GUGLIELMO Appulo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 60 (2003)

GUGLIELMO Appulo

Francesco Panarelli

Le notizie biografiche riguardanti G. sono di una scarsità disarmante: i rari e non sempre chiari accenni provengono dalla sua unica opera nota: Gesta Roberti Wiscardi.

Per quanto riguarda date di nascita e morte si possono fare congetture solo in funzione della datazione della stesura dell'opera. La Mathieu fissa al 1095-agosto 1099 (prima della conquista di Gerusalemme da parte dei crociati e della morte di Urbano II) il periodo nel quale l'opera fu conclusa; la morte di G. va quindi collocata dopo questo termine.

Il nome G. accompagnato dall'aggettivo "Apuliensis" è presente nella intitolazione dell'unico manoscritto medievale superstite (Mathieu, pp. 70-85) e dell'editioprinceps (Rerum in Italia ac Regno Neapolitano Normanicarum libri quinque, a cura di J. Tiremaeus, Rothomagi 1582, cc. 1-52). Pochi dubbi sussistono quindi sulla sua attendibilità, mentre non è risolto il dibattito sul significato dell'appellativo "Apuliensis". Una linea interpretativa vi legge il chiaro riferimento a una origine italiana, più precisamente pugliese, se non giovinazzese, mentre un'altra vigorosa linea si orienta per una collocazione tra i Normanni di G., il quale sarebbe emigrato e a lungo avrebbe vissuto in Apulia, tanto da meritarsi l'appellativo; è insostenibile invece l'identificazione con un omonimo chierico attestato a Bordeaux (Mathieu, pp. 24 s.). Le critiche espresse verso i Greci ("cum sit quasi femina Graecus", "femineis Graecis", "cum genus ignavum sit", I, vv. 212, 225, 226) escludono la possibilità di una sua appartenenza etnico-culturale al mondo bizantino, anche se egli fu probabilmente in grado di leggere il greco.

Non si coglie comunque una immedesimazione o partecipazione emotiva da parte di G. con una delle due parti (normanna e longobarda), e a entrambe non vengono invece risparmiate alcune frecciate: la (comunque topica) accusa di aviditas ("adquirendi […] libido", I, v. 38; "prona est ad avaritiam", II, v. 45) per i Normanni e la scarsa bellicosità per gli Apulienses. In compenso G. - a differenza del coevo Goffredo Malaterra - evita toni severi verso i Longobardi ed è attento a rilevare i rapporti di sangue instaurati con i Normanni, in particolare quello con Sichelgaita, moglie di Roberto il Guiscardo; grazie a quel matrimonio i Longobardi si sottomisero al Guiscardo non più solo in ragione della forza, ma in consapevolezza del diritto ereditario al comando sui Longobardi che da Sichelgaita veniva veicolato. Il destinatario dell'opera, Ruggero Borsa, figlio di Sichelgaita e del Guiscardo, era comunque longobardo per via materna e la sua celebrazione rendeva necessaria una prudente considerazione della componente longobarda. Né è da escludere che anche lo stesso G. fosse il frutto di un matrimonio misto.

Dubbi sussistono anche sul suo stato, in quanto, a parte la dedica iniziale a Urbano II e qualche debole reminiscenza teologica e scritturale, nulla lascia trapelare una sua condizione monacale o sacerdotale. La Mathieu (p. 23) mantiene in proposito una posizione equidistante, mentre Fuiano propende - a ragione - per una condizione chiericale.

L'opera è articolata in 5 libri per un totale di 2819 esametri, preceduti da 13 di prologo. Qui G. dichiara di rifarsi all'esempio degli antichi poeti per cantare le gesta dei nuovi duces, mentre l'opera viene indirizzata al figlio del protagonista, il duca Ruggero Borsa, e a papa Urbano II. L'oggetto della narrazione viene individuato nel mutamento di dominio realizzatosi per volontà divina nell'Apula tellus con la sostituzione dei Greci da parte dei Normanni, dove è notevole l'esclusione della componente longobarda. In questa prospettiva sacrale si pone anche la versione di G. dell'arrivo normanno nel Sud, a seguito di un pellegrinaggio presso il santuario micaelico sul Gargano, con una netta divaricazione rispetto ad Amato di Montecassino. La presenza normanna in Puglia viene da G. legata ai rapporti intessuti con l'esiliato Melo da Bari, dietro cui richiesta giungono altri cavalieri dalla Francia. Insieme hanno i primi scontri con l'esercito bizantino tra 1017 e 1018, sino alla disfatta di Canne, la cui responsabilità viene di fatto scaricata da G. sulle spalle di Melo. Privi di una guida i cavalieri superstiti si ritirano in Campania, dove trovano terreno propizio inserendosi come mercenari-alleati dei principi longobardi in lotta; dal 1026, guidati da Rainulfo Drengot, si pongono al servizio di Pandolfo di Capua. In questo periodo G. pone una sorta di etnogenesi normanna in Italia, determinata dalla capacità dell'originario e sparuto gruppo normanno di aggregare intorno a sé ogni sorta di delinquente e fuggitivo: "moribus et lingua, quoscumque venire videbant, / Informant propria, gens efficitur ut una" (I, vv. 167-168). Dopo la breve digressione sulla fondazione di Aversa, il fuoco di G. torna nuovamente sulla Puglia e il nuovo capo, il lombardo Arduino. Nell'ambito dei rapporti di Arduino con Aversa G. colloca la elezione dei primi dodici "conti" normanni, mentre in un secondo tempo (marzo 1041) sarebbe avvenuta la presa di Melfi. La prima battaglia vittoriosa, che apre le porte della Puglia, è quella combattuta nel marzo 1041 sulle rive dell'Olivento, dove il catepano Basilio Dokeianos viene sconfitto, così come nelle due battaglie successive di Montemaggiore e sull'Ofanto; nell'esercito bizantino G. registra con precisione la presenza di soldati seguaci dell'eresia pauliciana. Per arginare l'avanzata dei Normanni ora guidati da Argiro, figlio di Melo, la guida militare bizantina viene affidata a Maniace, autore di feroci rappresaglie contro Matera e Monopoli e dell'improvvido tentativo di salire sul trono imperiale. Nella lotta contro Maniace emergono per la prima volta nella narrazione (I, v. 520) i figli di Tancredi d'Altavilla. Il libro si chiude con il passaggio dell'Adriatico da parte del ribelle Maniace e una breve notazione sulla sua morte.

Il secondo libro ha per predominante scenario l'Apulia, dove i Normanni agiscono formalmente sottomessi a Guaimario di Salerno, ma di fatto capeggiati dai primi fratelli Altavilla (Guglielmo e Drogone). G. è comunque attento nel sottolineare la difficoltà della loro affermazione, specie l'opposizione di Pietro di Trani, definito "ditior" dei fratelli Altavilla, e superato solo "curru fortuna rotato" (II, v. 29). Sfuggiti al tentativo bizantino di coinvolgerli nella campagna contro i Selgiuchidi in Oriente, i Normanni devono confrontarsi con l'ostilità di papa Leone IX. La responsabilità dell'intervento militare papale viene da G. attribuita alle lamentele dei Pugliesi e all'alterigia del contingente teutonico; il risultato fu la sconfitta di Civitate (II, vv. 122-269). Proprio in questa occasione G. preferisce parlare - anche secondo il modello epico del catalogo - di una guida multipla dei Normanni, comprendente Unfredo e Roberto Altavilla, Riccardo d'Aversa, quindi i due figli di Amico e altri capi ancora; è evidente che aveva accesso a resoconti scritti od orali da parte dei protagonisti di quella battaglia e che a quella battaglia attribuisce un rilievo particolare. G. non parla comunque in termini espliciti di una investitura ricevuta dai capi normanni dopo la battaglia (II, vv. 284-296).

Quindi, per la prima volta, protagonista del racconto diviene Roberto il Guiscardo, del quale G. riassume (II, vv. 297-405) in maniera alquanto disordinata le gesta dal momento in cui è inviato in Calabria dal fratello (1048), sino alla sua ascesa come duca (1059). Né tace G. la scorrettezza del Guiscardo che, nominato tutore del minore Abelardo dopo la morte del fratello Unfredo, in realtà ne usurpa i diritti (II, v. 370). Ben circostanziato è invece il resoconto del sinodo di Melfi (1059), durante il quale Niccolò II condanna il nicolaismo; segue il completamento della conquista della Calabria. Ampio spazio (II, vv. 424-450) viene concesso al secondo matrimonio del Guiscardo, quello con la sorella di Gisulfo di Salerno, la longobarda e bellicosa Sichelgaita. L'affermazione del Guiscardo viene avversata solo dalle rivolte capeggiate dal defraudato Abelardo; la loro soluzione prelude all'inizio dell'assedio di Bari nel settembre 1068 (II, vv. 478-572), con cui si chiude anche il libro.

Il terzo libro con una buona intuizione storica sposta per lungo tratto (III, vv. 1-110) l'attenzione sulle sfortunate campagne bizantine contro i Selgiuchidi, culminate nella disfatta di Mantzikert. La difficilissima situazione in cui si venne a trovare Bisanzio fa da antefatto allo svanire di attese di un sostegno dalla capitale per gli assediati baresi, che capitolano nell'aprile 1071. Roberto si reca quindi a Sud, a Reggio e in Sicilia, per dar manforte al fratello minore, Ruggero, ora per la prima volta ricordato (III, v. 196), nella conquista dell'isola, in particolare della capitale Palermo (III, vv. 204-339). A Roberto G. assegna un ruolo complessivamente determinante nell'esito positivo dell'assedio palermitano nel gennaio 1072 (III, vv. 284-295). Roberto rientra quindi a Melfi dove incontra i suoi più potenti connazionali, senza riuscire a sanare il contrasto con Pietro (II) di Trani. La sua attenzione è concentrata infatti sul Salernitano, dove trova valido motivo per assediare e prendere Salerno al cognato Gisulfo (III, vv. 412-464). L'opulenza di Salerno e la ricchezza mercantile di Amalfi sembrano anche nelle parole del cronista collocare ormai in seconda linea negli interessi ducali l'area pugliese. A coronamento dell'ascesa del Guiscardo G. ricorda il matrimonio d'alto rango delle sue figlie, anche se proprio i donativi richiesti sono causa di nuovi malumori tra i conti e di una nuova sollevazione in Puglia, nella cui cornice si colloca la piccola epopea della fedele Giovinazzo (III, vv. 540-566, 580-605). Progressivamente i capi della rivolta - Abelardo, Amico (II), Pietro (II), Argirizzo - si arrendono alle armi del Guiscardo e pongono fine anche al libro.

Il quarto libro è caratterizzato da più ampi e repentini cambi di scena. Dalla menzione di altre alleanze matrimoniali si passa all'opera riformatrice di Gregorio VII e al conflitto con Enrico IV (IV, vv. 20-73), da cui scaturisce l'alleanza con il Guiscardo e addirittura la tradizione riportata da G.: il papa avrebbe promesso una "coronam" (IV, v. 31) al duca. L'ambizione del Guiscardo lo spinge a intervenire anche nelle lotte tra i pretendenti al trono bizantino, seguite alla deposizione di Michele VII, suo consuocero (IV, vv. 77-121). Organizza quindi una spedizione contro Bisanzio, con partenza da Otranto e primo obiettivo Corfù. Ma prima della campagna d'Oriente, G. ricorda un atto politicamente fondamentale del Guiscardo: la designazione di Ruggero Borsa quale suo successore a pieno titolo e - si sottintende - a discapito di Boemondo (IV, vv. 186-192). Nel seguito (IV, vv. 121-505) G. descrive con precisione lo svolgersi della prima campagna balcanica, con l'assedio di Durazzo, l'intervento di Alessio Comneno e degli alleati veneziani, sino alla presa normanna di Durazzo nel febbraio del 1082. Per reprimere una nuova rivolta di alcune città e conti in Puglia contro Ruggero Borsa, rimasto nel Ducato, il Guiscardo lascia in Albania Boemondo; l'anno successivo si avvia alla volta di Roma per prestare il debito aiuto all'assediato Gregorio VII. Con la ritirata di Enrico IV da Roma, la presa della città e il trasferimento di Gregorio VII nella sicura Salerno si chiude il libro, all'insegna del duplice trionfo del Guiscardo sui due imperatori.

L'ultimo libro riprende la narrazione dall'Albania, dove il valoroso Boemondo deve difendersi dal ritorno minaccioso di Alessio e dei Veneziani. Nello stesso tempo il Guiscardo risolve il conflitto con Giordano di Capua e avvia la nuova spedizione nei Balcani. Solo alla fine del 1084 i due tronconi dell'armata normanna riescono a ricongiungersi in Epiro e a sconfiggere la flotta veneziana (V, vv. 155-192). Il resto dell'inverno viene trascorso dall'armata del Guiscardo nello sfortunato riparo della foce del Glykys, dove una epidemia falcidia l'esercito e costringe Boemondo a cercare le cure dei medici salernitani. Con precisione G. racconta l'espediente utilizzato dal Guiscardo per rimettere in mare la flotta nonostante la secca primaverile del fiume Glykys. Di qui segue la notizia della morte a Salerno di Gregorio VII, collegata subito alla malattia che colpisce il Guiscardo mentre si dirige alla volta di Cefalonia (V, v. 295). Il seguito della narrazione è dominato dalle conseguenze della scomparsa del capo normanno: i lamenti funebri di Sichelgaita e i suoi sforzi per riportare a Venosa la salma del marito; la delicata posizione di Ruggero, erede designato che deve tutelare i soldati presenti nei due campi di Vonitsa e Cefalonia, ma allo stesso tempo deve affrettarsi a tornare in Puglia per salvaguardare il suo diritto ereditario. La spedizione di fatto svapora, con il passaggio di alcuni soldati al servizio degli stessi Greci. Gli ultimi versi sono riservati a una mesta celebrazione del sepolcro venosino del Guiscardo, lasciando nell'incertezza la sorte dell'erede designato, al quale pure l'opera stessa è dedicata e dal quale il poeta si aspetta ricompensa per la sua fatica.

Per quanto non si voglia negare l'opera di "una mente fervida e una concezione unitaria del mondo cristiano" (Fuiano, p. 23), è pure necessario segnare crudamente il limite crepuscolare (Oldoni) di un'opera che si chiude con i lamenti di una vedova e i passi incerti di un erede certo non eroico. Ne consegue l'evidente sbilanciamento di un testo, il cui asse narrativo fatica a dipanarsi tra la "gens Normannorum", i conti di prima generazione, gli Altavilla, le città pugliesi (Giovinazzo), proprio perché non sa o non vuole pronunciarsi sul futuro del Ducato.

Certamente G. aveva accesso alle fonti scritte conservate negli ambienti della corte di Ruggero Borsa, ma anche alle tradizioni orali dirette o indirette che qui restavano vive degli avvenimenti. E sicuramente G. mantiene un posto fondamentale tra le fonti sulla conquista normanna dell'Apulia. La storiografia tedesca ha parlato spesso dell'esistenza di una fonte perduta utilizzata da G. e da Anna Comnena, i cosiddetti Annali del barese Giovanni arcidiacono, ma la loro esistenza e necessità è stata con validi argomenti negata (Fuiano, Mathieu). La conoscenza dei resoconti orali può spiegare a sufficienza la rimarchevole precisione con cui G. ricostruisce la battaglia di Civitate del 1053, o le vicende in Albania; d'altra parte, quasi certamente G. conosceva il greco e attingeva anche a fonti di area bizantina.

La lingua latina viene padroneggiata con discreta disinvoltura, sia pure con esiti poetici non eccelsi, sui quali sembra influire la difficoltà di dare ordine alla massa di informazioni disponibili sugli ultimi anni del Guiscardo. La fatica si accentua nel corso dell'opera, tanto da consolidare la sensazione che negli ultimi libri si abbia di fronte prosa storica sulla quale si sovrappone una struttura metrica (Wolf, p. 138). La costruzione prosodica è in genere corretta, ma non riesce a spezzare una certa monotonia dominante; largo spazio trovano i frequenti paralleli, secondo un modello classico, che contribuiscono a rendere più vivace la narrazione. La scelta del genere epico viene giustificata in apertura come una equiparazione in primo luogo delle gesta dei Normanni con quelle degli antichi condottieri e quindi della propria penna con quella degli antichi poeti che ne cantarono in versi le imprese; e il parallelo viene ripreso in chiusura con l'aperto rimando a Virgilio, cantore di Ottaviano. Ovidio, Virgilio, Stazio e Lucano sembrano essere familiari a G., ma le loro citazioni non sono numerose, né particolarmente significative.

Non sembra che il testo abbia goduto di particolare fortuna tra i contemporanei: si conoscono solo due manoscritti di età medievale, entrambi conservati in Normandia, e solo uno attualmente esistente (Mathieu, pp. 70-85); sino al XVI secolo l'opera sembra essere poco conosciuta, se si eccettua qualche citazione all'interno della cronaca di Roberto di Torigny. In Italia l'unica utilizzazione coeva pare essere nella Chronica monasterii S. Bartholomaei de Carpineto del monaco Alessandro.

Edizioni: De rebus Normannorum in Sicilia, Appulia et Calabria historicum poema, in L.A. Muratori, Rer. Ital. Script., V, Mediolani 1724, pp. 253-278; Gesta Roberti Wiscardi, a cura di R. Wilmans, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, IX, Hannoverae 1851, pp. 241-298; La Geste de Robert Guiscard, a cura di M. Mathieu, Palermo-Roma 1961.

Fonti e Bibl.: R. Wilmans, Über die Quellen der Gesta Roberti Wiscardi des Guillermus Apuliensis, in Archiv der Gesellschaft für ältere deutsche Geschichtskunde, X (1849), pp. 87-130; A. Rossi, Della patria di G. detto A., in Id., Studi storici, Bologna 1906, pp. 201-243; F. Chalandon, Histoire de la domination normande en Italie et en Sicile, Paris 1907, I, pp. XXXVIII-XL; E. Joranson, The inception of the career of the Normans in Italy: legend and history, in Speculum, XXIII (1948), pp. 353-396; F. Roscini, G. A. monaco giovinazzese del secolo Mille e autore del poema latino sulle Geste di Roberto il Guiscardo, Giovinazzo 1967; H. Hoffmann, Die Anfänge der Normannen in Süditalien, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, XLIX (1969), pp. 115-119; L. Boehm, Nomen gentis Normannorum. Der Aufstieg der Normannen im Spiegel der normannischen Historiographie, in I Normanni e la loro espansione in Europa nell'Alto Medioevo. Settimane di studio… 1968, Spoleto 1969, pp. 623-704 passim; M. Fuiano, G. di Puglia, in Id., Studi di storiografia medioevale ed umanistica, Napoli 1975, pp. 1-103; V. D'Alessandro, Fidelitas Normannorum. Note sulla fondazione dello Stato normanno e sui rapporti col Papato, in Id., Storiografia e politica nell'Italia normanna, Napoli 1978, pp. 98-220; M. Oldoni, Mentalità ed evoluzione della storiografia normanna fra l'XI e il XII secolo in Italia, in Ruggero il Gran Conte e l'inizio dello Stato normanno. Atti delle II Giornate normanno-sveve… 1975, Bari 1991, pp. 162-166; J. France, The occasion of the coming of the Normans to Southern Italy, in Journal of medieval history, XVII (1991), pp. 183-205; K.B. Wolf, Making history. The Normans and their historians in eleventh-century Italy, Philadelphia 1995, pp. 123-141; H. Taviani-Carozzi, La terreur du monde. Robert Guiscard et la conquête normande en Italie, Paris 1996, pp. 20-26 passim; R. Bünemann, Robert Guiskard 1015-1085. Ein Normanne erobert Süditalien, Köln 1997, ad ind.; G.A. Loud, The age of Robert Guiscard. Southern Italy and the Norman conquest, Edinburgh 2000, ad ind.; Rep. fontium hist. Medii Aevi, V, pp. 291 s.; Lexikon des Mittelalters, IX, coll. 161 s.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata

CATEGORIE