GRUPPO

Enciclopedia Italiana (1933)

GRUPPO

Ugo Amaldi

. Termine matematico, corrispondente a un concetto che, per quanto implicito in molti ordini di questioni, anche elementari, ha trovato la sua formulazione precisa soltanto nella prima metà del secolo scorso; e da allora si è venuto evolvendo ed estendendo in vari sensi e traverso applicazioni sempre più vaste, così da costituire ormai uno dei concetti fondamentali e caratteristici della matematica moderna. Per darne subito una prima idea - parlando alla buona e prescindendo da ulteriori condizioni accessorie su cui torneremo più avanti - possiamo dire che si chiama gruppo ogni sistema di operazioni tali che, sciegliendone due ad arbitrio ed eseguendole l'una dopo l'altra, si ottenga sempre un'operazione dello stesso sistema. Così, in aritmetica, formano un gruppo le addizioni, perché, ad esempio, l'aggiungere a un numero prima il 2 e poi al risultato il 3, equivale ad aggiungere addirittura al numero di partenza il 5; e altrettanto si dica delle moltiplicazioni, degli elevamenti a potenza, dell'insieme di tutte le operazioni razionali. Esempî più espressivi sono forniti dalla geometria. Le figure d'un piano, pensate come rigide, sono suscettibili d'infinite traslazioni, e queste traslazioni costituiscono un gruppo, perché due quali si vogliano di esse, effettuate l'una dopo l'altra, hanno come risultante una nuova traslazione. Più in generale, e restando sempre nel campo della geometria elementare, si rifletta un momento sul senso preciso del noto postulato "se una figura F è eguale a una figura F′ e questa è eguale a una terza figura F′′, la F è anche eguale alla F′′". Siccome due figure si dicono eguali quando esiste un movimento (rigido) dello spazio, che porti una di esse a coincidere esattamente con l'altra, codesto postulato equivale ad affermare che due movimenti dello spazio, effettuati l'uno dopo l'altro, dànno luogo ancora a un movimento; in altre parole, i movimenti dello spazio costituiscono un gruppo.

Ma, storicamente, il concetto di gruppo non ha avuto origine in questi campi elementari, nei quali era rimasto del tutto inosservato, bensì nella teoria delle equazioni algebriche; e, per quanto, come sempre accade delle idee generali, vi fosse preparato di lunga mano, i suoi prodromi immediati si possono ravvisare nelle Réflections sur la résolution algébrique des équations (1771), in cui G. L. Lagrange, quando ormai da due secoli duravano gli sforzi infruttuosi dei matematici per estendere alle equazioni di grado qualsiasi i metodi con cui gli algebristi italiani del Cinquecento avevano risolto quelle di 3° e 4° grado, riuscì a riconoscere "pourquoi ces méthodes réussissent pour le troisième et le quatrième degré, et sont en defaut pour les degrés ulterieures". Egli riconobbe precisamente che il successo del procedimento risolutivo dell'equazione di terzo grado dipende dall'esistenza d'una funzione razionale f (a1, a2, a3) delle tre radici ai, tale che, quando vi si scambino di posto nei sei modi possibili queste radici - o, come si suol dire, si eseguiscano su esse le sei sostituzioni possibili - assume soltanto due valori diversi, anziché sei, come accadrebbe per una funzione presa ad arbitrio. Similmente nel caso dell'equazione di 4° grado, esiste una funzione g (a1, a2, a3, a4) delle quattro radici, che, quando sulle ai si eseguiscano le 24 sostituzioni possibili, assume soltanto 3 valori diversi. Tutto, dunque, dipende da una proprietà dell'insieme delle terne o quaderne, che si ottengono ordinando in tutti i modi possibili le radici; andando più a fondo, tutto dipende, in entrambi i casi, dall'esistenza d'un gruppo, quello delle sostituzioni sulle ai, che mantengono inalterato o invariante (v.) il valore della funzione f o g, e che sono, rispettivamente, in numero di 3 e di 8.

Della fecondità di quest'ordine di considerazioni ebbe piena consapevolezza il Lagrange, il quale affermava che in codesto "calcul des combinaisons" si doveva oramai cercare la "vraie métaphysique" delle equazioni algebriche; e la previsione ebbe le più luminose conferme. Su considerazioni gruppali P. Ruffini fondava (1813) la prima dimostrazione dell'impossibilità di risolvere con radicali l'equazione algebrica generale di grado superiore al quarto; e, benché l'opera del Ruffini, accolta dai matematici con diffidenza cadesse per allora nell'oblio, A. Cauchy iniziava lo studio sistematico dei gruppi di sostituzioni, e C. F. Gauss e N. H. Abel, con le loro classiche ricerche sulle equazioni della divisione del cerchio e sulle equazioni che si dicono appunto abeliane, preparavano la via a E. Galois, che per primo formulò in termini precisi e definitivi il concetto di gruppo, cui diede anche il nome (1831), e, affrontando in tutta la sua generalità il problema della risoluzione di un'equazione algebrica, per mezzo di equazioni ausiliarie di grado minore, mostrò che la natura e il grado di difficoltà del problema sono esattamente e completamente rispecchiati dalla costituzione interna o struttura di un gruppo di sostituzioni intrinsecamente legato all'equazione proposta (v. algebra, n. 52).

Anche l'opera del Galois passò dapprima inosservata, e solo nella seconda metà del secolo scorso trovò un primo divulgatore in J.-A. Serret e, dopo la revisione di E. Betti, il suo rielaboratore sistematico in C. Jordan. L'anno stesso, in cui questi pubblicava il suo grande Traité des substitutions et des équations algébriques (Parigi 1870) si ritrovavano a Parigi, dopo un breve periodo di comunanza di studî a Berlino, due giovani matematici, il norvegese S. Lie e il tedesco F. Klein, entrambi preparati dalle rispettive ricerche personali a concepire l'idea di gruppo sotto il suo aspetto più generale e a intuirne le molteplici applicazioni. Il Lie, utilizzando le ∞3 proiettività, che trasformano in sé stesso il complesso tetraedrale (e che costituiscono un gruppo continuo), era riuscito a integrare le equazioni differenziali delle curve del complesso; e d'altra parte era già pervenuto alla nozione delle trasformazioni di contatto, che gli offrivano un esempio, particolarmente espressivo, anche per i suoi rapporti con le equazioni differenziali, di un gruppo continuo dipendente da funzioni arbitrarie (infinito). Il Klein, conoscitore profondo degl'indirizzi algebrico-geometrici derivati dalla geometria proiettiva, si era occupato di ricerche di geometria della retta che avevano vivamente richiamato la sua attenzione sul gruppo di tutte le proiettività dello spazio e già pensava di utilizzare i gruppi finiti di trasformazioni lineari nella teoria delle equazioni algebriche. Nacque così spontaneamente, fra il Lie e il Klein, un attivo scambio di idee e di suggestioni, di cui l'intera opera di entrambi doveva poi sempre risentire l'influsso. Il Lie si volse a costruire dai fondamenti la teoria dei gruppi continui e ad applicarla alla riduzione, classificazione e integrazione delle equazioni e dei sistemi differenziali. Il Klein, che, movendo dalla sua visione algebrico-geometrica dei problemi doveva poi dedicarsi prevalentemente a sviluppare le applicazioni dei gruppi discontinui nel campo dell'algebra e della teoria delle funzioni di variabile complessa, elevò il concetto di gruppo a principio classificatore dei varî indirizzi geometrici, fornendo una norma di orientamento, che si può dire porti luce in ogni ramo delle matematiche (v. geometria). Si apriva così il periodo più fervido e operoso per la teoria dei gruppi che, traverso l'opera di matematici d'ogni paese, si venne costituendo in corpo autonomo di dottrina. Particolarmente rapido fu lo sviluppo della teoria dei gruppi continui, che, creata nelle sue linee essenziali dal Lie e rielaborata da lui per la divulgazione col concorso di F. Engel, ricevette da tutta una schiera di cultori contributi svariati, fra cui fondamentali quelli dello stesso Engel, di F. Schur, di W. Killing, di E. Cartan. A questo fervore di ricerca subentrò con la scomparsa del Lie (1898) un periodo, se non di arresto, di disinteressamento dei matematici, la cui attenzione dagl'indirizzi gruppali si volgeva verso altri ordini d'indagine, tanto che fra il 1904 a il 1910 non ebbero risonanza pari all'importanza dei risultati e alla genialità dei metodi le ricerche del Cartan sulla struttura dei gruppi continui infiniti. Un ritorno ai gruppi continui si ebbe con la teoria della relatività, in quanto nella relatività della prima maniera o speciale l'Einstein geometrizzava l'universo geometrico-temporale in uno spazio a quattro dimensioni, avente come gruppo fondamentale, nel senso del Klein, un certo gruppo continuo (il cosiddetto gruppo del Lorentz). È bensì vero che subito dopo, nella relatività generale, l'Einstein geometrizzava l'universo in una varietà riemanniana, la cui geometria non rientrava nei quadri di quelle caratterizzabili gruppalmente, secondo le vedute del Klein; ma di qui doveva nascere per lo stesso concetto di spazio una nuova estensione di carattere gruppale, che ha condotto alla nozione di spazio generalizzato anolonomo del Cartan (v. geometria).

Più recenti ancora sono le applicazioni che la teoria dei gruppi ha trovato nella meccanica quantistica, per la schematizzazione delle simmetrie provenienti dall'isotropia dello spazio fisico e dalla mutua identità degli elettroni (E. Wigner, H. Weyl, W. Heitler, F. London); e nel campo teorico (ma non senza qualche indiretta relazione con le applicazioni or ora accennate) vanno rilevati due indirizzi di ricerca, attualmente in corso di sviluppo: l'indirizzo critico delle scuole di Gottinga e Amburgo (E. Nöther, E. Artin, B. L. van der Waerden), tendente, attraverso una rielaborazione dei principî, alla sintesi delle teorie dei corpi numerici e degl'ideali (v. aritmetica: Aritmetica superiore, n. 15), dei gruppi e dei numeri a più unità (v. immaginario) in un'"algebra moderna", e l'indirizzo topologico di Weyl-Cartan nella teoria dei gruppi continui finiti. Mentre il Lie considerava sistematicamente i gruppi continui dal punto di vista differenziale, cioè come operanti nell'intorno di un punto generico con le loro trasformazioni abbastanza vicine all'identità - "un morceau de groupe dans un morceau d'espace", come dice il Cartan-, questi, riattaccandosi a precedenti ricerche del Weyl, in cui s'era mostrata particolarmente feconda una veduta di A. Hurwitz per la costruzione di invarianti integrali, studia i gruppi continui finiti nell'intero campo della loro esistenza, e mette in luce come il problema dipenda essenzialmente dall'analisi topologica della varietà delle trasformazioni del gruppo.

Di un così vasto e complesso quadro d'idee e di ricerche non è possibile dar notizia precisa in questo articolo. Ci limiteremo ad indicare i concetti e i risultati fondamentali dei varî rami, in cui si è venuta differenziando la teoria dei gruppi, e, per ciascuno, accenneremo a quelle applicazioni che meglio valgono a caratterizzarlo.

Generalità. - 1. A fondamento della definizione generale di gruppo sta il concetto di "operazione" nel suo senso più ampio: si può trattare di sostituzioni, permutanti fra loro un dato numero di oggetti, come nel caso dei gruppi del Galois, oppure di operazioni di tipo geometrico, come le traslazioni, i movimenti rigidi generali, le proiettività o ogni altra specie di corrispondenze fra i punti della retta o del piano o dello spazio, ecc.; e in questo secondo caso, quando i punti s'individuino per mezzo di coordinate, ogni corrispondenza siffatta si traduce in una trasformazione (v.), espressa da equazioni, che dànno le coordinate del punto di arrivo in funzione di quelle del punto di partenza. L'insieme degli enti, cui le operazioni considerate sono applicabili (le radici di un'equazione algebrica per le sostituzioni di un gruppo del Galois, i punti della retta o del piano o dello spazio, ecc., nel caso delle traslazioni o dei movimenti, e così via), costituiscono il loro campo di applicabilità; e perché si possa parlare di gruppo è, in ogni caso, essenziale che questo campo sia, dalle operazioni, trasformato in sé stesso, nel senso che ognuna di esse, applicata a un qualsiasi elemento del campo, dia ancora, come risultato, un elemento del campo stesso.

Se, sotto questa ipotesi, si denotano con S e T due operazioni, si può immaginare di applicare a un generico elemento la S e poi al risultato la T; si perviene così a un elemento, che si dice ottenuto da quello di partenza per mezzo del prodotto (operatorio) di S e T, e questa nuova operazione s' indicherà qui, secondo l'uso più corrente, con TS (mentre altri la denota con ST). Se U è una terza operazione, si può considerare la U(TS), ed è manifesto che anche per questo genere di prodotto vale la proprietà associativa U(TS) = (UT)S (v. associativa, proprietà), onde resta giustificato l'uso d'indicare il prodotto U(TS), o indifferentemente (UT)S, con UTS. Non vale, invece, in generale, la proprietà commutativa (v. Commutativa, proprietà), cioè le due operazioni TS e ST sono, in generale, diverse. Se accade che sia TS = ST, le due operazioni S e T si dicono permutabili. Tali sono, ad es., due traslazioni quali si vogliano.

Per prodotto di un'operazione S con sé stessa se ne definiscono le successive potenze (a esponente intero positivo) S2 = SS, S3 = SS, S4 = SS3, ecc.; e dalla definizione stessa risulta che tali potenze sono tutte permutabili a due a due e soddisfano le identità

Supponiamo che l'operazione S sia tale che comunque si prefissi nel suo campo di applicabilità un elemento e′, vi esista sempre un elemento e, e uno solo, che dalla S sia trasformato in e′. In tal caso la S si dice "univocamente invertibile" e quell'operazione che a ogni elemento e′ fa corrispondere l'elemento c, che, ove gli si applichi la S, dà e′, si dice l'inversa della S e si denota con S-1. Ciascuno dei due prodotti S-1 S, SS-1 dà l'operazione identica o identità, che, applicata a ogni elemento riproduce l'elemento stesso, cioè lo lascia invariante. Si ha dunque, indicando con I l'identità, S-1S = SS-1 = I. Si riconosce poi agevolmente che (TS)-1 = S-1 T1, in particolare (Sm)-1 = (S-1)m, onde risulta legittima la convenzione di designare codesta inversa della Sm (o, ciò che è lo stesso, la potenza mma della S-1) con S-m; e queste potenze a esponente intero negativo della S sono permutabili non soltanto fra loro, bensì anche con le potenze di S a esponente intero positivo.

2. Date due operazioni S e T, univocamente invertibili in uno stesso campo, l'operazione TST-1 si dice la trasformata della S per mezzo della T.

A questa trasformata si è condotti, in particolare, tutte le volte che sulla retta o sul piano, ecc., su cui sia fissato un certo sistema di coordinate, si considera la trasformazione S, che rappresenta una data operazione (una traslazione, o un movimento qualsiasi, ecc.) e, volendo cambiare coordinate, si cerca la trasformazione che rappresenta la stessa operazione nelle nuove coordinate: se T denota il cambiamento delle vecchie coordinate nelle nuove, questa nuova trasformazione è appunto la TST-1.

Se S e T sono permutabili, si ha TST-1 = S, STS-1 = T, cioè ciascuna delle due operazioni è trasformata in sé stessa dall'altra. Inoltre, date tre operazioni S1, S2, T, sussiste l'identità

cioè il prodotto delle trasformate di più operazioni per mezzo di una stessa operazione s'identifica con l'analoga trasformata del prodotto delle operazioni considerate.

3. Dopo ciò possiamo dare una definizione di gruppo più precisa di quella accennata da principio. Un insieme di operazioni, univocamente invertibili in uno stesso campo, si dice costituire un gruppo, se a esso appartiene con ogni sua coppia di operazioni il loro prodotto e con ogni singola sua operazione la rispettiva inversa.

Di qui consegue che un gruppo di operazioni contiene sempre l'identità (come prodotto d'una sua qualsiasi operazione e dell'inversa). Inoltre, se S e T sono due operazioni quali si vogliano del gruppo, a esso appartiene anche la TST-1, onde si può dire che un qualsiasi gruppo è trasformato in sé stesso da ogni sua operazione.

Giova aggiungere che nella teoria astratta dei gruppi, soprattutto in vista delle applicazioni alla teoria dei numeri, dei corpi algebrici, degli ideali, si adotta quest'altra definizione. Si chiama gruppo ogni classe di enti di natura qualsiasi (p. es., numeri o classi di numeri o operazioni o classi di operazioni, ecc.) soddisfacenti alle seguenti quattro condizioni: 1. è definito un procedimento di composizione, che a ogni coppia (ordinata) di enti a, b della classe fa corrispondere univocamente un ente della classe stessa, e che si chiama per lo più prodotto di a per b e si può denotare (in accordo con la convenzione da noi fatta nel caso delle operazioni) con ba; 2. vale per questa composizione la proprietà associativa c(ba) = (cb) a, non, in generale, quella commutativa ba = ab; 3. esiste (almeno) un ente-unità sinistro u, che, rispetto a ogni a della classe, gode della proprietà ua = a; 4. con ogni ente a della classe, esiste (almeno) un suo inverso sinistro a-1, che gode della proprietà a-1 a = u.

Da questa definizione discende che l'ente-unità u è anche ente-unità destro ed è unico, e che l'inverso sinistro a-1 è anche inverso destro ed è pur esso unico; dopo di che si riconosce che ogni gruppo così definito si può sempre interpretare come un gruppo di operazioni (su di un numero finito o infinito di elementi): basta un ragionamento del tutto simile a quello, che, per il caso di un qualsiasi gruppo di un numero finito di operazioni, indicheremo al n. 7.

Ma noi nel seguito, a evitare considerazioni astratte e sottili, che qui sarebbero fuori di luogo, ci riferiremo sistematicamente a gruppi di operazioni nel senso precisato più sopra.

4. Un gruppo, che comprenda soltanto un numero finito d' operazioni, si dice finito: tali sono, p. es., i gruppi di sostituzioni del Galois. Si dicono invece infiniti tutti i gruppi, contenenti infinite operazioni; ma questa infinità può essere di natura diversa. Può darsi che le infinite operazioni del gruppo costituiscano un insieme numerabile (v. insieme), cioè si possano contraddistinguere l'una dall'altra (senza omissioni e senza ripetizioni) con un indice variabile soltanto per numeri interi (da 0 a + ∞ o da − ∞ a + ∞); e in questo caso il gruppo si dice discontinuo; per avere un esempio di gruppo infinito discontinuo basta considerare una qualsiasi traslazione (sulla retta o sul piano o nello spazio) e tutte le sue potenze a esponente intero, positivo o negativo o nullo (quest'ultimo corrispondendo all'identità). Ma può anche darsi che le operazioni del gruppo dipendano da parametri variabili, almeno entro convenienti limiti, con continuità, in guisa che con ogni operazione del gruppo esistano in esso infinite altre operazioni, che ne differiscano quanto poco si vuole; in tal caso il gruppo si dice continuo. Alla loro volta i gruppi continui si distinguono in due classi, secondo che il numero dei parametri, da cui dipende la più generale operazione del gruppo, è finito o infinito, e questo ultimo caso si verifica, quando codesta generica operazione dipende da funzioni arbitrarie. Si hanno, cioè, gruppi continui a un numero finito o infinito di dimensioni e il Lie, per brevità di espressione, li chiama, rispettivamente finiti e infiniti (riferendosi al numero dei parametri, non a quello delle operazioni, che, come si è detto, è in entrambi i casi infinito). L'esempio più espressivo di un gruppo continuo finito è dato dall'insieme di tutti i movimenti (rigidi) dello spazio, i quali dipendono da 6 parametri arbitrarî, come si vede osservando che per individuare un movimento basta fissare: 1. in quale punto P′ esso porti un prefissato punto P (le 3 coordinate del punto P′); 2. in quale retta r′ per P′ porti una prefissata retta r per P (i 2 parametri di direzione di r′): 2. in quale piano π′ per la r′ porti un prefissato piano π per la r (i parametro di giacitura del piano π′ nel fascio di asse r′). Invece per avere un esempio di gruppo continuo infinito si pensi all'insieme di tutte le trasformazioni univocamente invertibili (almeno in una certa regione) dello spazio, oppure all'insieme di tutte le trasformazioni che conservano inalterati i volumi (gruppo equivalente o dei movimenti di un fluido incompressibile).

Esiste, a dir vero, anche una specie di gruppi, che non rientra in nessuna delle classi dianzi enumerate, quella dei cosiddetti gruppi misti. L'esempio più semplice è il gruppo dei movimenti dello spazio, ampliato con l'aggiunta di tutte le simmetrie, quale in sostanza si considera generalmente nella geometria solida elementare, in cui si dicono eguali due figure non solo quando siano sovrapponibili, ma anche quando l'una sia sovrapponibile all'immagine speculare dell'altra rispetto a uno specchio piano (eguaglianza diretta e inversa). Un tale gruppo è continuo quanto ai movimenti propriamente detti, non quanto alle simmetrie. Ma di questa specie di gruppi non avremo occasione di occuparci; e ci limitiamo a osservare che ognuno di essi si può immaginare generato, combinando un gruppo continuo con uno finito (o anche infinito) discontinuo: così il gruppo ampliato dei movimenti dello spazio si ottiene combinando il gruppo continuo finito dei movimenti veri e proprî con il gruppo finito costituito dall'identità e dalla simmetria rispetto a un dato punto (a es., l'origine delle coordinate).

5. Prima di passare allo studio delle singole classi di gruppi, dianzi accennate, conviene aggiungere qualche altra definizione generale. Di un gruppo G si dice sottogruppo ogni gruppo G′, che sia costituito esclusivamente da operazioni di G, ma non le comprenda tutte: così le traslazioni costituiscono un sottogruppo del gruppo dei movimenti. Presa in G un'operazione T, che non appartenga a un suo sottogruppo G′, si riconosce subito che tutte le trasformate TST-1 delle operazioni S di G′ per mezzo della T formano ancora un sottogruppo di G, che può dirsi il trasformato TGT-1 di G. per mezzo della T. Esso si chiama più precisamente il sottogruppo equivalente (ted. gleichberechtigt) o coniugato di G′ rispetto alla T.

In generale i sottogruppi di un gruppo G equivalenti a un suo sottogruppo G′ (rispetto alle varie operazioni di G esterne a G′) sono fra loro distinti; ma, come caso estremo opposto, può accadere che tutti codesti sottogruppi coincidano col G′ di partenza, e in tal caso G′ si dice sottogruppo invariante di G. P. es., se un gruppo è costituito da operazioni tutte permutabili a due a due (gruppo abeliano), ogni suo eventuale sottogruppo è invariante (n. 2).

Ma esistono anche gruppi, che non ammettono nessun sottogruppo invariante (all'infuori di sé stessi e dell'identità); questi gruppi si chiamano semplici, mentre gli altri si dicono composti.

Il concetto di sottogruppo invariante, introdotto dal Galois per i gruppi di sostituzioni, è fondamentale nello studio dei gruppi di qualsiasi specie.

6. Se a ogni operazione d'un gruppo G è possibile far corrispondere, con una legge qualsiasi, un'operazione, e una sola, di un altro gruppo À, in guisa che ogni operazione di À corrisponda almeno a una operazione di G e che al prodotto di due operazioni quali si vogliano di G corrisponda in À il prodotto delle operazioni corrispondenti, il gruppo G si dice isomorfo a À, e la corrispondenza fra G e À si chiama un isomorfismo. Se l'isomorfismo fra i due gruppi è biunivoco, cioè se anche a ogni operazione di À corrisponde in G una sola operazione, i due gruppi si dicono isomorfi oloedricamente o omomorfi; tali sono un gruppo G qualsiasi e il suo trasformato per mezzo di un'operazione non appartenente a esso. Se invece a ogni operazione di À corrispondono più operazioni di G, il gruppo G si dice isomorfo meriedricamente a À; e in questo caso le operazioni corrispondenti all'identità di À costituiscono in G un sottogruppo invariante. Si osservi che, mentre l'isomorfismo oloedrico fra due gruppi è reciproco, cioè vale in entrambi i sensi, quello meriedrico vale in un senso solo.

Quando due gruppi G, À sono isomorfi oloedricamente, all'identità dell'uno corrisponde nell'altro l'identità, e così a due operazioni inverse corrispondono due operazioni inverse, alle operazioni di un sottogruppo le operazioni di un sottogruppo, a sottogruppi equivalenti sottogruppi equivalenti, e così via. Insomma dall'uno all'altro dei due gruppi si conservano tutte le proprietà inerenti alla legge, secondo cui le operazioni si combinano fra loro gruppalmente: cosicché, se con un gruppo G si considerano tutti quelli a esso isomorfi oloedricamente, questi varî gruppi si possono considerare come altrettanti rappresentanti di uno stesso gruppo astratto (in cui si prescinde dalla natura delle operazioni, che lo costituiscono, e, beninteso, degli elementi su cui esso opera).

Gruppi finiti - 7. Ogni gruppo finito è isomorfo oloedricamente a un gruppo di sostituzioni (A. Cayley, 1854). Invero, se S1 = I, S2, S3, ... Sr, sono le operazioni del dato gruppo G e se ne sceglie una qualsiasi, per es. la Si, le r operazioni SiI = Si, SiS2, Si S3, ..., SiSr riproducono, per definizione, le stesse operazioni del gruppo, in ordine diverso (a meno che sia Si = I). Così a ognuna delle operizioni di G si associa una sostituzione sulle operazioni stesse, considerate come elementi, e si dimostra agevolmente che queste r sostituzioni costituiscono un gruppo isomorfo oloedricamente a G.

Perciò qui, per parlare sul concreto, ci riferiremo sistematicamente ai gruppi di sostituzioni e cominceremo con qualche notizia più precisa su questa specie di operazioni.

8. Denotiamo gli r elementi, su cui opera una sostituzione, con gli indici 1, 2, 3, ..., r; se la sostituzione porta questi r elementi, rispettivamente, nei posti dapprima occupati dagli elementi di indici i1, i2, i3, ..., ir (dove i1, i2, i3, ..., ir è una qualsiasi permutazione di 1, 2, 3,..., r; v. combinatoria, analisi), la sostituzione si denota con

Naturalmente, può accadere che qualche elemento sia lasciato al suo posto, e in tal caso al disotto del corrispondente indice si pone l'indice stesso; se tutti gli elementi restano al loro posto, si ha l'identità.

Una sostituzione si dice ciclica, quando gli elementi da essa effettivamente spostati, si possono pensare in un ordine tale che ciascuno sia portato al posto del successivo e l'ultimo al posto del primo. Tali sono, ad es.,

Se gli elementi effettivamente spostati da una sostituzione ciclica S sono in numero di p, la potenza SP si riduce all'identità, e anzi p è il minimo esponente, per cui ciò accade. Perciò p si chiama il periodo della S.

Ogni sostituzione che non sia ciclica, si può decomporre, in un solo modo, nel prodotto di un certo numero di sostituzioni cicliche, operanti ciascuna su elementi diversi da quelli su cui operano le altre. Perciò queste sostituzioni cicliche risultano fra loro permutabili, onde consegue che ogni sostituzione ammette un periodo (minimo multiplo comune dei periodi delle sostituzioni cicliche componenti).

Fra le sostituzioni cicliche, quelle su due soli elementi, le quali si riducono al semplice scambio di posto fra codesti due elementi, si dicono trasposizioni; e ogni sostituzione ciclica, e quindi anche ogni altra sostituzione, è decomponibile nel prodotto di più trasposizioni, su coppie di elementi, di cui, in generale, almeno talune hanno, a due a due, un elemento comune. Per lo più questa decomposizione si può effettuare in più modi; ma, mentre dall'una all'altra di queste decomposizioni varia il numero delle trasposizioni componenti, resta invariata la parità di tale numero, cosicché le sostituzioni si distinguono in due classi: pari e dispari, secondo che pari o dispari è il numero delle trasposizioni componenti. È chiaro che la sostituzione prodotto di due altre è pari o dispari, secondo che queste sono della stessa classe o no, e che la trasformata TST-1 di una qualsiasi sostituzione S per mezzo di un'altra è sempre della stessa classe della S.

9. Ciò premesso, consideriamo l'insieme di tutte le sostituzioni su r elementi. Esse costituiscono manifestamente un gruppo, il gruppo totale delle sostituzioni di grado r, detto anche gruppo simmetrico, perché, pensato come operante sulle r radici di un'equazione algebrica di grado r, trasforma in sé tutte, e sole, le funzioni simmetriche di codeste radici (v. algebra, n. 43). E poiché di un qualsiasi gruppo finito si chiama ordine il numero delle rispettive operazioni, e le sostituzioni di grado r sono tante quante le permutazioni di r elementi (diversi), abbiamo che l'ordine del gruppo simmetrico di grado r è 1 • 2 • 3 • ... • r = r! (v. combinatoria, analisi).

Costituiscono un gruppo anche le sole sostituzioni pari (n. prec.); è il cosiddetto gruppo alterno o alternante, che costituisce un sottogruppo invariante del corrispondente gruppo simmetrico, ed è di ordine r!/2.

In sostanza tutta la teoria dei gruppi finiti tende alla risoluzione del seguente problema: determinare, per ogni valore di r, tutti i sottogruppi del gruppo simmetrico di grado r. Un tal problema è ben lungi dall'essere risoluto, ma si possiede tutta una serie di risultati generali, che hanno permesso svariate applicazioni. Ne daremo qualche esempio.

Fondamentale è l'osservazione, dovuta in sostanza al Lagrange, che l'ordine m d' un qualsiasi sotrogruppo G′ di un gruppo finito G è sempre un divisore dell'ordine n di G. Il quoziente n/m si chiama indice di G′ rispetto a G; p. es., l'indice del gruppo alternante rispetto a quello simmetrico è 2.

Si è così condotti a chiedere per quali divisori m dell'ordine n di G esistano effettivamente in G sottogruppi di ordine m; e ciò che di più generale si sa in proposito è fornito da un celebre teorema di G. Sylow (1872), che estende un'osservazione del Cauchy (1845): se pr è la massima potenza di un numero primo p, per cui sia divisibile n, esistono in G sottogruppi di ordine pr, i quali sono tutti fra loro equivalenti in G (sottogruppi del Sylow); e ogni sottogruppo di G, che ahbia come ordine una potenza di p, è contenuto come sottogruppo in un sottogruppo del Sylow.

10. Per approfondire la possibile natura di un gruppo finito occorre introdurre qualche altro concetto. Sia G′ un sottogruppo di ordine m di un gruppo G di ordine n e supponiamo che si tratti di un sottogruppo invariante (per quanto le considerazioni seguenti valgano, almeno in parte, anche per un sottogruppo qualsiasi). Se S1 = I, S2, S3, ..., Sm sono le m sostituzioni di G′ e applichiamo a sinistra di ciascuna una qualsiasi sostituzione T1 di G, esterna a G′, otteniamo m sostituzioni di G, tutte diverse fra loro e da quelle di G′, il cui insieme denoteremo con T1G′; similmente, prendendo in G un'altra sostituzione T2, fuori di G′ e T1G′, potremo costruire una nuova mpla di sostituzioni di G; e così continuando e indicando con q l'indice n/m di G′ rispetto a G, finiremo col distribuire le n = mq sostituzioni di G in q classi

di cui la prima è un gruppo, le altre (ted. Nebengruppen) no. Se a sinistra di ciascuna delle sostituzioni di G, così ripartite, si applica una qualsiasi delle sostituzioni stesse, si riconosce (con ragionamenti che qui non svilupperemo che le q classi risultano semplicemente permutate fra loro, talché a ogni sostituzione di G corrisponde una certa sostituzione sulle q classi (1), considerate come altrettanti elementi; e codeste diverse sostituzioni costituiscono un gruppo di ordine q, che si chiama il gruppo complementare del sottogruppo invariante G′ rispetto a G e si denota con G/G′. Esso è isomorfo meriedricamente a G; all'identità di G/G′ corrisponde in G il sottogruppo invariante G′. Se poi G′ è per G un sottogruppo invariante massimo, cioè tale che non esista in G nessun sottogruppo invariante che contenga G′ come sottogruppo invariante, il gruppo complementare G/G′ risulta semplice (n. 5).

Ciò premesso e considerato un gruppo finito qualsiasi G, indichiamone con G1 un sottogruppo invariante massimo, che quanto meno si ridurrà all'identità; escluso questo caso, prendiamo un sottogruppo invariante massimo G2 di G1 e così via. Perverremo da ultimo a una successione di gruppi

che comincia col gruppo dato, finisce con l'identità ed è tale che ciascun suo gruppo, a partire dal secondo, è sottogruppo invariante massimo del precedente. Una tale suceessione si dice una serie di composizione del gruppo G; se n, n1, n2, ..., nq, = 1 sono, rispettivamente, gli ordini dei gruppi della serie, gl'indici n/n1, n1/n2, ..., nq-1/nq = nq-1 si dicono i fattori di composizione e sono gli ordini dei gruppi, tutti semplici, G/G1, G1/G2, ..., Gq-1/Gq = Gq-1, i quali si chiamano gruppi fattoriali.

Uno stesso gruppo può ammettere più serie di composizione, ma è stato dimostrato che si presentano in tutte, all'infuori dell'ordine, i medesimi fattori di composizione (C. Jordan, 1870), e i corrispondenti gruppi fattoriali sono isomorfi oloedricamente (O. Hölder, 1889).

Questi gruppi fattoriali costituiscono gli elementi irriducibili, che caratterizzano la composizione o struttura di un gruppo, e la loro importanza risulta nel modo più luminoso dalla teoria delle equazioni algebriche. Se un'equazione algebrica ha come gruppo del Galois il gruppo composto G, la sua risoluzione si riduce a quella di successive risolventi, i cui gradi coincidono con i fattori di composizione di G e i corrispondenti gruppi del Galois sono precisamente i gruppi fattoriali di G. Affinché, in particolare, l'equazione proposta sia risolubile per radicali, occorre e basta che i fattori di composizione del rispettivo gruppo G del Galois siano tutti numeri primi; e in questo caso i corrispondenti gruppi fattoriali sono tutti ciclici (cioè costituiti ciascuno dalle potenze di una sostituzione) di gradi rispettivamente eguali ai corrispondenti fattori di composizione. Di qui il nome di risolubili che si dà ai gruppi di sostituzioni, che ammettono la composizione dianzi accennata. Il precedente teorema chiarisce in particolare la ragione profonda dell'impossibilità di risolvere per radicali l'equazione generale di grado n > 4. Infatti il gruppo del Galois di questa equazione è il gruppo simmetrico di grado n. il quale ammette come sottogruppo invariante massimo il corrispondente gruppo alterno; ma questo, per n > 4, è semplice, cosicché i fattori di composizione del gruppo dell'equazione considerata sono n, n/2, 1, e non soddisfano la condizione di resolubilità per radicali. Essa è invece soddisfatta sia nel caso n = 3, in cui i fattori di composizione sono 2, 3, 1, sia nel caso n = 4, in cui, poiché il gruppo alterno su 4 elementi ammette un sottogruppo invariante di ordine 4 (Vierergruppe del Klein, costituito dall'identità e dai tre prodotti di due trasposizioni su coppie senza elementi comuni), il quale contiene a sua volta sottogruppi invarianti di ordine 2, i fattori di composizione sono 2, 3, 2, 2, 1.

11. A importanti problemi analitici e geometrici si riconnette una classe di gruppi finiti, che si possono definire elementarmente. Se si immagina iscritto o circoscritto a una sfera un poliedro regolare (tetraedro, cubo, ottaedro, dodecaedro, icosaedro), è manifesto che si può in più modi far rotare la sfera intorno al suo centro O, in guisa da sovrapporre il poliedro a sé stesso, permutandone i vertici. Queste varie rotazioni della sfera su sé stessa costituiscono, per ciascun poliedro, un gruppo; ed è pur chiaro che due poliedri fra loro polari, come il cubo e l'ottaedro, il dodecaedro e l'icosaedro (cioè tali che l'uno si possa ottenere conducendo i piani tangenti alla sfera circoscritta all'altro nei rispettivi vertici), dànno luogo al medesimo gruppo. Si perviene così ai tre gruppi di rotazioni del tetraedro, dell'ottaedro e dell'icosaedri, i quali sono, rispettivamente, degli ordini 12, 24, 60; e il primo il terzo sono isomorfi oloedricamente, rispettivamente, ai gruppi alterni di grado 4 o 5, il secondo al gruppo simmetrico di grado 4.

A questi tre gruppi si sogliono aggiungere, sotto il nome comune di gruppi dei poliedri regolari, questi altri due: il gruppo della piramide regolare a n facce lateriali, avente la base iscritta in un cerchio massimo della sfera e il vertice in uno dei corrispondenti poli (gruppo diedrico), e il gruppo della doppia piramide regolare, che si ottiene dalla piramide considerata dianzi, aggiungendole la simmetrica rispetto al piano della base. Il primo di questi due ultimi gruppi è il gruppo ciclico di ordine n delle potenze della rotazione di ampiezza 2π/n intorno all'altezza della piramide; il secondo contiene, oltre queste n rotazioni, le altre n di ampiezza π intorno alle altezze del poligono, base comune delle due piramidi, ed è perciò di ordine 2n.

Dal punto di vista astratto questi gruppi dei poliedri regolari non sono distinti dai gruppi finiti di sostituzioni lineari fratte su una variabile o, ciò che è lo stesso (v. geometria, n. 24), di proiettività sulla retta. Ciò dipende dal fatto che se, rappresentati i valori di una variabile complessa x su un piano nel modo di Wessel-Argand (associando a ogni numero complesso x = u + iv il punto di coordinate cartesiane ortogonali u, v), si proietta stereograficamente questo piano sulla sfera di raggio 1, che ha per centro il punto O (v. cartografia: Cenni sulla teoria della costruzione delle carte, n. 10), e si associa a ogni punto della sfera il numero indice del punto del piano da cui esso proviene per proiezione, ogni rotazione della sfera intorno al suo centro risulta rappresentata da una sostituzione lineare fratta della forma

dove α e β denotano due numeri complessi, ᾱ e β??? rispettivi coniugati; e viceversa ogni sostituzione di questa forma rappresenta una rotazione della sfera su sé stessa. Questo isomorfismo fra i gruppi di sostituzioni lineari fratte e i gruppi di rotazioni della sfera fu, quasi contemporaneamente, utilizzato da H. Schwarz, per determinare i casi d'integrabilità algebrica dell'equazione differenziale delle funzioni ipergeometriche e dal Klein per chiarire e perfezionare la teoria dell'equazione algebriea generale di 5° grado e della sua risoluzione per mezzo di funzioni modulari, quale risultava dalle ricerche di C. Hermite, F. Brioschi, L. Kronecker (v. funzione: Funzioni notevoli, n. 47).

Oltre i gruppi finiti di proiettività della retta, cui or ora accennammo, sono stati determinati anche quelli del piano (C. Jordan, 1878; F. Klein, 1879; H. Valentiner, 1889) e dello spazio (H. F. Blichfeldt, 1905; G. Bagnera, 1905). Si ottennero così, fra gli altri, taluni gruppi intrinsecamente legati a questioni geometriche classiche (p. es., alle configurazioni delle 27 rette della superficie cubica generale e dei 16 punti doppî della superficie del Kummer).

12. Se nelle sostituzioni lineari fratte, che rappresentano il gruppo di un poliedro regolare, s'introduce l'omogeneità (v. coordinate, n. 20), si ottiene la rappresentazione del gruppo per mezzo di sostituzioni lineari omogenee in due variabili. Più in generale, si è presentato in varî ordini di ricerche il problema della rappresentazione di un qualsiasi gruppo astratto finito (o anche continuo finito) per mezzo di sostituzioni (trasformazioni) lineari omogenee (v. determinanti, n. 5)

in un conveniente numero n di variabili (grado della rappresentazione). Se l'isomorfismo fra il dato gruppo astratto G e il gruppo À di sostituzioni lineari è oloedrico, la rappresentazione si dice esatta (ted. treue); se poi l'isomorfismo tra G e À è meriedrico, ed è G1 il sottogruppo invariante di G, che corrisponde all'identità di À, questo gruppo di sostituzioni fornisce una rappresentazione esatta del complementare G/Gi di Gi rispetto a G. Questo problema delle rappresentazioni lineari ha di recente assunto un particolare interesse per le applicazioni dei gruppi alla meccanica quantistica.

Nel caso dei gruppi finiti la corrispondente teoria è stata stabilita (1896-1910) da G. Frobenius, che ne ha in particolare lumeggiato gli stretti rapporti con la teoria dei sistemi di numeri a più unità (v. immaginario). Sugli ulteriori contributi recati a questa teoria da altri matematici, in particolare da W. Burnside e I. Schur, rimandiamo ai trattati citati nella bibliografia.

13. Accenniamo da ultimo a un procedimento di natura aritmetica, che conduce alla costruzione di particolari gruppi finiti. Prefissato un qualsiasi corpo numerico K (v. aritmetica: Aritmetica superiore, n. 15), l'insieme di tutte le sostituzioni lineari, intere o fratte, omogenee o no, in quante si vogliano variabili e a coefficienti appartenenti a K, costituisce manifestamente un gruppo, in quanto il prodotto operatorio di due sostituzioni di una qualsiasi delle classi or ora indicate è ancora una sostituzione della stessa classe, i cui coefficienti, come esprimibili razionalmente per mezzo di quelli delle sostituzioni componenti, appartengono pur essi a K. Basta che il corpo K sia finito, perché tale risulti anche il corrispondente gruppo di ciascuno dei tipi or ora indicati. Sono questi i cosiddetti gruppi congruenziali, e la loro considerazione ha permesso di risolvere o di approfondire elevate questioni di aritmetica superiore, di algebra, di geometria. Per es., lo studio dei sottogruppi congruenziali del gruppo modulare (n. 14), dovuto al Klein, ha portato una luce tutta particolare nella teoria dell'equazione di 50 grado.

Gruppi infiniti discontinui. - 14. I gruppi di questa classe sono stati considerati quasi esclusivamente in relazione a ricerche sulle funzioni di variabile complessa. Qui non si ha una vera e propria teoria generale, bensì lo studio approfondito di taluni tipi particolari di gruppi, dei quali i più semplici si sono presentati spontaneamente, come legati a speciali classi di funzioni già ben note, e gli altri, costruiti per naturale estensione dei primi, hanno permesso di definire e di studiare nuove classi di trascendenti - soprattutto le funzioni modulari e, più in generale, automorfe - che costituiscono l'apporto più importante, recato alla teoria delle funzioni tra la fine del secolo passato e l'inizio del presente. Di queste funzioni è data notizia sotto altra voce (v. funzione: Funzioni notevoli, nn. 47-49), alla quale senz'altro rimandiamo il lettore, limitandoci qui a qualche osservazione di carattere gruppale, a partire dai casi elementari, cui, come si è or ora detto, si possono riallacciare le accennate generalizzazioni.

La nota periodicità delle funzioni circolari, espressa, a es., per il seno dall'identità sen (x + 2 π) = sen x, si conserva valida anche quando questa funzione y = sen x si considera non più soltanto nel campo dei valori reali della x, come si usa nella goniometria elementare, bensì in quello dei valori complessi; e se i valori della x = u + iv si rappresentano su un piano nel modo di Wessel-Argand (n. 11), codesta periodicità si può enunciare, dicendo che la funzione è trasformata in sé dalla traslazione del piano complesso su sé stesso, rappresentata dall'equazione x′ = x + 2π. Ne consegue che la y è pur trasformata in sé da tutte le potenze a esponente intero (positivo o negativo) di codesta traslazione, cioè da tutte le traslazioni x′ = x + 2nπ (con n intero qualsiasi) che costituiscono manifestamente un gruppo infinito discontinuo.

Così la doppia periodicità di una funzione ellittica, p. es. della p del Weierstrass (v. funzione: Funzioni notevoli, n. 46)

si può esprimere dicendo che la p (x) è trasformata in sé dalle due traslazioni x′ = x + 2ω, x′ = x = 2ω′ e, quindi, da tutte quelle che si ottengono combinando queste due per prodotto operatorio quante volte si vogliano, cioè dalle infinite traslazioni rappresentate, in corrispondenza di tutte le possibili coppie di numeri interi (positivi e negativi) m e n, dall'equazione

le quali ancora costituiscono un gruppo infinito discontinuo. Questo gruppo gode di una proprietà essenziale, in cui si riflette la condizione imposta, nella teoria delle funzioni ellittiche, al rapporto τ = ω′/ω dei periodi di non essere reale. Per chiarirla, vediamo quello che accade, quando quest'ultima condizione non è verificata. Se τ è un numero razionale p/q l'equazione (2), avendosi pω = qω′, si può scrivere

cosicché vien meno la doppia periodicità, in quanto il gruppo si può generare con una sola traslazione. Se poi τ è reale e irrazionale, si riconosce (con un facile ragionamento che qui non svilupperemo) che, ove si dicano equivalenti due punti trasformabili l'uno nell'altro con una traslazione del gruppo, succede che in ogni intorno, per quanto piccolo, di un qualsiasi punto P cadono sempre punti equivalenti a P; e allora non può esistere nessuna funzione ellittica di periodi 2 ω, 2 ω′, cioè trasformata in sé dal gruppo (2), perché quello stesso valore, che essa assume in P, le dovrebbe competere anche negl'infiniti altri punti equivalenti, che si addensano nell'immediata prossimità di P, e, in virtù di un teorema fondamentale sulle funzioni analitiche, una tale funzione si ridurrebbe di necessità a una costante. Per contrario la condizione che τ sia complesso assicura che i punti equivalenti a un qualsiasi punto P restano tutti da esso a una distanza, che non scende mai al disotto di un certo minimo assegnabile. Ciò si esprime dicendo che il gruppo (2) è in tal caso discontinuo propriamente (nell'intorno di un qualsiasi punto), mentre si dice che un qualsiasi gruppo discontinuo è tale impropriamente nell'intorno di un punto P, se, come per (2) nel caso di τ irrazionale, si addensano nella prossimità di P infiniti punti a esso equivalenti. Notiamo subito che tutte le volte che si vuol parlare di una funzione analitica trasformata in sé da un gruppo infinito discontinuo è necessario richiedere, in forza del teorema dianzi ricordato, che esso, almeno nell'intorno di ogni punto generico, sia discontinuo propriamente.

Restando ancora nel campo delle funzioni ellittiche di dati periodi 2 ω, 2 ω′, si è condotti a un altro gruppo infinito discontinuo, particolarmente notevole, dalla questione seguente: per la stessa funzione ellittica i due periodi fondamentali si possono scegliere in modo diverso? Più precisamente, è possibile trovare due nuovi numeri ω1, ω1′, tali che l'insieme dei numeri complessi, che si ottengono da m′ ω1′ + n′ω, attribuendo a m′, n′ tutte le possibili coppie di valori interi, coincida con l'analogo insieme mω′ + nω? Dal punto di vista gruppale, ciò equivale a chiedere se lo stesso gruppo (2) si possa generare con due traslazioni diverse dalle x′ = x + 2 ω, x′ = x + 2 ω′. Si riconosce agevolmente che a tale scopo è necessario e sufficiente porre

dove α, β, γ, δ siano quattro numeri interi (positivi o negativi), tali che il modulo αδ − βγ risulti eguale a ± 1. Le sostituzioni lineari omogenee (3) costituiscono un gruppo infinito discontinuo, che contiene come sottogruppo invariante l'insieme delle (3) a modulo αδ − βγ = 1. Sul rapporto τ dei periodi viene così indotto il gruppo

di cui il sottogruppo di modulo 1, sul piano rappresentativo della variabile complessa τ, trasforma in sé l'asse reale e ciascuno dei due corrispondenti semipiani; e in ogni punto fuori dell'asse reale opera in modo propriamente discontinuo. È questo il cosiddetto gruppo modulare, perché il modulo k2(τ) del Legendre, il quale è una funzione analitica, uniforme di τ, definita in uno dei due semipiani or ora ricordati (che si può sempre supporre sia quello superiore all'asse reale), risulta invariante di fronte a tutte le sostituzioni di siffatto gruppo; e la stessa proprietà vale per l'invariante assoluto J (τ) del Weierstrass (v. funzione: Funzioni notevoli, n. 47).

15. Gli esempî dianzi considerati suggeriscono, per ovvia generalizzazione, il seguente problema: dato sulla variabile complessa un qualsiasi gruppo infinito propriamente discontinuo (nell'intorno di ogni punto generico) di sostituzioni x′ = θi(x) per i = 1, 2, 3, ..., studiare le funzioni analitiche, che sono trasformate in sé stesse da tutte le sostituzioni del gruppo. Questo problema, che caso per caso va precisato con opportune condizioni qualitative per le funzioni in parola, ha trovato una risposta effettiva (all'infuori di ricerche in qualche modo isolate, come quelle sulla iterazione) soltanto per gruppi, che rappresentano generalizzazioni immediate del gruppo della doppia periodicità o del gruppo modulare.

Per il gruppo della doppia periodicità non è possibile, nel campo delle funzioni analitiche di una sola variabile, alcuna estensione, perché sul piano complesso un gruppo generato da tre traslazioni indipendenti risulta discontinuo impropriamente in ogni punto, e quindi non esistono funzioni analitiche uniformi che abbiano più di due periodi indipendenti. Una tale estensione si trova invece realizzata, nel campo delle funzioni analitiche di più variabili, dalle funzioni abeliane, che dipendono da p variabili e ammettono 2p periodi (v. funzione: Funzioni notevoli, n. 48).

Estremamente importanti sono, nel campo delle funzioni di una sola variabile, le estensioni che si riattaccano al gruppo modulare. Si hanno qui anzitutto le funzioni modulari, cioè le funzioni analitiche uniformi di una variabile, trasformate in sé dal gruppo modulare (come il modulo del Legendre e l'invariante del Weierstrass) o da un suo sottogruppo; e queste funzioni rientrano nella classe più generale delle funzioni automorfe, cioè delle funzioni analitiche uniformi di una variabile, trasformate in sé da un qualsiasi gruppo infinito, propriamente discontinuo (nell'intorno di ogni punto generico), di sostituzioni lineari fratte (di modulo diverso da zero)

le quali, interpretate sul piano della variabile complessa x, non sono altro che affinità circolari equivalenti o del Möbius (v. geometria, n. 33), cioè trasformazioni conformi, che a ogni circonferenza (o retta, come circonferenza di raggio infinito) fanno corrispondere una circonferenza (o, in particolare, una retta). Secondo la nomenclatura introdotta da H. Poincaré, si dicono fuchsiani i gruppi costituiti da sostituzioni (4) a coefficienti reali - o, anche, simili a un gruppo siffatto per mezzo di una qualsiasi sostituzione lineare fratta -, kleiniani tutti gli altri, cioè costituiti da sostituzioni a coefficienti complessi e non trasformabili in gruppi di sostituzioni a coefficienti reali; e gli stessi nomi si attribuiscono alle corrispondenti funzioni automorfe. Ogni gruppo fuchsiano trasforma in sé l'asse reale (o una circonferenza) e ciascuna delle due regioni, in cui risulta così diviso il piano, e in ogni punto non giacente sull'asse reale (o su codesta circonferenza) opera in modo propriamente discontinuo. Invece i gruppi kleiniani possono risultare discontinui impropriamente.

Lo studio di ognuno di questi gruppi e delle corrispondenti funzioni automorfe è legato essenzialmente alla determinazione dei rispettivi campi di discontinuità (ted. Diskontinuitätsbereich). Si pensi, a es., il gruppo x′ = x + 2π della periodicità semplice e si consideri nel piano complesso una qualsiasi striscia parallela all'asse immaginario di larghezza 2π: per fissare le idee la striscia compresa fra l'asse immaginario e la retta u = 2π. Una tale striscia, ove in essa s'includano tutti i punti dell'asse immaginario, ma non quelli del lembo opposto, contiene, in corrispondenza di ogni punto del piano, un punto e uno solo, che sia equivalente a esso rispetto al gruppo; ed è questa la proprietà caratteristica, per cui codesta striscia si chiama un campo di discontinuità del gruppo considerato. Applicando a un tal campo tutte le operazioni del gruppo si ottengono altrettanti campi (in questo caso tutti eguali), a due a due contigui e ricoprenti, nel loro complesso, l'intero piano; e, quando si consideri una qualsiasi funzione (periodica) invariante per il gruppo, basta studiarne il comportamento in uno di codesti campi di discontinuità, perché essa risulti conosciuta dappertutto. Ora è chiaro come questo concetto di campo di discontinuità si possa estendere a ciascuno degli altri gruppi dianzi considerati: a es., per il gruppo della doppia periodicità, un campo di discontinuità è dato dal parallelogramma dei periodi, avente per vertici i punti 0, 2ω, 2ω + 2ω′, 2ω′, quando in esso s' includano i punti di due lati consecutivi, non quelli dei due lati opposti. Naturalmente per uno stesso gruppo il campo di discontinuità è suscettibile d' infinite forme diverse, giacché, trovatone uno, si può sempre toglierne una parte, purché gli si aggiunga altrove una parte equivalente rispetto al gruppo. Nel caso dei gruppi di sostituzioni fratte si può sempre scegliere un campo di discontinuità, il cui contorno sia costituito da archi circolari (o, in particolare, tratti rettilinei); e i varî tratti del contorno risultano a due a due equivalenti rispetto al gruppo. La considerazione di queste coppie di tratti di contorno equivalenti (per ciascuna delle quali uno solo dei due tratti va incluso nel campo) conduce alla determinazione delle sostituzioni generatrici del gruppo, cioè di quel numero minimo di sostituzioni, che combinate fra loro in tutti i modi possibili dànno l'intero gruppo. Senza insistere oltre su questioni particolari, si può dire che i diversi caratteri geometrici (di forma e di connessione) del campo di discontinuità rispecchiano, sia pure attraverso opportune interpretazioni e considerazioni sussidiarie, tutte le proprietà del gruppo e, secondo lo spirito della concezione sintetica riemanniana della teoria delle funzioni di variabile complessa, tutte le proprietà delle corrispondenti funzioni automorfe.

Aggiungiamo che le teorie così sommariamente accennate sono state estese in varî sensi. In Italia a questo elevato ordine di ricerche sono stati recati importanti contributi di risultati e di metodi da G. Fubini.

16. A speciali gruppi infiniti discontinui hanno condotto le indagini sui varî tipi possibili di struttura cristallina della materia. Si chiami reticolo spaziale (ted. räumliches Gitter) l'insieme dei punti equivalenti a un dato punto fisso rispetto al gruppo (abeliano) generato da tre date traslazioni, secondo tre direzioni non complanari, x′ = x = a, y′ = y + b, z′ = z + c. Si tratta di determinare tutti i possibili gruppi di movimenti e di simmetrie, che sovrappongono a sé un reticolo spaziale. La determinazione, assai laboriosa, di tutti i gruppi di questa classe (gruppi cristallografici) fra i quali si presentano, naturalmente, i gruppi finiti dei poliedri regolari (n. 11), è stata compiuta da E. S. Fedorov (1883) e, indipendentemente, da A. Schönflies (Kristallsysteme und Kristallstruktur, Lipsia 1891); e si deve a P. Niggli (Geometrische Kristallographie des Diskontinuums, Lipsia 1919) lo studio completo dei 230 gruppi così determinati. Almeno fino ad ora non tutte le strutture cristalline corrispondenti a questi 230 gruppi si sono trovate realizzate in natura.

Gruppi continui finiti. - 17. Non si può parlare di continuità di un gruppo, se non immaginando che esso operi su un insieme continuo di enti, solitamente sui punti di una retta, di un piano, dello spazio, ecc., o quanto meno su una loro regione convenientemente delimitata. Per questi punti supporremo prefissato un sistema di coordinate (cartesiane o di qualsiasi altro tipo; v. coordinate), che per generalità denoteremo con x1, x2, ..., xn; ma il lettore, per restare sul concreto, può pensare allo spazio ordinario, cioè al caso n = 3.

Ogni singola operazione d'un gruppo continuo finito sarà definita da una certa trasformazione, che dalle coordinate xi, d'un qualsiasi punto fa passare alla coordinate xj′ del punto corrispondente; e le varie trasformazioni, costituenti nel loro insieme il gruppo, si dovranno poter distinguere le une dalle altre, mediante la scelta dei valori di un certo numero r di parametri a1, a2, ..., ar, variabili, almeno in un certo campo, con continuità. Insomma il gruppo sarà rappresentato da un sistema di equazioni della forma

o, con scrittura più breve,

dove supporremo una volta per tutte che i parametri ah siano indipendenti, cioè tali che non sia possibile esprimerli per mezzo di altri parametri ak′ in numero minore di r senza ridurre la totalità delle trasformazioni (5) a una totalità più ristretta. Sotto questa ipotesi, il gruppo si dice a r parametri o ∞r (secondo la nomenclatura del Lie, r-gliedrig).

Per la definizione stessa di gruppo, la trasformazione (5), per certi valori ah° dei parametri, deve ridursi all'identità, cioè debbono sussistere le identità

e insieme con ogni trasformazione di parametri ah, il sistema (2) deve dare, in corrispondenza di certi valori āh dei parametri, la trasformazione inversa. Infine, se si considerano due trasformazioni (5) quali si vogliano, di parametri ah e bh, il loro prodotto, cioè la trasformazione

deve appartenere ancora alle (5), o, in altre parole, risultare della fnrma

dove i pammetri ch sono certe determinate funzioni degli ah, e dei bh

Notiamo che ad assicurare al gruppo la continuità basterebbe supporre che le funzioni fi fossero continue, tanto rispetto alle xi, quanto rispetto agli ah; e un saggio sui fondamenti della teoria dei gruppi continui in questo senso più ampio si deve a L. E. J. Brouwer (Math. Annalen. LVII, 1909; LXIX, 1910). Ma qui, mettendoci dal punto di Yista del Lie, che sistematicamente coordinava le sue vedute gruppali alla teoria delle equazioni differenziali, supporremo che le fi siano funzioni analitiche (v. funzione, n. 33) dei loro n + r argomenti, e perciò dotate di derirate di tutti i possibili ordini. Di qui discende che le (5) in ogni caso costituiscono l'integrale generale di un certo sistema di equazioni alle derivate parziali nelle n funzioni xi′ delle n variabili xj′, che si ottiene eliminando i parametri ah, fra le (5) e le equazioni, che se ne deducono per derivazione rispetto alle xj fino a un certo ordine: i parametri ah non sono altro che le costanti arbitrarie di codesto integrale generale.

18. Il Lie a fondamento della sua teoria pone il concetto di trasformazione infinitesima. Ora la natura di questo concetto e l'ufficio che a esso spetta si possono intuire, pensando al caso elementare del gruppo ∞6 dei movimenti (rigidi) dello spazio. Se una qualsiasi figura rigida, p. es. un triangolo, si muove comunque nello spazio, passando da una posizione iniziale F a una posizione finale F′, si può raggiungere lo stesso risultato, cioè portare F in F′ (v. cinematica, n. 26), con un movimento elicoidale di asse ben determinato e di conveniente passo (in casi speciali con una semplice rotazione o traslazione); e questo movimento elicoidale si realizza, ripetendo successivamente infinite volte uno stesso movimento elicoidale infinitesmio (avente il medesimo asse e il medesimo passo del movimento totale o finito). D'altra parte un tale moto elicoidale infinitesimo è decomponibile, nel senso stabilito in cinematica, in una certa traslazione e in una certa rotazione, entrambe infinitesime, le quali, alla loro volta, si possono decomporre rispettivamente in tre traslazioni infinitesime secondo gli assi coordinati e in tre rotazioni infinitesime intorno agli assi stessi. Si riconosce così che, in ultima analisi, tutti i possibili movimenti dello spazio si possono generare per composizione e successiva iterazione indefinita di certi 6 movimenti infinitesimi ben determinati, le tre traslazioni secondo gli assi e le tre rotazioni intorno a essi.

Tutto ciò è stato, in un certo senso, esteso dal Lie a ogni altro gruppo continuo finito. Supposto che le (5) siano le equazioni di un certo gruppo Gr, a r parametri, attribuiamo in esse ai parametri gli r valori ai° + ei δt, in cui gli ai° sono i valori dei parametri, cui corrisponde l'identità, gli ei sono r costanti prefissate ad arbitrio e δt denota un qualsiasi infinitesimo. La trasformazione così ottenuta

in forza della continuità del gruppo, differisce infinitamente poco dalla identità, cioè fa variare ciascuna coordinata xi, di una quantità δxi = xi′ − xi, infinitesima; e questi incrementi δxi, ove si sviluppino in serie di potenze di δt e si tenga conto delle (6), assumono la forma

dove i termini non scritti sono, rispetto al δt, di ordine superiore al primo e ξij denota la funzione delle x, cui si ridua la ∂fi/aj, per ah = ah° (h = 1, 2, ..., r). In realtà può accadere che questi sviluppi comincino tutti con termini di ordine > 1 rispetto al δt; ma in tal caso tutto ciò che stiamo per dire dei termini di primo ordine, vale egualmente per quelli di ordine minimo, e a ogni modo basta cambiare parametri, cioè sostituire agli ah altrettante espressioni convenienti di altri r parametri bk, perché l'accennata eventualità non si verifichi più. Possiamo perciò prescindere da essa.

Orbene, il Lie dimostra (ed è questo, in sostanza, il cosiddetto suo primo teorema fondamentale) che tutte le trasformazioni di Gr, risultano completamente determinate (almeno in un certo intorno della identità) dai soli termini del 1° ordine degli sviluppi (5). Più precisamente, consideriamo la trasformazione infinitesima

ottenuta dalla (8), prendendone soltanto i termini del 1° ordine. Essa applicata a un'arbitraria funzione f(x1, x2, ..., xn) delle x, le fa assumere un incremento, la cui parte del 1° ordine in δt è data da

e ove s'introducano gli r operatori differenziali lineari

si può scrivere

Gli r operatori (10) risultano in ogni caso linearmente indipendenti, nel senso che non esiste nessun sistema di costanti k non tutte nulle, per cui si abbia identicamente (cioè per ogni scelta della funzione f)

e, se, prefissati ad arbitrio i valori delle costanti ej, almeno in un certo intorno dei valori nulli, si itera indefinitamente la trasformazione infinitesima (6), integrando dal valore t = 0 a un generico valore di t non troppo grande, si perviene a una trasformazione finita, le cui equazioni, quando si ponga

e si denotino con X2, X3, ..., le successive potenze dell'operatore X, sono date da

talché, più in generale, per una qualsiasi funzione f si ha

Per ogni scelta delle costanti ej, le (11), al variare del parametro t (in un certo intorno di t = 0) forniscono le ∞1 trasformazioni di un gruppo a 1 parametro, il quale è contenuto per intero nel dato gruppo Gr e se poi si fanno variare (almeno entro certi limiti) i rapporti delle r costanti ej, gli ∞r-1 gruppi a un parametro, che così si ottengono, esauriscono l'intero gruppo Gr nel senso che ogni trasformazione di questo, in un certo intorno dell'identità, appartiene a uno di codesti sottogruppi ∞1. Per questa ragione le ∞r-1 trasformazioni infinitesime (9) si chiamano le trasformazioni infinitesime generatrici del gruppo Gr; e anzi il Lie attribuisce, senz'altro, questo nome agli r operatori (10), che bastano a individuare il gruppo, in quanto, combinati fra loro linearmente (a coefficienti costanti), dànno gli operatori corrispondenti a tutte le possibili trasformazioni infinitesime (9). P. es., le trasformazioni infinitesime del gruppo proiettivo ∞3 della retta

sono

quelle del gruppo ∞6 dei movimenti dello spazio

Per determinare nel senso or ora chiarito un gruppo continuo ∞r le r trasformazioni (10) non si possono prefissare ad arbitrio, bensì occorre e basta (secondo teorema fondamentale del Lie) che, per ogni coppia degli indici j e k, sussista l'identità

dove le cjk sono altrettante costanti e (Xj Xk) denota l'alternata Xj Xk = Xk Xj delle due trasformazioni infinitesime Xj, Xk (v. equazioni, n. 19). La ragione dell'intervento di queste alternate si può intuire con la seguente osservazione. Se una qualsiasi trasformazione infinitesima

si trasforma (n. 2) per mezzo della generica trasformazione (11) di un gruppo ∞1, generato da un qualsiasi operatore X, l'incremento che subisce l'operatore Y = Σηif/t, corrispondente alla (13), ha come parte del primo ordine, rispetto al parametro t del gruppo ∞1, il termine t (YX), cosicché si può dire che le identità (12) rispecchiano la proprietà del gruppo di essere trasformato in sé stesso da ogni sua trasformazione.

Dagli ulteriori sviluppi della teoria del Lie risulta che tutte le proprietà strutturali di un gruppo sono legate al sistema delle corrispondenti costanti cjk, le quali perciò si chiamano costanti di struttura del gruppo. Esse non si possono prefissare ad arbitrio: affinché un sistema di costanti cjks (per j, k, s = 1, 2, ..., r) fornisca le costanti di struttura di un gruppo continuo a r parametri occorre e basta che le cjks rendano soddisfatto il duplice sistema di condizioni (terzo teorema fondamentale del Lie)

19. In base ai teoremi fondamentali precedenti, lo studio di ogni gruppo continuo finito Gr è ricondotto a quello delle corrispondenti trasformazioni infinitesime X1, X2, ..., Xr. Così, se x1, x2, ..., xn sono le variabili su cui opera il Gr, le eventuali funzioni u (x1, x2, ..., xn) che sono invarianti rispetto al gruppo, sono tutte, e sole, quelle che assoggettate alle trasformazioni infinitesime, subiscono un incremento nullo, cioè tutte, e sole, le eventuali soluzioni del sistema di equazioni lineari alle derivate parziali

che sono bensì linearmente indipendenti, quando si adottano soltanto coefficienti costanti, ma possono benissimo non essere più tali, se si assumono anche coefficienti dipendenti dalle x. Se di codeste equazioni solo s n sono linearmente indipendenti in quest'ultimo senso, esse costituiscono, in forza delle (12), un sistema completo (v. equazioni, n. 19), le cui n − s soluzioni u1, u2, ..., un-s, sono gl'invarianti (di ordine 0) del gruppo; e questo è intransitivo, in quanto trasforma in sé ciascuna delle ∞n-s varietà (d'intransitività) a s dimensioni u1 = cost, u2 = cost, ..., ua-s =cost. Il gruppo è invece transitivo, cioè privo di invarianti (di ordine 0), se il sistema (15) è privo di soluzioni (all'infuori di quella costante), cioè se le (15) linearmente indipendenti per funzioni sono in numero di n. E il gruppo Gr si dice transitivo semplicemente, se il numero r dei parametri, da cui esso dipende, è eguale al numero n delle variabili su cui opera.

Analogamente si fondano sulla considerazione delle trasformazioni infinitesime i criterî di similitudine fra due gruppi, cioè le condizioni necessarie e sufficienti affinché l'uno sia trasformabile nell'altro con un opportuno cambiamento di variabili.

20. Quando si passa alle proprietà strutturali, bastano addirittura le costanti cjks. Il primo problema, che qui si presenta, è la ricerca di tutti i sottogruppi d'un dato gruppo Gr. I sottogruppi ∞1 sono semplicemente quelli generati dalle singole trasformazioni Xj del gruppo e dalle loro combinazioni lineari a coefficienti costanti quali si vogliano; per trovare gli altri, basta cercare, per ogni valore di s da 2 a r − 1, s combinazioni lineari a coefficienti costanti Yi = Σhij Xj delle Xj, tali che ogni alternata (Yi Yk) sia combinazione lineare, a coefficienti costanti, delle Yi stesse; onde in base alle (12) si è condotti a un problema puramente algehrico (nelle incognite h). In particolare si possono così determinare tutti i sottogruppi invarianti d'un dato Gr; e se Gs è un tale sottogruppo, si calcolano algebricamente anche le costanti di struttura del corrispondente gruppo complementare Gr/Gs, che si definisce come per i gruppi discontinui finiti (n. 9) e risulta ∞r-s.

Per mezzo delle cjks si caratterizza anche l'isomorfismo: due gruppi Gr, Àr a uno stesso numero di parametri (ma operanti anche su variabili in numero diverso) sono oloedricamente isomorfi, se è possibile scegliere le loro trasformazioni infinitesime generatrici Xj e Xj, in modo che coincidano le corrispondenti costanti di struttura. Invece un gruppo Gq è isomorfo meriedricamente a un Gr, con r > q, se è possibile scegliere r trasformazioni infinitesime Xj, linearmente indipendenti, in Gr e altrettante Xj′ in Gq (le quali di necessità risultano linearmente dipendenti), in modo che sia ancora (Xj Xk) = Σcjks Xs, (Xj Xk′) = Σcjks Ùs′ con le stesse cjks (le quali sono, in tal caso, costanti di struttura per il Gr, non per il Gp).

Anche per la struttura dei gruppi continui finiti risultano caratteristiche le serie di composizione (n. 10), in quanto sono stati estesi a questi gruppi gli analoghi dei teoremi del Jordan e del Hölder, rispettimmente dal Lie (1888) e da F. Engel (1893). Ai gruppi di sostituzioni risolubili (n. 10) fanno qui riscontro i cosiddetti gruppi integrabili, cioè quelli per cui tutti i gruppi fattoriali sono a un parametro; e va ricordato il teorema dell'Engel, che caratterizza questi gruppi integrabili come quelli che non contengono nessun sottogruppo ∞3 isomorfo oloedricamente al gruppo proiettivo della retta.

21. Singolarmente feconda, nello studio di un qualsiasi Gr, è la considerazione del suo gruppo aggiunto e dei suoi due gruppi parametrici, che sono tutti e tre isomorfi al gruppo dato, e si ottengono, cercando come sulle trasformazioni del Gr, interpretate come punti di uno spazio ∞r, operino le stesse trasformazioni del gruppo per trasformazione o per prodotto operatorio (a sinistra o a destra). Se Sξ Sα sono due trasformazioni quali si vogliano di Gr, di parametri ξj, aj rispettivamente, si ha Sa Sξ Sα-1 = Sξ′, dove Sξ è una nuova trasformazione del Gr, i cui parametri ξj′ sono certe determinate funzioni dei ξj e degli aj

Queste equazioni, ove si considerino le ξj e le ξj′ come variabili, gli ah come parametri, definiscono un certo gruppo continuo Γ (intransitivo), che è precisamente il gruppo aggiunto di Gr. Esso è lineare (omogeneo) ed è generato dalle trasformazioni infinitesime

talché, in forza delle (11), risulta isomorfo al Gr,. L'isomorfismo è oloedrico se il Gr non contiene nessuna trasformazione infinitesima eccezionale (ted. ausgezeichnete), cioè permutabile con tutte le altre del gruppo; è invece meriedrico in caso contrario (Γ risultando ∞r-s se sono in numero di s le trasformazioni infinitesime eccezionali linearmente indipendenti del Gr). Si ha dunque che per un qualsiasi gruppo Gr il gruppo aggiunto fornisce una rappresentazione lineare, ma non sempre essa risulta esatta (n. 12); e rimane tuttora insoluta la questione (che, ove ricevesse risposta affermativa, porterebbe a conseguenze particolarmente importanti) se ogni gruppo continuo finito ammetta una rappresentazione lineare esatta.

Quanto ai due gruppi parametrici, sono analogamente definiti il primo dall'equazione operatoria SξSα = Sξ′, il secondo dalla SαSξ = Sξ′. Essi sono entrambi isomorfi oloedricamente al gruppo dato, permutabili l'uno con l'altro, semplicemente transitivi e fra loro simili.

Risulta di qui, in particolare, che ogni gruppo continuo finito intransitivo è sempre isomorfo oloedricamente a qualche gruppo transitivo; in altre parole la proprietà di possedere invarianti non è, per i gruppi continui finiti, di carattere strutturale.

22. Una qualsiasi trasformazione fra i punti del piano o dello spazio, ecc., conserva i contatti di qualsiasi ordine fra curve, superficie, ecc. Perciò un gruppo Gr si può considerare operante non sui semplici punti, bensì sugli elementi (infinitesimi) di contatto di qualsiasi dimensione (compatibile con quella dell'ambiente) e di qualsiasi ordine (nel piano sugli elementi lineari, nello spazio sugli elementi lineari o su quelli superficiali, e così via). Per questi elementi di contatto si possono assumere come coordinate, oltre le coordinate xi del rispettivo punto-sostegno o centro, i valori locali delle derivate di alcune di queste xi, rispetto alle altre (v. equazioni, n. 28; trasformazione); a es., nel piano un elemento lineare del 1° ordine s'individua dando le coordinate (cartesiane) x, y del centro e il rapporto direttivo p = dy/dx della rispettiva direzione; nello spazio un elemento superficiale del 1° ordine s'individua dando, oltre le coordinate x, y, z del centro, i due parametri p = ∂z/x, q = ∂z/y, che determinano la giacitura della corrispondente faccetta piana, e così via. Orbene, gl'infiniti elementi (di un dato ordine qualsiasi) di una linea o superficie, ecc., soddisfano, ciascuno rispetto a quelli infinitamente vicini, certe condizioni caratteristiche di raccordo, che si traducono in particolari equazioni pfaffiane, cioè lineari nei differenziali delle rispettive coordinate; e quando si conoscano di un gruppo Gr le trasformazioni infinitesime Xj sui punti, basta tener conto di codeste condizioni di raccordo, perché risultino determinate le corrispondenti trasformazioni infinitesime prolungate Xh(p, q) (ted. erweiterte) agli elementi di data dimensione p e di dato ordine q, cioè le trasformazioni infinitesime, secondo cui il G, opera sulle corrispondenti coordinate. Gli eventuali invarianti del gruppo così prolungato Gr(p, q) sono dati dalle soluzioni del sistema completo Ùj(p, q)f = 0 per j = 1, 2, ..., r; e poiché, al crescere dell'ordine q, il numero di queste equazioni non può mai superare r, mentre quello delle coordinate dell'elemento cresce indefinitamente, è chiaro che almeno da un certo ordine in poi, si ottengono successivamente (per ogni dimensione p degli elementi) quanti invarianti si vogliono. Sono questi gli invarianti differenziali del gruppo dato Gr e si dimostra che essi, da un certo ordine in poi, sono tutti esprimibili per mezzo di quelli di ordine minore e delle loro derivate. P. es., se il gruppo dei movimenti dello spazio si prolunga agli elementi lineari dei successivi ordini, i primi invarianti differenziali che s'incontrano sono la flessione (di 2° ordine) e la torsione (del 3°); e tutti quelli di ordine superiore sono esprimibili per mezzo di questi due e delle loro derivate rispetto all'arco di curva.

Per un Gr qualsiasi gl'invarianti differenziali (eventualmente associati a speciali equazioni invarianti) permettono di risolvere il problema di equivalenza, cioè la determinazione delle condizioni necessarie e sufficienti, affinché due curve o due superficie, ecc., siano trasformabili l'una nell'altra per mezzo di una o più trasformazioni del gruppo.

23. Il Lie ha sviluppato anche la teoria generale dei gruppi continui finiti di trasformazioni di contatto (v. equazioni, nn. 28-31; trasformazione), cioè di quelle trasformazioni - più generali delle trasformazioni sui punti o puntuali - che, operando sugli elementi di contatto del 1° ordine e di massima dimensione (lineari nel piano, superficiali nello spazio, ecc.), in modo da rispettare le condizioni di raccordo fra elementi accennate al numero precedente, costituiscono il mezzo più potente per la trasformazione e riduzione delle equazioni differenziali, e che, come fu già notato altrove (v. equazioni, nn. 28-30), hanno condotto a un'estensione del concetto stesso di integrale di tali equazioni. Va pure ricordato come rientrino in questa classe quelle trasformazioni, che sotto il nome di canoniche hanno un ufficio essenziale nella teoria dei sistemi hamiltoniani della dinamica.

24. L'insieme di un gruppo Gr e di tutti quelli a esso simili (cioè ottenuti da Gr con un qualsiasi cambiamento delle variabili, su cui esso opera) si dice costituire un tipo, e ogni gruppo del tipo può essere assunto come suo rappresentante. Al problema della determinazione di tutti i tipi distinti di gruppi continui finiti dello spazio a un qualsiasi numero n di dimensioni (cioè in n variabili) il Lie ha recato contributi fondamentali di metodi e di risultati, e lo ha completamente risoluto per la retta (1874) e per il piano (1878), mentre per lo spazio, dopo aver classificato i così detti gruppi primitivi (1878), ha indicato per quelli imprimitivi un metodo di determinazione (1893), che fu poi applicato, fino a esaurire la ricerca, da U. Amaldi (1901). P. es., sulla retta ogni gruppo continuo finito è simile al gruppo ∞3 proiettivo o a un suo sottogruppo.

Similmente, per i gruppi continui finiti di trasformazioni di contatto, furono classifcati dal Lie tutti quelli del piano (1878), mentre nello spazio ne furono determinate successivamente varie classi dallo stesso Lie, da G. Scheffers, da W. Oseen, e fu poi riconosciuto che risultavano così esauriti tutti i tipi possibili (U. Amaldi, 1918).

Altre determinazioni e classificazioni di gruppi particolari sono state compiute dallo stesso Lie o da suoi discepoli o continuatori (gruppi proiettivi del piano, gruppi proiettivi di una quadrica o d'un complesso lineare, gruppi conformi, ecc.), ma non possiamo qui entrare in particolari. Ricordiamo invece, per l'importanza e la difficoltà dei problemi risoluti e per la ricchezza e la genialità dei metodi algebrici, uscenti dal quadro dell'opera del Lie, la determinazione dei tipi di gruppi continui finiti di trasformazioni cremoniane del piano e dello spazio (F. Enriques e G. Fano, 1893-1898) e la classificazione delle superficie algebriche, che ammettono un gruppo continuo di trasformazioni birazionali in sé stesse, iniziata da É. Picard e successivamente approfondita e conclusa da P. Painlevé, G. Castelnuovo, F. Enriques (1889-1905).

25. La teoria dei gruppi continui finiti in senso astratto si riduce allo studio di tutte le possibili strutture, cioè, dal punto di vista formale, di tutti i possibili sistemi distinti di costanti cjks soddisfacenti alle relazioni (11). In questo indirizzo, oltre a svariati contributi speciali, dovuti soprattutto allo stesso Lie, all'Engel, a W. Killing e a E. Cartan, il risultato saliente è la classificazione, dovuta a questi due ultimi matematici (1888-1894), di tutte le strutture semplici. Si tratta d'un problema algebrico di estrema difficoltà, che è stato risoluto in base a un'analisi profonda della distribuzione dei gruppi ∞2 entro un qualsiasi gruppo a quanti si vogliono parametri; e la conclusione si è che tutte le possibili strutture semplici si riducono a quelle di quattro grandi classi di gruppi già riconosciuti semplici dal Lie (gruppo proiettivo totale di Sn, gruppo proiettivo di un complesso lineare non degenere di S2n-1, gruppi proiettivi di una quadrica non degenere di S2n e di S2n-1) e, in più, a cinque strutture particolari, aventi rispettivamente 14, 52, 78, 133 e 248 parametri e realizzabili, come ha mostrato il Cartan, per mezzo di gruppi lineari rispettivamente su 7, 26, 27, 56 e 248 variabili.

26. Come già fu accennato da principio, la teoria dei gruppi continui si può dir nata, nel pensiero del Lie, da una visione geometrica dei problemi d'integrazione delle equazioni e dei sistemi differenziali. Di qui i due ordini di applicazioni, in cui essa si è venuta naturalmente sviluppando ed estendendo. Per le applicazioni geometriche, di cui già avemmo incidentalmente occasione di dare qualche esempio e che trovano la loro classificazione nelle vedute del programma di Erlangen del Klein, rimandiamo alla voce geometria; e ci limitiamo a dare un cenno rapido e largamente incompleto delle applicazioni della teoria dei gruppi continui finiti ai problemi d'integrazione. Fin dal 1869 il Lie riconobbe che i tipi classici di equazioni differenziali del 1° ordine integrabili per quadrature debbono questa loro proprietà all'esistenza, caso per caso, di un gruppo continuo 00i di trasformazioni (sulla variabile indipendente e sulla funzione incognita), che le trasforma in sé stesse (cioè trasforma ogni curva integrale in una curva integrale; v. equazioni, n. 37). Egli fu così condotto a studiare più in generale le equazioni differenziali ordinarie di ordine qualsiasi, trasformate in sé da un gruppo continuo (che, come riconobbe, non può essere che finito) di trasformazioni puntuali o di contatto; e, poiché aveva già determinato tutti i tipi di gruppi continui finiti del piano, poté dare di codeste equazioni la classificazione completa, assegnando per ciascuna di esse un metodo d'integrazione, che riduce il problema alle equazioni ausiliarie di ordine minimo (1883). I risultati così conseguiti suggerirono nuovi problemi e nuovi sviluppi, su cui non possiamo qui dilungarci. Ricorderemo soltanto come tipico il problema, risolto dal Lie, di riconoscere quali vantaggi si possano trarre, per l'integrazione di un sistema completo di equazioni alle derivate parziali del 1° ordine, dalla conoscenza di un dato numero di trasformazioni infinitesime che lo trasformino in sé stesso. Le alternate di queste trasformazioni infinitesime ne possono fornire altre, aventi la stessa proprietà, e talvolta conducono, senza integrazione alcuna, alla determinazione di qualche soluzione del sistema. Quando queste due eventualità siano sfruttate al massimo possibile, si è condotti al caso d' un sistema completo trasformato in sé da un gruppo continuo finito Gr, di cui si conoscono le trasformazioni infinitesime, e allora l'ulteriore riduzione del problema dipende dalla struttura di questo Gr. Se esso è composto, il problema si spezza in una serie di problemi analoghi in un numero minore di variabili. Precisamente i sistemi completi ausiliarî, cui così si perviene, sono tanti quanti i fattori di composizione del Gr e sono dotati ciascuno di un gruppo isomorfo oloedricamente al corrispondente gruppo fattoriale; dopo di che la teoria dei gruppi, in sé stessa, nulla di più può dare ai fini dell'integrazione.

È già qui evidente una certa analogia con la teoria del Galois. Ma questa analogia si ravvisa più stretta e più profonda nelle cosiddette teorie razionali o logiche d'integrazione (É. Picard, E. Vessiot, J. Drach), che costituiscono un vero e proprio trasporto delle vedute del Galois nel campo delle equazioni differenziali. La prima e più espressiva di queste teorie, dovuta al Picard e rielaborata e completata dal Vessiot, riguarda le equazioni differenziali lineari. Data una di queste equazioni si consideri il campo di razionalità (funzionale) K, costituito dalla variabile indipendente x, dai coefficienti dell'equazione e da tutte quelle funzioni che se ne deducono con operazioni razionali e di derivazione. Se y1, y2, ..., yn sono per l'equazione proposta gl'integrali d'un sistema fondamentale (v. equazioni, n. 13), si può a essa associare un gruppo continuo finito di trasformazioni lineari omogenee sulle y (gruppo del Picard), tale che le funzioni esprimibili razionalmente per mezzo delle yi e delle loro derivate, a coefficienti appartenenti a K, che a calcoli fatti risultano esse stesse appartenenti a K, sono tutte, e sole, quelle che restano formalmente invarianti, quando sulle yi, si eseguisca una qualsiasi trasformazione di codesto gruppo. Questo gruppo assume qui un ufficio perfettamente analogo a quello del Galois per le equazioni algebriche, in quanto la sua struttura rispecchia la natura e la difficoltà del problema dell'integrazione dell'equazione considerata, caratterizzando con le strutture dei suoi gruppi fattoriali le equazioni lineari di ordine minimo, da cui il problema proposto dipende. Così, a es., perché l'equazione sia integrabile per quadrature, occorre e basta che il corrispondente gruppo del Picard sia integrabile (n. 20).

Dobbiamo, infine, ricordare un altro ordine di problemi d'integrazione, in cui il Lie, attraverso una geniale interpretazione geometrica, ha ravvisato una generalizzazione di problemi classici (equazione del Riccati e sistemi di equazioni differenziali ordinarie del 1° ordine): si tratta della teoria dei cosiddetti sistemi a soluzioni fondamentali (o sistemi del Lie), cioè di quei sistemi, la cui soluzione generale è esprimibile in funzione d' un determinato numero di soluzioni particolari quali si vogliano. Sono di questo tipo i sistemi incontrati dal Lie come ausiliarî nella sua integrazione dei sistemi dotati di trasformazioni infinitesime in sé stessi e i sistemi che definiscono le famiglie continue di trasformazioni, anche non costituenti gruppo, di un qualsiasi gruppo continuo finito. La teoria di questi sistemi, iniziata dal Lie, è stata ulteriormente sviluppata e generalizzata da E. Vessiot ed E. Cotton.

Gruppi continui infiniti. - 27. Anche qui si tratta esclusivamente dei gruppi definiti da equazioni differenziali, onde restano esclusi quelli che, pur essendo continui, ammettono una definizione di carattere funzionale, quali, ad es., il gruppo di tutte le trasformazioni algebriche o di tutte le trasformazioni cremoniane del piano o dello spazio, ecc. Precisamente le variabili trasformate, ove si considerino conìe funzioni di quelle primitive, debbono costituire l'integrale generale - dipendente da funzioni arbitrarie - di un sistema di equazioni alle derivate parziali (equazioni di definizione delle trasformazioni finite). Per es., il gruppo di tutte le trasformazioni puntuali dello spazio, che lasciano invariati i volumi (gruppo equivalente o dei movimenti di un fluido incompressibile) è definito dall'unica equazione del 1° ordine

I principî generali della teoria, che il Lie era venuto elaborando fin dal 1878, sono stati pubblicati soltanto nel 1891 in due memorie redatte dall'Engel. Come i gruppi finiti, anche ogni gruppo continuo infinito contiene infinite trasformazioni infinitesime e, con ciascuna di esse, in un conveniente intorno dell'identità, tutte le trasformazioni del corrispondente gruppo ∞1; ma, a differenza dal caso dei gruppi finiti, non è ancora dimostrato che ogni trasformazione del gruppo, anche solo in un intorno dell'identità, si possa ottenere in questo modo. Le componenti ξi della più generale trasformazione infinitesima X = Σξif/xi del gruppo, costituiscono l'integrale generale di un sistema di equazioni lineari omogenee alle derivate parziali (equazioni di definizione delle trasformazioni infinitesime), il quale non è altro che il cosiddetto "sistema alle variazioni" (nel senso del Poincaré) del sistema di definizione delle trasformazioni finite, rispetto all'identità, e perciò lascia al suo integrale generale lo stesso grado di arbitrarietà di quest'ultimo sistema. Così nel caso del gruppo equivalente dello spazio si ha per le trasformazioni infinitesime l'unica equazione di definizione (equazione d'incompressibilità)

In ogni caso, come per i gruppi finiti, all'insieme delle trasformazioni infinitesime, che è lineare e quindi contiene ogni combinazione lineare a coefficienti costanti di quante si vogliano sue trasformazioni infinitesime, appartiene, con ogni coppia di trasformazioni infinitesime, anche la loro alternata. Anche i gruppi infiniti si possono pensare operanti sugli elementi di contatto; prolungando la generica trasformazione infinitesima alle coordinate di codesti elementi ed eguagliandola a zero, si è condotti a particolari sistemi completi, che definiscono, per gli elementi di ogni possibile dimensione, una serie indefinita di invarianti differenziali del gruppo, esprimibili tutti in funzione d' un certo numero di essi (dipendente dagli ordini delle equazioni di definizione) e delle loro derivate. Particolare interesse presentano i cosiddetti invarianti differenziali fondamentali, cioè quelli che si potrebbero dire gl'invarianti differenziali delle trasformazioni stesse del gruppo, in quanto si ottengono, considerando le variabili, su cui opera il gruppo, come funzioni di altrettanti parametri invarianti, e prolungando il gruppo alle rispettive derivate dei successivi ordini. Questi particolari invarianti differenziali bastano a caratterizzare completamente il gruppo e permettono di dare alle equazioni di definizione delle trasformazioni finite di un qualsiasi gruppo continuo (anche finito) una forma invariantiva, particolarmente agile e feconda.

Questi, in breve, i risultati essenziali stabiliti dal Lie, il quale, grazie a essi, poté determinare tutti i tipi di gruppi continui infiniti di trasformazioni puntuali e di contatto del piano (1883, 1895); e con metodi analoghi, integrati da opportuni sviluppi sussidiarî, furono poi determinati anche tutti i tipi di gruppi continui infiniti di trasformazioni puntuali e di contatto dello spazio (U. Amaldi, 1906-1918).

28. Le trasformazioni infinitesime d'un gruppo infinito dipendono da funzioni arbitrarie o, se si vuole, costituiscono un insieme lineare a infinite dimensioni, onde vien meno il sussidio di quelle interpretazioni e di quei procedimenti iperspaziali, che rendono così feconda la considerazione delle trasformazioni infinitesime nel caso dei gruppi finiti; né, per ora, hanno trovato in questo campo effettiva applicazione i risultati e i metodi, ancora alquanto scarsi, che sino a oggi si possiedono sulle funzioni d'infinite variabili e sugli spazî a infinite dimensioni. L'Engel ebbe per primo l'idea di porre a base della teoria dei gruppi continui infiniti, in luogo della considerazione delle trasformazioni infinitesime, quella delle rispettive equazioni di definizione, e indicò (1885, 1894) un metodo, che permette di costruire le equazioni di definizione delle trasformazioni infinitesime di tutti i gruppi continui, finiti e infiniti, su quante si vogliano variabili, quando si conoscano le trasformazioni infinitesime di certi speciali gruppi finiti, legati alle trasformazioni che le derivate di un'arbitraria funzione di quante si vogliano variabili subiscono per cambiamento delle variabili (gruppi dell'Engel). P. Medolaghi, analizzando la corrispondenza così stabilita fra questi ultimi gruppi e i gruppi continui a essi associati, riuscì a trovare un metodo generale, che conduce addirittura alle equazioni di definizione delle trasformazioni finite di un qualsiasi gruppo continuo (sotto una forma invariantiva anche più precisa di quella del Lie), quando si conoscano le equazioni finite del corrispondente gruppo dell'Engel (1897). Ma, mentre gruppi simili corrispondono sempre a uno stesso gruppo dell'Engel, può accadere che a uno stesso gruppo dell'Engel corrispondano varî tipi distinti di gruppi continui; e il Medolaghi abbozzò un metodo atto a discriminare questi varî tipi (1899).

I risultati precedenti furono semplificanti e completati dal Vessiot (1903), il quale mostrò che dalle equazioni di definizione di un gruppo sotto la forma del Medolaghi si possono dedurre quelle dei suoi varî sottogruppi e, in particolare, dei sottogruppi invarianti.

29. Ma con tutto ciò restava insoluto il problema fondamentale della struttura dei gruppi continui infiniti. Per via inaspettata, e con mezzi altrettanto originali quanto potenti, esso fu risolto da E. Cartan (1902-1910), che fu così condotto a porre, sia pure in forma non definitiva e non in ogni parte completa, i fondamenti di una nuova teoria generale di tutti i gruppi continui, finiti e infiniti.

Egli assume per l'isomorfismo di due gruppi continui la seguente definizione, che nel caso dei gruppi finiti concorda con quella consueta, e che, indipendentemente dal Cartan, fu proposta anche dal Vessiot. Anzitutto di un gruppo continuo G, operante su certe variabili xi, si dice prolungamento ogni altro gruppo G′, che, operando sulle stesse xi e su altre variabili yj, trasformi fra loro le xi come G; e il prolungamento si dice oloedrico, se all'identità di G (sulle x,) corrisponde in G′ l'identità (sulle xi e sulle yi), meriedrico in caso contrario. Orbene due gruppi si dicono isomorfi oloedricamente, se esistono due loro prolungamenti oloedrici, operanti sullo stesso numero di variabili e fra loro simili, cosicché, in particolare, un gruppo è isomorfo oloedricamente a ogni suo prolungamento oloedrico. Si dice invece che un gruppo G è isomorfo meriedricamente a un gruppo À, se risultano simili un prolungamento meriedrico di G e un prolungamento oloedrico di À, i quali operino sullo stesso numero di variabili.

Ciò posto, il Cartan, partendo dalle equazioni di definizione delle trasformazioni finite di un qualsiasi gruppo continuo infinito G, messe sotto forma di equazioni pfaffiane, deduce da G, con procedimento generale e univoco, un prolungamento oloedrico G′, il quale si può definire direttamente come l'insieme di tutte, e sole, le trasformazioni, che trasformano in sé stessi, oltre gli eventuali invarianti uh di G, certi pfaffiani, o forme differenziali lineari, ωk, fra loro linearmente indipendenti per funzioni (che si possono interpretare come gli elementi differenziali di altrettanti invarianti integrali lineari del gruppo).

I differenziali duh degl'invarianti sono esprimibili come forme lineari negli ωk, e i covarianti bilineari di questi pfaffiani si possono alla loro volta esprimere come forme bilineari alternanti negli ωk stessi e in certi altri pfaffiani ausiliari πb, che rispecchiano il carattere infinito del gruppo (anche nei suoi gradi di arbitrarietà). I coefficienti dei due sistemi di forme lineari e bilineari, che così si ottengono, sono tutti invarianti del gruppo G, cioè funzioni degli uh, onde si riducono a costanti nel caso dei gruppi transitivi; e, in ogni caso, definiscono, fino a un certo punto, la struttura del gruppo, in quanto due gruppi, per cui essi coincidano, sono necessariamente isomorfi. Per tali coefficienti il Cartan assegna le condizioni necessarie e sufficienti affinché corrispondano effettivamente a un gruppo, e fra queste condizioni compaiono certe equazioni algebrico-differenziali (puramente algebriche nel caso dei gruppi transitivi), che, indipendentemente dal Cartan, furono incontrate anche da G. Ricci e da K. Żorawski nelle loro teorie invariantive dei sistemi di pfaffiani.

Tutto ciò che precede è applicabile anche ai gruppi finiti. Solo in tal caso vengono a mancare i pfaffiani πl, e si può sempre fare in modo che il gruppo G′ sia un gruppo semplicemente transitivo. In questa ipotesi i coefficienti del Cartan si riducono alle costanti cjks del Lie e le equazioni algebriche dianzi accennate coincidono con le relazioni (11). Così ogni gruppo continuo finito semplicemente transitivo ∞r risulta definibile come l'insieme di tutte, e sole, le trasformazioni, che ammettono certi r pfaffiani invarianti ωk, costituenti un sistema chiuso nel senso che i loro covarianti bilineari siano esprimibili come forme bilineari alternanti negli ωk stessi e a coefficienti costanti (le cjks del Lie). Ciò si poteva dedurre anche da risultati, già prima noti, dello stesso Lie e di L. Maurer (1888); ma gli sviluppi del Cartan forniscono per i gruppi finiti i fondamenti di una nuova teoria, che si può dire, in un certo senso, duale di quella del Lie, in quanto l'ufficio che in questa è assegnato alle trasformazioni infinitesime Xj, viene assunto dai pfaffiani ωk, e le relazioni fra le Xj e gli ωk (ove in questi si assumano come variabili i parametri ak del gruppo) sono sintetizzate dall'equazione

la quale si ottiene calcolando l'incremento δf che un'arbitraria funzione f(x1, ..., xn) subisce per effetto della generica trasformazione infinitesima Sa-1 Sa+δa del gruppo. Di questa sua teoria dei gruppi continui finiti il Cartan ha messo in luce il contenuto geometrico, mostrando che essa corrisponde a un'estensione a un gruppo (transitivo) qualsiasi della teoria del triedro mobile per il gruppo dei movimenti dello spazio (1910).

30. Per seguire più oltre le deduzioni del Cartan nel campo dei gruppi continui infiniti dovremmo ricorrere a sviluppi formali, che qui non possono trovar posto. Ci limitiamo perciò a ricordare qualcuno dei molti risultati da lui ottenuti. Egli ha risoluto completamente il problema della determinazione di tutti i gruppi isomorfi, oloedricamente o meriedricamente, a un gruppo dato; ed è stato così condotto a rilevare talune divergenze sostanziali fra i gruppi infiniti e quelli finiti. Mentre ogni gruppo finito è isomorfo oloedricamente a qualche gruppo transitivo, per taluni gruppi infiniti esiste un certo numero minimo di invarianti (essenziali), al disotto del quale non è possibile scendere per isomorfismo oloedrico, sicché per i gruppi infiniti la distinzione in transitivi e intransitivi ha, almeno in parte, carattere strutturale. Così ancora esistono gruppi infiniti che risultano isomorfi meriedricamente a sé stessi, in guisa che può darsi che uno stesso gruppo sia isomorfo a un altro tanto oloedricamente, quanto meriedricamente. Di qui la necessità di distinguere due specie di gruppi isomorfi meriedricamente (proprî quelli che non si possono in nessun modo considerare anche come isomorfi oloedricamente, improprî gli altri) e due specie di gruppi semplici (proprî quelli che non ammettono nessun gruppo isomorfo meriedricamente, né proprio né improprio, improprî quelli che non ammettono gruppi isomorfi meriedricamente proprî, ma ne ammettono qualcuno improprio). E nuove difficoltà essenziali insorgono, quando si passa alle serie di composizione, giacché, fra l'altro, può accadere che in un gruppo infinito, pur dotato di sottogruppi invarianti, nessuno di questi possa dirsi massimo.

Ma il più importante dei risultati conseguiti dal Cartan in questo campo è la determinazione di tutti i gruppi continui infiniti semplici, compresi quelli strutturalmente intransitivi. I gruppi semplici transitivi sono tutti proprî e appartengono tutti ai tipi delle quattro grandi classi di gruppi, già noti come semplici al Lie (gruppo totale delle trasformazioni puntuali di Sn, gruppo equivalente totale di Sn, gruppo totale delle trasformazioni di contatto di Sn, considerato come gruppo puntuale di S2n-1, gruppo di tutte le trasformazioni di contatto nelle x, p di Sn, considerato come gruppo puntuale di S2n, ossia gruppo delle trasformazioni canoniche della dinamica, considerato nello spazio delle fasi). Quanto ai gruppi semplici strutturalmente intransitivi, quelli proprî si ottengono tutti, sostituendo nei gruppi semplici transitivi (finiti o infiniti) ogni elemento arbitrario con una funzione arbitraria di quante si vogliono variabili, assunte come invarianti per il gruppo; ciascuno di quelli improprî è isomorfo oloedricamente a un gruppo della forma

dove f è l'integrale generale - dipendente da funzioni arbitrarie - di un qualsiasi sistema di equazioni lineari omogenee alle derivate parziali.

Bibl.: Per i gruppi finiti, oltre il Traité, già cit., del Jordan: L. Bianchi, Lez. sulla teoria dei gruppi di sostituzioni e delle equazioni algebriche secondo Galois, Pisa 1899; W. Burnside, Theory of groups of finite order, Cambridge 1897; G. A. Miller, H. F. Blichfeldt, L. E. Dickson, Theory and applications of finite groups, New York 1916; A. Speiser, Theorie der Gruppen von endlicher Ordnung, Berlino 1923; B. L. van der Waerden, Moderne Algebra, voll. 2, Berlino 1930. - Per i gruppi infiniti discontinui e le funzioni modulari e automorfe, v. la bibliografia della voce funzione. - Per i gruppi continui finiti: S. Lie e F. Engel, Theorie der Trasformationsgruppen, voll. 3, Lipsia 1888-1893, rist. 1930; S. Lie e G. Scheffers, Vorlesungen über Differentialgleichungen mit bekannten infinitesimalen Transformationen, Lipsia 1891; id., id., Vorlesungen über continuierliche Gruppen mit geometrischen und anderen Anwendungen, Lipsia 1893; J. E. Campbell, Introductory Treatise on Lie's Theory of finite continuous Transformations groups, Oxford 1903; L. Bianchi, Lezioni sulla teoria dei gruppi continui finiti di trasformazioni, Pisa 1918; E. Cartan, La théorie des groupes finis et continus et l'Analysis situs, in Mémorial des sc. math., XLII, Parigi 1930. Per i gruppi continui infiniti: S. Lie, Die Grundlagen für die Theorie der unendlichen continuierlichen Transformationsgruppen, due mem. in Gesamm. Abhandlungen, VI, Lipsia 1927, pp. 300-364; id., Untersuchungen über unendliche kontinuierliche Gruppen, ibid., pp. 396-493; F. Engel, Über die Definitionsgleichungen der kontinuierlichen Transformationsgruppen, in Math. Annalen, XXVII (1886); E. Cartan, Sur la structure des groupes infinis de transformations, in Ann. de l'Éc. Norm. Sup., s. 3ª, XXI (1904), pp. 153-206; XXII (1905), pp. 219-308; id., Les sousgroupes des groupes continus de transformations, ibidem, XXV (1908), pp. 57-194; id., Les groupes de transformations continus, infinis, simples, ibid., XXVI (1909), pp. 93-161; id., La structure des groupes de transformations continus et la théorie du trièdre mobile, in Bull. des sc. math., s. 2ª, XXXIV (1910), pp. 1-34: - Per le applicazioni alla meccanica quantistsica: H. Weyl, Gruppentheorie und Quantenmechanik, 2ª ed., Lipsia 1931; E. Wigner, Gruppentheorie und ihre Anwendung auf die Quantenmechanik der Atomspektren, Brunswick 1932; B. L. van der Waerden, Die gruppentheoretische Methode in der Quantenmechanik, Berlino 1932.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata