GRISELLI, Griso

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 59 (2002)

GRISELLI, Griso

Vanna Arrighi

Figlio di Giovanni di Cristoforo, vinattiere, e della prima moglie Mea (Bartolomea) di Bartolomeo Del Grigia, nacque a Firenze nel 1424. La famiglia era originaria della Valdelsa, nel Senese, da dove era emigrata in città con Cristoforo, nonno del G., verso la fine del secolo XIV. Furono "squittinati" per la prima volta, cioè immessi nelle liste elettorali, nel 1426, ma, prima del G., nessuno di loro ebbe mai un ruolo nella vita pubblica.

Il G. seguì il corso di studi finalizzato all'esercizio del notariato, che dovette conseguire, com'era costume, verso il ventesimo anno di età, anche se i suoi protocolli di atti non iniziano che il 23 febbr. 1454. Tutto lascia pensare che nel periodo intermedio egli abbia lavorato come segretario di Giannozzo Manetti, noto uomo politico fiorentino, nonché uno fra i massimi esponenti della cultura umanistica. Lo si deduce dal fatto che Manetti scelse il G. come suo cancelliere in occasione di una delle prime e più importanti ambasciate a lui affidate, nonostante vi siano indizi dell'esistenza di rapporti di collaborazione tra i due sia precedenti sia posteriori a tale avvenimento. Il 23 ag. 1448, infatti, fu affidata dal governo fiorentino al Manetti un'ambasceria a Venezia e questi, che secondo la normativa aveva diritto a portare con sé un notaio matricolato come cancelliere e collaboratore, scelse il Griselli.

Si trattava di una missione molto delicata: dopo la morte di Filippo Maria Visconti, duca di Milano, avvenuta l'anno prima, era stato ripristinato in questa città un governo repubblicano, rivelatosi alquanto debole e diviso e del quale si prevedeva prossima la fine; questo fatto aveva sollecitato le mire espansionistiche sia di Venezia sia del re di Napoli Alfonso I d'Aragona, il quale rappresentava una minaccia per i Fiorentini con le sue spedizioni in Toscana. Il governo di Firenze intendeva quindi staccare Venezia da questa intesa con il re di Napoli, facendo leva sui trattati precedentemente firmati tra le due Repubbliche, e ottenere l'assenso e l'aiuto dei Veneziani per chiamare in Italia Renato d'Angiò, rivale di Alfonso e pretendente al Regno di Napoli.

Di questa missione diplomatica protrattasi fino al 22 genn. 1449 il G. ha lasciato un interessante diario (conservato presso la Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, pluteo XC, cod. 89; edito con un breve commento da N. Lerz, Il diario di Griso di Giovanni, in Arch. stor. italiano, CXVII [1959], pp. 247-278), reso ancor più prezioso dalla completa dispersione del carteggio del Manetti con la Signoria fiorentina. Ovviamente l'importanza primaria di questa relazione consiste nella ricostruzione precisa e particolareggiata dei colloqui politici avuti dal Manetti con la Signoria di Venezia, sebbene essa rivesta anche un grandissimo interesse per la storia del costume e come fonte per la biografia del Manetti.

Il diario, intitolato Andata di Giannozzo Manetti cittadino fiorentino a Vinegia quando fu eletto inbasciadore e quello disse e quello li fu risposto dal dugie di più ragionamenti tenuti e praticha di lega e trattato acordo cho' Melanesi, col conte Francischo (ed. cit., p. 257), prende le mosse dalla elezione da parte dei Signori e Collegi di Firenze del Manetti, il quale "fu chontento per sua humanità e cortesia che io Griso di Giovanni, andassi con lui in nome di chancielliere" (ibid.). Gli scopi della missione figurano esposti con schematica chiarezza all'inizio della relazione, prima di intraprendere la descrizione del viaggio, in quest'ordine: la venuta in Italia di Renato d'Angiò; il rinnovo del trattato d'alleanza precedentemente firmato tra i due governi; e, infine, la sollecitazione del pagamento da parte dei Veneziani della quota del compenso da essi dovuta al condottiero Sigismondo Malatesta, sulle armi del quale contava soprattutto la Repubblica fiorentina per difendersi dalle incursioni, presso i suoi confini, del re Alfonso.

All'esposizione degli scopi della missione segue il racconto particolareggiato del viaggio: faceva parte del seguito dell'ambasciatore, oltre al G. e al consueto gruppo di famigli a cavallo, anche uno fra i figli del Manetti, Bernardo. Nel primo tratto di strada, fino a Scarperia, furono accompagnati da un gruppo di amici del Manetti, tutti personaggi di spicco del mondo culturale di Firenze: Donato Acciaiuoli, Angiolo Baldesi, Vespasiano da Bisticci. Il viaggio proseguì valicando l'Appennino e facendo tappa a Bologna e a Ferrara e proseguendo per mare lungo la costa fino a Chioggia e quindi a Venezia, ove fecero ingresso la sera del 4 settembre. L'indomani il Manetti fu ricevuto dal doge Francesco Foscari: il colloquio fu molto cordiale e nello stesso tempo improntato al massimo riguardo reciproco e ossequioso delle formalità. Il Manetti parlò per più di un'ora dell'opportunità della discesa in Italia di Renato d'Angiò, dopodiché il doge e i pregadi presero alcuni giorni di tempo per rispondere.

Durante gli intervalli lasciati liberi dai colloqui politici Manetti passeggiò in città, visitando le chiese e l'Arsenale, che il G. descrive con ammirazione, ebbe dotte conversazioni con fiorentini ivi residenti e con personalità religiose e laiche veneziane, partecipò a conviti, organizzati anche al dichiarato scopo di esorcizzare la paura della peste che imperversava in città.

Particolarmente viva risulta la descrizione degli atteggiamenti e dello stato d'animo veneziani alla notizia della sconfitta di Caravaggio, inflitta il 17 settembre dall'esercito milanese alla compagnia di Micheletto Attendolo: tanto il doge quanto i pregadi si presentarono in palazzo vestiti a lutto e con atteggiamento mesto; di lì a poco i Veneziani decisero di accordarsi con Francesco Sforza, allora condottiero al servizio della Repubblica milanese, di cui erano note le mire per farsi riconoscere signore della città. Avuta notizia di ciò, la Signoria di Firenze dette incarico al Manetti di concordare l'estensione di tali trattative anche a Firenze, ma la Signoria veneziana, dopo molti giorni di incertezza, alla fine rifiutò; pertanto l'ambasciatore fiorentino fu richiamato.

Presumibilmente il G. rivestì funzioni di cancelliere anche durante le altre missioni diplomatiche affidate dal governo fiorentino al Manetti nel periodo 1445-53, di cui tuttavia non sono emerse né relazioni né carteggio. Si ha però testimonianza di una lettera di Acciaiuoli al G. dell'8 luglio 1448 in cui questi si compiace per una recente dimostrazione di stima e considerazione tributata al Manetti: con ogni probabilità si trattava di un'ambasceria a Siena da lui portata a termine proprio in quel periodo e il fatto che la lettera sia diretta al G. significa che, con ogni probabilità, fu suo stretto collaboratore anche in questa occasione.

Dopo la missione a Venezia non si hanno notizie sul G. fino al 23 febbr. 1454, giorno in cui rogò per Manetti, ormai stabilitosi a Roma a causa dei noti dissapori con il ceto dirigente fiorentino, l'atto di emancipazione dei suoi figli. Questo atto, che inaugura il primo degli otto protocolli redatti dal G., segna l'inizio della sua lunga carriera di notaio, protrattasi per oltre quarant'anni.

Tornato stabilmente a Firenze, dall'aprile 1454 iniziò a collaborare, in qualità di notaio di fiducia, con Francesco Altoviti, eletto nel gennaio precedente abate di Vallombrosa e generale della Congregazione che da questa abbazia benedettina prendeva il nome. Al seguito dell'Altoviti il G. si spostava frequentemente fra i diversi monasteri e l'abitazione suburbana del generale al Guarlone, per rogare i contratti necessari alla vita materiale dei monaci, ma anche i verbali delle riunioni capitolari e perfino delle visite ispettive che il generale periodicamente intraprendeva in alcune abbazie. Negli intervalli il G. rogava anche contratti per privati, ma il fatto che non ebbe mai uno studio notarile e che in questi casi egli preferibilmente si recasse presso l'abitazione dei contraenti sta a indicare che la Congregazione vallombrosana era di gran lunga il suo principale committente; tale rapporto privilegiato di lavoro non si interruppe nemmeno con la morte dell'Altoviti, sopraggiunta nel 1479.

Il G., in virtù della sua collaborazione con il Manetti, era entrato in rapporto con le principali figure dell'umanesimo fiorentino, in particolare con l'Acciaiuoli - che era imparentato con lo stesso Manetti - e con il gruppo di intellettuali che si riuniva intorno a Giovanni Argiropulo, detto dell'Accademia fiorentina, di cui fu membro lo stesso Lorenzo de' Medici.

Frequenti - a testimoniare rapporti di familiarità di cui dovette godere il G. - sono gli accenni che, in particolare, si rinvengono nel carteggio dell'Acciaiuoli. Questi lo volle come collaboratore almeno in occasione della elezione a vicario di San Miniato, carica che ricoprì per un semestre a decorrere dal 10 genn. 1466, designando il G. come uno dei due notai della sua "famiglia": ne fanno fede alcuni atti notarili rogati dal G. a San Miniato nel giugno 1466.

Nel frattempo il G. aveva stabilito anche rapporti con la famiglia Medici: la prima menzione risale al 16 sett. 1461, in una lettera in cui il giovane Lorenzo raccomanda il G. per l'ufficio di notaio della Signoria al padre Piero, facendo riferimento al fatto che la candidatura del G. era caldeggiata dall'Acciaiuoli e da "tutta la Academia" (Lettere, I, p. 6). Stando alla stessa lettera il G. era stato già raccomandato da Lorenzo per lo stesso ufficio alcuni mesi prima, durante il gonfalonierato di Giustizia di Piero de' Medici, ma senza esito. Questa volta invece la raccomandazione ebbe effetto e il G. fu eletto effettivamente notaio della Signoria per il bimestre novembre-dicembre 1461. Il G. detenne altre due volte la stessa carica, nel bimestre luglio-agosto 1472 e nello stesso bimestre del 1484.

Altri uffici pubblici da lui ricoperti furono quello di notaio dei capitani di Orsanmichele per un anno dal 10 marzo 1459; notaio degli atti della Camera del Comune per due mesi dal 7 apr. 1462, carica che ricoprì di nuovo per otto mesi dal 4 nov. 1468; notaio degli ufficiali del Monte per un anno dall'11 luglio 1464; notaio degli elezionieri del podestà nel 1472 e poi di nuovo nel 1481; notaio dei sindaci del Monte dal 20 genn. 1474; notaio delle Porte dal 1° apr. 1474 per sei mesi; notaio della Gabella del vino per sei mesi dal 2 maggio 1475 e poi di nuovo per lo stesso periodo dal 2 dic. 1485; notaio dei Cinque conservatori del Contado per sei mesi dal 2 maggio 1476; notaio del magistrato dei Pupilli per un anno dal 2 apr. 1478; notaio alle Uscite della Camera del Comune per quattro mesi dal 1° nov. 1482; notaio dei regolatori delle entrate e uscite per sei mesi dal 17 nov. 1483; notaio delle appellagioni dal 10 sett. 1486; notaio delle prestanze per quattro mesi dal 12 apr. 1487; notaio dei massai della Camera del Comune per un anno dal 1° marzo 1488 e poi di nuovo per un altro anno dal 1° genn. 1493; notaio degli ufficiali dell'Estimo del contado per sei mesi dal 18 febbr. 1495 e infine notaio dell'imposizione di "un soldo per lira" per un anno dal 1° marzo 1496.

Nel 1480 effettuò la propria portata al Catasto, da cui si evince che la sua situazione economica era piuttosto florida: aveva infatti il possesso oltre che della casa di abitazione, nel quartiere di S. Spirito, "gonfalone" del Nicchio e "popolo" di S. Iacopo sopr'Arno, di svariati poderi e case ubicati nella zona tra Barberino Valdelsa e Poggibonsi. La sua famiglia era composta, oltre che dalla moglie Pippa (Filippa) di Paolo Lotti, da sette figli, di cui quattro maschi e tre femmine; il maggiore dei maschi, Girolamo, seguì le orme del padre esercitando il notariato.

Il G. morì a Firenze il 20 luglio 1497 e fu sepolto nella chiesa della parrocchia di S. Iacopo sopr'Arno.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Notarile antecosimiano, 10403-10411 (protocolli notarili del G. con annesse due buste di carte sciolte); Catasto, 994, c. 365; Carte Sebregondi, 2750; Carte di corredo, 51, c. 85v; Tratte, 173, c. 77; 174, cc. 103-105; Arte dei medici e speziali, 247, c. 103v; Lorenzo de' Medici, Lettere, a cura di R. Fubini, Firenze 1977, I, pp. 5 s.; II, pp. 189 s.; I. Ammannati, Lettere (1444-1479), a cura di P. Cherubini, Roma 1997, ad ind.; A. Della Torre, Storia dell'Accademia platonica fiorentina, Firenze 1902, ad ind.; D. Marzi, La Cancelleria della Repubblica fiorentina, Rocca San Casciano 1910, pp. 502, 504 s.; E. Garin, Donato Acciaiuoli cittadino fiorentino, in Id., Medioevo eRinascimento, Bari 1980, pp. 205, 259.

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