CALDERINI, Guglielmo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 16 (1973)

CALDERINI, Guglielmo

Silvana Raffo Pani

Nacque a Perugia il 3 marzo 1837 da Francesco e da Antonia Poggini. Nella città natale compì i suoi principali studi; in seguito frequentò l'università di Torino e poi quella di Roma, dove ottenne il diploma di ingegnere architetto. Subito dopo fu assunto al genio civile di Perugia come ingegnere allievo, e vi rimase nove anni: ottenne, quando nel 1869 volontariamente rinunciò all'impiego, la nomina, da parte del ministero dei Lavori pubblici, di "ingegnere onorario in contemplazione degli ottimi servizi prestati". Da questo periodo in poi il C. si dedicò all'insegnamento e agli studi di critica storico-artistica. Partecipò a importanti concorsi pubblici: il primo fu, nel 1864, quello di secondo grado per la facciata di S. Maria del Fiore a Firenze; i due progetti da lui presentati non piacquero alla giuria, che premiò E. De Fabris, ma ottennero elogi da Semper.

Nel 1877 il C. concorse, senza buon esito, per il palazzo municipale di Napoli; nel 1879 progettò il collegio di Nocera Umbra, di cui diresse anche i lavori; nello stesso anno vinse il concorso per la facciata del duomo di Savona (costruito lasciato incompiuto alla fine del '500) di cui diresse i lavori dall'anno 1880 al 1886.

Nella facciata dovevano essere mantenute le tre lunette e i tre portali originali: a questi il C. aggiunse due finte finestre a nicchia, una per lato, ottenendo una suddivisione della zona inferiore in cinque parti, separate da lesene; in altezza aggiunse un frontone che nasconde la navata; all'impostazione di tipo cinquecentesco si sovrappone una minuta decorazione barocca.

Nel 1880 il C. vinse il concorso per palazzo delle Belle Arti a Torino, che fu realizzato sotto la direzione di altri (distrutto durante la seconda guerra mondiale). Partecipò al primo concorso internazionale, bandito nel 1880, per il monumento a Vittorio Emanuele II, per il quale non era stata ancora stata fissata l'area né il tipo di costruzione: ne uscì vincitore il giovane architetto francese Paul-Henri Nénot (cfr. Descrizione del progetto di monumento che si presenta al concorso dall'Ing. G. C. …, Perugia 1881). Nel 1890, a seguito del concorso voluto da F. Crispi per la sede del Parlamento nazionale, da erigersi presso i Fori Traianei tra la vecchia e la nuova Roma, fu premiato ex aequo con E. Basile e L. Beltrami; l'edificio però non venne mai realizzato.

Nel 1893, essendo già direttore dei lavori della basilica di 5. Paolo a Roma, in corso di ricostruzione dopo l'incendio del 1823, il C. completò il progetto di V. Vespignani per il quadriportico antistante, disegnandone la fronte con un doppio ordine di arcate, affiancate al portico già costruito (cfr. A S. E. Paolo Boselli, Ministro della P.I., nell'occasione della prima pietra del quadriportico, Roma 1890). Si era intanto già iniziata la vicenda più importante della vita artistica del C.: quella del palazzo di Giustizia di Roma.

La costruzione del palazzo fu voluta da G. Zanardelli che, fin dal 2 marzo 1882, allorché era ministro guardasigilli, ne fissò la sede, d'accordo con l'allora sindaco di Roma, L. Pianciani, nella zona dei Prati di Castello al di là del fiume Tevere, che sarebbe stata collegata con il centro dal costruendo ponte Umberto I e, in asse a questo, da una grande strada: l'attuale via Zanardelli. Fu bandito subito dopo un concorso, secondo modalità particolareggiatamente studiate dallo stesso Zanardelli. Caduto però il ministero (1883), vi fu una stasi poiché dal primo concorso non si era avuto alcun esito e un secondo, nel 1884, portò a una scelta di quattro tra i quarantotto progetti presentati dai più noti architetti del momento. Il progetto del C. (contrassegnato dal motto "Imponente") era tra i quattro: fu proposta al ministro D. Tajani, da parte della commissione giudicatrice, l'idea di una gara ristretta ai quattro, ma questa non fu accolta finché non ritornò al ministero di Grazia e Giustizia Zanardelli che, il 25 maggio 1887, invitava ad un nuovo concorso i migliori selezionati dal precedente. Si richiedeva inoltre che la commissione giudicatrice tenesse conto anche dei titoli e documenti scientifici dei candidati.

Ne uscirono vincitori, a pari merito, il Basile e il C. che, in soli quaranta giorni, dovettero sottoporsi a un nuovo, terzo esame, in cui fu concessa ai progettisti una maggiore libertà di espressione. Il 4 novembre 1887 vennero comunicati i risultati: la commissione aveva dato due voti al Basile e sei al C. che, pertanto, fu dichiarato vincitore. Mentre si passava all'esecutivo, Zanardelli propose alcune varianti e altre ne propose una commissione di rappresentati del foro, appositamente nominata: infine, il 5 ott. 1888 la commissione giudicatrice del concorso, presa visione del progetto esecutivo, lo ritenne, all'unanimità, ineccepibile dichiarando che "il progetto definitivo ha pregi tali da collocarlo tra le opere più importanti e artistiche dell'arte moderna". Nel frattempo, ed esattamente il 14 marzo dello stesso 1888, fu posta, alla presenza dei reali d'Italia, la prima pietra del nuovo edificio.

Cominciava così il lungo iter che doveva concludersi solo ventidue anni dopo; il palazzo di Giustizia infatti, pur mancando ancora la quadriga di coronamento della facciata principale (che E. Ximenes portò a termine nel 1917), fa inaugurato il 9 nov. 1910, appena in tempo per l'apertura della grande esposizione che si tenne nel 1911 a Roma in piazza d'Armi.

Il grande edificio, a pianta pressoché quadrata, ha come punto focale il fastoso cortile d'onore attorno al quale si articola un porticato comunicante con vari ambulacri: dal cortile si snodano due simmetrici scaloni a tenaglia. Tutto il restante spazio è traforato da dieci cortili, anche essi simmetricamente disposti, di varie grandezze. I numerosi problemi distributivi che si ponevano furono risolti, nella stesura originale, con sicurezza e abilità; il problema dell'acustica delle aule invece, forse a causa della loro eccessiva altezza, fu malamente risolto.

Il palazzo di Giustizia ha tre piani nella parte centrale e due nelle ali laterali: i fianchi, che risultano perciò molto lunghi rispetto all'altezza, sono più sobri rispetto alla facciata in cui, sopra un primo piano più contenuto, si innestano gli ordini superiori sovraccarichi di decorazioni (alle quali lavorarono numerosi scultori) sovrapposte al progetto originario forse per l'influsso del Sacconi che, per il monumento a Vittorio Emanuele II, che nel frattempo si veniva costruendo, raccoglieva entusiastici consensi: sono anche presenti riecheggiamenti dell'Opéra di Parigi e accenti di quel gusto corrente riconducibile alla Secessione viennese e all'Art Nouveau. Il sovraccarico di decorazioni, frantumando le superfici, rende poco leggibile la volumetria che, per contro, è bene equilibrata e correttamente impostata. L'opera, comunque, non manca di una sua dignità e forza espressiva, pur denunciando le aberrazioni di un presupposto culturale allora diffuso ma fallace: la certezza che nella tradizione classica, opportunamente rigenerata, potesse esistere ancora un margine di validità, nel quale avrebbero trovato la loro collocazione esigenze di vita e metodi costruttivi nuovi, derivati dalle grandi trasformazioni in atto nella società.

Significative a questo proposito sono le parole dello stesso C. (Il palazzo della Giustizia di Roma, Roma 1890): "Date le attuali condizioni della società [è necessario] ricondurre l'arte all'antico splendore con concetti del tutto moderni e spogliati affatto dall'idea della sterile imitazione, far rivivere i grandi antichi maestri". Ed anche: "Io volli… rendere purgato e classico quello stile di cui furono creatori il Bernini, il Fontana, e volli carpire a questi grandi il segreto dell'impronta e la forza del chiaro-scuro, contenendo però l'accento decorativo di quei tempi in modo da riportarne i particolari in quella compostezza di forme che fu il vanto e il pregio dell'età di un secolo innanzi. Vagheggiai, insomma, le cose dell'Alessi, del Sanmicheli, dell'Ammannati…, e forme palladiane".

Per il C., che fu anche direttore dei lavori dal 1888 al 1897, sorsero, durante la costruzione, non poche difficoltà, in gran parte dovute alle fondazioni, a causa della natura del terreno di tipo alluvionale, costituito da strati argillosi e sabbiosi alternati, con varie falde acquifere: si pensò di risolvere il problema tecnico fondando l'edificio su una platea generale alta m 2,40al centro e m 2nelle ali laterali; ma in realtà la statica dell'edificio è risultata precaria.

La lentezza della realizzazione e le forti spese, molto superiori al previsto (da 16 a 40 milioni), provocarono critiche violente da parte dell'opinione pubblica, tanto che nel 1908 il C. fu esonerato dalla direzione artistica, da poco ottenuta, e si mise in piedi poco tempo dopo anche un'azione giudiziaria, conclusasi però con la piena assoluzione del progettista, di cui non è da mettere in dubbio l'onestà e la buona fede: discutibile, semmai, fu l'operato dell'impresa costruttrice (cfr. Documenti allegati alla relazione sulla improvvisa soppressione della direz. artistica del palazzo di Giustizia presentata al giudizio della Camera e del Senato da G. C., Roma 1908).

Nel 1905, sotto lo pseudonimo di "Fieramosca", il C. presentava tre progetti, di impostazione rinascimentale misurata e sobria, al concorso per la facciata della chiesa di S. Lorenzo a Firenze, ottenendo il secondo posto, dopo il vincitore C. Bazzani. Nel 1906 partecipò al concorso per la Biblioteca nazionale di Firenze, vinto anche questo dal Bazzani. Nello stesso anno fu invitato al concorso per il palazzo della Pace all'Aia, dove non ebbe maggior fortuna, essendogli stato preferito il progetto di L.-M. Cordonnier, in stile rinascimentale fiammingo.

Dal 1888 al 1904 aveva realizzato a Perugia il palazzo Bianchi, i bagni pubblici e la chiesa di S. Costanzo con portico per il mercato; nel 1908 vi costruì il palazzo Cesaroni, in piazza Vittorio Emanuele, in seguito trasformato in albergo: sempre in Umbria sono sue opere giovanili la caserma d'artiglieria a Foligno e i bagni pubblici a Città di Castello. Nel 1910, in collaborazione con l'ingegnere B. Benigni, presentò, in occasione di un concorso nazionale, un progetto, mai realizzato, impostato su criteri flinzionali e piuttosto moderni, per un ospedale di 250letti a Perugia, presso il convento di Monteluce (cfr. L'Ospedale di Perugia, Roma 1910). Tra i progetti urbanistici non realizzati vi sono quello del 1908 per la sistemazione edilizia di piazza Colonna a Roma, completato dallo studio di un nuovo edificio (già nel 1896 aveva collaborato con E. Peterson e A. von Domaszewski scrivendo il capitolo sull'architettura della colonna e disegnando i rilievi e progetti per Die Marcus-Säule auf Piazza Colonna in Rom, München, 2 vol, dedicato a Guglielmo II) ed un piano regolatore, dello stesso periodo, per la zona dei Prati di Castello; negli stessi anni aveva studiato anche la possibilità di una migliore sistemazione del palazzo Montecitorio.

Negli ultimi anni della sua vita, trascorsi in cattiva salute ed amareggiati dalle critiche al palazzo di Giustizia, il C. ebbe ancora un riconoscimento vincendo il concorso per il palazzo comunale di Messina, bandito nel 1910, dopo le distruzioni del terremoto; partecipò ancora, nel 1911, ma senza buon esito, al concorso per il progetto di collegamento dei palazzi Capitolini.

Fu, per circa un decennio (1870-80), professore di architettura e storia dell'arte all'Accademia di Perugia, poi, vinto un concorso, divenne nel 1881 professore di ornato e architettura all'università di Pisa; dall'anno accademico 1891-92 al 1912 insegnò prima architettura tecnica e poi architettura generale alla scuola di applicazione per gli ingegneri di Roma. Fu direttore dell'Ufficio regionale per la conservazione dei monumenti di Roma, Aquila e Chieti, e in questa veste provvide, negli ultimi anni del secolo, al restauro del chiostro di S. Giovanni in Laterano e del chiostro cosmatesco presso la basilica di S. Paolo, riportandolo all'antico.

Fu insignito di medaglia d'oro all'esposizione di Vienna del 1867, premiato all'esposizione di Torino del 1880, ottenne il diploma d'onore all'esposizione di Parigi del 1900 e la medaglia d'oro al Salon dello stesso anno. Vinse per tre successivi trienni il premio istituito da Luigi Poletti all'Accademia di S. Luca per il migliore studio critico d'arte.

Il C. morì a Roma il 12 febbr. 1916.

Altri scritti del C.: Michelangelo Buonarroti e l'architettura moderna, Perugia 1875; Sull'insegnamento dell'architettura nelle regie università italiane, Perugia 1881; I pregi e i guai dell'Accademia di Belle Arti in Perugia, Perugia 1885; Compendio delle lezioni di archit. tecnica date nella regia scuola di applicazione per gli ingegneri di Roma, Roma 1892; Il campanile di San Marco ed i 72 giorni di Luca Beltrami, Roma 1903; Sulla riforma delle scuole di belle arti, Roma 1907; Il Padiglione regionale dell'Umbria per le feste commemorative del 1911 in Roma, Perugia 1909.

Fonti e Bibl.: Commem. di G. C. XVIII aprile 1916, Perugia 1916; G. Giovannoni, Commemorazione di G. C., in IlMeridiano di Roma, n. 41, 1942; G. B. Milani, Commem. di G. C., Roma 1916; Id., Le opere architettoniche, Milano 1916; M. Piacentini, Ilvolto di Roma, Roma 1944, pp. 137-47; B. Zevi, Storia d. archit. moderna, Torino 1953, pp. 210-29; E. Lavagnino, L'arte moderna, Torino 1956, ad Indicem;H. R. Hitchcock Archit. XIX-XXth centuries, Harmondsworth 1958, p. 146; C. L. V. Meeks, Italian Archit. 1750-1914, New Hall 1966, ad Indicem e figg. 196-199, 222, 225, 263; F. Borsi, L'architettura dell'unità d'Italia, Firenze 1966, pp. 81 s., 149 s.; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, V, p.383 (con ulter. bibl.); Encicl. Ital., VIII, p.384.

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