Gruppo

Universo del Corpo (1999)

Gruppo

Jaime Ondarza Linares e Leonardo Ancona

Per gruppo s'intende, genericamente, ogni aggregato, volontario o naturale, che si colloca tra l'individuo e la società. Da un punto di vista meramente statistico, il gruppo è una qualsiasi categoria di individui che possiedano una o più caratteristiche comuni; da un punto di vista sociologico viene piuttosto messo a fuoco il tipo di relazioni che si instaurano all'interno dell'insieme degli individui. Viene definito primario il gruppo basato su rapporti spontanei e solidaristici dei propri membri e investito di un ruolo fondamentale nel provvedere alle funzioni di socializzazione primaria degli individui (per es. il gruppo familiare). Il gruppo secondario prevede invece una scelta di adesione, ha una struttura normativa più rigida e agisce prevalentemente nella vita adulta degli appartenenti, prefiggendosi lo scopo di integrarli entro particolari sistemi di modelli culturali (per es., organizzazioni sindacali, associazioni culturali ecc.). A questa tipologia elementare è riconducibile anche l'altra distinzione ricorrente tra gruppi organizzati e gruppi informali. In tempi recenti l'interesse si è concentrato soprattutto sull'analisi dei piccoli gruppi (microsociologia) e più specificamente, con il contributo della psicologia sperimentale, sul fenomeno della dinamica di gruppo; a sua volta la psicologia analitica, fondata sull'inconscio, ha promosso la conoscenza e la pratica delle terapie gruppo-analitiche.

Psicoterapie analitiche di gruppo. □ Bibliografia.

La funzione psicosociale del gruppo

di Jaime Ondarza Linares

I.

Il ruolo del gruppo nei diversi contesti della vita

Il gruppo in quanto realtà spazio-temporale (determinata per numero, quantità, durata nello spazio e nel tempo) non coincide necessariamente con la sua rappresentazione psichica. Da tale diversità può nascere una dicotomia tra il gruppo inteso come oggetto esterno e le rappresentazioni mentali del gruppo stesso che configura in modo rinnovato il rapporto tra individuo e gruppo. Il termine gruppalità, neologismo entrato a integrare il lessico della psicoterapia analitica, indica appunto qualcosa di più del gruppo come entità numerica o come rappresentazione mentale, comprendendo sostanzialmente le diverse vicissitudini più o meno conflittuali che si configurano tra individuo e gruppo in molti contesti della vita. Nel contesto biologico la 'legge biogenetica fondamentale' di E.H. Haeckel, relativa al rapporto fra ontogenesi e filogenesi, sembra segnalare la preponderanza del phylum o gruppo generico sulla specie e sull'individuo, sebbene questo processo evolutivo possa esser visto a sua volta come un beneficio per l'individuo stesso (interazione biogenetica tra specie e individuo). Per il contesto fenomenologico ed esistenziale si nasce appartenendo a un gruppo e si vive cercando di esprimersi o adattarsi all'interno di esso, sicché la vita è un movimento attraverso il gruppo. Nell'ambito del gruppo sociale primario, la famiglia è il primo contesto storico (ontologico e sociale), che non si sceglie ma con il quale si dovrà 'fare i conti' durante tutta l'esistenza, e si configura sia come gruppo primario o specchio dell'Io (Cooley 1902), sia come ponte più o meno agibile verso la società; di conseguenza la famiglia rappresenta un punto nodale dei conflitti tra società, cultura e individuo. Il contesto sociale, politico e culturale vuole l'individuo plasmato dalla cultura e dalla società ancora prima della sua nascita: il comportamento è regolato dal gruppo in circoli concentrici che vanno dal come soddisfare i bisogni istintivi primari (sessualità, nutrizione), al modo di pensare, vestire e relazionarsi con gli altri ecc.; anche la norma è un concetto gruppale e la normalità un suo derivato. La comunicazione, essendo essenzialmente collegata al bisogno istintivo di relazione, è anch'essa regolata dal gruppo: essa fornisce non soltanto lo strumento, per es. il linguaggio, ma anche la tecnologia che a certi livelli modella ed elabora la comunicazione. Infine il concetto di salute mentale, con le sue vicissitudini e possibilità, è sempre dipendente dal gruppo sociale.

Attraverso questi accenni ai diversi contesti in cui svolge un ruolo di fondamentale importanza, possiamo intravedere varie configurazioni della gruppalità, che rappresentano alcuni punti d'incontro delle vicissitudini che regolano il vivere dell'individuo con gli altri in un continuum che va dal piano filogenetico biologico a quello ontogenetico psicologico, culturale. L'individuo si rapporta continuamente con i due poli della gruppalità (quello biologico e quello culturale) in una sorta di triangolazione dialettica che, attraverso la bipolarità individuale corpo-mente, tende a configurare dicotomicamente diverse coppie dialettiche come per es., appartenenza-differenziazione, dipendenza-autonomia, normativa-creatività, istituzione-individuo.

2.

La diversità degli approcci al gruppo

Alla gruppalità è sotteso un istinto primario di relazione (relatedness). Già W. Trotter (1916) aveva messo in rilievo la gregariousness (istinto gregario) come istinto primario accanto a nutrizione, sessualità e autoaffermazione, e aveva inoltre sottolineato come tale istinto talvolta si contrapponga conflittualmente agli altri tre. Le prospettive contemporanee, da diverse angolazioni (dalla psicosociologia alla psicoanalisi della relazione) vedono in questa contrapposizione non solo un gioco meccanicistico di dinamica pulsionale, ma la spirale di un processo di organizzazione lungo l'asse dell'identità e della comunicazione. L'identità si registra in due poli: quello del Sé (essere sé stesso, la sameness di H.E. Erikson) e quello dell'essere significativo per l'Altro. Essi rappresentano da un punto di vista topico, dinamico ed economico (usando la terminologia metapsicologica psicoanalitica) gli estremi entro cui si registra il continuum conflittuale esistente tra l'individuo e il gruppo. La storia del pensiero sociologico relativo al gruppo potrebbe interpretarsi, quindi, come la storia delle diverse configurazioni ideologiche riguardanti questo processo conflittuale.

Da una revisione panoramica del pensiero sociologico, nell'arco che parte dagli studi sulla mentalità e l'inconscio di gruppo di É. Durkheim (alla fine del 19° secolo) e giunge fino alla dinamica di gruppo e alla teoria del campo di K. Lewin (negli anni Trenta del 20° secolo), si possono riassumere i punti fondamentali messi progressivamente in evidenza dai principali autori: il gruppo viene concepito, talora, come entità olistica o, viceversa, come un processo d'interazione; dall'interesse per le grandi concentrazioni gruppali (massa, folla) si passa allo studio del piccolo gruppo 'primario' (Cooley 1902), così come si passa dalla sociologia sociologica alla sociologia psicologica; W. McDougall (1920) individua nella 'mente di gruppo', che può avere connotazioni tanto negative quanto positive per l'identità individuale, la potente dinamica che opera nelle masse e nella folla, sottolineando, quindi, la dicotomia tra individuo e gruppo; la sociologia psicologica di C. Cooley e la teoria del campo di Lewin, infine, mettono in evidenza una dinamica dell'interrelazione tra individuo e gruppo e il rapporto reciproco del gruppo 'visibile' con il gruppo 'invisibile'.

L'approccio psicoanalitico al gruppo (introdotto da W. Bion e S.H. Foulkes e adottato in seguito da diverse scuole), ha indubbiamente contribuito a chiarire il rapporto tra le rappresentazioni interne del gruppo e le sue configurazioni esterne e ha successivamente messo a punto applicazioni cliniche della gruppalità usata come strumento terapeutico (v. oltre).

3.

Corpo e gruppo

Il significato dell'interrelazione corpo-gruppo può essere compreso anzitutto tenendo presente che il corpo è il depositario dell'eredità genetica del gruppo. Inoltre esso, come dimora naturale e strumento abituale della vita istintiva, regola attraverso il gruppo l'espletamento di tale vita e questo non solo in una prospettiva pulsionale autoregolata dall'istinto, quanto in una prospettiva di relazione con l'Altro. Il corpo rappresenta dunque lo strumento della relazione che passa e si organizza attraverso il gruppo a diversi livelli; Foulkes la abbina all'ipotesi di sviluppo evolutivo dell'identità nel bambino formulata da Erikson (1950): tale sviluppo è inizialmente centrato sul proprio corpo (autocosmo), attraversa, in seguito, una fase in cui la realtà esterna viene proiettivamente registrata come parte del proprio Sé (microcosmo) e arriva al mondo o gruppo sociale come veramente è (macrocosmo). Corpo e gruppo si costituiscono così come due poli dell'organizzazione del Sé. La formulazione di M. Merleau Ponty, 'essere è essere nel corpo', e quella di M. Heidegger, 'essere è essere nel mondo', possono illuminare su questa doppia polarità. Altra prospettiva utile all'approfondimento del rapporto corpo-gruppo è quella dell'analisi linguistica. È interessante notare come gli studi di semantica evidenzino che la parola gruppo deriva dalla radice indoiranica krp da cui deriva anche corpo. Il linguaggio comune, quando vuole richiamare talune caratteristiche di struttura, di funzionamento specifico o di organizzazione culturale o transpersonale di un determinato gruppo, lo designa come corpo: corpo dell'esercito, corpo di ballo, corpo medico, il corpo istituzionale, il corpo giuridico, il Corpo mistico della Chiesa cattolica. Voci metonimiche come la 'testa' o il 'capo' dell'organizzazione gruppale, il 'cuore' del popolo, il 'braccio' della giustizia, sembrano confermare il bisogno di usare il corpo per indicare o precisare nel gruppo caratteristiche della sua organizzazione o funzioni particolari (mentre la 'disorganizzazione' del gruppo viene in genere nominata come massa, folla; livelli organizzativi più arcaici o sottovalutati vengono chiamati orda, branco, mandria). Nell'organizzazione del Sé, testa, cuore o membra, destro, sinistro, superficiale, profondo, dentro, fuori, sono gerarchizzati richiamando alcune connotazioni e configurazioni del gruppo. Anche l'organizzazione dello 'schema corporeo' (Schilder 1935) o la consapevolezza del proprio corpo o delle sue posture o movimenti è importante per definire il rapporto corpo-gruppo in quanto si collega alla capacità del Sé di essere nel corpo e nel mondo. Essa propone così una delle prospettive più feconde del rapporto corpo-gruppo. Il Sé costruisce e organizza la propria immagine attraverso il corpo: i propri bisogni istintivi e vitali e il collegamento, più o meno gerarchico, di certe zone o sistemi corporei con esperienze o vincoli intersoggettivi, interpersonali, entro un contesto transpersonale. Il corpo si avvale della propria immagine per rappresentare, più o meno gerarchicamente, con la metafora o la metonimia, il gruppo e si riappropria di queste rappresentazioni per aumentare la consapevolezza e l'integrazione dell'immagine corporea medesima. Questo spazio di doppi rimandi costituisce una sorta di 'spazio intermediario' o 'di transito' della relazione, analogo a quello che, secondo lo psicoanalista inglese D.W. Winnicott (1971), caratterizza nel bambino tra i 4 e i 12 mesi il passaggio dalla relazione esclusiva con la madre alle prime relazioni oggettuali in cui gli oggetti vengono percepiti come separati dal soggetto. Analogamente nel linguaggio comune si ritrovano reminiscenze arcaiche di separazione, disintegrazione, incorporazione, congiungimento simbolico con l'altro in frasi come, per es.: 'è un pezzo di me', 'mi si spezza il cuore', 'la mia cara metà', 'uniti come le dita della mano', 'un sol corpo e una sola anima'.

Psicoterapie analitiche di gruppo

di Leonardo Ancona

La possibilità di cogliere l'aspetto psicologico del gruppo non è immediata come lo è quella di cogliere il suo aspetto sociologico, la collettività o massa. Per essere rilevato, il gruppo in senso psicologico, o 'psiche-gruppo' (Moreno 1964), ha bisogno del ricorso a un 'pregiudizio', nel senso dato a questo termine da H.G. Gadamer (1990), ha bisogno cioè di un modello epistemologico. Questo può essere offerto dal concetto di Gestalt per il quale il contesto determina il contenuto, il tutto viene prima ed è più importante delle parti che lo costituiscono. Inizialmente applicato all'area della percezione, il modello della Gestalt è stato esteso alla memoria, alla motivazione, alla personalità e infine, per merito di K. Lewin (1947), al comportamento, ivi compreso quello del piccolo gruppo in interazione. Lewin elaborò una formula secondo la quale il comportamento (B) è determinato dalla personalità (P) e dall'ambiente (E), per cui B=P×E. In questa formula il gruppo appare come un fatto primario, cioè non come la somma dei suoi componenti; anzi sono questi a essere visti come derivati dal contesto che li rende gruppo, ed è soprattutto l'insieme delle loro interazioni a essere una Gestalt. Ciò comporta, come prima e immediata conseguenza, che per 'vedere' il gruppo come variabile scientifica, e per poter operare su di esso, è preliminarmente indispensabile concepirlo, credere nella sua esistenza; adottare in altre parole un atteggiamento di 'spontaneità', di assenza di pregiudizi contrari. Lewin ha tuttavia individuato la personalità come un elemento passivo e ha perciò considerato l'ambiente come il fattore primario nella determinazione del comportamento: del tutto diverso dalla natura dei suoi componenti (come la natura dell'acqua è diversa da quella di idrogeno e ossigeno che la compongono) e soggetto alla loro interazione meccanica (come il disporsi delle linee di forza in una limatura di ferro cui si applichino i due poli di una calamita). Per Lewin e la sua scuola il soggetto (P) viene pertanto perduto. Al contrario, M. Wertheimer e il suo epigono S. Asch hanno sottolineato l'importanza dell'articolazione della Gestalt esterna (il gruppo), cioè l'ambiente, con una isomorfa realtà interna presente nella mente di ogni singolo componente del gruppo (la personalità); secondo la teoria di Wertheimer e Asch, quindi, il comportamento sociale deriva dall'interazione fra due Gestalt, una sociale e l'altra psichica, ognuna pari all'altra per importanza dinamica. In questa versione, il soggetto è recuperato insieme al suo campo sociale, secondo la concezione originaria, e più pregnante, della Gestalt. Le due concezioni di gruppo ricordate hanno avuto importanti applicazioni in campo psicoterapeutico. Ognuna ha infatti ispirato un modo diverso di condurre l'analisi di gruppo, una forma di psicoterapia nata durante la Seconda guerra mondiale per la necessità di curare un elevato numero di soggetti, reduci dal fronte in stato di scompenso mentale, avendo a disposizione uno scarso numero di psichiatri. Una di queste correnti di applicazione clinica è stata direttamente ispirata dal modello di Lewin, ed è stata sviluppata in termini di 'dinamica di gruppo' da W. Bion della Tavistock Clinic di Londra. Guardando al funzionamento globale del gruppo in psicoterapia, Bion scoprì e descrisse le leggi del suo comportamento; egli avanzò l'ipotesi che in esso si delineino successivamente tensioni sociali (che chiamò presupposti o assunti di base), nel senso che il gruppo si comporta come se fosse regolato da questi principi. 'Dipendenza', 'attacco-fuga' e 'accoppiamento', sono i tre assunti che presiedono al funzionamento di gruppo e al lavoro psicoterapeutico, che Bion ha descritto e che ha successivamente riportato ai processi difensivi inconsci propri della psicoanalisi di M. Klein. Anche qui si tratta di una psicoanalisi di gruppo dove il soggetto partecipante non trova posto. Una seconda corrente di psicoterapia gruppale si richiama invece al modello di Wertheimer e Asch; il protagonista di questo movimento è stato S.H. Foulkes, uno psicoanalista che aveva lavorato in Germania con K. Goldstein, neuropsicologo che si era occupato di cerebrolesi di guerra, sottolineando, insieme alla Gestalt, l'importanza del substrato biologico. Foulkes ha sviluppato un modello di gruppo in cui l'inconscio individuale viene sostituito dall'inconscio di gruppo, ovvero dalla 'matrice', un reticolo nel quale gli individui sono sempre presenti, in quanto rappresentano i nodi dei fili che si intrecciano per formarlo. La matrice ingloba l'inconscio individuale ma lo supera e quindi consente di cogliere le conseguenze dell'impatto del gruppo sull'individuo e dell'individuo sul gruppo.

Si è così declinata una nuova modalità terapeutica basata su tre principi: 1) l'interazione gruppale viene ripetuta, isomorficamente, nella mente dei singoli partecipanti e innesca livelli arcaici di funzionamento psichico; infatti per la teoria gestaltica il tutto eccede la parte; pertanto nell'interazione il funzionamento gruppale si manifesta al di sopra di quello individuale, perché è proprio questo il modo primitivo di funzionare della mente del soggetto umano ed è pur sempre radicato in lui (nell'evoluzione, il gruppo viene prima dell'individuo, anche se ciò sembra un assurdo); 2) l'eventuale impatto traumatico del soggetto con la realtà, scoperto e descritto da S. Freud con la psicoanalisi, si esercita di conseguenza sulla sua 'mente gruppale' più precocemente di quanto si verifichi sulla sua già costituitasi individualità; pertanto le radici della psicopatologia, e dei suoi futuri disadattamenti, si ritrovano a livello di interazioni gruppali primarie andate a male, cioè in un conflitto fra il gruppo dell'ambiente evolutivo e il proprio gruppo mentale; 3) la matrice di gruppo consente di decodificare il passato di ciascuno dei componenti, di tradurlo dallo stato di inconscio a quello di consapevolezza, in quanto ciò che un gruppo iniziale, patogeno, ha guastato, un gruppo terapeutico può correggere (De Marè 1975). Condurre la terapia di gruppo ponendo attenzione sia all'inconscio del soggetto sia a quello del gruppo, in successione (sguardo 'binoculare' nei termini di M. Pines) o in simultaneità (sguardo 'bi-logico' nei termini di I. Matte Blanco) consente pertanto di fare opera di psicoterapia profonda, anche più profonda di quella cui giunge una ordinaria psicoanalisi. Effettivamente, la pratica clinica del piccolo gruppo ha consentito di evidenziare che nella dinamica della sua interazione si verifica un processo speciale di riflessione: si vedono, infatti, riflesse negli altri, e soprattutto nelle interazioni che si hanno con loro, parti sociali di sé che altrimenti rimarrebbero sconosciute, rimosse nell'inconscio.

Come già accennato, la teoria della Gestalt applicata al gruppo sostiene che nella mente di ciascun partecipante, nella misura in cui crede nel gruppo, si ripete istantaneamente un gruppo mentale isomorfo; ogni interazione viene pertanto ripetuta all'interno del campo psichico, diventa una parte di sé stessi provvisoriamente distaccata dalle altre parti, dialettizzata con esse, resa consapevole. Si recuperano così parti di sé che erano state alienate, nascoste in quanto sofferenti, rimosse dalla coscienza; le stesse, per risvegliarsi, hanno avuto bisogno della situazione gruppale, che le ha raggiunte e innescate. Antiche reminiscenze diventano allora realtà concreta, palpabile in quanto rappresentate nel corpo e nelle azioni degli altri membri del gruppo terapeutico e si comprendono cose mai prima capite, che erano state vissute 'fuori' da sé e che nel gruppo sono diventate persona nel corpo degli altri componenti. È allora possibile operare terapeuticamente su di esse. Secondo Foulkes, la pratica della 'gruppo-analisi' ha consentito di cogliere l'esistenza nel gruppo di una matrice primordiale, che si riferisce ai tempi in cui il soggetto umano non era ancora in grado di funzionare in base a scambi simbolici, come si verifica nelle interazioni ordinarie, poiché era ancora immerso nel pre-simbolico, in quello che C. G. Jung ha descritto come 'inconscio collettivo'. Ciò ha condotto alla esplorazione di quel setting che vien detto 'grande gruppo', esteso a cinquanta, sessanta e più individui. Si tratta di un insieme anonimo e minaccioso, la cui inferenza richiede una particolare disponibilità in quanto ciò che si esperimenta è la frammentazione, che può però consentire di giungere al livello più profondo, antico, ancestrale di sé: quello delle interazioni che sono state vissute al principio della vita nell'incontro, o scontro, del proprio interno campo gruppale col gruppo massivo dal quale il soggetto umano viene accolto, o esposto, nel suo periodo neo-natale o anche pre-natale. Il modello psicologico del gruppo incontra spesso difficoltà a farsi accettare, specialmente in campo psicologico e psicoanalitico, perché la 'matrice' sembra esigere la rinuncia alla propria individualità da parte dello psicoterapeuta. Essa coinvolge infatti anche il conduttore del gruppo e viene da questi facilmente vissuta come una ferita narcisistica dell'Io.

Bibliografia

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