GUALTIERO

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 60 (2003)

GUALTIERO

Fulvio Delle Donne

Non è possibile definire con precisione il luogo e la data della nascita di G., arcivescovo di Palermo, che, probabilmente, dovette avvenire in Sicilia nel secondo o nel terzo decennio del XII secolo.

Per lungo tempo gli è stato attribuito il cognome Offamil, declinato anche nelle varianti Ophamilius, Ofamile e Of the Mill. Solo Löwenthal e Kamp, suffragando un'ipotesi già avanzata circa un secolo prima da Behring, hanno dimostrato definitivamente che quel falso cognome derivava dalla malcompresa abbreviazione del titolo di "protofamiliare", di cui G. fu insignito, e più specificamente del genitivo greco, πϱωτοϕαμιλι(α)ϱ(ίου) che si ritrova, per esempio, in un documento del 1172 (Ménager, p. 215). Infondata appare anche l'ipotesi della sua origine inglese, generata dalla confusione tra lui e Gualtiero Anglico.

A quanto si può desumere da una lettera inviata a G. da Pietro di Blois, in cui si rende grazie a Dio perché "visitavit et fecit misericordiam suam vobiscum, de pulvere egenum vos erigens, ut sedeatis cum principibus et solium gloriae teneatis", e perché "de contemptibili paupertate vos extulit", G. proveniva da una famiglia non illustre, ma neanche infima, come sembra troppo enfaticamente affermare il dotto letterato e teologo nella sua esaltazione della misericordia divina: dati gli studi compiuti e il ruolo amministrativo da lui ricoperto sia nella gerarchia ecclesiastica sia in quella secolare, la sua famiglia doveva appartenere alla piccola nobiltà. Del resto Giovanni, un fratello di G. che fece parte di una commissione per la risoluzione di una controversia nata tra Goffredo Francigena, signore di San Filippo d'Agira, e il convento di S. Filippo, nel 1174 sottoscrisse un documento come "frater domini archiepiscopi Panormitani" (Holtzmann): il modo in cui Giovanni si qualifica, che rimanda alla forma, spesso attestata, "de archiepiscopo", ci fa capire che la sua famiglia non aveva ancora un nome ben riconoscibile o che, comunque, la tradizione di quel nome non era ancora stata formalizzata in maniera definitiva. Conosciamo anche i nomi della madre di G., Bona (che con le sue preghiere fece in modo che re Guglielmo II, nel 1172, concedesse alla chiesa cluniacense di S. Maria in Montemaggiore Belsito alcuni possedimenti posti in Caccamo) e di un altro fratello, Bartolomeo, che nel 1171 venne eletto vescovo di Agrigento e, dopo la morte di G., gli successe, dal 1192 al 1199, sulla cattedra palermitana.

La confusione sull'identificazione del personaggio ha fatto presumere a lungo che G. fosse stato inviato presso la corte siciliana dal re d'Inghilterra Enrico II, in occasione dei preparativi per le nozze tra sua figlia Giovanna e Guglielmo II. Questa notizia, sulla scorta di quanto già detto, non può corrispondere al vero.

In effetti, non abbiamo informazioni precise sui primi decenni della sua vita. È improbabile che G. sia da identificare (come ipotizza Garufi, 1942, p. 61 n. 4) col canonico agostiniano che, nel 1147, sottoscrisse un documento con cui il priore del convento di Bagnara dichiarava la sottomissione del suo convento alla Chiesa di Cefalù. Molto probabilmente, invece, egli è da identificare con l'arcidiacono di Cefalù, menzionato in due documenti del 1156 e del 1159 (ibid., n. 1 pp. 123-125; Amico - Starrabba, n. 15 pp. 21-23): infatti G. era sicuramente titolare di quell'ufficio ecclesiastico quando, nel 1161, divenne maestro dei figli del re di Sicilia Guglielmo I. Quell'importante incarico presso la corte siciliana dovette costituire l'occasione che gli aprì la strada per la futura prestigiosa carriera ecclesiastica e politica.

Per gli anni immediatamente successivi non si hanno molte notizie che lo riguardano. In quel periodo dovette diventare decano di Agrigento, dal momento che già nel dicembre del 1166 non era più arcidiacono di Cefalù. Nell'aprile del 1165, però, aveva ottenuto un canonicato presso il duomo di Palermo, e nel 1167 risulta titolare anche di un canonicato presso la cappella palatina della stessa città. Dopo la morte di Guglielmo I, negli anni che vanno dal 1166 al 1168, in cui la gestione del Regno di Sicilia fu affidata a Stefano di Perche, anche l'istruzione di Guglielmo II passò a Pietro di Blois, che era giunto presso la corte siciliana proprio al seguito di Stefano.

Questo non vuol dire che G., nel frattempo, avesse perso la sua influenza e il suo potere. Secondo quanto si può desumere dalla testimonianza dello Pseudo Falcando (p. 162), G. fu tra coloro che costrinsero Stefano di Perche, arcivescovo di Palermo e cancelliere, ad abbandonare la guida del Regno. Infatti, dopo la fuga di Stefano, nell'estate del 1168 ritroviamo G. tra i dieci familiari del re che componevano il Consiglio di reggenza del Regno di Sicilia. Non è possibile stabilire con precisione quali funzioni svolgesse tale Consiglio, ma è probabile che esso esercitasse il vero potere politico: il nome della reggente Margherita di Navarra compare nei diplomi, accanto a quello del figlio Guglielmo II, ma è ipotizzabile che la cosa avesse solo un valore formale. Ogni atto appare gestito da quel Consiglio, che non si preoccupò affatto di operare contro il volere della reggente la quale, anche se apertamente indignata, non poté fare a meno di accettare la decisione con cui furono allontanati dal Regno suo cugino Gilberto, conte di Gravina, e altri nobili che avevano sostenuto lei e Stefano di Perche.

Nello stesso periodo G. - contro il volere di Margherita di Navarra - venne eletto arcivescovo di Palermo, al posto di Stefano di Perche. Probabilmente l'elezione avvenne alla fine del 1168, pur se la prima menzione di G. come eletto risale solo al febbraio dell'anno successivo. Lo Pseudo Falcando ci parla di un'elezione imposta da G. con la forza (p. 163), mentre Romualdo di Salerno, che pure faceva parte del Consiglio di reggenza, ci dice che l'elezione fu unanime, anche se - come sembra essere sottinteso - priva della preliminare approvazione papale (p. 258).

In ogni caso, la faccenda fu piuttosto intricata: Margherita di Navarra, da un lato, inviò al papa Alessandro III un ingente donativo di denaro perché l'elezione non venisse confermata, nella speranza di far tornare Stefano e recuperare la maggiore autorità di cui aveva goduto in precedenza; dall'altro, i sostenitori di G. inviarono al papa altri donativi perché, invece, quell'elezione venisse ratificata. Alla fine, il papa decise in favore di G., che non dovette neppure recarsi a Roma per ricevere il pallio e, il 28 sett. 1169, venne consacrato dai vescovi suffraganei, alla presenza di Giovanni di Napoli, cardinale di S. Stefano, e del re Guglielmo II.

A partire da quel momento G. divenne uno fra i personaggi più influenti del Regno, e lo fu per circa vent'anni. Anzi, a quanto ci dice lo Pseudo Falcando, "repente statum immutavit curie, summamque sibi potestatem retinens, Matheum notarium et Gentilem Agrigentinum episcopum sub se familiares instituit" (pp. 163 s.); dunque, mutò radicalmente l'organizzazione politica dello Stato, ergendosi a sua somma guida, dal momento che erano considerati suoi sottoposti gli altri componenti del collegio dei familiares.

Forse lo Pseudo Falcando enfatizza eccessivamente l'esclusività assoluta del suo ruolo politico, dal momento che, successivamente, ribadisce che aveva plagiato talmente il re, "ut non tam curiam quam regem ipsum regere videretur" (p. 165). Tuttavia, già nel 1170, veniva definito "Regni moderator" (Garufi, 1913, p. 175); nel già ricordato documento dell'ottobre del 1172 il secreto Goffredo lo chiama protofamiliare (Ménager, pp. 214-216); e Pietro da Eboli, con un sottile gioco di parole sul suo nome, ci rende edotti sulla sua onnipotenza, magari un po' capricciosa, dicendo che "gualterizatur ubique" (v. 102). Queste testimonianze, in ogni caso, ci fanno comprendere quanto alto fosse il ruolo amministrativo e politico da lui ottenuto. Molto probabilmente, per tutto il periodo in cui fu re Guglielmo II, uscito di minorità nel 1171, fu lui a mantenere la vera gestione del potere, magari dividendola con il vicecancelliere Matteo d'Aiello: Riccardo di San Germano, infatti, definisce questi due personaggi "columpne firmissime" del Regno, anche se poi stigmatizza enfaticamente i loro contrasti personali e le contrapposizioni politico-amministrative (p. 5). Questa impressione, che si ricava dalla lettura delle fonti cronachistiche, ci viene confermata dai diplomi che, a partire almeno dagli ultimi mesi del 1170, vengono sempre emanati da un nucleo ristretto di tre o quattro familiari regi, tra i quali sono costantemente presenti solo G. e Matteo d'Aiello, i quali sembrano aver imposto una linea politica che tendeva a escludere dalla gestione del potere la componente aristocratica.

In ogni caso la presenza di G. è attestata costantemente al fianco di re Guglielmo II, tanto che lo accompagnò anche nei suoi viaggi del 1172, del 1182-83 e del 1185 nella parte continentale del Regno. Sicuramente fece sentire il suo peso e la sua influenza nelle decisioni relative alla politica estera, soprattutto riguardo alle alleanze strette dal sovrano normanno con il suo matrimonio e, poi, con quello di Costanza d'Altavilla. Infatti, nel 1171, G. fu tra i principali fautori delle progettate nozze tra Guglielmo II e Zura Maria, figlia dell'imperatore bizantino Manuele Comneno: nozze che poi, all'ultimo momento, non ebbero luogo, dal momento che la principessa greca non partì per Taranto, dove il re normanno la attese invano. Nel febbraio del 1177 G. sottoscrisse anche, come primo firmatario, il contratto dotale per il matrimonio tra Guglielmo II e la principessa Giovanna d'Inghilterra, figlia del re Enrico II, e ne benedisse l'unione.

Qualche problema nei rapporti con Guglielmo II, invece, dovette nascere dai progetti che il re nutriva per Monreale. Infatti, per la sua posizione di alto rappresentante della gerarchia ecclesiastica, dovette sentirsi a disagio quando si trattò di accettare la costituzione di una nuova sede arcivescovile così vicina a quella di cui egli era titolare; tanto più che lo stesso papa Lucio III ebbe modo di rilevare che si sarebbe trattato di una novità del tutto eccezionale. Tuttavia, G. finì con l'accettare la situazione, diversamente dal fratello Bartolomeo, vescovo di Agrigento, che vi si oppose con tanta energia da essere allontanato dal Consiglio dei familiari del re e, addirittura, bandito da Palermo. Evidentemente G. dovette badare innanzitutto a conservare la sua posizione di potere nell'amministrazione politica del Regno, mantenendo il suo ruolo privilegiato al fianco del sovrano e, nel 1176, in cambio di congrui indennizzi, sottoscrisse l'atto di fondazione di Monreale, confermando la sua approvazione riguardo alle esenzioni, alla delimitazione territoriale e alle concessioni necessarie alla nuova diocesi.

Ancora nel 1185, tuttavia, G. prese le distanze dalla linea politica di Guglielmo II. In quell'anno, infatti, il sovrano normanno decise di appoggiare le rivendicazioni al trono di Bisanzio del presunto Alessio II, che era giunto in Sicilia in cerca di aiuto; Guglielmo approfittò della situazione per compiere un estremo tentativo di espansione verso Oriente e, molto probabilmente, per concretizzare le sue aspirazioni imperiali. Così, organizzò una grande spedizione militare che, però, dopo la conquista di Tessalonica, fu costretta a ritirarsi. In questa occasione, a quanto ci racconta Eustazio, metropolita di Tessalonica, G., insieme con Riccardo Palmer, arcivescovo di Messina, fu l'unico a opporsi a quel progetto militare, destinato al fallimento. Egli, infatti, cercò sempre di arginare la politica avventurosa del sovrano, spingendolo verso il rafforzamento del potere all'interno dello stesso Regno, e a volgerlo a quelli che egli riteneva fossero i veri interessi della monarchia siciliana.

Nella stessa direzione fu volta, nello stesso periodo, anche la sua azione riguardo al matrimonio tra Costanza, figlia di Ruggero II, ultima erede della stirpe reale, e il futuro imperatore Enrico VI di Svevia. A quanto ci racconta Riccardo di San Germano (p. 6), fu proprio grazie ai buoni uffici e all'influenza di G. che Guglielmo II si decise ad acconsentire a quel matrimonio, che, annunciato solennemente il 29 ott. 1184, venne celebrato a Milano il 27 genn. 1186. In questa fase G. comincia già a caratterizzarsi come l'esponente di maggiore spicco del partito filotedesco, che si scontrò nettamente con quello guidato da Matteo d'Aiello, strenuamente contrario all'assorbimento del Regno all'interno dei domini imperiali.

Dopo la morte senza figli di Guglielmo II (18 nov. 1189), le contrapposizioni si fecero ancora più aspre: se, da un lato, G. continuò a sostenere i diritti di Enrico VI sul Regno, Matteo d'Aiello, appoggiato dalla popolazione di Palermo, promosse la candidatura di Tancredi di Lecce, mentre i maggiori vassalli del Regno proponevano Ruggero d'Andria. Gli scontri per la successione si protrassero almeno fino alla vittoria finale di Enrico VI. Comunque, nella gestione della vicenda, G. dimostrò tutto il suo realismo politico: partendo dal presupposto che le contingenze storiche imponevano più saldi legami con la dinastia sveva, nella sua azione fu guidato, successivamente, anche dal desiderio di evitare la sanguinosa e devastante guerra che sarebbe scoppiata nel caso in cui fossero stati negati i diritti di successione di Enrico VI. Quello stesso realismo politico lo spinse, poi, ad accettare la sconfitta del proprio partito e, addirittura, con l'approvazione papale, a incoronare, nel gennaio del 1190, Tancredi come nuovo sovrano.

Questo fu il suo ultimo grande atto di rilevanza istituzionale: morì poco dopo, senza poter vedere realizzato il suo disegno di unire nella stessa persona le corone del Regno e dell'Impero. Dall'iscrizione posta sul suo sepolcro, nella cattedrale di Palermo, ricaviamo che morì nel 1190: "sunt duo lustra minus annis de mille ducentis / cum claudit tantum tam brevis urna virum".

Il personaggio non ebbe solo rilevanza politica. Egli si conquistò anche un notevole prestigio culturale. Lo attesta, in primo luogo, il fatto che fu chiamato a corte come maestro dei figli di re Guglielmo I. Il suo insegnamento dovette avere per materia l'avviamento all'ars versificatoria e alla litteratura, come ci attesta una lettera di Pietro di Blois: ciò fa supporre che egli abbia coltivato tali studi in maniera approfondita, ma non è possibile stabilire se presso uno Studium. Comunque, G. sfruttò sicuramente le sue competenze letterarie e poetiche nell'elaborazione di un inno a s. Agata, che fu a lungo apprezzato: ancora nel XVII e nel XVIII secolo venne stampato più volte (Kamp, p. 114). La sua cultura e il suo ruolo di protettore di letterati e filosofi ci vengono confermati anche dalla dedica - indirizzata a lui e non a Gualtiero di Palearia, come spesso si è erroneamente ipotizzato - della Summa teologica scritta, intorno al 1185, da Pietro Capuano, futuro cardinale e legato pontificio alla IV crociata. Talvolta è stata attribuita a G. una raccolta di circa sessanta favole in versi, intitolata Romulus, e si è pensato che fosse stata approntata per fornire insegnamenti al piccolo Guglielmo II: ma tale attribuzione risulta generata da una sovrapposizione tra l'effettivo autore, Gualterius Anglicus, e Gualtiero.

La sua attività religiosa come arcivescovo di Palermo, che trovò seguito nell'elezione, come suo successore, del fratello Bartolomeo e del suo figlio spirituale Pietro di Mazara, si orientò anche verso la protezione dell'Ordine cistercense: nel 1177-78, con l'appoggio dei cistercensi calabresi di Sambucina, fondò l'abbazia di S. Spirito di Palermo e fornì i mezzi per la costruzione del convento. Ma l'impegno maggiore, come suprema guida della sua diocesi, fu dedicato alla costruzione della nuova cattedrale di Palermo, che, se pure fu messa in ombra dagli splendori di quella di Monreale, che godette dei favori regali, dovette comunque rappresentare, nelle sue forme originali, una delle più alte espressioni dell'arte normanna, e forse risultò direttamente ispirata proprio ai gusti architettonici e artistici del committente.

Fonti e Bibl.: Romualdus Salernitanus, Chronicon, a cura di C.A. Garufi, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., VII, 1, pp. 258, 262, 269; Ryccardus de Sancto Germano, Chronica, a cura di C.A. Garufi, ibid., VII, 2, pp. 5 s.; Petrus Blesensis, Epistolae, in J.-P. Migne, Patr. Lat., CCVII, coll. 196-210; G.L. Lello - M. Del Giudice, Privilegi e bolle della metropolitana Chiesa e monastero di Morreale…, Palermo 1702, pp. 2-4, 68-70, 80-82; E. Martène - U. Durand, Veterum scriptorum et monumentorum amplissima collectio, I, Lutetiae Parisorum 1724, p. 902; A. Mongitore, Bullae, privilegia et instrumenta Panormitanae metropolitanae Ecclesiae…, Panormi 1734, pp. 48-53; L. Garofalo, Tabularium regiae capellae Divi Petri in regis Panormitano palatio, Palermo 1835, p. 28; Eustathius, De Thessalonica a Normannis capta narratio, a cura di I. Bekker, Bonn 1842, p. 421; A. Cusa, I diplomi greci ed arabi di Sicilia, I, Palermo 1868, pp. 39-43, 47-49, 737; Rogerius de Hovedene, Chronica, a cura di W. Stubbs, II, London 1869, pp. 95-97; Radulfus de Diceto, Opera historica, a cura di W. Stubbs, London 1876, p. 17; Ph. Jaffé, Regesta pontificum Romanorum, a cura di S. Löwenfeld et al., II, Lipsiae 1886, n. 11628 p. 224; A. Amico - R. Starrabba, I diplomi della cattedrale di Messina, Palermo 1888, n. 15 pp. 21-23; A. Bernard - A. Bruel, Recueil des chartes de l'abbaye de Cluny, V, Paris 1894, n. 4245 pp. 600 s.; U. Falcando, La Historia o Liber de Regno Sicilie, a cura di G.B. Siragusa, in Fonti per la storia d'Italia [Medio Evo], XXII, Roma 1897, pp. 58, 85, 162 s., 165; C.A. Garufi, I documenti inediti dell'epoca normanna in Sicilia, Palermo 1899, ad ind.; K.A. Kehr, Die Urkunden der normannisch-sicilischen Könige, Innsbruck 1902, p. 86; Codice diplomatico barese, a cura di F. Nitti Di Vito, V, Bari 1902, ad ind.; Codice diplomatico salernitano, a cura di C. Carucci, I, Subiaco 1931, pp. 252-254, 386-388; Petrus de Ebulo, Liber ad honorem Augusti, a cura di T. Kölzer et al., Sigmaringen 1994, vv. 102-115; J. Bale, Scriptorum illustrium maioris Brytanniae catalogus, II, Basileae 1559, p. 151; F. Testa, De vita et rebus gestis Gulielmi II Siciliae regis, Monregali 1769, p. 169; A. Casano, Del sotterraneo della chiesa cattedrale di Palermo, Palermo 1849, pp. 47 s.; G. Picone, Memorie storiche agrigentine, Girgenti 1866, p. 460; W. Behring, Sicilianische Studien, II, Elbing 1887, pp. 1 s.; L. Hervieux, Les fabulistes latins depuis le siècle d'Auguste jusqu'à la fin du Moyen Âge, I, Paris 1893, pp. 491-495; F. Chalandon, Histoire de la domination normande en Italie et en Sicile, II, Paris 1907, ad ind.; C.A. Garufi, Per la storia dei secoli XII e XIII, in Arch. stor. per la Sicilia orientale, X (1913), pp. 175 s.; M. Manitius, Geschichte der lateinischen Literatur des Mittelalters, III, München 1931, pp. 771-773; L. White, Latin monasticism in Norman Sicily, Cambridge, MA, 1938, pp. 151, 168-170; C.A. Garufi, Roberto di San Giovanni, maestro notaio, e il "Liber de Regno Siciliae", in Arch. stor. siciliano, VIII (1942), pp. 61, 123-125; H.M. Schwarz, Die Baukunst Kalabriens und Siziliens im Zeitalter der Normannen, in Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte, VI (1942-44), pp. 84 s., 91-93; O. Demus, The mosaics of Norman Sicily, London 1950, pp. 91-93; G. Di Stefano, Monumenti della Sicilia normanna, Palermo 1955, pp. 53-55, 60-62; W. Holtzmann, Papst-, Kaiser- und Normannenurkunden aus Unteritalien, I, San Filippo, S. Maria Latina in Agira, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, XXXV (1955), pp. 81 s.; E. Jamison, Admiral Eugenius of Sicily, London 1957, ad ind.; L.R. Ménager, Amiratus-ΆμηϱᾶϚ. L'émirat et les origines de l'amirauté, Paris 1960, ad ind.; L.J.A. Löwenthal, For the biography of Walter Ophamil, archbishop of Palermo, in The English Historical Review, LXXXVII (1972), pp. 75-82; N. Kamp, Kirche und Monarchie im staufischen Königreich Sizilien, III, München 1975, pp. 1112-1119 e ad ind.; H. Enzensberger, Il documento regio come strumento di potere, in Potere, società e popolo nell'età dei due Guglielmi, Bari 1981, pp. 109, 132; T. Kölzer, Urkunden und Kanzlei der Kaiserin Konstanze, Königin von Sizilien, Köln-Wien 1983, pp. 9, 12 s., 63, 75; W. Maleczek, Pietro Capuano, Amalfi 1997, pp. 30, 54, 255-257, 327; D. Matthew, I Normanni in Italia, Bari 1997, ad ind.; Enc. Italiana, XVIII, p. 12; Dict. d'hist. et de géogr. ecclésiastiques, XX, coll. 104-107.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata

CATEGORIE
TAG

Riccardo di san germano

Giovanna d'inghilterra

Arcivescovo di palermo

Margherita di navarra

Margherita di navarra