio 1426), concedendogli la trasmissibilità del titolo. Nel 1425 Guidantonio iniziò un’opera di recupero per la Chiesa delle terre umbre usurpate dall’ormai defunto Braccio da Montone, per poi dirottare l’esercito contro i castelli malatestiani nel Montefeltro, sfruttando l’occasione della cattura di Carlo Malatesta da parte dei viscontei. La maggior parte dei castelli fu però restituita e il 19 giugno 1425 i due contendenti stipularono nuovamente la pace.

Negli anni successivi (1426-1429) Guidantonio oscillò nell’alleanza tra Firenze (di cui nel 1422 era anche divenuto cittadino) e Milano, verso cui era spinto da ragioni strategiche. Dopo la morte di Martino V (1431) si trovò privato del suo più alto sostegno e, benché il nuovo pontefice si fosse affrettato a prenderlo sotto la sua protezione (20 febbraio 1431), decise di dare una prova di forza impossessandosi di Città di Castello. Fu poi con il duca di Milano contro la Chiesa, per aiutare i Malatesta a recuperare Pesaro. Gli andò contro il Gattamelata, che però si ritirò a Forlì dopo avere invaso il territorio di Urbino. Minacciando una lega generale antipontificia nella Marca, e allo stesso tempo promettendo la restituzione di Città di Castello, Guidantonio indusse il papa a riconsegnare Pesaro e Fossombrone a Galeazzo Malatesta e a stipulare la pace (23 febbraio 1433). Nello stesso periodo, in base agli accordi presi con il papa, che era il veneziano Eugenio IV, egli si mise sotto la protezione della Serenissima, dalla quale aveva già ricevuto la cittadinanza e la nobiltà nel 1417 e una condotta nel 1424.

Il 1° settembre 1434 Sigismondo di Lussemburgo, da un anno imperatore, fu ricevuto a Urbino e creò cavalieri Guidantonio e il suo giovanissimo figlio Oddantonio. La calata nelle Marche di Francesco Sforza, capitano del duca di Milano (e duca a sua volta dal 1450), il quale intendeva creare uno Stato unitario da offrire (almeno nominalmente) al Concilio di Basilea, mise la regione in allarme. Guidantonio si accordò con i Malatesta e con il condottiero Nicolò Piccinino e mise in piedi un’alleanza difensiva (29 settembre e 5 ottobre 1439), senza però scatenare la guerra aperta. Ma Francesco Sforza iniziò subito a tessere una politica personale che si basava sul controllo della Marca, della quale fu creato marchese dal papa, e si alleò con Firenze e con Venezia contro Milano e Napoli. La battaglia di Anghiari (29 giugno 1440), che vide lo Sforza vincitore contro Nicolò Piccinino e i milanesi, portò i Malatesta dalla sua parte, mentre i Montefeltro non cambiarono partito. Per tale ragione, dopo quasi cinquant’anni di tregua sostanziale, interrotta solo da brevi episodi di scontro, tra le due casate divampò nuovamente la guerra, che fu condotta dai due giovani Sigismondo Pandolfo Malatesta e Federico da Montefeltro, figlio naturale di Guidantonio, il quale il 22 ottobre 1441 riuscì a conquistare San Leo. Il 20 novembre, Sigismondo Pandolfo Malatesta e Guidantonio conclusero la pace con la mediazione di Alessandro Sforza fratello di Francesco.

Guidantonio morì durante la notte del 20 febbraio 1443 e fu sepolto nella chiesa di S. Donato (oggi S. Bernardino) di Urbino, dove si conserva la sua lastra tombale che lo mostra in abito francescano, ma con la spada al fianco.

Considerato che fu reggente per il padre già dalla fine degli anni Novanta del XIV secolo e che fu poi conte di Urbino dal 1404 alla morte, il suo governo fu il più lungo nella storia dei Montefeltro. Franceschini (1970, pp. 410, 412), che pure lo esalta come «principe illuminato», ne denuncia la passività politica per non essere stato in grado di ingrandire lo Stato, poiché tutti i suoi tentativi in Umbria, Marca e Romagna si rivelarono senza seguito. I decenni della sua dominazione vanno però considerati in una prospettiva di consolidamento e ordinamento in senso ormai statuale. Il territorio si espanse nella strategica e fertile Valle del Metauro e fu organizzato in modo centralistico. Nel 1407, al fine di riordinare l’amministrazione e di impedire i brogli e le contraffazioni nei protocolli, Guidantonio istituì (o più probabilmente riformò) l’ufficio del registro degli atti notarili di Urbino, che venivano trascritti nelle «quadre» (cioè i registri, ancora conservati presso la sezione di Archivio di Stato di Urbino, corrispondenti ai quattro rioni chiamati in quel periodo Quadra Vescovado, Porta Nuova, Posterula e Santa Croce). Dal 1410, sempre per sua volontà, fu iniziato quello che oggi viene chiamato il Catasto descrittivo del territorio di Urbino, conservato anch’esso presso il medesimo ente archivistico, nel quale gli allibrati venivano raggruppati per città, castelli e ville del contado. Avendo avuto da Martino V la concessione di battere moneta d’oro, d’argento e di bronzo, aprì la zecca di Urbino (20 marzo 1420). A Gubbio riordinò il sistema delle gabelle e delle imposizioni tributarie e fece riaprire la zecca, che già esisteva dal 1337 circa. Le sue condotte gli permisero di accumulare ingenti ricchezze, che investì a Firenze e a Venezia. Ad Assisi fece ricostruire in gran parte la rocca, mentre a Urbino introdusse, come già il padre, nuove attività artigianali e tecniche e avviò l’ampliamento (1435-1437) dell’edificio che col figlio Federico si sarebbe trasformato nel Palazzo ducale.

Come era tradizione nella sua casa, fu al contempo uomo d’arme e di cultura. Diede inizio alla «libraria» dei signori di Urbino, benché l’apporto che diede alla sua formazione non vada sopravvalutato: degli oltre 900 codici che si conservavano a Urbino alla morte del duca Federico (1482), non più di un centinaio potevano essere stati raccolti da lui e da suo padre Antonio. Fu anche poeta, della cui opera è rimasto un sonetto conservato in un manoscritto della Bodleian Library di Oxford (Canon. Ital. 50, f. 167v). Bonaccorso di Montemagno gli dedicò l’opera De nobilitate (Biblioteca apostolica Vaticana, Urb. lat. 1250).

Guidantonio aveva sposato nel 1397 Rengarda Malatesta (m. 1423) figlia di Galeotto (I), da cui non ebbe figli. Dal matrimonio con Caterina Colonna (m. 1438) nacquero Oddantonio, primo duca d’Urbino (1427-1444), Agnesina (1425ca.-1447?), che fu moglie prima di Guidantonio Manfredi signore di Faenza e poi di Alessandro Gonzaga, e Violante (1430-1493), moglie di Domenico Malatesta (Malatesta Novello) signore di Cesena e poi monaca.

L’ultima figlia legittima fu Sveva, nata nel 1432; sposata nel 1448 con Alessandro Sforza signore di Pesaro, ebbe una vita coniugale molto travagliata, essendo stata accusata di adulterio e di aver tentato di avvelenare il marito, che a sua volta tentò più volte di ucciderla; nel 1457 entrò nel convento delle clarisse del Corpus Domini di Pesaro, dove visse per tutta la vita, assumendo il nome di Serafina e divenendo badessa nel 1475; morì l’8 settembre 1478 in fama di santità. Il suo culto fu confermato da Benedetto XIV nel 1754 con il titolo di beata (beata Serafina Sforza).

Guidantonio ebbe inoltre alcuni figli naturali, di cui due furono legittimati: Aura (1415 ca.-1475), andata in sposa al suo capitano generale Bernardino Ubaldini, e Federico (1422- 1482), che successe nel ducato di Urbino al fratellastro Oddantonio dopo l’assassinio di quest’ultimo.

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Tommaso Di Carpegna Falconieri

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